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Autore: poison_pen    22/03/2013    4 recensioni
L'ombra si fermò a metà percorso, inclinando la testa incuriosita e sfiorandosi il mento.
«Che succederà quando smetteremo?» sussurrò il ragazzo-meraviglia, fissando il suo peggior nemico.
«Noi non smetteremo mai, Robin.»

Il ritorno di una vecchia conoscenza, nuovi nemici da affrontare e una serie di inquietanti esperimenti, sono gli ingredienti di questa nuova avventura.
Questa storia la considero la mia più grande sfida, finora. E' il mio regalo per chi ha sperato in un mio ritorno. Giuro che riuscirò a finirla, giuro.
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Lemon, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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E siamo di nuovo qui. Non mi sono dimenticata di nessuna delle mie storie, state tranquilli, ma in questo periodo della mia vita sono successe tante cose tutte insieme, alcune belle, altre brutte e sinceramente è stato difficile digerire tutto. Nonostante ciò, chiedo umilmente scusa a tutti coloro che mi stavano seguendo per la mia sparizione.

 

Credo che, da questo capitolo in poi, compariranno scene piuttosto forti. Pertanto, se la cosa dovesse infastidirvi, non proseguite oltre. So che la curiosità vi attanaglia, ma è meglio che dormiate sogni tranquilli stanotte.

Per il resto, presenterò presto i nuovi personaggi. Cercherò di non dare eccessiva importanza al loro ruolo; sono pur sempre personaggi secondari e, francamente, ci tengo troppo per far fare loro la fine delle Mary Sue e Gary Stu. Avranno i loro difetti, oltre i loro punti di forza, promesso.

Nella mia mente, la storia sta già prendendo una piega, come dire, catastrofica. Non nel senso che non so come andare avanti, bensì che avrò bisogno di un fogliettino per annotarmi tutti gli innumerevoli casini che ho intenzione di far scoppiare. (Vi ho detto che mi sento cattiva in questo periodo?)

 

Un ringraziamento speciale a tutti coloro che hanno deciso di dare una possibilità a questa fanfiction, inserendola nelle preferite, nelle ricordate o nelle seguite, oppure recensendola. I commenti sono sempre ben accetti, vi ricordo.

 

Senza ulteriori indugi, procediamo con la storia. Spero vi piaccia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La porta automatica che affacciava nella sala comune schiuse le sue ante, con un rumore che fece fremere la giovane Tamariana. Stare da sola le aveva sempre trasmesso un profondo senso di agitazione. Il suo inconscio era convinto che, in qualsiasi momento, qualche autorità di Tamarian avrebbe potuto approfittarsi del fatto che non ci fosse nessuno affianco a lei e così attaccarla alle spalle. A quel punto avrebbe dovuto dire addio alla Terra.

Era questa la sua paura più grande: essere portata via, abbandonare la Terra, i suoi amici, Robin.

No.

Non voleva rinunciare a tutto ciò che amava.

La sua famiglia era lì, adesso.

Nonostante sapesse che i suoi timori fossero infondati, non fu possibile placare l'istinto di voltarsi e generare con la mano destra un dardo di luce.

«Ehi! Sono solo io.» trasalì Robin, alzando le braccia.

La luce verde incandescente rientrò nella sua mano, sparì così come era ricomparsa, mentre il suo corpo tornò a rilassarsi.

«Oh, perdono. Non era mia intenzione attaccarti.»

Robin annuì e la ragazza riuscì quasi a percepire il suo sguardo comprensivo, dietro quella mascherina che tutto celava.

«Gli altri dove sono?»

«BB e Cyborg trascorreranno la giornata al parco. Corvina è in camera sua, mi sembra.»

«Nh» mugugnò il ragazzo. «Potevano aspettare, quei due. Saremmo andati tutti insieme.»

«E' proprio quello che ho detto.»

Robin si diresse verso il lavello della zona cucina, intenzionato a prendere il suo solito caffè, leggermente macchiato, senza zucchero. Starfire sapeva che gli piaceva prenderlo così e che, soprattutto, gli piaceva solo se lo preparava lui. Da solo. Lei aveva provato più volte ad imitarne il gusto, dosando la stessa quantità di caffè e di latte all'interno della tazza. Ma niente. Le sue migliori intenzioni e la sua buona volontà non erano bastate a ricrearne uno uguale e a poco erano servite le finte smorfie compiaciute del suo ragazzo. Era chiaro che i suoi tentativi non erano andati a buon fine.

