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Autore: adropintheocean_    20/03/2013    4 recensioni
"Sono un paio di fossette e un sorriso allegro che catturano la mia attenzione.
C’è un ragazzo, in fondo al locale, tiene in mano un vassoio con due bicchieri vuoti e un piatto con qualche briciola. Indossa un grembiule verde scuro, legato sui fianchi, sopra un paio di jeans sgarrati. Sorride cordiale a due ragazze sedute al tavolo, poi si gira per tornare indietro.
Volta lo sguardo, per un secondo questo si intreccia al mio.
Mi viene voglia di alzarmi dal tavolo, andare lì da lui, prenderlo e baciarlo. Quindi lo faccio."
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Mi poggio con la schiena al muro, cerco di calmarmi più che posso. Continuo a guardarlo, la mia lingua è ridotta ad un nodo agitato che vorrebbe vomitare altre parole. Impiego tutta la mia forza per starmi zitta e permettere ad Adam di parlare.
Lui prende un lungo respiro, chiude gli occhi per un secondo per fare mente locale.
“Innanzitutto, scusa per essere sparito” comincia gesticolando con le mani. “Non avrei dovuto comportarmi così, ma mi è andato in tilt il cervello” si prende la testa tra le mani schiacciando i riccioli neri.
Sento uno strano calore nello stomaco … è come se vedendolo così, mi sentissi io in colpa per averlo trattato male. Sono una stupida, è appurato.
“Io non voglio assolutamente prenderti in giro. So che non hai esperienza e so anche che non sei stupida. Sei solo inesperta e questo, giustamente, non corrisponde a stupida” fa una pausa, studia la mia espressione, che rimane indecifrabile e oscura. Poi riprende con voce ferma. “Non voglio comandarti a bacchetta, non è questo che cerco in una relazione, Lou. Anzi, cerco sempre di spronarti a lasciarti andare, a prendere una posizione … sei così timida!”
Mentre dice quelle parole, giusto per confermare ciò che dice, abbasso lo sguardo arrossendo lievemente.
Lo vedo sorridere, finalmente mi mostra le fossette che tanto mi erano mancate.
“Non ti faccio gli occhi dolci per portarti a letto, Lou, e se hai capito qualcosa di me di sicuro sai che non sono un tipo così. Cioè, dipende dal tipo di persona che ho davanti. Con te non mi comporterei mai in … in un modo del genere! Voglio dire, so che tipo sei, non potrei mai farti soffrire e non vorrei nemmeno farlo. Anzi, non voglio farlo. Devi credermi. Hai detto che ti fidi di me, no? Fallo sul serio” mi dice Adam, i suoi occhi sono due grandi pozzi profondi di sincerità.
Non posso impedirmi di rispondere. “Non posso farlo se non lo fai tu” rispondo glaciale.
“La verità è che … ho paura. Sì, sono spaventato” ammette con enormi difficoltà, addirittura fugge il mio sguardo mentre parla.
Mi ritrovo ad esibire un’espressione sorpresa e corrucciata “Tu paura? E di cosa, scusa?” domando realmente interessata. Sono proprio curiosa di sapere cosa dirà.
Adam si spettina i ricci con le dita, questi saltano da una parte all’altra della sua testa arricciandosi come molle. Tiene ancora gli occhi bassi, non riesco a decifrare la sua espressione, mi viene voglia di abbracciarlo, ma nei contatti siamo ancora un po’ freddi. Mi limito a muovere qualche passo verso di lui.
“Di rimanere solo. Di rimanere senza di te” sussurra con un filo di voce.
Il mio cuore perde un battito, di ossigeno presente nei polmoni non ce n’è più. Allungo con lentezza estenuante la mia mano verso la sua. Gli sfioro il dorso con la punta dell’indice.
Adam alza il viso, affogo nei suoi occhi grandi da bambino che mi guardano impauriti.
“Io non ti lascio” affermo, mi stupisco della mia voce che suona piuttosto decisa.
“Puoi darmi tutte le rassicurazioni che vuoi, Lou, ma non riuscirai a rendermi tranquillo” mi intima sconsolato. Nasconde il viso tra le mani.
