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Autore: LeMuseInquietanti    09/10/2007    3 recensioni
SPOILER DH!!!! Titolo della fanfiction: - IO NON HO PAURA Riassunto (o anche qualche frase presa del testo): - << il tuo cuore non è rinsecchito e arido come tu credi. È là sotto, dietro il ferro del Mangiamorte e le piccole rughe che mostrano le sofferenze che hai dovuto sopportare fino ad ora. È là e nessuno potrà impedirgli di battere e di amare. Di amarla anche se ha scelto un altro, anche ora che riposa in un mondo di cui ignoriamo il nome e le fattezze, solo le persone nobili d’animo possono superare le barriere della paura ed amare oltre ogni ostacolo >>
Genere: Triste, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Mangiamorte, Severus Piton, Voldemort
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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provo a pubblicarla, ditemi se vi piace. l'avevo scritta qualche tempo fa, dopo essermi innamorata del severus piton che abbiamo scoperto con dethly hallows. mi commuovo sempre, quando leggo the prince's tale... anche se è tutta pronta continua solo se vi interessa... MARIA

parte prima

Un rumore di passi affrettati irrompe nella placida serata estiva, rendendo l’aria irrespirabile, acida, satura di fumi tossici, mortale. Il suo cuore batte più veloce, i capelli gli si appiccicano sulla fronte, il sudore scivola lungo il naso adunco, bagnandolo di quello che potrebbe sembrare un distillato di paura palpitante, invece è fretta.

La paura per lui non esiste, è una condizione dell’anima umana che subentra una volta crollati i pilastri fondamentali della propria esistenza. quando una persona cara vola via, trascinata da spirali di fumo biancastro verso il firmamento, come il vapore che scivola verso il cielo non appena si allontana il calderone dal fornello dalla fiamma bluastra crepitante. Già, la paura è direttamente correlata alla possibilità di perdere qualcosa.

Per questo, lui non ha più paura.

No davvero.

Si volta per constatare che non ci sia nessuno. È così, aveva solo immaginato. La strada è deserta.

È una viuzza sbilenca e leggermente squallida quella che è costretto a percorrere, la notte la avviluppa celando così il marciume in bella vista ai lati delle strade, forse la luna si vergogna di spuntare in un luogo simile, dove solo le persone impavide come lui non temono metter piede.

Nessuno si degnerebbe mai di calpestare simile terra. Nessuna impronta in vista, in effetti. Solo il suo passo sicuro, riecheggia su una strada sporca, composta da pietruzze irregolari imbrattate da chissà cosa, e costeggiata da filari di cipressi, solenni alberi appartenenti ad una confraternita oscura che sorregge le mura dei cimiteri per compassione o carità. Quei cipressi che gli sembrano così simili a giganteschi ibridi la cui ombra si profila aguzza ed inquietante, i cui rami si mutano in dita dalle unghie affilate pronte a fendere, spade sguainate che troveranno pace saziandosi con il suo sangue.

Stanotte non mi avrete, pensò Severus Piton, camminando a testa alta, in modo da poter sorridere in faccia alla morte.

Perché nemmeno morire ormai poteva fargli più paura. Se la vita era un gioco a premi, lui ormai aveva fatto il botto, il montepremi era fra le sue dita, poteva sfiorare la consistenza del sacchetto stracolmo di galeoni d’oro e farsi corteggiare dalla confezione porpora che sembrava implorargli di non andare oltre, di fermarsi.

Ormai hai tutto, Sev. Non cambiare le cose, ti vanno così bene. Se si abbandona la via della fortuna, si scivola immancabilmente nelle prigioni buie della miseria.

Ma lui sputava in faccia alla gente prudente. Cosa fanno le persone monotone, capaci di allarmarsi e di andare in crisi solo perché al supermercato non hanno trovato la solita confezione di cereali vattelapesca? Nulla, restano dei perdenti e marciscono come perdenti.

Lui invece. Ah, quanta strada aveva fatto per arrivare a quel punto.

Quante scelte da compiere, scelte in cui non si poteva tornare indietro, per non perdere la faccia, per non smettere di vivere. Quante cadute lungo il suo cammino. Quante lacrime amare inghiottite. E soprattutto, quanti tagli ancora sanguinanti nell’animo.

A volte si svegliava, nel mezzo della notte, e si toccava il braccio sinistro, convulsamente, come farebbe una bimba con la sua bambola preferita, solo per esser certo di non aver fatto un gigantesco sogno lungo quasi vent’anni e di essere ancora il Serpeverde di sempre, impacciato con le ragazze, saccente con i propri nemici, razzista per via del sangue dei suoi avi, ma anche amico sincero e fedele con le persone che lo amavano. Solo un po’ ambizioso e geloso, forse. Sì, questo mix di sentimenti, riconciliabili con la passione in generale, lo hanno portato al primo bivio della sua vita, mettendolo di fronte ad una strada storpia da dover imboccare, quella verso la gloria, piena di buche fredde, voragini degne di inghiottire solo cadaveri e carcasse, baratri da riempire perché altrimenti il passaggio sarebbe stato inservibile, il successo rinnegato, e la tranquilla, rettilinea strada della prudenza. La passione gli ha sussurrato di osare, di combattere. La passione lo ha condotto a non aver paura.