«Secondo te stanno cercando di evitarci?»

Robin si strinse nelle spalle. «Sarebbe la cosa più stupida che potessero fare.» accese la fiamma della cucina e posò le mani sul ripiano vicino, attendendo che il caffè uscisse.

Starfire si portò al suo fianco, non staccandogli gli occhi di dosso.

Non sembrava affatto turbato dall'aver sognato Slade.

Era lo stesso della mattina prima. E di quella precedente ancora.

Lo stesso adorabile ragazzo di quei giorni tranquilli che Starfire e tutti i Titans desideravano non finissero mai.

Forse Raven aveva ragione. Si stava preoccupando troppo. Non era il caso di allarmarsi così tanto per quello che probabilmente era solo un episodio.

Non faceva bene né a lei, né tantomeno a lui.

Il problema era spiegarlo alla sua eccessiva emotività.

Era sicura che il suo viso, in quel momento, stava mostrando tutto il turbamento che quella mattina, a letto, aveva faticosamente celato nel buio. Perciò la ragazza prese a lanciarsi da sola insulti che nemmeno nelle selvagge pianure di Kodrik, su Tamarian, si usavano più. Finché il ragazzo-meraviglia non le carezzò la nuca, dolcemente.

Fu con quel tocco che la sua mente si bloccò. Di nuovo. Tutti i suoi dubbi, le sue incertezze, le sue paure, sembrarono sparire d'un colpo, sotto quel guanto vellutato.

Protetta. Si sentiva protetta con lui. Aveva bisogno di lui.

«Stella,» la chiamò. «stai ancora pensando a quel fatto?»

Le imprecazioni nella sua mente ripresero a ritmo serrato.

Stupida.

Se ne era accorto.

Ovviamente.

Lei non rispose. Si limitò a fare un cenno col capo.

Doppiamente stupida.

«Capisco.» sospirò il ragazzo. «Scusami, forse non ti ho rassicurato abbastanza. Sai, devo ammettere di essere spaventato anche io. Non lo sognavo da un po', in effetti.»

Starfire sorrise amaramente, prima di rispondergli. «Lo vuoi rincontrare?»

La macchinetta del caffè fischiò proprio in quel momento. Il ragazzo si staccò da lei, per abbassare la fiamma.

Starfire avrebbe voluto tanto sbagliarsi, ma con quella domanda il viso di Robin si era fatto più cupo, come se avesse realizzato una verità inconfessabile.

Quel silenzio che intercorreva tra il versare il caffè caldo nella tazzina e il mettere la macchinetta tra la catasta di piatti da lavare parve insostenibile, tanto che la giovane avvertì il bisogno di riempirlo.

«Allora, Robin?»

Il ragazzo alzò lo sguardo, soffermandosi sui suoi occhi verdi smeraldo, ma, prima che potesse darle una risposta, l'allarme scattò. Quel clangore assordante aveva l'innata capacità di intervenire nei momenti meno opportuni. Un nemico aveva deciso di tediarli proprio in quel momento.

«Problemi.» esclamò Robin.

Si precipitò davanti all'enorme schermo, al centro della Main Ops Room, dove si era palesato l'enorme punto esclamativo giallo e nero, incorniciato da un triangolo rosso. Starfire gli stette dietro tutto il tempo, ad evidente distanza.

Ben presto arrivò anche Raven. La ragazza camminò a passo veloce per tutta la casa, fino ad affiancarsi alla giovane Tamariana.

«Che succede?» la sua levigata compostezza non ebbe alcun tipo di cedimento, mentre poneva quella domanda.

«Hanno fatto scattare l'allarme silenzioso alla banca di Perèz, a sud della città.» le rispose Robin, ancora di spalle, mentre continuava a pigiare i tasti sul monitor.

Immediatamente l'enorme punto esclamativo scomparve, lasciando il posto alle immagini dell'imponente edificio. L'intervento della polizia vicina, a quanto pare, non era tardato ad arrivare: uno squadrone si era appostato all'entrata e stava puntando le armi contro l'immensa vetrata.

