Buonasera a tutte! Questa mia storia, che non è del tutto una novità, ha partecipato al contest indetto da _Hilary_ Raindrops su Efp. L'avevo già scritta come originale, ma l'ho adattata cambiando alcune parti al fandom. Ne è uscita una storia diversa, una nuova prospettiva con cui leggere alcuni episodi piccoli ma determinanti della nostra amata saga. Buona lettura! Spero vi trasmetta qualche emozione. Fatemi sapere, se vi va.
Esco dalla doccia e con perizia mi
coccolo, mi prendo cura di me, mi preparo. Sembra che io abbia un
appuntamento
galante, che mi debba far bella per un uomo. In realtà non
c’è nulla di
organizzato, nessuna telefonata, nessun messaggio, neanche
l’ombra di una calda
promessa, ma
c’è soltanto questa strana
sensazione che si impossessa periodicamente di me.
Mi è sempre
piaciuto pensare d’esser legata a
Edward da un filo invisibile, come fossimo parti della stessa anima,
corpi
magnetici divisi che si cercano continuamente, si sfiorano, si
scontrano, si
inseguono, trovandosi sempre in un turbinio di colori.
Un
tempo lo eravamo stati davvero. Le mie giornate erano piene di lui e di
quel
noi ancora allo stadio embrionale. La sua figura si stagliava nel
bianco della
neve perdendo i contorni, ma definendosi sempre più nel mio
cuore, fermo come
il suo. Si era rifugiato qui a Denali come fosse un ultimo baluardo in
cui
recuperare la propria razionalità e la forza che avrebbe
dovuto esercitare per
resistere al richiamo del sangue di una filiforme umana dagli occhi di
cioccolato. Cercai di trattenerlo, di porgli davanti ogni possibile
prospettiva, ma l’umana sembrava essere la sua cantante e
niente, nemmeno il
mio amore per lui, ebbe la forza sufficiente a contrastare quel tipo di
attrazione.
E’
la nostra natura: bellezza e vigore giovanile fissati eternamente,
quasi
cesellati nel marmo più puro, e fragilità di
sentimenti, debolezza esposta. Ora
sta tornando perché qui è il suo angolo sperduto,
qui vuole perdersi, per
dimenticare quanta incoerenza abbia la natura umana, quanto labili
possano
essere le parole di chi ha un’essenza così
scostante. Come si può promettere
l’eternità se non la si conosce?
Sembra
assurdo, ma sento l’angoscia che lo attanaglia, la delusione
che gli comprime il
cuore fino a farlo scricchiolare, che schiaccia i polmoni fino a far
mancare quell’aria,
di cui comunque non ha bisogno. Boccheggio come fossi colpita da
un’onda
violenta, avvolta da una strana forma di claustrofobia. Mi porto una mano sul petto
e percepisco il
mio cuore echeggiare pur immobile e la cassa toracica alzarsi ed
abbassarsi
irregolarmente, come se ancora potessi essere sopraffatta da affanni
umani.
Chiudo
gli occhi e cerco di visualizzarlo: lo vedo in macchina, col cappellino
calato
sugli occhi, celati a loro volta dagli occhiali scuri. Guida con rabbia
e
decisione, sbattendo il palmo aperto sul volante ogni volta che si
imbatte in
un semaforo rosso. E’ impaziente, pieno d’ira e sta
per scoppiare. Non riesce a
gestire la violenza delle emozioni che gli stanno straziando
l’animo e fa
quello che chiunque farebbe nella sua situazione. Scappa, non potendo
negare una
realtà ferina e lancinante. La sua ragione cerca colpe,
scuse, soluzioni
drastiche e rimedi momentanei. La confusione diventa ben presto della
stessa
natura di quella che ne sta sconvolgendo il cuore.
Io assorbo, percepisco
tutto, mentre un
brivido freddo mi percorre la schiena.
Riapro
gli occhi, ritornando alla realtà, che non lo esclude, non
potrebbe mai. Mi
avvicino alla porta e la apro con una calma paradossale. Lui
è lì, sembra
addirittura ansante e sudato, mentre cerca appoggio sullo stipite.
-
Ciao Tanya.
Lascio
andare il labbro che stavo trattenendo, articolando un mormorio.
