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Autore: Capriccio biondo    20/03/2013    9 recensioni
Questa one shot fa luce su un episodio della saga passato velocemente tra le righe: la “fuga” di Edward dal desiderio iniziale di uccidere Bella e il suo conseguente viaggio a Denali. Lì si creano le premesse su cui poggia il racconto che ne segue, immaginando in una sorta di What if?, l’eventuale ritorno del giovane Cullen tra le braccia di Tanya, in un momento di crisi inaspettata causato da una sorta di tradimento di Bella, ancora umana. E’ una piccola istantanea di anime affini e complementari, ma non destinate a stare insieme. Un racconto in cui, talvolta, è facile riconoscersi, al di là del contesto particolare, e in cui l’amore, pur forte e incondizionato, non porta ad un lieto fine. One shot classificatasi quarta al contest "Raindrops" indetto da Hilary si Efp.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Tanya | Coppie: Bella/Edward
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Eclipse
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Buonasera a tutte! Questa mia storia, che non è del tutto una novità, ha partecipato al contest indetto da _Hilary_ Raindrops su Efp. L'avevo già scritta come originale, ma l'ho adattata cambiando alcune parti al fandom. Ne è uscita una storia diversa, una nuova prospettiva con cui leggere alcuni episodi piccoli ma determinanti della nostra amata saga. Buona lettura! Spero vi trasmetta qualche emozione. Fatemi sapere, se vi va.

Esco dalla doccia e con perizia mi coccolo, mi prendo cura di me, mi preparo. Sembra che io abbia un appuntamento galante, che mi debba far bella per un uomo. In realtà non c’è nulla di organizzato, nessuna telefonata, nessun messaggio, neanche l’ombra di una calda promessa,  ma c’è soltanto questa strana sensazione che si impossessa periodicamente di me.

 Mi è sempre piaciuto pensare d’esser legata a Edward da un filo invisibile, come fossimo parti della stessa anima, corpi magnetici divisi che si cercano continuamente, si sfiorano, si scontrano, si inseguono, trovandosi sempre in un turbinio di colori.

Un tempo lo eravamo stati davvero. Le mie giornate erano piene di lui e di quel noi ancora allo stadio embrionale. La sua figura si stagliava nel bianco della neve perdendo i contorni, ma definendosi sempre più nel mio cuore, fermo come il suo. Si era rifugiato qui a Denali come fosse un ultimo baluardo in cui recuperare la propria razionalità e la forza che avrebbe dovuto esercitare per resistere al richiamo del sangue di una filiforme umana dagli occhi di cioccolato. Cercai di trattenerlo, di porgli davanti ogni possibile prospettiva, ma l’umana sembrava essere la sua cantante e niente, nemmeno il mio amore per lui, ebbe la forza sufficiente a contrastare quel tipo di attrazione.

E’ la nostra natura: bellezza e vigore giovanile fissati eternamente, quasi cesellati nel marmo più puro, e fragilità di sentimenti, debolezza esposta. Ora sta tornando perché qui è il suo angolo sperduto, qui vuole perdersi, per dimenticare quanta incoerenza abbia la natura umana, quanto labili possano essere le parole di chi ha un’essenza così scostante. Come si può promettere l’eternità se non la si conosce?

Sembra assurdo, ma sento l’angoscia che lo attanaglia, la delusione che gli comprime il cuore fino a farlo scricchiolare, che schiaccia i polmoni fino a far mancare quell’aria, di cui comunque non ha bisogno. Boccheggio come fossi colpita da un’onda violenta, avvolta da una strana forma di claustrofobia.  Mi porto una mano sul petto e percepisco il mio cuore echeggiare pur immobile e la cassa toracica alzarsi ed abbassarsi irregolarmente, come se ancora potessi essere sopraffatta da affanni umani.

Chiudo gli occhi e cerco di visualizzarlo: lo vedo in macchina, col cappellino calato sugli occhi, celati a loro volta dagli occhiali scuri. Guida con rabbia e decisione, sbattendo il palmo aperto sul volante ogni volta che si imbatte in un semaforo rosso. E’ impaziente, pieno d’ira e sta per scoppiare. Non riesce a gestire la violenza delle emozioni che gli stanno straziando l’animo e fa quello che chiunque farebbe nella sua situazione. Scappa, non potendo negare una realtà ferina e lancinante. La sua ragione cerca colpe, scuse, soluzioni drastiche e rimedi momentanei. La confusione diventa ben presto della stessa natura di quella che ne sta sconvolgendo il cuore.