«Qualcuno la sta rapinando. E sta agendo da solo.»

«Da solo?» replicò Starfire.

Robin pigiò altri comandi, mostrando alle due ragazze una forma umana di colore arancione. L'unica in piedi, in mezzo a tante altre riarse sul pavimento.

«I rilevamenti termici parlano chiaro.» bofonchiò il ragazzo-meraviglia, staccandosi dallo schermo. «Dannazione, non posso neanche vederlo in faccia. Ha disattivato le telecamere interne della struttura.»

«Non mi piace.» Raven serrò le labbra sottili, scrutando lo schermo con durezza. «Nessuna idea su chi possa essere?»

«Nessuna.» lo sguardo severo di Robin non lasciava nulla all'immaginazione. «La statura non corrisponde ad alcun profilo criminale primario. Ora non c'è tempo per indagare, dobbiamo andare.»

Robin e Starfire si mossero quasi all'unisono, diretti verso l'uscita. Solo Raven indugiò un attimo, per sistemarsi il cappuccio e poi raggiungerli immediatamente.

La giovane afferrò il suo amato per mano e spiccò il volo. Bisognava dirigersi sul posto il prima possibile e lei, quando era necessario, era più veloce di un Gordian in piena crisi digestiva.

«E Cyborg e BB?» domandò Raven, che si trovava alle loro spalle.

«Il parco è nelle vicinanze. Sicuramente ci vedremo lì.» rispose risoluto il ragazzo.

 

 

Dopo un po' di tempo, la nebbia era leggermente calata e pian piano erano spuntate le strade, con le auto e gli edifici. Se ci si soffermava un momento di più, si riuscivano perfino a leggere le poche insegne al neon operanti quel giorno. Anche il tepore del sole, così come il vociare della gente, faceva sentire sempre più la sua presenza.

Meglio così.

Cyborg aveva cominciato a sentirsi a disagio già poco dopo il loro arrivo al parco. Troppo silenzio. Troppa pace. Pareva quasi che si trovassero in un universo alternativo.

Nessuna preoccupazione, di nessun tipo.

Decisamente un sogno ad occhi aperti.

Avvertire del rumore in più gli aveva restituito un po' di tranquillità, sebbene, dove si trovavano lui e Beast Boy, non ci fosse ancora nessuno.

Proprio quando il gioco si stava facendo interessante, Cyborg si fece sfuggire il pallone dalle mani, a causa di una spinta di troppo di Beast Boy. Dopodiché perse l'equilibrio ed entrambi caddero sul prato bagnato, l'uno sull'altro.

«Ehi, guarda che quello era fallo.» tuonò il robot, per poi chiudere la bocca che, altrimenti, avrebbero assaggiato l'erba.

«Fallo? Sei cieco o cosa? Eri in movimento, idiota.» il giovane lo osservò da sopra a sotto, con sguardo accigliato.

«Nient'affatto, sottospecie di mutante. Levati di dosso.»

Sollevò il corpo di Beast Boy con estrema facilità, per lasciarlo cadere affianco a sé. Il ragazzo, ancora a terra, lo fulminò con lo sguardo, ma cambiò repentino espressione, una volta individuata la palla. Si levò in piedi, dondolandosi sulle braccia, e corse a prenderla. Cyborg lo seguì subito dopo, senza fretta, camminando pacato sull'erba.

La palla stava ancora rotolando, quando fu raccolta da una figura alta e snella. Beast Boy bloccò la sua corsa, così come fece Cyborg, che rimase dietro di lui.

Un ragazzo dai capelli scuri, mai visto prima, ghermiva la palla con fierezza, come se fosse la chiave di chissà quale tesoro. Doveva avere più o meno la loro età, malgrado sul suo viso non ci fosse un filo di peluria. La sua carnagione era incredibilmente pallida, quasi diafana.

Cyborg era sicuro che Beast Boy lo avrebbe invitato a giocare con loro, se non fosse stato per il suo abbigliamento. Indossava un costume aderente nero, con tanto di spallacci, antibracci e gambali. Alle mani portava un paio di mitene sobrie, dello stesso colore. Alcuni dettagli erano del colore del rame, come la cintura che gli cingeva i fianchi stretti o le rifiniture dell'armatura.