-
Edward.
Mi
sposto e lo faccio entrare, guardando per abitudine alle sue spalle.
-
Sono solo.
Una
punta di angoscia avvolge la sua voce, già impastata da
quello che umanamente
potrebbe essere pianto.
-
No, non lo sei mai.
Tento
di arginare lo sfogo che inevitabilmente tracimerà gli
argini della sua
razionalità.
Si
toglie con un gesto secco gli occhiali leggeri e li appoggia sul vetro
del
tavolino vicino al divano. Il cappellino arriva subito dopo. Le sue
lunghe dita
solcano con forza i suoi capelli. Sono morbidi e setosi. Amo toccarli,
come amo
sfiorare ogni altra parte del suo corpo. E’ un modo non
verbale di comunicare,
una sintonia corporea, un bouchet di odori, una miscellanea unica di
sensazioni
che ci lega.
-
Non hai capito…
-
Sì, invece. La tua Bella, il tuo mondo, non si sono rivelati
perfetti come
credevi?
-
Tutto è crollato.
Piega
la testa e curva le spalle, sconfitto.
-
Nulla è perfetto quando ci sono esseri umani nel mezzo.
Voglio
rassicurarlo, fargli capire la fragilità comune, fargli
accettare l’dea che l’esporsi
eccessivo per chi è sensibile può
comportare l’essere più facilmente feriti.
-
Pensavo…ero sicuro…mi fidavo…
Mi
avvicino con cautela e lo accarezzo leggermente. Faccio scivolare la
mia mano
sulla sua guancia ispida. Edward vi si appoggia, piegando la testa di
lato,
prolungando il nostro contatto e fissando i suoi occhi nei miei.
L’immensità
dell’oro è quella ricca di sfaccettature del
deserto al tramonto, ma rivela una
tempesta interiore degna del più profondo degli oceani. Sono
velati ma sinceri
come non mai. Cerco di controllare il bisogno primordiale che ho di
stringerlo
a me, come se potessi formare una Pangea che sapesse far di noi un
unico essere
per assorbire come una spugna il suo dolore, la sua delusione, la sua
rabbia.
Cerco di fornirgli una prospettiva nuova con cui guardarsi indietro.
-
Lo so che detto ora può sembrare assurdo, ma non rileggere
tutto attraverso il
disprezzo.
Allarga
gli occhi alzando le sopracciglia in un’espressione
interrogativa, mentre io
continuo controllando il tono della mia voce.
-
Non giustifico e, sinceramente, non capisco. Non mi giocherei mai una
relazione
così per un capriccio effimero. Ma non devi mortificarti,
non puoi incolparti,
né percepire tutto quello che hai vissuto come se fosse
sporco.
-
Sono arrabbiato, molto, e mi sento umiliato.
Stringe
i pugni e serra la mandibola in un movimento contratto.
Cerco
di ammorbidire la mia voce nuovamente per trasmettergli pacatezza.
-
Posso capire, non hai torto.
-
Non me ne frega nulla ora, ho solo voglia di spaccare tutto, di
distruggere
ogni ricordo, ogni cosa.
-
Sei stato felice, distruggendo tutto lo farai anche con una parte di te
stesso.
Si
guarda attorno, come potesse trovare un appiglio, un gancio in mezzo
all’aria
cui attaccarsi per fuggire alla rabbia soffocante che lo tiene in
ostaggio,
mentre ribadisce la sua posizione incalzandomi con le parole.
-
Voglio dimenticare, voglio chiudere tutto là fuori.
Sento
la sua volontà di nascondersi, di crearsi un bozzolo sicuro,
un posto dove
nessuno lo possa trovare e ferire ulteriormente. Glielo offro io, come
ho già
fatto in passato, in un gesto che mescola altruismo evidente ed egoismo
sottile.
-
Rimani.
Mi
guarda carico di aspettativa e sentimenti contrastanti, una giungla di
emozioni
in lotta tra loro.
-
Voglio annullarmi.
Io
penso, invece, che niente potrebbe impedirgli di rifulgere.
E’ unico e non
posso avvertire solo io questa grande verità. Gli porto il
primo esempio eclatante
che mi viene in mente.
-
Si può oscurare il sole?
-
Ci sono le eclissi.