 Io assorbo, percepisco tutto, mentre un brivido freddo mi percorre la schiena.

Riapro gli occhi, ritornando alla realtà, che non lo esclude, non potrebbe mai. Mi avvicino alla porta e la apro con una calma paradossale. Lui è lì, sembra addirittura ansante e sudato, mentre cerca appoggio sullo stipite.

- Ciao Tanya.

Lascio andare il labbro che stavo trattenendo, articolando un mormorio.

- Edward.

Mi sposto e lo faccio entrare, guardando per abitudine alle sue spalle.

- Sono solo.

Una punta di angoscia avvolge la sua voce, già impastata da quello che umanamente potrebbe essere pianto.

- No, non lo sei mai.

Tento di arginare lo sfogo che inevitabilmente tracimerà gli argini della sua razionalità.

Si toglie con un gesto secco gli occhiali leggeri e li appoggia sul vetro del tavolino vicino al divano. Il cappellino arriva subito dopo. Le sue lunghe dita solcano con forza i suoi capelli. Sono morbidi e setosi. Amo toccarli, come amo sfiorare ogni altra parte del suo corpo. E’ un modo non verbale di comunicare, una sintonia corporea, un bouchet di odori, una miscellanea unica di sensazioni che ci lega.

- Non hai capito…

- Sì, invece. La tua Bella, il tuo mondo, non si sono rivelati perfetti come credevi?

- Tutto è crollato.

Piega la testa e curva le spalle, sconfitto.

- Nulla è perfetto quando ci sono esseri umani nel mezzo.

Voglio rassicurarlo, fargli capire la fragilità comune, fargli accettare l’dea che l’esporsi eccessivo per chi è sensibile  può comportare l’essere più facilmente feriti.

- Pensavo…ero sicuro…mi fidavo…

Mi avvicino con cautela e lo accarezzo leggermente. Faccio scivolare la mia mano sulla sua guancia ispida. Edward vi si appoggia, piegando la testa di lato, prolungando il nostro contatto e fissando i suoi occhi nei miei. L’immensità dell’oro è quella ricca di sfaccettature del deserto al tramonto, ma rivela una tempesta interiore degna del più profondo degli oceani. Sono velati ma sinceri come non mai. Cerco di controllare il bisogno primordiale che ho di stringerlo a me, come se potessi formare una Pangea che sapesse far di noi un unico essere per assorbire come una spugna il suo dolore, la sua delusione, la sua rabbia. Cerco di fornirgli una prospettiva nuova con cui guardarsi indietro.

- Lo so che detto ora può sembrare assurdo, ma non rileggere tutto attraverso il disprezzo.

Allarga gli occhi alzando le sopracciglia in un’espressione interrogativa, mentre io continuo controllando il tono della mia voce.

- Non giustifico e, sinceramente, non capisco. Non mi giocherei mai una relazione così per un capriccio effimero. Ma non devi mortificarti, non puoi incolparti, né percepire tutto quello che hai vissuto come se fosse sporco.

- Sono arrabbiato, molto, e mi sento umiliato.

Stringe i pugni e serra la mandibola in un movimento contratto.

Cerco di ammorbidire la mia voce nuovamente per trasmettergli pacatezza.

- Posso capire, non hai torto.

- Non me ne frega nulla ora, ho solo voglia di spaccare tutto, di distruggere ogni ricordo, ogni cosa.

- Sei stato felice, distruggendo tutto lo farai anche con una parte di te stesso.

Si guarda attorno, come potesse trovare un appiglio, un gancio in mezzo all’aria cui attaccarsi per fuggire alla rabbia soffocante che lo tiene in ostaggio, mentre ribadisce la sua posizione incalzandomi con le parole.

- Voglio dimenticare, voglio chiudere tutto là fuori.

Sento la sua volontà di nascondersi, di crearsi un bozzolo sicuro, un posto dove nessuno lo possa trovare e ferire ulteriormente. Glielo offro io, come ho già fatto in passato, in un gesto che mescola altruismo evidente ed egoismo sottile.

