Fanfic su attori > Josh Hutcherson
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Autore: hutcherswhore    22/03/2013    6 recensioni
❝-Ah- dice deluso. –Tu non sei una Hutcher? – mi chiede. –Scusami? – domando.
-Hutcher, le mie fans si chiamano Hutchers.- mi spiega. Rido. –No, ma ti sembro una Hutcher? – rispondo in maniera acida. –No, non sei figa come loro. – risponde con un’aria di sfida. –Comunque, piacere Josh, Josh Hutcherson- porgendo la mano. Sospiro. –Megan Sparks.❞
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: OOC | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo due.
Entro nell’aeroporto in fretta e con non curanza cerco le mie valigie sul tappeto girevole che trovo quasi subito. Supero le porte scorrevoli e aldilà vedo un sacco di gente che si abbraccia o piange dalla gioia, che stringe un cartello in mano con su scritto il nome di chi aspettano.
Tra la folla cerco mio padre, speranzosa di trovarlo, ma non ce n’è traccia. Che cosa mi era venuto in mente? Ovvio che non viene, non ha mai tempo. Mi sono solo illusa. Ma decisa di non rovinare la giornata sospiro e lascio perdere. Vado a prendere un caffè al bar dell’aeroporto, con lo scopo di rimanere sveglia con tutte le mie forze. Il grande orologio della sala segna le ore 16:05, faccio un rapido calcolo a mente –A Londra dovrebbero essere le 24:05 –sussurro. Prendo il cellulare dalla tasca dei miei jeans e lo riaccendo. Trovo 5 chiamate perse di mia madre, una di James e un sms di mio padre.
“Maggie scusa, non posso venire a prenderti io, ho un emergenza a lavoro. Fuori dall’aeroporto troverai Jeffrey ad aspettarti con una sorpresa. Baci, papà. P.S. Bentornata piccola.”
Ah si?La sorpresa è per farti perdonare? E di che sorpresa si tratta papà? Un cane? Un orologio? Non mi hai nemmeno chiamata.
Scocciata scuoto la testa, ma rimango aggrappata al pensiero di non rovinare la giornata. Chiamare mamma non se ne parla, mi farebbe troppe domande, così le mando un semplice sms con su scritto “Viaggio tutto ok, arrivata sana e salva. Ci sentiamo presto.”
Poi chiamo James ma non mi risponde. Perfetto. Una giornata più bella di così non mi poteva capitare ironizzo. Esco dall’aeroporto, prima che odi del tutto quel posto, ma una volta lasciata alle spalle la grande porta, la brezza di mare mi scompiglia i capelli, lo iodio mi entra nelle narici e ogni preoccupazione o pensiero sgradevole scompare. Mi sento di nuovo a casa, la mia vera casa.
Chiudo gli occhi e cerco di godermi quel meraviglioso momento e finalmente mi sento la benvenuta. Quando ritorno alla realtà trovo Jeffrey con un sorriso a trentadue denti appoggiato al cofano di una macchina nera. Lui è l’autista di papà, ma per me è il mio secondo migliore amico. Non c’è alcuna persona che mi conosce meglio di lui.
- Ma come sei cresciuta!- dice scrutandomi dalla testa ai piedi. Poi tossisce e si ricompone -Bentornata signorina Megan - mi dice. Sorrido e lo abbraccio –Mi sei mancato Jeff – gli dico mentre ricambia affettuosamente l’abbraccio.
Quando Jeff carica la macchina provo a richiamare James che ancora non risponde.
-Ah signorina, suo padre mi ha incaricato di dirle che è molto dispiaciuto di non essere venuto e che per farsi perdonare le ha comprato questo. – dice porgendomi un pacchetto incartato con un bel fiocco rosso.
Sbuffo –Non è proprio cambiato.- lo scarto -Wow un DVD. –ironizzo. Poi leggo il titolo e mi accorgo che è il film ancora non uscito dell’attore che ho incontrato stamattina. –…un DVD non uscito- aggiungo annoiata. –Grazie papà, era proprio quello che volevo- commento con un po’ di sarcasmo come se mio padre mi potesse sentire. Jeff ridacchia.
Durante il percorso guardo attraverso il finestrino e mi accorgo che la mia amata LA non è cambiata per niente. Mi ricordo i pomeriggi passati in spiaggia, nelle strade affollate e a pattinare lungo le vie. Ma poi mi accorgo che non stiamo facendo la strada che porta a casa.
-Jeff dove stiamo andando? –domando perplessa. –Suo padre non gliel’ha detto?- chiede. -Cosa non mi ha detto?- mi sto innervosendo. –Be’ signorina, suo padre qualche anno fa si è trasferito in una villa. – dice. –Ah.- rispondo secca nascondendo la mia nostalgia. Mi scrollo le spalle e cerco di pensare positivo.