Severur alza gli occhi agli alberi che lo accerchiano, e mostra loro il marchio nero. Svetta sul suo avambraccio, scuro e demoniaco come mai quel serpente malefico che sembra attorcigliare non solo il suo arto, ma ogni particella del pianeta, tanto è il terrore che sa incutere nella gente. Ma è solo un tatuaggio, nulla di più. Che sia il distintivo di un mago oscuro, è una piccola inezia.

Gli alberi sembrano flettersi, al vento burrascoso di tali meditazioni.

  - anche con voi devo mentire, compagni della notte? - chiede con un sorriso triste che gli fa tremare le labbra.

Perché quel marchio non è la causa della sua temerarietà, è solo la conseguenza della passione. Per gelosia, per bramosia o chissà per cos’altro da giovane scelse quella strada, forse solo per mostrarsi un tipo pericoloso, un bel tenebroso disposto a morire per una causa in cui credere. O forse non è così. Perché, gli dice una vocina, molto simile al suono della sua coscienza, forse volevi assomigliare proprio ai tuoi acerrimi nemici?

Severus avanza a passo lento, ma con coraggio, in fondo è pur sempre un Mangiamorte e le ombre di un presente inutile, ingarbugliato, un gioco di ruolo insapore di cui lui non vuole più far parte, lo fanno ridere. Gli spettri del passato camminano con lui.

Lei non la abbandona mai.

La sua mano è lì, determinata e allo stesso tempo gentile. E non è fredda, vive del suo calore, gioisce della sua disperazione.

Perché l’unico sentimento che gli rimane, è una disperazione insensibile alla rigidezza del suo stesso viso, un dolore acuto che traspira sotto pelle, si muove con passo felino attraverso le arterie, contaminando con il sangue, spandendosi come veleno in tutte le direzioni, verso ogni cellula del suo corpo.

Una disperazione rossa, vermiglia come i capelli della donna che tanto aveva amato.

Il suo ricordo è più vivo della persona di Severus, a dirla tutta.

La sua ombra, si intreccia a quella dell’uomo in ogni suo passo.

Lily, mia piccola donna.

Come hai osato abbandonarmi? Come hai osato?

Si porta indietro i capelli. Gli occhi sono aridi, le lacrime assenti, almeno in superficie.

Se pensa a come sia morta, a causa di chi sia morta, si strapperebbe quel marchio e si incendierebbe vivo. Espiare con l’olocausto il dolore che  sciaborda nell’animo, lentamente, come le gocce d’acqua da una fiala di laboratorio, e stillando quasi con pacata gentilezza, lo annienta svilendolo attimo dopo attimo con la stessa intensità, lacerandolo, impossessandosi della sua volontà.

Ma lui è diverso da Bellatrix Lestrange, e sa fingere che non ci sia nulla di cui corrucciarsi. Nulla. I suoi occhi sono foschi solo per via di quello scemo di Silente, che crede nella sua fedeltà assoluta. O almeno i Mangiamorte vogliono credere in questa scusa.

Silente.

Tanto scemo però, quel preside non lo è per davvero. E non è nemmeno così candido come lo dipinge il figlio di Lily, ah, è un vero strizzacervelli, un ricattatore nato.

L’unico da cui, uno come lui, un lupo solitario, può prendere ordini.

Sciocco Voldemort, stupido Voldemort. Canis edit canem. È solo questione di tempo, mio signore. Solo tempo.

Il sentiero verso il cimitero diroccato degrada lentamente, appena si raggiunge l’entrata secondaria, quella accanto all’ossario. Piton caccia la bacchetta, frugando con eleganza tra le pieghe del mantello e si avvicina a quella città sonnolenta in cui hanno seppellito non solo torri di babele di innocenti, ma anche il suo stesso cuore. E le sue ambizioni. E i suoi odi. E la paura.

La cancellata color pece al tatto è fredda, o forse è il suo corpo realmente gelido?
sono un cadavere, in fondo, perché altrimenti avrei bisogno di un mantello per scaldarmi, sul calare del settimo mese? Pensando al luglio di qualche anno prima, il ribrezzo gli sale ancora lungo la pelle. Lily, Lily, Lily! Il tuo nome, dolce come una filastrocca che mai vorrei smettere di ripetere, mi riempie la bocca e mi fa sentire ancora vivo. E rabbioso. E in procinto di avere un attacco di cuore. Mia piccola Lily, perché è successo proprio a noi?

Come hai potuto farti mettere incinta da lui? E perché, stupida di una Mezzosangue, ti sei decisa a far nascere il bambino proprio l’ultimo del mese? Il settimo mese, non capisci? Non potevi aspettare la mezzanotte del primo agosto per gioire dei vagiti di tuo figlio? No! Sempre a voler fare la Grifondoro ad ogni costo. Tu e quel Potter siete sempre stati sventati in ogni azione. Insieme non andavate bene, troppa temerarietà serve quanto la viltà estrema, ad incantare gli allocchi, e lo sapevi anche tu.