- Rimani.

Mi guarda carico di aspettativa e sentimenti contrastanti, una giungla di emozioni in lotta tra loro.

- Voglio annullarmi.

Io penso, invece, che niente potrebbe impedirgli di rifulgere. E’ unico e non posso avvertire solo io questa grande verità. Gli porto il primo esempio eclatante che mi viene in mente.

- Si può oscurare il sole?

- Ci sono le eclissi.

- Mai definitive.

La logica non ha un ruolo in situazioni così, ma spesso la si usa come un’arma inutile.

Scrolla le spalle sconsolato e si lascia affondare nella poltrona accanto al camino, guardando fisso fiamme che non esistono, che non stanno ardendo. Il fuoco è il suo, è quello che lo sta consumando e che preme per cercare di uscire, in modo subdolo e silenzioso, come l’inizio di ogni grande incendio. Scuote la testa, come a voler cacciare immagini che la mente sta elaborando, e si copre gli occhi con il palmo delle mani, arricciando le dita in un gesto di estrema difesa.

- Edward…

Mi avvicino e gli passo gentilmente la mano sulla schiena, curva sotto il peso degli avvenimenti delle ultime ore. E’ teso, ogni muscolo è una striatura di marmo, rigido in una statica e fragile perfezione. Fermo le mie mani sulle sue spalle e tento di scioglierne almeno la postura con movimenti cauti e calibrati. Passo i pollici lungo tutta la lunghezza del suo collo esposto, finché lentamente toglie le mani dal viso e le aggancia ai miei fianchi, avvicinandomi a lui. Appoggia la guancia sul mio ventre e avvolge la mia vita con entrambe le braccia.

- Non lasciarmi andare.

L’insicurezza lo ha minato, il suo sorriso sghembo si è momentaneamente spento, la sua pacata ironia dissolta. E’ rimasto un forte senso di inadeguatezza, un dolore rabbioso che attanaglia lo stomaco e declina le sue labbra morbide in una linea dura e contratta. Gli accarezzo i capelli con lentezza, ma con movimenti costanti. La loro morbidezza mi scivola tra le mani, le loro sfumature variano poliedricamente tra l’oro più lucente e il rame più caldo, il loro profumo mi inebria. Il tono della mia voce sorprende anche me. Non è mai stata così calda, così suadente, quasi ammagliante.

- Sei parte di me. Lo sai, l’hai sempre saputo.

Si alza non perdendo mai il contatto visivo e fisico con me e mi sovrasta. La sua voce bassa e ruvida è meglio di una carezza sensuale.

- Ci sei sempre stata, Tanya. Sei una sicurezza per me.

Si avvicina e sembra che porti con sé per contrasto un calore che s’irradia fin sotto la mia pelle. Il suo fiato freddo, invece, mi arriva sulle labbra. Lo respiro con avidità, come fossi in apnea. Le nostre terminazioni nervose sono in allerta e rimandano elettricità. Non c’è bisogno di altre parole, sarebbero superflue. Il nostro dialogo ha sempre privilegiato canali non verbali. Le sue labbra arrivano sul mio collo, mentre il desiderio spasmodico di lui pulsa senza ritegno. Lo inarco d’istinto per consentirgli un accesso migliore. La sua mano arriva a palmo aperto sulla mia schiena e mi plasma sul suo corpo con facilità. Rantolo e lui geme sulla mia bocca.

Non mi farà bene averlo così, non è maturo accantonare la realtà e fingere di vivere una dimensione e un tempo non nostri. Ma la ragione serve poco quando si ha una sorta di fiume di lava incandescente che scorre nelle vene. Fremo e lo tocco, saggio la consistenza dei muscoli delle spalle e del braccio. Chiudo gli occhi e sento sulla mia pelle il senso di appagamento nell’aver ritrovato la mia anima, la mia parte complementare, quella che mi rende completa.

Non tutte le anime affini sono destinate a stare insieme, ma a riconoscersi sì. Noi ci siamo trovati e riconosciuti con calma e per gradi, ma in modo incontrovertibile. Siamo coscienti di ciò che ci unisce, di questo filo di seta, non ingombrante, non evidente, ma costante e forte, come lo siamo altrettanto di quanto il cuore non segua sempre l’inclinazione dello spirito. In alcuni casi c’è una dualità paradossale, che fa soffrire, che ci fa sentire diversi e incompresi.