La magnifica idea che mi ero fatta di questo viaggio sta pian piano scomparendo. Sospiro e mi sforzo di fare un sorriso. Entriamo in un vialetto costeggiato di palme lungo il quale c’è un grande cancello. Ci avviciniamo e Jeff spinge una serie di numeri su un telecomando. Il cancello si apre e io rimango a bocca aperta. C’è un enorme giardino con la piscina e la casa è enorme. Scendo dalla macchina e corro verso la casa, curiosa di vedere l’interno. Ma arrivata al porticato, colmo di divanetti e sedie, mi fermo e quasi non piango dalla felicità.
C’è un enorme festone appeso con su scritto “Bentornata Megan” e c’è James intento a sistemare dei palloncini. Di soppiatto lo abbraccio da dietro la schiena e due secondi dopo ci ritroviamo avvinghiati l’uno all’altra che ridiamo e piangiamo dalla gioia. –Non posso credere che tu sia qui- mi dice mentre mi perdo nel suoi occhi cervone. Mi vengono i brividi ricordando tutti i bei momenti passati insieme.
Poi mi lascia e il suo viso assume un’espressione preoccupata –Ma sei in anticipo! Ora la sorpresa è rovinata! – dice in tono disperato. –Jeffrey, non ti avevo detto di ritardare?- chiede scherzosamente. –Oh no! – l’uomo in divisa si porta una mano sulla fronte –Me ne sono dimenticato, scusa James. –sta a gioco.
Io rido come un’ebete e sono sicura che tra poco mi dovranno fare una plastica facciale per farmi smettere.
–Com’è andato il viaggio?- mi domanda James. –Tutto bene. – rispondo. Il mio occhio cade sull’orario non aggiornato del display del mio cellulare: 1:45.
Mi rendo conto che per la stanchezza non riesco a tenere gli occhi aperti. –Ragazzi scusate, sono stanchissima, vi dispiace se faccio qualche ora di sonno? – senza aspettare la loro risposta entro nell’immensa casa e mi distendo sulla prima cosa morbida che trovo.
Quando mi risveglio ho bisogno di qualche minuto per orientarmi. E’ tutto buio e per un attimo ho paura ma poi mi ricompongo e con calma prendo il mio cellulare e con la luce del display cerco qualsiasi interruttore per accendere la luce. Mi alzo e dopo un po’ lo trovo su una parete. Sono in una stanza meravigliosa. Sicuramente Jeffrey mi ha portata qui dopo essermi addormentata, è la mia camera? C’e un letto a baldacchino rialzato con due scalini ornato di lucette a neon e con la testata decorata celeste con il nome “Megan” in bianco, le lenzuola sono celesti. Di fronte al letto c’è una parete infinita rosa e celeste con due ante, un mega televisore, un caminetto in tinta e un bellissimo specchio. Alla destra del letto c’è un comodino con tutte le foto di quando ero piccola incorniciate e poco dopo una scrivania bianca con un pc portatile Apple mentre alla sinistra c’è una immensa finestra con delle tende trasparenti. In un angolo c’è una carinissima poltroncina rosa. La curiosità mi divora e non esito ad aprire quelle ante sulla parete colorata. Rimango a bocca aperta: è una cabina armadio enorme, con scaffali colmi di vestiti, scarpe, accessori e trucchi. Mentre osservo i vestiti come se fossi in un negozio, inciampo nel tappeto e cado. Mi ritrovo sul pavimento, con lo zigomo destro dolorante per la caduta. Me ne sto lì per un paio di secondi finché non trovo qualcosa di bizzarro. Sotto uno scaffale di scarpe c’è un piccolo bottone che, ovviamente, spingo. Sento un lieve rumore provenire da dietro di me, di scatto mi giro, ma non trovo nulla. Mi rialzo e inizio a cercare dalla parte in cui proveniva il rumore. Dopo una manciata di minuti trovo qualcosa di assolutamente strano: dietro tutti i vestiti c’è una sottilissima porta socchiusa. Sento del fresco venticello provenire dallo spiraglio. Con la massima cautela entro in uno specie di stanzino con delle scale. Le salgo seguendo la direzione del venticello e, una volta salita in cima, mi ritrovo penso sulla soffitta. Ma non è una soffitta come le altre, questa ha i muri di vetro e una porta che conduce su una parte di tetto che non si vede dal giardino. Da qui riesco a vedere l’orizzonte di LA, ogni suo singolo metro cubo. Mi sento… libera.
Sì, libera è la parola adatta. Ritorno alla realtà e mi accorgo che è notte.
