Quella notte, devo ammetterlo, dormii
profondamente. Niente sogni di ragazzi indemoniati, maledizioni, disgrazie, ma
solo un sonno lungo e rinfrescante. Mi svegliai con le prime luci dell’alba.
Zzzt… zzzt… fu il primo suono che
udii. Mi rigirai nel letto, cercando di ritrovare una posizione umana e comoda,
ma dato che il telefono continuava a zunzare
con quell’invenzione diabolica chiamata vibrazione, fui costretta ad alzarmi.
Quattro chiamate perse,
tre messaggi… Karol. Lessi il primo messaggio.
“Allora? Il figo? Come
hai detto che si chiama? Jasper?”
Tipico messaggio
karoliano. Vediamo il secondo.
“Allora mi vuoi
rispondere? YUHUUUUUU dormigliona pesaculo?!?!?”
Terzo messaggio.
“Sai, mi sa di stronzo.
Attenta, non fare nulla di avventato. Dici che c’è su Facebook? Twitter?”
Soffocai un risolino. Selezionai lo spazio
per scrivere il testo del nuovo messaggio sullo schermino della conversazione del
mio Blackberry e risposi ai suoi messaggi. Mentre scrivevo, parlavo.
– No ahahahah il fiigo si chiaaama Jaason –
iniziai – non saapreeei se avrebbe il tempo di staare su Facebook e nemmeeeno
su Twittah punto prooova a ceerda… – sbagliai a scrivere – no, cercaaarlo due punti si chiaaama Jason
Dale punto – mi strofinai gli occhi – cooomunque virgola buongiorno bellissima
cuoricino ti devo raaccontaare delle cose faccina. Invia.
Una volta che ebbi inviato il messaggio
visualizzai le chiamate. Nigel. Scrissi anche a lui un messaggio di risposta,
ma senza parlare questa volta.
“Babbione, cosa mi
chiami alle unici e mezza?! Io stavo dormendo!! Cuoricino.”
Mi strofinai ancora gli occhi e scostai le
tende. Il sole era già sorto del tutto.
Buongiorno Londra!
Aprii le finestre del bovindo e notai che
il tempo era peggiorato rispetto al giorno prima. Cavolo, era stato bello, ma
non avevo avuto il tempo di ammirarlo. Richiusi le finestre. Accesi lo
schermino del cellulare e guardai l’orario: le sei e tre. Non sapendo cosa
fare, mi rinchiusi nel bagno: mi feci una doccia. Ne avevo proprio bisogno. mi
asciugai i capelli canticchiando allegramente, ripensando ancora al giorno
precedente e ai baci di Jason.
Questo pomeriggio… mi
dovrà delle spiegazioni.
Lo pensai comunque con il sorriso sulle
labbra, mentre mi ravvivavo i capelli e mi mettevo la divisa. Rovistai nella
borsa alla ricerca del mascara waterproof perduto e mi imbattei nell’album di
foto di famiglia. Mi salii un groppo alla gola. Masochista come ero, lo aprii.
Mutti… io ero la
speranza dicevi, cantando yellow sub marine. Perché non mi hai mai detto il
perché di quella canzone? Papà… i tuoi occhi erano tanto… aspetta.
Mi avvicinai alla foto.
Ambra? Quelli della
mamma… anche? I miei genitori erano…
– Custodi?
Ma che…?
Sfogliai le foto dell’album e loro erano
sempre lì, sorridenti. Alla festa della scuola, a carnevale, in spiaggia, nella
neve… con gli occhi ambra. Chiusi l’album.
A mio rischio e
pericolo, lo chiederò a Dalton, oggi, se lo vedrò. Devo sapere se i miei sono
davvero morti in un incidente.
Trovato e messo il mascara waterproof mi tirai su le calze, mi misi le scarpe,
presi la cartella e mi avviai verso la sala da pranzo. Lì trovai seduta al
tavolo Sophie. Lei mi posò gli occhi addosso e mi scrutò attentamente.
– Ciao. – la salutai
– Ti sei annodata male la cravatta. –
disse semplicemente lei.
Okay che è la prima
volta che parliamo ma… un ciao sarebbe gradito da queste parti.
– Oh, non me n’ero accorta, grazie.
Mi annodai la cravatta bene, avevo
imparato osservando mio padre.
– Fatto.
Sophie fece spallucce.