Noi siamo uno di questi casi: uniti nell’anima, ma divisi dal cuore, che talvolta s’intestardisce ad amare altre persone. Una contraddizione bella e buona. Tuttavia,  le cose che son capaci di soverchiare gli interi sistemi non sono quelle ordinarie, ma le variabili straordinarie, le schegge impazzite. Edward di ordinario non ha nulla. L’aura dello straordinario, dell’eccezionalità lo circonda e lo eleva oltre il grigiore della massa da sempre.

 Le sue labbra accarezzano le mie esitanti. Partono dall’angolo della mia bocca e ne sfiorano tutta la lunghezza fino a quello opposto. E’ un bacio adorante e caldo, dolce e rabbioso, pieno di noi. Lo voglio con tutta l’anima e inizio a depositare piccoli buffetti sulla seta carnosa della sua bocca. Gemo e seguo l’istinto, rincorsa dalla sua irruenza. La sua lingua entra leggera, mi cerca, mi aspetta, per poi continuare di prepotenza, proiettandoci in uno spazio alternativo, in una dimensione tutta nostra. Ci stacchiamo ansanti, mentre i suoi occhi si sono fatti scuri di desiderio.  La sua voce arriva con tutta quell’urgenza che già il suo corpo stava esprimendo.

- Ho bisogno di te.

Se fossi umana ora piangerei, ne sentirei il bisogno. Io ho bisogno di lui ora, non il contrario, ma non voglio illudermi. La delusione che ne deriverebbe poi mi schiaccerebbe. Così cerco di distoglierlo, di sfuggirgli, facendomi violenza perché non vorrei altro che abbandonarmi a questa cosa senza bisogno di definirla, di categorizzarla, di sezionarla.

Edward viene prima di me, la sua serenità viene prima della mia pace interiore.

- Tu sei meraviglioso. Sei stato ferito, tradito, ma non voglio toglierti il rispetto per te stesso. Devi ancora pensare razionalmente, devi definire certe cose, soprattutto con Bella.

Mi mordo le labbra che iniziano a tremare, non voglio perdere il controllo delle mie emozioni ora. Devo essere convincente per tutti e due e allora continuo.

- Agendo d’impulso avrai qualcosa di cui rimproverarti domani. Ti conosco. Saresti capace di fartene una colpa e io non voglio esserne la causa. Io ti voglio sereno.

Sospira e mi prende le mani, rimanendo immobile per qualche istante.

- E per te cosa desideri? Cosa vuoi tu, Tanya?

Guardo un angolo del pavimento e mi impongo ancora una volta un contegno che stenta a venire.

- Io sto bene. Ora voglio rivederti sorridere.

Porta le mie mani alle sue labbra e me le bacia con un gesto galante e lento. Sembra animato da una nuova consapevolezza e piega le labbra in un sorriso disarmante.

- Tu mi ami, così tanto da lasciarmi andare.

Non è una domanda, è un’affermazione. Sono sorpresa. Dover affrontare l’evidenza non è facile, men che meno con lui. Molto spesso l’alternativa più semplice è quella meno ovvia. La verità.

- Sì, io ti amo, ma tu scoprirai ben presto che la tua esistenza sarà peggiore senza di lei che con lei e i ricordi spinosi e dolorosi che inevitabilmente ci saranno. La vorrai ancora, contro ogni razionalità e ogni istinto, come è già accaduto la prima volta.

Abbassa il capo in modo pesantemente consapevole.

- Mi dispiace. Io non voglio che tu stia male.

- Nessuno qui vuole ferire l’altro con intento, ma questa forza che va oltre barriere ed errori, ostacoli materiali e macigni d’orgoglio non ci ha toccati, Edward. Almeno non l’ha fatto con entrambi. Non è per noi.

Lo guardo riprendere silenziosamente possesso dell’auto e del suo destino. Mi saluta con un debole cenno del capo e un’espressione tinta di doloroso imbarazzo e se ne va, mentre, come con una ruota cromatica perfetta  che gira con potenza, tutto si dissolve nel bianco della neve.

 

   
 
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