Stupido jet-lag penso. Che ore saranno? Le 4:00? Scruto un po’ questo meraviglioso posto tutto mio e poi ritorno in camera, cercando di non lasciare nessuna traccia.
Ma chi ha fatto questo passaggio segreto? Solo io posso accedere alla “soffitta”? Non trovando risposte inizio a vagare per la casa. Uscendo dalla camera c’è una ringhiera bianca che si affaccia al piano di sotto, mi trovo in un corridoio con tante porte e penso che questa sia la zona notte. In una di queste ci sarà il bagno? penso. Seguo la ringhiera fino a delle scale. C’è il salone in cui mi sono addormentata, c’è una parete con un mega schermo e, sotto, un camino. La porta non c’è, è tutta una parete di vetri che da’ la visuale sulla piscina e il giardino illuminati. Gironzolo per un po’ senza una meta finché non sento dei rumori provenienti da quella che credo sia la cucina. I ladri! penso, ma poi il buon senso mi dice che se fossero i ladri sicuramente non si troverebbero in cucina.
Così mi limito a sbirciare da dietro la porta. Una figura di spalle, un ragazzo finto biondo, più o meno basso, con addosso una canottiera e dei boxer fruga nel frigo. Apro la porta, facendo finta di niente –Chi sei? – chiedo con un tono di superiorità.
Il ragazzo si gira e nel vederlo sgrano gli occhi. –Non è possibile, tu mi perseguiti! – gli dico. E’ l’attore che avevo visto la scorsa mattina.
-Scusa ci conosciamo? – chiede, subito dopo fa un’espressione e sospira –Oh merda. Allora io ti faccio un autografo e due foto e poi tu te ne ritorni a casa, ok? – dice scocciato. –E’ bello avere delle fans ma è inquietante avere stalker.
-Mio dio che pallone gonfiato! E comunque questa è casa di mio padre. Che ci fai qui? – dico. -Ah- dice deluso. –Tu non sei una Hutcher? – mi chiede. –Scusami? – domando.
-Hutcher, le mie fans si chiamano Hutchers.- mi spiega. Rido. –No, ma ti sembro una Hutcher? – rispondo in maniera acida. –No, non sei figa come loro. – risponde con un’aria di sfida.
–Comunque, piacere Josh, Josh Hutcherson- porgendo la mano. Sospiro. –Megan Sparks.
-Sparks? Oh, ora capisco. Tu sei la figlia di Robert! – Annuisco con aria interrogativa. –Lui è il mio manager. Per una manciata di settimane mi ospita qui per “scappare” – con le dita fa segno di virgolette – dalla mia relazione con.. – si ferma un istante.
–Taylor Price- continuo io. Mi guarda con aria stupita e interrogativa. –Oh, non ti esaltare. Per sbaglio – evidenzio le parole per sbaglio – ho letto un articolo su di te all’aeroporto ieri mattina, a Londra. – gli spiego.
-Ah si, ora mi ricordo. – avvicina la testa in modo che le sue labbra siano quasi a contatto con le mie -Tu ieri mattina eri in fila per il check-in, eri la più carina! – sento le guance divampare. –Oh, ma non ti esaltare, non mi piacciono le ragazzine acide come te. – dice cercando di riprodurre la mia voce. Si ritrae –Scusa, ora vado a letto, ci si rivede nei prossimi giorni. – se ne va.
Rimango lì, impalata non so se per la rabbia o per il complimento o per il suo fascino. Scuoto la testa e ritorno in me.
Fascino? Pff. Ma chi crede di essere? E soprattutto, con chi crede di avere a che fare? Con una sua Hutcher che sbava per lui? Be’ se crede questo si sbaglia, e di grosso.
Mi è passata la voglia di curiosare, me ne ritorno in camera, sperando di prendere sonno. Mi infilo sotto le coperte solo con l’intimo, mi giro da una parte e dall’altra cercando di dormire ma ovviamente la mia mente non ne vuole sapere. Sbuffo. Mi tiro le coperte fin sopra la testa e mi faccio avvolgere dal calore che emana il mio corpo imprigionato dalla coperta. Mi giro dalla parte della finestra e riesco a vedere, attraverso le tende, la luce del sole avvolgere l’oscurità della notte.
Che ore saranno? Mi accorgo del grande orologio sopra la scrivania. 6:30 . A Londra sono le 14:00.
Mando un sms a mamma dicendo che sto bene e che appena posso la chiamo.




-Spazio personale-
Tadaaaaa, questo è il secondo capitolo, scusate per l'attesa, spero vi sia piaciuto, pubblicherò al più presto il terzo, sciaaau. c:
  
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