“Basta Adam” mormoro tirandogli via dolcemente le mani dal viso. Incrocio le dita nelle sue. “Mi vuoi dire che hai?” cerco di scuoterlo, voglio fargli sentire che io ci sono e ci sarò sempre per lui.
Sospira rumorosamente, ha gli occhi un po’ lucidi, cerca di trattenere le lacrime e mi fa una tenerezza così assurda che mi fa male al cuore.
Lo prendo per mano e lo tiro via verso il divano. Mi siedo trascinandomelo dietro, facendolo accomodare accanto a me.
Adam si volta verso di me e mi punta lo sguardo in faccia. “Non ce la faccio” sussurra solamente.
Nei suoi occhi leggo il dolore che deve aver provato, vorrei toccargli la testa sulle tempie e  tirare fuori tutti i suoi brutti pensieri, buttarli via, lasciarli nel dimenticatoio, soli e ammuffiti. Ma non posso. Perlomeno, non posso se lui non me lo permette.
“Adam, ti prego” gli prendo il viso tra le mani, le mie dita tremano un po’.
Forse è la mia stretta sicura, forse è la fiducia che gli infonde il mio sguardo a farlo parlare, fatto sta che dopo gli ultimi secondi di indecisione, Adam finalmente decide di parlare.
*** ADAM’S POV***
Gli occhi castani di Marylou mi sembrano caldi e accoglienti, il profumo fresco e delicato della sua pelle mi riempie il naso, mi fa sentire a casa. Eppure non riesco a scacciare completamente fuori l’angoscia che mi chiude la gola. Ma, per lei, ci provo.
“Mia madre, quella naturale, era una donna completamente sola. Quando sono nato aveva soltanto diciotto anni, era una ragazzina, non fisicamente, ma mentalmente si, eccome. Mi raccontava che quando fece il test ebbe una sorta di crisi isterica, rideva e piangeva contemporaneamente. Io ero solo un bambino, avrò avuto tre anni e in lei vedevo una donna forte ma anche debole. Aveva spesso le occhiaie e i capelli neri le scendevano giù sulle spalle spenti e sfibrati. Mi lasciava spesso a casa da solo, mi salutava con un bacio sulla testa e mi lasciava i giochi buttati sul pavimento, visto che la mia camminata era ancora un po’ traballante. Diceva che aveva da fare, che andava di fretta. E io non potevo fare altro che annuire. Dipendevo da lei, le volevo bene, quell’amore incondizionato che solo un figlio piccolo può provare per la madre” faccio una pausa inghiottendo il groppo che mi sale in gola, combatto con me stesso per trattenere le lacrime.
Scruto il viso di Lou, non si perde una mia parola, è attenta a ciò che dico. La sua piccola mano candida traccia dei disegni scomposti sul dorso della mia, le labbra morbide sono socchiuse e rilassate.
“Ogni volta che tornava a casa mi ritrovava addormentato a terra, avvolto in una copertina di pile grigia piena di pelucchi. Mi prendeva in braccio e rideva, non capivo perché quel fatto la divertisse tanto. Solo qualche anno dopo ho realizzato: ogni sera, ogni sera della sua vita, tornava a casa completamente ubriaca. Mi buttava sul suo letto infilandomi sotto la trapunta. Non potevamo permetterci tanti lussi, nemmeno un maledetto letto per me. Dormivamo insieme, le sue braccia mi cullavano quasi soffocandomi. Mi ricordo che non facevo mai un’unica dormita la notte, mi svegliavano sempre i singhiozzi di mia madre. Non so perché piangesse e a dirti la verità, non lo capisco neanche ora. Forse perché era sola. Forse perché sapeva di sbagliare, di aver commesso errori su errori. Di non meritarmi affatto. Ma che altro potevo fare io, se non sottostare a lei?”
Lou ascolta in silenzio, non mi interrompe, né fa domande.