C'era qualcosa in quel tipo per nulla rassicurante. Forse il fatto che alla cintura ci fosse attaccato il fodero di un vistoso pugnale.

L'aria sembrava carica di una tensione che il robot non avvertiva da giorni.

Da settimane.

Rimasero muti tutti e tre, finché lo conosciuto non prese la parola.

«Oh, buongiorno, signori.» scandì allegramente. «Ho interrotto qualcosa?»

I due tacquero per un momento, sorpresi.

Il tono sbeffeggiante e pungente con cui era stata posta la domanda non era piaciuto ad entrambi.

Provocatore.

Nella sua vita, ne aveva conosciuti a bizzeffe. E poche volte le istigazioni si erano trasformate in vere e proprie zuffe. In pochi avevano avuto il coraggio di andare fino in fondo e di sferrare il primo colpo: gli stupidi, ovvero i poveretti convinti di non avere nulla di più del proprio onore da difendere, e i supercattivi, cioè quelli che possedevano qualcosa di più di un semplice coltello per risolvere le questioni. I muscoli, tanto per fare un esempio. E quel ragazzo, francamente, non ne aveva affatto. Il torace era stretto, così come le spalle. Solo le bracca avevano un accenno di tricipiti e bicipiti, ma, per il resto, la sua figura era sottile.

Era, con ogni probabilità, uno stupido.

Ti consiglio di tenere a freno la lingua.

Cyborg sussultò. Una voce.

Cosa?

Nonostante suonasse un filo ovattata, era risultata palesemente familiare. L'aveva appena sentita.

Quel tizio...

Era come se, per un attimo, si fosse introdotto nella sua testa.

Beast Boy si fece avanti.

«Niente, a parte una sana partita di football.»

«In due?» fece sarcastico. «Sì, avevo sentito di una certa crisi tra i Titans.»

«Crisi?» Beast Boy si irrigidì visibilmente.

«Sì, sai, qualcosa che ha a che fare con ormoni, bacini, coccole.»

Era così sicuro di quello che stava dicendo. Troppo. Come se, in quei mesi, avesse vissuto a braccetto con i Teen Titans.

A meno che...

«Nessuna crisi. Ti hanno informato male.» Cyborg incrociò le braccia. «Immagino che tu non sia qui per arbitrare la partita.»

Un ghignò si palesò sul suo viso. «Complimenti per le tue capacità deduttive.»

«Immagino che non sia qui nemmeno per consegnarci una pizza gratis, vero?» piagnucolò Beast Boy, indietreggiando. «Muoio di fame.»

«Affatto, ragazzino frustrato.»

«Che cosa vuoi, allora? Illuminaci.» disse Cyborg, a denti stretti.

Quel corpo esile si piegò in un inchino. «Con piacere.»

Cyborg lo scrutò, pronto ad intervenire, in caso di attacco. Bastò un attimo, un guizzo del suo occhio artificiale, per scorgere un Beast Boy riarso al suolo, con le mani tra i capelli. Il respiro era visibilmente affannato e la bocca si muoveva spastica, come se volesse dire qualcosa.

Non ci pensò due volte e si precipitò dall'amico.

«BB.» lo chiamò. «Che ti succede?»

Lo scosse un paio di volte, ma non vi fu risposta. Sembrava in preda al dolore, ma non urlava. I suoi occhi verdi avevano trovato rifugio sotto le palpebre contratte. Pareva bloccato in una morsa che lo rendeva incapace di esprimere qualsiasi emozione.

«Non può sentirti.»

Fremette a quel contatto, sebbene durò un istante. Una mano. Una mano gli aveva sfiorato la spalla. E non c'era bisogno che quella parte del corpo fosse umana per accorgersi di quanto fosse gelida.

«Che cosa gli hai fatto?» sibilò il robot.

Il ragazzo si ravvivò i capelli mossi con una mano. «Niente di drastico. Avevo bisogno della tua attenzione, uomo bionico. Sai, non mi piace quando la gente non mi prende sul serio.»

Cyborg serrò i pugni e si alzò di scatto. Ora che si trovava a pochi passi da lui, si accorse dei suoi occhi cremisi. Un colore decisamente insolito.