– Così… sei in classe con me, vero?
– Semmai io sono in classe con te.
– Non è la stessa cosa…?
– No, tu sei arrivata dopo.
– Oh, logico, logico.
QUANTO MI DA’ SUI
NERVI!!!
– No, quello è il posto di papà. – disse,
quando feci per sedermi capotavola.
– Oh… dove posso mettermi?
– Oh, mettiti là, dove c’è il piatto rosa.
– D’accordo. – appoggiai la cartella alla
gamba del tavolo e mi accomodai. Feci per allungare la mano ma lei mi fermò.
– NO! Si mangia insieme.
– Ahm… d’accordo.
Il mio sguardo si era posato sulle uova e
sui biscotti, ma non potendo prenderli mi accomodai sulla sedia.
– Una dama siede in modo corretto,
nipotina. – riconobbi la voce di zia Adrianne.
AOOOO PERO’ NON SI PUO’
FARE NIENTEEEEEEEE!!
Mi misi seduta nel modo corretto.
– Oh, così va molto meglio.
Mia zia si accomodò in fianco a me.
– Sophie, oggi stai meglio?
– Si, grazie mamma.
– Bene.
In quel momento sentii saltellare giù
dalle scale qualcuno. Quando girò l’angolo riconobbi la figura: Iris.
– Annabell!
– Iris! Tutto a posto?
Mentre si avvicinava a me vidi i suoi
occhi cambiare colore da un azzurro intenso a un marroncino dorato. Non ci feci
caso, pensando che fosse un riflesso creato dalla luce.
– Mmh, diciamo di si, tu? Ho saputo che
ieri a scuola sei stata poco bene!
– Eh già, ma ora sto meglio, grazie. – le
sorrisi e lei ricambiò.
In un lampo, mi ricordai di quel momento
in cui io e Nathan eravamo nel cubicolo del sottoscala, dove poi non si era
capito se io ero svenuta o lui si era allontanato. Prima avevo sentito a voce
di Iris con quella dello zio Parrington, che la rimproverava, dicendo che doveva stare con loro e non poteva tradire la sua famiglia. Iris
si voleva unire ai Custodi? Ma perché non poteva?
– Buongiorno, famiglia.
Mio zio entrò nella sala da una porta
dietro di me, con un sacchetto di una pasticceria in mano.
– Buongiorno, zio. – lo salutai. Lui mi
sorrise, mentre andava a baciare sua moglie e le sue figlie. In quel momento
arrivò anche Nathan di corsa con la cravatta slacciata al collo.
– Salve a tutti!
Posò gli sguardi su tutti ma quando arrivò
su di me mi sembrò offeso. In ogni caso sorrise subito, per cui non me ne
preoccupai più di tanto. Si sedette di fianco a me, di fronte a Sophie.
– D’accordo, ora ci siamo tutti, potete
mangiare.
Io mi avventai sui biscotti. Dopodiché
uova e pancetta. Bevvi del succo all’arancia, e quando ebbi finito, volli
ringraziare gli zii.
Saranno anche
misteriosi, ma sono stati gentili a prendermi con sé e ospitarmi in casa loro.
Una parola gliela devo.
– Zio Parrington…
– Dimmi, Annabell.
– Volevo ringraziare te e la zia per
avermi ospitato in casa vostra e che mi facciate frequentare una scuola
prestigiosa. Siete molto gentili.
– Oh, cara è nostro dovere. – intervenne la zia
– Dopotutto tua madre era sempre mia
sorella, no? – lo zio mi sorrise, poi guardò l’ora – Ragazzi, per voi sarebbe
meglio andare a quest’ora, no?
Guardai lo schermo del mio cellulare, le
sette e trenta.
– Si papà, hai ragione. – Nathan mandò giù
l’ultimo pezzo della sua brioche e si alzò. – Cugina, non ti ho ancora
presentato a tutti, ieri non ne ho avuto il tempo. – disse.
Bevvi le ultime gocce del mio succo. –
Già, andiamo allora?
– Certo, – disse alzandosi – hai finito?
Mi alzai anche io. – Si, ho finito.
– Allora noi andiamo. Sophie, ci
raggiungi?
– Io arrivo più tardi. – confermò lei.
– Allora arrivederci a tutti! – salutai la
famiglia e uscii. Nathan fece la medesima cosa.
