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Autore: Yanothing    20/03/2013    1 recensioni
La mia prima ff basata a grandi linee su una storia vera.
Un amicizia che comincia all'età di sedici anni, periodi molto difficili, problemi con alcool e farmaci, il mondo della musica punk-rock, un amore sano e puro, continue sfide che si infrangono contro le vite dei personaggi, sopratutto contro la vita dell'eterno giovane Billie.
"Portami indietro a un’ora fa, il tempo sta fermo mentre gli anni passano".
Genere: Malinconico, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Adrienne Nesser Armstrong, Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Tré Cool
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ero seduto sul bordo del letto con la testa tra le mani, da poco avevo messo nella culletta quel piccolo batuffolo di appena qualche giorno che era piombato nella mia vita, mentre la mia dolce metà dormiva col viso rilassato stesa dalla parte destra del letto.
Sembrerebbe la vita normale di una famiglia normale, ma nascondevo dentro me un baratro che non sapevo più come colmare, le avevo provate tutte, sigarette, alcool, e farmaci vari, ma niente sembrava bastare, l'insonnia e l'ansia erano le mie compagne di vita e come se non bastasse il lavoro al nuovo album sembrava stare fermo da anni, non riuscivo più a scrivere una sola parola, dopo le prime due canzoni qualcosa mi bloccò, forse fu l'arrivo di Joey a sconvolgermi, c'era qualcosa che non andava in me, ma sembrava che non se ne accorgesse nessuno.
Mi alzai dopo essermi passato una mano sulla guancia resa ruvida dalla barba trascurata da qualche giorno e andai verso il bago, accesi la luce e cominciai a curiosare, senza fare troppo rumore, nel mobiletto dei medicinali. Non fui soddisfatto finché non trovai un flacone di sonniferi, ma con mio grande sconforto era ormai vuoto, sospirai e mi sedetti per terra con le spalle contro la porta, guardando la luce proveniente dalla lampadina che di li a poco mi costrinse a chiudere gli occhi.

Sentivo le palpebre cominciare a farsi pesanti, sorrisi, e scivolai lentamente sul pavimento del bagno, forse sarei riuscito a farmi una dormita, si sul pavimento del bagno, ma ciò che mi importava era far riposare il mio corpo e la mia mente, ma proprio appena la mia nuca entrò a contatto con le fredde mattonelle blu il pianto di Joey giunse al mio orecchio facendo saltare anche il mio ultimo nervo, aprii gli occhi e digrignai i denti, Adrienne non si sarebbe mai alzata e come da routine ormai dovevo prendere il bambino, uscire in corridoio per evitare di svegliare Adie, addormentarlo camminando avanti e indietro in corridoio, poi rimetterlo a letto ed aspettare il seguente pianto, forse era proprio la routine che mi stava uccidendo, forse avevo solo bisogno di una svolta, infondo la mia vita era stata ricca di svolte, fin da quand'ero bambino.
Dopo qualche minuto i lineamenti del piccolo si rilassarono, le piccole labbra si piegarono quasi in un sorriso e i due piccoli pugnetti si sciolsero. Rientrai in camera e gli baciai una guancia asciugandogli una lacrima rimasta sulla sua gota tonda come gli zigomi della madre, lo misi nella culletta e gli rimboccai le coperte.
Mi girai a guardare Adrienne e sorrisi, i miei pensieri si bloccarono per un istante, si impuntarono sul desiderio di qualcosa di diverso dal tentativo di dormire, scossi la testa e presi le mie converse nere, ormai troppo consumate dal tempo e me le infilai, diedi un bacio sulla tempia ad Adie e uscii dalla camera, dirigendomi verso le scale, scesi e presi il giubotto, uscii di casa chiudendomi la porta alle spalle, tenevo ancora la mano poggiata sulla maniglia, come se ero combattuto dal rimanere all'andare via, come se qualcosa mi facesse capire che stavo per fare l'ennesima cosa sbagliata, ma nonostante i brutti presentimenti staccai la mano dalla maniglia e mi avviai a testa bassa verso la strada, non volevo prendere la macchina, credo che andare a piedi era un po' una garanzia, una garanzia per non allontanarmi troppo, non avevo una meta, ma continuavo a camminare indisturbato mentre il mio viso marcato dalle occhiaie veniva investito da un vento freddo.
Dopo pochi minuti arrivai davanti un pub, l'insegna lampeggiante rossa e blu illuminava le pozzanghere che si erano formate sulla superficie irregolare del marciapiede, senza pensarci due volte entrai, infondo il mio obiettivo era sempre stato quello.
Mi sedetti al bancone, senza spiccicare molte parole col barista cominciai ad ordinare da bere, una birra dietro l'altra, le mandavo giù velocemente, sentendo l'alcool scendere dalla gola e disperdersi nelle vene, fino al cuore, sentivo quel baratro riempirsi lentamente, cominciavo a sentirmi meglio per il semplice motivo che cominciavo a dimenticare la routine, cominciavo a dimenticare cosa stessi facendo in quel momento o quello che avrei dovuto fare dopo.
Alzai la mano per far capire al barista che volevo fare un altro giro, ma lui si avvicinò a me senza birra.
"Non credi sia meglio tornartene a casa?"
"Eh? Che vuoi bello? Dammi la mia birra!"
"Hai la macchina? Dammi le chiavi.."
"Ma che cazzo c'hai!?" mi alzai e cominciai ad alzare anche il tono della voce, ero rosso in viso, forse anche per il calore che porta l'aclool.
"Dai amico dammi le chiavi.."
"Non ne ho macchina!"
"Sei pure sposato dai torna a casa.."
"Ma che cazzo sei un barista o uno psicologo!? Vaffanculo! Dammi una cazzo di birra!"
"Dai per favore..vai via.."
"Vaffanculo pezzo di merda!"
Mi avviai verso l'uscita, mi girai a guardarlo e gli alzai il medio, mentre lui mi guardava con un espressione mista tra dispiacere e compassione.
Uscii comunque, sapevo che quella era la cosa giusta da fare e quello che diceva era giusto, ma non volevo ammetterlo, nemmeno a me stesso.
Continuai a camminare barcollando verso un'altra meta non conosciuta, le luci di Oakland mi infastidivano e i fari della macchina investivano il mio volto mentre le ultime gocce cadevano dalle foglie degli alberi fino alle mie guance, sembravano quasi lacrime.
Mi ritrovai dinanzi la casa di Mike e senza pensarci due volte bussai alla porta, dopo un po' di minuti mi aprì, con indosso un pantalone della tuta grigio, la sua solita canottiera bianca e i capelli scombinati dal sonno, alzò un sopracciglio.
"Che ci fai qui?"
"Mikey!" gli buttai le braccia al collo ridendo e lui mi strinse incerto dopo qualche secondo.
"Bill?"

Puzzava di alcool, non ci voleva molto per capire che non era in lui, lo strinsi qualche secondo e poi lo feci entrare in casa, aveva gli occhi velati di una strana malinconia, era ubriaco, ma non come tutte le volte che lo avevo visto ubriaco, questa volta c'era qualcosa di più.

  
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