“Poi una sera, mentre gattonavo in giro per casa alla ricerca della mia coperta, sento sbattere la porta rumorosamente” abbasso lo sguardo, il dolore mi riempie gli occhi, sento le lacrime bruciarmi come se fossero acido nelle mie pupille. “Vidi mia madre cadere in avanti sbattendo le ginocchia sul pavimento duro. Dietro di lei, un uomo alto, con una barba folta e degli occhi verdi scuro. Attraversò lo spazio che lo separava da mia madre e, una volta raggiunta, le diede un calcio dritto nello stomaco. La prendeva a parolacce, le parole venivano pronunciato col sottosfondo dei miei singhiozzi impauriti. Mia madre gridava e scalciava, era sempre stata un peperino, non si arrendeva facilmente. Provò a rialzarsi, ma lui, schiaffeggiandola, la rispinse a terra. Poi mi vide” rimango in silenzio per qualche istante.
La mano di Lou fa pressione sulla mia stringendola, i suoi occhi annegano nei miei, i miei annegano nei suoi.
“Mi venne incontro ridendo, sembrava divertito. Tremavo come una foglia, me lo ricordo chiaramente. L’ossigeno nei polmoni mi bruciava come se fosse fuoco e io respiravo a fatica per buttarlo fuori. Dalla tasca tirò fuori un coltellino, piccolo, uno di quelli svizzeri multiuso. Gridavo e piangevo, pensavo di soffocare, non avevo abbastanza aria per fare entrambe le cose e contemporaneamente respirare. Avvicinò la lama al mio viso, ci asciugò le lacrime che scendevano impetuose, poi lo spostò dietro il mio orecchio. Voleva tagliarlo, voleva sfregiarmi, rovinare il mio viso che somigliava così tanto a quello di mia madre, i cui singhiozzi mi arrivavano chiari e forti, trapanandomi il cervello. Poi tutto avvenne così velocemente che ancora faccio fatica a ricordarlo. Mia madre, non chiedermi come, riuscì ad alzarsi da terra e spaccò un vaso, posato sul comodino vicino all’entrata, dritto sulla testa di quell’uomo. Questo cadde a terra, ma nel contraccolpo il coltellino si infilò dritto nell’incavo del mio collo, a pochi centimetri dal mio orecchio” detto questo, sposto la testa di lato e piego l’orecchio per mostrare a Lou una lunga e rosea cicatrice.
La vedo rabbrividire, stringe le labbra come se stesse trattenendo dei singhiozzi.
“Il mio sangue impregnava la mia maglietta, lo sguardo di mia madre era fisso sulle goccioline che mi coloravano il collo. Il mio, di sguardo, invece, contemplava silenziosamente la pozza rotonda e scura di sangue che si allargava sul pavimento, partendo dalla testa dell’uomo barbuto. Mio padre, Lou” la mia voce è rotta dai singhiozzi. “Quell’uomo era mio padre”.
Nascondo il viso tra le mani. Odio mostrarmi debole, odio fare la vittima, ma, più di tutto, odio il fatto che qualcun altro debba consolarmi.
Ma con Lou è diverso. Con nessuno ero mai riuscito ad ottenere un simile rapporto, ad aprirmi in questo modo. Le ho davvero raccontato tutto questo? Le ho mostrato la cicatrice e ora sto piangendo davanti a lei come fossi un bambino. Lou, da brava mamma, mi accosta al suo petto stringendomi tra le braccia. Il battito del suo cuore mi riempie le orecchie tranquillizzandomi, proprio come farebbe una mamma col suo cucciolo. Nella mia vita ne ho passate tante, è vero, ma ora, in questo momento, non vorrei nient’altro che lei. Lei che mi tiene stretto tra le braccia, che mi bacia la testa e mi sussura di stare tranquillo, di non preoccuparmi.
“Mi dispiace, se solo avessi saputo … Dio, mi sento così in colpa Adam. Mi dispiace così tanto, ho avuto anche il coraggio di arrabbiarmi” ripete questa sequenza un paio di volte, come se fosse un disco rotto.
Le mie braccia ora circondano i suoi fianchi, scosto il viso dal suo petto, i nostri nasi si sfiorano, il profumo del suo fiato mi riempie le narici.
“Tu non hai fatto niente, Lou. Tu … tu sei perfetta” balbetto con suoni sconnessi e rotti dal pianto che comincia a diminuire.