-
Mai definitive.
La
logica non ha un ruolo in situazioni così, ma spesso la si
usa come un’arma
inutile.
Scrolla
le spalle sconsolato e si lascia affondare nella poltrona accanto al
camino,
guardando fisso fiamme che non esistono, che non stanno ardendo. Il
fuoco è il
suo, è quello che lo sta consumando e che preme per cercare
di uscire, in modo
subdolo e silenzioso, come l’inizio di ogni grande incendio.
Scuote la testa,
come a voler cacciare immagini che la mente sta elaborando, e si copre
gli
occhi con il palmo delle mani, arricciando le dita in un gesto di
estrema
difesa.
-
Edward…
Mi
avvicino e gli passo gentilmente la mano sulla schiena, curva sotto il
peso
degli avvenimenti delle ultime ore. E’ teso, ogni muscolo
è una striatura di
marmo, rigido in una statica e fragile perfezione. Fermo le mie mani
sulle sue
spalle e tento di scioglierne almeno la postura con movimenti cauti e
calibrati. Passo i pollici lungo tutta la lunghezza del suo collo
esposto,
finché lentamente toglie le mani dal viso e le aggancia ai
miei fianchi,
avvicinandomi a lui. Appoggia la guancia sul mio ventre e avvolge la
mia vita
con entrambe le braccia.
-
Non lasciarmi andare.
L’insicurezza
lo ha minato, il suo sorriso sghembo si è momentaneamente
spento, la sua pacata
ironia dissolta. E’ rimasto un forte senso di inadeguatezza,
un dolore rabbioso
che attanaglia lo stomaco e declina le sue labbra morbide in una linea
dura e
contratta. Gli accarezzo i capelli con lentezza, ma con movimenti
costanti. La
loro morbidezza mi scivola tra le mani, le loro sfumature variano
poliedricamente tra l’oro più lucente e il rame
più caldo, il loro profumo mi
inebria. Il tono della mia voce sorprende anche me. Non è
mai stata così calda,
così suadente, quasi ammagliante.
-
Sei parte di me. Lo sai, l’hai sempre saputo.
Si
alza non perdendo mai il contatto visivo e fisico con me e mi sovrasta.
La sua
voce bassa e ruvida è meglio di una carezza sensuale.
-
Ci sei sempre stata, Tanya. Sei una sicurezza per me.
Si
avvicina e sembra che porti con sé per contrasto un calore
che s’irradia fin
sotto la mia pelle. Il suo fiato freddo, invece, mi arriva sulle
labbra. Lo
respiro con avidità, come fossi in apnea. Le nostre
terminazioni nervose sono
in allerta e rimandano elettricità. Non
c’è bisogno di altre parole, sarebbero
superflue. Il nostro dialogo ha sempre privilegiato canali non verbali.
Le sue
labbra arrivano sul mio collo, mentre il desiderio spasmodico di lui
pulsa
senza ritegno. Lo inarco d’istinto per consentirgli un
accesso migliore. La sua
mano arriva a palmo aperto sulla mia schiena e mi plasma sul suo corpo
con
facilità. Rantolo e lui geme sulla mia bocca.
Non
mi farà bene averlo così, non è maturo
accantonare la realtà e fingere di
vivere una dimensione e un tempo non nostri. Ma la ragione serve poco
quando si
ha una sorta di fiume di lava incandescente che scorre nelle vene.
Fremo e lo
tocco, saggio la consistenza dei muscoli delle spalle e del braccio.
Chiudo gli
occhi e sento sulla mia pelle il senso di appagamento
nell’aver ritrovato la
mia anima, la mia parte complementare, quella che mi rende completa.
Non
tutte le anime affini sono destinate a stare insieme, ma a riconoscersi
sì. Noi
ci siamo trovati e riconosciuti con calma e per gradi, ma in modo
incontrovertibile. Siamo coscienti di ciò che ci unisce, di
questo filo di
seta, non ingombrante, non evidente, ma costante e forte, come lo siamo
altrettanto di quanto il cuore non segua sempre
l’inclinazione dello spirito.
In alcuni casi c’è una dualità
paradossale, che fa soffrire, che ci fa sentire
diversi e incompresi.