Passammo un po’ di tempo in silenzio,
finché Nathan parlò.
– Ieri te la sei spassata, vero?
– Cosa intendi?
– Con Dale.
– Oh… cugino, mi sento in dovere di
dirtelo. Credo di essermi innamorata di lui. – dissi, con voce sognante. Mio
cugino si fermò.
– Che?
Mi girai – Che c’è?
– Di quel… Dale?! Come?
– Non lo so come! Ma mi sento bene quando
sto con lui.
– Ah, mi stai dicendo che con me non ti
senti a tuo agio, è così?
– Che ti prende all’improvviso, cugino?
Anche prima a tavola sembravi offeso. Io ti considero come un fratello, infatti
mi esprimo come se lo fossi, ma per Jason… boh, non ne sono sicura nemmeno io.
– Sai, lui non è mai stato un buon amico.
E pensare che da piccoli ci vedevamo spesso. Non per distruggere i tuoi sogni
da ragazzina innamorata cugina, ma ritengo che di lui non ci si possa fidare.
In un certo senso
potrebbe avere ragione. Basta ricordare quando io e Dave eravamo nel giardino,
o quando aveva picchiato Nathan. Però quando mi ha baciata o quando mi è venuto
a prendere ad Amburgo sembrava così dolce…
– Potrebbe anche essere. Comunque, perché
Sophie ci raggiunge dopo?
Nathan sembrò irritato dal mio cambiamento
d’argomento, ma rispose lo stesso.
– Non l’ho mai saputo per certo, ma credo
che parlino di cose superipersegretissime
della quale a noi babbani non è concesso sapere.
– Dici sul serio?!
– Ma boh, che ne so perché viene dopo.
– Potevi dirmelo subito.
– Beh, ma è sempre bello prenderti in
giro, cugina. – mi sorrise come se mi avesse fatto un complimento
– Aha, divertente. – dissi io con una
smorfia. Lui mi mise un braccio intorno alle spalle
– Scherzo, cugina. È solo che mi
preoccupo. Non vorrei mai vederti soffrire. Vederti piangere è… straziante. Ti
ricordi quando eri chiusa nell’armadio e piangevi dicendomi che avevi visto i
tuoi genitori vivi?
– Si… mi ricordo, ma… cosa c’entra?
– Non vorrei mai venire a scoprire che quel Dale ti faccia soffrire.
– Non lo farà, secondo me. Se mai lo farà
gli tireremo tante di quelle botte che neanche se le immagina. – sorrisi
– Era quello che volevo sentire.
Nel frattempo arrivammo davanti alla
scuola quindici minuti prima del suono della campanella. Nathan avrebbe avuto
più tempo per presentarmi ai suoi amici.
– Ehilà, Nat!
– Ciao, Nat!!
– Come butta, Nat?
Tutti lo salutarono, ognuno in un modo
diverso. Mi sentivo un po’ fuori luogo senza il mio quartetto, a dirla tutta,
ma con mio cugino stavo bene comunque.
– Nathan! – l’ennesimo saluto.
Questo è il ragazzo del mio sogno, come si chiamava? Aiman?
– Ehi, Adrian!
Ecco, appunto.
– Ieri non te l’ho presentata come si
deve, ora le presentazioni. Adrian, ti presento mia cugina, Annabell.
– Chiamami pure Annie, senza problemi. –
sorrisi, allungando la mano. Lui la strinse e il mio ciondolo si mise a
brillare.
Amori sbagliati,
inganni, tradimenti, paure, miseria, tristezza, male, schiavitù, debolezza,
tormento! Erano le parole, più o meno, che accompagnavano la visione: una ragazza e un ragazzo, con pochi anni di
differenza di età si tenevano per mano, felici. Dagli abiti era molto indietro
nei secoli quella storia. I due litigavano. Lei baciava un altro e il primo
ragazzo, dopo averla vista, si toglieva la vita. Lei andava da lui, non sapendo
che la aveva vista con l’altro e lo trovava morto. Lo compiangeva. Con una luce
verde cercava più volte di far rimarginare la ferita, ma non ci riusciva.
Piangeva ancora. Una parte di lei morì con lui. Si faceva forza e con un
ragazzo molto simile a Nathan sbaragliava un esercito compreso il ragazzo con
cui aveva tradito il primo. La ragazza rimane sola per tutta la vita.