«Ma non fa niente. L'importante è che tu abbia capito che non sono uno stupido.» continuò.

Il robot ringhiò vistosamente. Avrebbe tanto voluto prenderlo a pugni, fino ad estorcergli un modo per far tornare Beast Boy alla normalità, ma forse farsi prendere dalla rabbia non era la soluzione giusta.

«Non preoccuparti per il tuo amichetto verde, perché non rimarrà così a lungo.»

Diede una fugace occhiata al suo amico: era ancora disteso a terra. Qualunque fosse la natura di quel ragazzo, non era sicuramente umana. Era stato in grado di insinuarsi nella sua testa e, per di più, di neutralizzare un Titan senza muovere un dito.

«Tu non sei di queste parti, vero?»

Il ragazzo si inchinò ancora. «Mi chiamo Marcus e, che tu ci creda o no, sono un terrestre proprio come te.» si osservò la mano, per poi chiuderla a pugno. «Ma non sono qui per parlare di me.»

«Che cosa sei, allora?» intervenne brusco il robot. «Un mutante?»

«Non ti sfugge proprio nulla.» Marcus si guardò intorno. «I tuoi amici umani preferiscono chiamarmi “scherzo della natura”, nomignolo che dovresti conoscere piuttosto bene.»

Gli diede le spalle e si avviò nella direzione opposta.

Cyborg rimase interdetto.

E dire che l'aveva reputato più di un semplice attaccabrighe.

«Cos'è, uno scherzo?»

«Il mio compito è terminato.» il ragazzo continuò a camminare a passo costante, senza voltarsi.

«Compito?» Cyborg lo guardò torvo. «Vuoi dire che stai... eseguendo degli ordini?»

«Ti avevo anche fatto i complimenti per le tue capacità deduttive.» replicò sarcastico.

La sua camminata non accingeva ad arrestarsi. Stava andando via davvero, convinto di essere intoccabile.

«Pensi davvero che ti lascerò andare così facilmente?» Cyborg azionò il cannone laser incorporato nel braccio. Lo puntò verso di lui, pronto a sparare. «Hai attaccato il mio amico. Te ne vai senza spiegazioni. Devi dirmi di più, Marcus.» disse, a denti stretti.

Marcus si bloccò, ma rimase di spalle. Ridacchiò, mentre il suo corpo sottile tremava come un budino. Si stava letteralmente trattenendo dal ridere in modo sguaiato. E questo gesto non fece altro che alimentare la collera di Cyborg.

«Quando ero un semplice umano, tu eri il mio preferito, uomo bionico. Ti battevi sempre per la cosa giusta.» chinò la testa, come se fosse rassegnato da una qualche constatazione. «Non ho voglia di combattere, ora.» aggiunse, con un tono più alto e risoluto.

Il braccio oscillò istintivamente, a quelle parole. Cyborg serrò la mascella, cercando di mantenere la mira diritta. Non poteva lasciarlo andare via così, senza spiegazioni chiare. Al contempo, non sapeva il motivo, reputava estremamente scorretto sparargli alle spalle, senza possibilità di difendersi. Per cui optò per fare fuoco, senza colpirlo. Il classico colpo d'avvertimento.

Ma prima che potesse concretizzare quanto stabilito, Marcus si girò di scatto e portò una mano alla tempia.

Fu l'ultima cosa che vide.

Poi tutto si trasformò in una distesa indefinita di luce bianca. Era diventato cieco.

«Non dovevi nemmeno pensare di sparare.»

Di colpo, perse la sensibilità degli arti, e avvertì il tonfo del suo corpo, senza avere sensibilità di reagire.

Un fischio insopportabile si insinuò nelle sue orecchie in modo insistente, tanto che temette che sanguinassero da un momento all'altro.

Era stato spento.

Era stato ridotto ad un rottame da un ragazzino.

Quasi.

Malgrado il fischio, sentiva i suoi pensieri.

C'erano ancora. Distorti, ma c'erano.

Era ancora capace di intendere, almeno.

Non gli restava che aggrapparsi disperatamente a quel poco che aveva e sperare di uscire da quel bozzolo di nulla in cui era stato rinchiuso.