Noi
siamo uno di questi casi: uniti nell’anima, ma divisi dal
cuore, che talvolta s’intestardisce
ad amare altre persone. Una contraddizione bella e buona. Tuttavia, le cose che son capaci di
soverchiare gli
interi sistemi non sono quelle ordinarie, ma le variabili
straordinarie, le
schegge impazzite. Edward di ordinario non ha nulla. L’aura
dello
straordinario, dell’eccezionalità lo circonda e lo
eleva oltre il grigiore
della massa da sempre.
Le sue labbra accarezzano le
mie esitanti.
Partono dall’angolo della mia bocca e ne sfiorano tutta la
lunghezza fino a
quello opposto. E’ un bacio adorante e caldo, dolce e
rabbioso, pieno di noi.
Lo voglio con tutta l’anima e inizio a depositare piccoli
buffetti sulla seta
carnosa della sua bocca. Gemo e seguo l’istinto, rincorsa
dalla sua irruenza.
La sua lingua entra leggera, mi cerca, mi aspetta, per poi continuare
di
prepotenza, proiettandoci in uno spazio alternativo, in una dimensione
tutta
nostra. Ci stacchiamo ansanti, mentre i suoi occhi si sono fatti scuri
di
desiderio. La sua
voce arriva con tutta quell’urgenza
che già il suo corpo stava esprimendo.
-
Ho bisogno di te.
Se
fossi umana ora piangerei, ne sentirei il bisogno. Io ho bisogno di lui
ora,
non il contrario, ma non voglio illudermi. La delusione che ne
deriverebbe poi
mi schiaccerebbe. Così cerco di distoglierlo, di sfuggirgli,
facendomi violenza
perché non vorrei altro che abbandonarmi a questa cosa senza
bisogno di
definirla, di categorizzarla, di sezionarla.
Edward
viene prima di me, la sua serenità viene prima della mia
pace interiore.
-
Tu sei meraviglioso. Sei stato ferito, tradito, ma non voglio toglierti
il
rispetto per te stesso. Devi ancora pensare razionalmente, devi
definire certe
cose, soprattutto con Bella.
Mi
mordo le labbra che iniziano a tremare, non voglio perdere il controllo
delle
mie emozioni ora. Devo essere convincente per tutti e due e allora
continuo.
-
Agendo d’impulso avrai qualcosa di cui rimproverarti domani.
Ti conosco.
Saresti capace di fartene una colpa e io non voglio esserne la causa.
Io ti
voglio sereno.
Sospira
e mi prende le mani, rimanendo immobile per qualche istante.
-
E per te cosa desideri? Cosa vuoi tu, Tanya?
Guardo
un angolo del pavimento e mi impongo ancora una volta un contegno che
stenta a
venire.
-
Io sto bene. Ora voglio rivederti sorridere.
Porta
le mie mani alle sue labbra e me le bacia con un gesto galante e lento.
Sembra
animato da una nuova consapevolezza e piega le labbra in un sorriso
disarmante.
-
Tu mi ami, così tanto da lasciarmi andare.
Non
è una domanda, è un’affermazione. Sono
sorpresa. Dover affrontare l’evidenza
non è facile, men che meno con lui. Molto spesso
l’alternativa più semplice è
quella meno ovvia. La verità.
-
Sì, io ti amo, ma tu scoprirai ben presto che la tua
esistenza sarà peggiore
senza di lei che con lei e i ricordi spinosi e dolorosi che
inevitabilmente ci
saranno. La vorrai ancora, contro ogni razionalità e ogni
istinto, come è già
accaduto la prima volta.
Abbassa
il capo in modo pesantemente consapevole.
-
Mi dispiace. Io non voglio che tu stia male.
-
Nessuno qui vuole ferire l’altro con intento, ma questa forza
che va oltre
barriere ed errori, ostacoli materiali e macigni d’orgoglio
non ci ha toccati,
Edward. Almeno non l’ha fatto con entrambi. Non è
per noi.
Lo
guardo riprendere silenziosamente possesso dell’auto e del
suo destino. Mi
saluta con un debole cenno del capo e un’espressione tinta di
doloroso imbarazzo
e se ne va, mentre, come con una ruota cromatica perfetta che gira con potenza,
tutto si dissolve nel
bianco della neve.