Sbattei le palpebre, confusa. Guardai
Adrian con gli occhi sbarrati, e lui per un petosecondo fece la stessa cosa, o
forse me l’ero immaginato. Gli lasciai la mano, spaventata.
– Cugina, che hai?
– Niente, tutto a posto, solo una fitta
alla bocca dello stomaco. – mentii – A chi altro mi presenti?
Mio cugino mi presentò una valanga di
gente. E non esagero. I loro nomi mi entravano da un orecchio e uscivano
dall’altro. Alcuni mi chiesero cosa mi interessava, altri se volevo far parte
della loro band, (dovetti dire di no perché se ogni volta che cantavo sparivo
in qualche epoca passata sarebbe stata la fine) altri dissero che erano figli
di quel e nome dimenticato oppure
altri si facevano fighi cercando di parlare in tedesco, pur avendo le ragazze
accanto. Lasciamo stare le ramanzine, le imprecazioni e tutto quello che
sentivo quando gli voltavo le spalle. La campana suonò.
Non ne potevo più. Tutti
simpatici eh, per carità ma… basta c’è.
– La campanella. Ci vediamo cugina! – mi
salutò Nathan e poi con il suo gruppetto entrò nell’istituto.
– Bell! Bell! – mi sentii chiamare da
dietro. Riconobbi subito quella voce.
– Dave! Come stai?
– Io bene, è Hope che non si sente bene.
Comunque, si riprenderà.
– Oh, mi dispiace.
– Tu tutto bene, vomitosa?
– Che schifo! Ah, adesso mi spieghi. Come
abbiamo fatto a tornare a scuola in… due nanosecondi?
Lui si avvicinò al mio orecchio –
Teletrasporto. – mi sussurrò
– Oh… sei un parente di Goku, per caso?
– Non quel teletrasporto un altro tipo,
bel più complesso…
– Spero stia introducendo alla signorina
Annabell Shakespeare, David.
Ecco l’entrata in scena
di “mr. Mescoliamo tutti insieme”!
– Si, Mr. Shuffle, certamente.
– Bene, sarà meglio entrare. Su, su!
Animo!
Entrambi ci guardammo e roteammo gli occhi
in direzioni opposte, sorridendo. Entrammo in classe, dove naturalmente c’era
anche la signorina-seduta-nel-modo-corretto, mia cugina Sophie. Non mi degnò
nemmeno di uno sguardo.
Le ore con il professore di inglese Mr.
Mescoliamo e Shakespeare passarono e mi ritrovai con la vescica improvvisamente
piena.
– Mr. Shuffle, posso andare al bagno?
– Si certo Annabell. Dunque, ragazzi,
continuando a parlare di Shakespeare…
Per i corridoi, miracolosamente trovai il
bagno. Come feci? Non ne ho la minima idea. Successe però qualcosa che non so
se dovesse divertirmi o terrorizzarmi. Vicino alla porta, una ragazza, con un
lungo vestito azzurro a sbuffo, camminava per i corridoi, piangendo un certo
Ludovic.
– Scusa, come mai sei vestita così? Ad
Halloween non ci si veste in modo da far paura?
La ragazza corse via. La inseguii.
–
Scusami! Non intendevo offenderti! Perché non sei in classe?
Non rispose.
– Avanti! Come ti chiami?
Lei si girò e mi guardò. Era come
guardarmi allo specchio, solo in un vestito a sbuffo circa tre volte più grande
di me e pallida. Una professoressa uscì dalla sua classe.
– Con chi sta parlando? – mi chiese
– Io non… nessuno, stavo solo
canticchiando, signora. – sorrisi
innocente. La professoressa fece spallucce e richiuse la porta.
–
Sei invisibile? – chiesi alla
ragazza
–
Non sono invisibile, sto cercando il mio Ludovic! Aiutami a trovarlo! Ti
prego!
– Qual è il tuo nome?
–
Io mi chiamo Loraine.
– Ehm… Loraine… sicura di non essere un
po’… come dire… trapassata?
– Questa parte di me è morta con il mio amato
Ludovic. Aiutami a ritrovarlo, ti prego!
– D’accordo, troveremo questo Luovic.
– Me lo prometti?
No, non osare… non
provare a promettere niente ad una trapassata invisibile, no no non lo fare,
non lo fare…
– Te lo prometto.