Il robot cercò di concentrarsi con grande fatica e dovettero passare diversi minuti prima che il fischio si tramutasse in un semplice sibilo.

Fu in quel momento che uno dei suoi sensi cominciò lentamente a destarsi.

L'udito.

Dei fruscii accompagnarono il suo risveglio. Ben presto divennero voci.

No, una voce. Molto familiare.

«Cyborg, ci sei?»

Robin. Dal T-Communicator.

«Maledizione, non ti imbottire sempre di panini e rispondimi. C'è una rapina in corso alla banca di Peréz. Io, Stella e Corvina siamo sul posto, al contrario tuo e di BB. Vedete di raggiungerci.»

Poche parole, prima che il mondo si rovesciò nuovamente e completamente.

Il robot non sentì più niente. Si era addormentato.

 

 

L'interno della banca era stato completamente devastato. Metà degli scaffali, vicino l'entrata, erano stati ribaltati e carbonizzati. Due corpi giacevano immobili tra i fogli sparsi. Entrambi esibivano sulla camicia azzurra il distintivo delle guardie di sicurezza. Sfoggiavano evidenti segni di bruciatura sulle mani e sul viso, come se qualcuno si fosse divertito a pressarli su una piastra incandescente. Robin si inginocchiò su di loro per controllare il polso. Disse che erano ancora vivi, per fortuna, ma dovevano essere portati fuori.

«Stella, puoi pensarci tu?»

«Certo.»

La giovane sollevò i due corpi senza sforzo e si diresse all'uscita. Rimasero dentro solo Raven, Robin e il direttore della banca, un uomo di mezza età, vestito di tutto punto, con delle evidenti chiazze scure sulla camicia azzurra.

«E così» esordì il ragazzo-meraviglia «il malvivente è scappato.»

Le marcate rughe dell'uomo intorno alla bocca flessero un'espressione rassegnata. «Sì, è così. Ha fatto uscire tutti dal retro, minacciando di morte chiunque si sarebbe trattenuto oltre. Poi, profittando della confusione, è scomparso. Svanito nel nulla.»

«E i soldi?» Robin si appoggiò all'unica parte della parete che non era deturpata dai danni. «Normalmente un rapinatore di banche scappa con i soldi.»

L'uomo scosse la testa. «Non ha mai chiesto soldi. Ha semplicemente messo fuorigioco le guardie e ha preso possesso della struttura.»

«Non capisco.» bofonchiò il giovane, più a sé stesso che agli altri. «Se non erano i soldi il suo obiettivo, perché rischiare di farsi catturare?»

«Non so.»

Raven, che fino a quel momento si era limitata ad ascoltare, si avvicinò ai due.

«Lei era qui, quando è entrato in azione, giusto?» domandò la ragazza.

«Ero in ufficio, a sistemare dei documenti. Ho sentito delle urla e sono corso a controllare... oh, ero così spaventato. Temo che i miei occhi possano aver frainteso. È successo tutto così in fretta.» singhiozzò.

La prescelta di Azarath fece un paio di passi avanti, per poi trovarsi all'altezza del viso del direttore; una maschera imbrattata di sudore rappreso ed emozioni contrastanti. Si accorse di alcuni i frammenti di verde che si perdevano in quei lucidi occhi celesti. Da giovane doveva essere stato un bell'uomo, ma forse l'altezza poco sviluppata gli aveva impedito di fare il modello. Per cui aveva optato per un lavoro più alla sua portata.

La sua mano cerea aderì alla guancia destra.

«Si rilassi, ora. Cercherò di capire cosa è successo, ma lei deve collaborare. Apra la sua mente più che può. Mi faccia vedere la sua confusione.»

L'uomo, rimasto per un attimo basito da quel gesto, si ricompose e le fece un cenno di assenso.

Raven serrò le palpebre ed iniziò a concentrarsi, focalizzando la mente della persona di fronte a lei. Il suo corpo divenne crisalide di una fitta rete di informazioni, per la maggior parte personali.

E inutili.

A lei non serviva tutto questo.

A lei serviva solo un ricordo.

A lei serviva rivivere un lembo della vita di quell'uomo.

Di colpo, tutto fu limpido, tutto fu chiaro.

Quel ricordo era davanti a lei.