Lo sapevi Lily!

Ma lo amavi, Lily, di un amore che non ha freni, e supera perfino le inibizioni della mente, di quel cervellone gigantesco che ti ritrovavi, per lo più restio a darsi senza pretese. O senza difese. Lo amavi con foga, con lo stesso batticuore che potrebbe provare un bambino al risveglio, nel giorno del suo compleanno. Un amore euforico ed irragionevole. Un amore vero.

Un amore che non posso nemmeno odiare, solo commiserare perché ha imbrattato perfino questa anima traditrice che si prende gioco del possessore e si ostina a non voler star ferma, quasi fosse piacevole venir stritolata e fatta in pezzettini rievocando gli occhi verdi che mi impedivano di dormire serenamente.

Già. Posso sorridere per ciò che provavi di James, anche se in fondo ho sempre odiato il modo in cui tu lo guardavi, indispettita facevi credere, ma in fondo quei malandrini da strapazzo ti divertivano. Io ti leggevo come un libro di Pozioni, piccola, e sapevo ciò che ti passava per la mente.

Tu chiamala perspicacia, io la credo piuttosto empatia.

Lo amavi esattamente come io amavo te. Il triangolo impossibile. In geometria è uno dei poligoni più studiati, con tutti quei teoremi cervellotici che tu sapevi a memoria, e a distanza di millenni, non ancora si è riusciti ad andare a fondo, su questa figura dispettosa. La mia storia insegna.

Il freddo lo riporta a galla. Stava affogando, tra quei pensieri. Sono acqua scura che riempie la gola, lo strozzano inesorabilmente. La luna in cielo diviene un puntolino indistinto, la foschia grigiastra della nebbia, avviluppa lo spazio. Che strano, la nebbia in piena estate. Sono dei veri mostri, i Dissennatori.

La cancellata del cimitero di Godric’s Hollow gli sorride malignamente, come una meretrice farebbe verso il cliente che fa cilecca, e gli intima, nella sua imperturbabile assenza di colore e di rumore, nello squallore di una strada battuta solo da cospiratori e malfattori, di farsi forza e tornare quella maschera di cera imperscrutabile perfino alla bacchetta del signore più temuto del mondo magico. I cattivi vanno e vengono, pensa rassegnato Severus, vanno e vengono, si dilettano a distruggere e a dominare, ma poi sorge un tiranno peggiore e li schiavizza. O peggio, li leva di mezzo un eroe immacolato, un cavaliere infervorato da buoni sentimenti, armato solo del suo cuore, spalleggiato da schiocchi aiutanti bambocci quanto lui e il cattivo soccombe, e la gente torna tranquilla alla monotonia, e dimentica il dolore, e le lacrime, ed ogni mostruosità accaduta. La si seppellisce sotto uno strato spesso di ipocrisia, inespugnabile perfino al vecchio Black, che riposi in pace, nonostante tutto.

Chissà se i morti sanno leggere nel pensiero, e gli umani debbano lasciarsi studiare volenti o nolenti? Allora, Sirius, se mi senti, sappi che non ti perdono per avermi ricordato, con la tua presenza, ogni santo giorno, la notte di Halloween in cui il mio cuore si spense. Ma per il resto, fai finta che non sia mai accaduto. Se non fossi così legato al passato, avrei potuto apprezzarti un po’ di più, non eri poi così male, nonostante tutto.

E James, se mi senti anche tu, fingi per un attimo che non sia un tizio innamorato di tua moglie a elogiarla, ma semplicemente un menestrello di strada, senza passato, né futuro. Non un pezzente, un criminale, un uomo con troppe maschere da sorreggere, ed un viso di cuoio, impresentabile. Non un mostro incapace di riallacciare i fili del suo passato con il suo presente, ma qualcuno di migliore, un gentile estraneo di altri tempi.

Ah, Lily, se mi senti anche tu, e ne sono certo, perché spesso rivedo il tuo sorriso nei bagliori delle stelle e mi fissa immalinconito e pallido, per favore, tappati le orecchie, non ascoltare ciò che non ti ho mai voluto dire, per la mia estrema viltà. Quella sepolta con il Severus Piton umano.

Ti amo, ma fingi di non saperlo e fissami enigmaticamente, come facevi da ragazza, e chiedi al tuo amico Sev se va tutto bene, di raccontarti ciò che già avevi udito o letto, solo per discuterne con un Purosangue, per capire cosa ci fosse di così diverso tra quelli come te e la mia stirpe.

Non c’è nulla di diverso, Lily, questa è la verità. Solo pregiudizi secolari ridicoli.

Non c’è nulla in noi purosangue, bambina mia.

Piton protende il braccio verso il cancello scuro, con la mano arranca cercando la settima mattonella a destra della serratura. La scova e vi preme l’interno pallido dell’arto contro l’incavo al centro dell’oggetto. Sente subito il marchio acquistare voluminosità e colorarsi di scuro. Il cancello, con rumori rochi e movimenti lenti, scivola verso sinistra, lasciando libera l’entrata all’uomo. Severus muove un passo in avanti e attende di udire la voce del suo signore richiamarlo nel nascondiglio segreto.

  
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