“Non voglio che continui se non ce la fai. Davvero. Se non te la senti, se ti fa troppo male io capirò” Lou scioglie l’abbraccio e mi pianta gli occhi dorati sul viso.
Scuoto la testa, posso farcela. Ormai sono partito, non posso tornare indietro.
“Due sere dopo dei signori in giacca e cravatta portarono via mia madre e poi anche me. Venni chiuso in un orfanotrofio, come puoi immaginare. Venni adottato soltanto tre anni dopo, a sei anni, da una famiglia che non riusciva ad avere figli. Lei era un avvocato, lui aveva una ferramenta. Divorziarono un anno dopo, forse il mio arrivo fu la goccia che fece traboccare il vaso dei loro problemi. Finii un’altra volta in orfanotrofio, stavolta per cinque anni. Una coppia di anziani ebbe la voglia di adottarmi, non so perché. Ero un ragazzo scuro, l’espressione perennemente arrabbiata, di fare sorrisi non se ne parlava. Ma loro due erano … due angeli venuti a salvarmi. Lei era una madre, una nonna … tutto ciò che non avevo mai avuto. Lui non era un padre, fin troppo dolce e giocoso, sembrava un fratello. Morì tre anni dopo avermi adottato, un infarto lo stroncò all’improvviso” mi concedo quache minuto, la mente si riempie di quelle vecchie immagini, di quelle ferite perennemente aperte e sanguinanti.
La mano di Lou stritola la mia, sembra che voglia trasmettermi tutta la forza che tiene nel suo piccolo corpo.
“E … e tua madre?” domanda intimidita a bassa voce.
“Lei si trova in una casa di cura fuori città. Dopo che ho compiuto i diciotto anni ho deciso di andarmene a vivere da solo. Mi ero rotto di … di tutto quanto. Tu non sai quanto è stato difficile per me … Io … è per questo che ho il terrore di rimanere da solo, Lou. Perché nessuno mi ha mai davvero voluto bene. Nessuno, Lou. Se è successo, è successo una volta e non è durato più d’un paio d’anni. Non mi sento giusto. Io non sono giusto, ho qualcosa che non va. Nessuno capirà mai cosa significa veder andare via tutti i ragazzini più piccoli di te, a volte anche quelli più grandi. E io, invece, rimanevo sempre lì, a Natale, a Pasqua, d’estate, d’inverno. Sempre. E il tempo non passava mai. È per questo che non volevo dirtelo, che non volevo dirti la verità. Perché so che prima o poi te ne andrai anche tu, come hanno fatto tutti gli altri” fisso gli occhi nei suoi, sembrano lucidi, ma con la forza di un titano resiste dallo scoppiare in lacrime.
Si butta a capofitto tra le mie braccia, mi si butta proprio addosso, le sue mani mi accarezzano ora il viso, ora la testa. Poi si scosta, mi guarda in faccia.
Io non me ne vado” sussurra con voce glaciale. “Rimango qui con te”
Poi le sue labbra si posano contro le mie, impetuose, irruente e aggressive. Si fondono in una danza che sembra una lotta, le sue mani mi tirano i ricci scomposti e le mie si intrecciano alla sua maglietta. Mi morde il labbro inferiore, io mi intrufolo sotto la sua maglietta graffiandole la schiena e strappandole un sospiro rumoroso. Si stende sul divano tirandomi verso di lei, continua a baciarmi senza riprendere fiato nemmeno per un secondo. Le sue braccia mi avvolgono stretto e quando la mia mano arriva al bordo del reggiseno, improvvisamente si blocca, l’ombra di un imbarazzato sorriso sulle labbra.
“Vedi di non approfittartene, è solo un caso” ridacchia e con l’indice mi carezza la guancia.
Grazie, Lou” sussurro, le stampo un piccolo bacio sulle labbra arrossate, poi la avvolgo in un abbraccio.
Non so per quanto rimaniamo attaccati l’una all’altra, forse un’ora, forse due … Pur sempre troppo poco tempo per quanto mi riguarda. 
  
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