Doveva solo afferrarlo.

Gli occhi della ragazza brillarono di una luce compassata.

«Azarath Metrion Zinthos.» pronunciò lentamente.

 

 

L'aria era irrespirabile.

Quasi soffocante.

Incandescente.

La temperatura era alle stelle.

Le fiamme, a prima vista, sembravano aver invaso l'intera stanza.

Era tutto un'immensa distesa di rosso.

«Il prossimo che urla finirà incenerito, va bene?»

«C-che cosa vuoi da noi?»

«Cazzo, quella gallina continua ad urlare e a fare domande. Stai zitta!»

Le fiamme avvolsero la stanza con maggiore intensità.

Vampate di calore colmarono quella direzione. L'elegante ed impaurita donna in tailleur sparì di colpo dietro un tessuto di lino azzurro.

«Direttore, dica loro che andrà tutto bene, avanti!»

Quando tolse la manica della camicia, un paio di occhi color rosso intenso stavano fissando torvo il direttore.

«Lo dica! Lo dica o uccido tutti!»

Il tepore aumentò ancora, mentre la creatura si avvicinava.

«S-signori mantenete la calma. Andrà t-tut...» piagnucolò.

 

 

Ci terremo in contatto.

 

 

Quando Raven riemerse dall'oblio, non fece nulla per acquietare il suo respiro affannato. Sembrava avere necessità di riprendere fiato, come se avesse trascorso gli ultimi istanti su un pianeta privo di atmosfera.

Robin non scompose minimamente la sua figura. Sapeva che non sarebbe servito a nulla. Raven non aveva mai sopportato l'eccessiva apprensività. Era abbastanza forte da cavarsela sola. Almeno, così aveva sempre decretato.

Aveva più senso preoccuparsi del direttore, dato che la gente a cui Raven entrava in testa subiva sempre effetti collaterali più evidenti. Invece, sorprendentemente, lui stava bene. Non era intontito, sudaticcio o in ipertensione. Pareva piuttosto essersi destato da un sogno piacevole.

Sereno e calmo.

Tutto il contrario dell'Azarathiana.

Starfire, che era appena tornata da fuori, si affrettò a raggiungerla.

«Come ti senti, amica mia?»

«Sto bene, Stella. Sto bene.» la rassicurò, guardandosi intorno spaesata.

Robin si staccò dalla parete, con le braccia ancora conserte. «Cosa è successo?»

«Ho visto tutto.» spiegò laconica.

«E?» Starfire le mise una mano sulla spalla.

«N-non ne sono sicura.»

Ora sì c'era davvero da stare in pensiero. Le volte in cui la voce monocorde di Raven veniva meno si contavano con una mano sola.

«Cosa?» l'espressione di Robin si fece dissennata.

«C'era del fuoco ovunque, un'ombra dagli occhi rossi in piedi.»

«Occhi rossi.» ripeté il ragazzo-meraviglia. «Non mi viene in mente nessuno che possa avere gli occhi rossi.»

«C'è di più.»

Sia Robin che Starfire rivolsero l'attenzione all'amica, in religioso silenzio.

«C'è stata un'interferenza. Qualcuno si è frapposto tra me ed il ricordo. Qualcuno ha interrotto il contatto ed ha tentato di comunicare con me telepaticamente.» fece una pausa, sospirando. «Mi ha detto: ci terremo in contatto.»

Rimasero entrambi visibilmente frastornati da quanto detto. Il direttore, intanto, si era completamente ripreso dallo stato di trance e si era seduto tra le macerie. Si accese una sigaretta in tutta fretta e stette in silenzio ad aspirare il fumo, osservando la scena. Spirali grigie invasero la sala, mescolandosi all'appestante odore di bruciato già presente nell'aria.

«Dunque, chiunque sia, colpirà ancora.» constatò Starfire.

«Credo di sì.» replicò Robin distrattamente, mentre frugava nella tasca del costume. «Ancora nessuna traccia di Cyborg e BB. Qui pare che abbiamo finito, perciò dovremmo andare a cercarli.»

«Sono d'accordo. Tu ce la fai, Corvina?» domandò la rossa.

Raven portò le mani dietro la nuca e indossò il cappuccio. «Mfh... certo.» replicò infastidita.

«Bene, muoviamoci allora.»

 

 

Il mare era appena increspato e piccole onde battevano sulla scogliera dalla quale si ergeva la maestosa T-Tower.

Gli ultimi caldi raggi del sole sparirono dietro Jump City, scivolando fluidi sul vetro della Main Ops Room.

Dicono che, quando ti diverti, il tempo passa in fretta.

Ma i Titans quel giorno non si erano divertiti proprio per nulla.

Beast Boy aveva formulato una teoria, per quanto gli potesse concernere, accettabile per rispondere a quella strana constatazione: il tempo sarebbe passato in fretta in ogni caso. Era da parecchio che i Titans non avevano a che fare con minacce di grande calibro.

Mutanti.

Mutanti cattivi e fuori controllo.

«E a quel punto ha messo fuori combattimento anche me... non so dove potrebbe essere andato.»

Cyborg aveva appena finito di raccontare cosa era successo a tutti gli altri. Si era guardato bene dal tralasciare qualsiasi dettaglio di quella mattinata e, ripercorrendo quanto accaduto, BB lesse in lui molta inquietudine. E molta rabbia. Odiava perdere, in qualsiasi frangente: dalla stupida partitina ai videogiochi, alla battaglia sanguinaria per salvare il mondo. Ma una cosa era certa: la possibilità di riscattarsi l'avrebbe avuta.

«Mhm... anche lui gli occhi rossi.» mugugnò Robin, il quale non sembrava essersi perso una virgola del racconto.

«Rossi come il sangue.»

BB si alzò dal divano e si stiracchiò, facendo scoccare le ossa della schiena. Dunque, anche i suoi compagni avevano avuto un incontro ravvicinato con una creatura simile. Uno sputa-fiamme, da quel che aveva capito.

«Suvvia, ragazzi, è tutto fin troppo chiaro!»

«Davvero?» replicò Cyborg seccato, alzando un sopracciglio.

«Entrambi hanno gli occhi rossi, quindi entrambi hanno la stessa origine.» fece una pausa, accortosi di aver attirato l'attenzione di tutti. «Secondo me ci hanno mentito e sono alieni.»

«Impossibile.» lo placò Raven.

«BB, mi meraviglio di queste tue insinuazioni. Tu dovresti capire meglio di tutti la situazione, dal momento che tu sei uno di loro.»

«Uno di loro? Cocchino, io avrò pure questo aspetto per via di una mutazione, ma non ho alcun risentimento verso quelli che sono speciali come me. Ce lo avrei se fossi un alieno.»

«Umf.» sbuffò Robin.

«Non credo che vogliano farci del male.» Cyborg incrociò le braccia, cogitante. «Non fin quando lo deciderà qualcuno dei piani alti. Marcus, infondo, stava eseguendo degli ordini.»

«Slade.»

Robin pronunciò quella parola con disprezzo. BB, che era il più vicino a lui, serrò la mascella; non sentiva parlare di Slade da mesi, da quando era sparito tra le spire di fumo ed incertezza di un mondo che aveva vacillato ed era tornato in equilibrio. Aveva servito Trigon solo per poter riavere un vero corpo, obiettivo che aveva raggiunto senza troppe difficoltà. A nulla era servita la fragile alleanza tra il loro leader e quel pazzo. Nulla era cambiato.

«Cosa?» chiese Raven incuriosita.

«Scommetto che c'è lui dietro questa storia.»

«Non abbiamo sue notizie da tempo, ormai, Robin. Ti ricordi della fogna, vero?»

«Sappiamo tutti che è sparito solo per preparare qualcosa di grosso. Lui è tornato come è tornato altre volte. Perché vi è così difficile accettarlo?»

Il ragazzo-meraviglia si era irrigidito visibilmente, ma stavolta più che disperato nel tentativo di convincere tutti i Titans della sua versione dei fatti, appariva sereno, consapevole e sicuro di aver compreso tutto.

«Robin, adesso non...»

«Ragazzi!»

Erano tutti così impegnati nella conversazione, che nessuno si era accorto dell'ingresso precipitoso di Starfire. BB notò subito, come tutti in quella stanza, la nota di inquietudine di quel “ragazzi”.

«Qualcuno è stato qui.»

  
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