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Autore: Kitri    22/03/2013    15 recensioni
"Ancora una volta il ragazzo non rispose. Si limitò a seguire con gli occhi quella meraviglia, che passando davanti al suo tavolo non si era sottratta ad un nuovo gioco di sguardi, regalandogli l’ultima intensa emozione".
Un colpo di fulmine e una serie di coincidenze, un amore che porterà i due protagonisti a riscoprire se stessi.
La mia prima fanfiction!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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BUON NATALE, AMORE MIO! (1a parte) 
 
 
Era la mattina della vigilia di Natale.
Il treno che l’avrebbe riportata a casa, dopo quattro mesi di assenza, aveva appena lasciato la stazione di partenza.
Solo quattro ore e poi avrebbe finalmente riabbracciato la sua famiglia e le sue amiche!
Tre giorni di vacanza e di meritato riposo, che Usagi avrebbe dedicato solo a loro.
Li aveva sentiti così poco, per via dei suoi impegni e dei suoi turni estenuanti in ospedale.
Chissà se Chibiusa era cresciuta in quei mesi e se Shingo si era ambientato nella nuova città!
Era curiosa di sapere come procedesse il nuovo lavoro di Yumiko e se il papà avesse vinto quella causa che lo teneva impegnato da tempo.
E le sua amiche? Magari nelle loro vite c’erano stati dei bei cambiamenti, così come era accaduto proprio per lei.
Mentre pensava a tutte quelle cose che non le erano mai venute in mente finora, si rimproverò di essere stata troppo concentrata su se stessa e di essersi comportata in maniera superficiale ed egoista.
Non era stata in grado di trovare cinque minuti da dedicare a ognuno di loro per sapere come procedessero le loro vite. Ma adesso, l’occasione era più che giusta per rimediare e recuperare assolutamente tutto il tempo perduto.
Usagi non stava più nella pelle e non vedeva l’ora di essere a casa.
Poi, i suoi pensieri volarono a Mamoru.
La sua euforia sarebbe stata certamente completa, se non avesse dovuto lasciarlo da solo, proprio a Natale, e se la sua mancanza non avesse cominciato a farsi sentire già dalla sera precedente.
Con la scusa delle visite di controllo, si era trattenuta più del dovuto in ospedale, solo per avere la possibilità di incrociarlo non appena lui avesse preso servizio, e salutarlo come si deve prima di partire.
I loro turni negli ultimi tre giorni non avevano coinciso, ma entrambi avevano preferito non chiedere cambiamenti, onde evitare altri pettegolezzi, soprattutto, dopo la scenata di qualche sera prima al Crown, davanti a un bel gruppetto di colleghi curiosi e stupiti.
Si erano dovuti accontentare di baci rubati e di qualche incontro clandestino nell’ufficio di Mamoru. Ormai, Usagi aveva perso ogni freno inibitore!
Arrossì lievemente al ricordo che, alla fine, aveva anche ceduto, ben volentieri, a quella strana fissa di Mamoru per la scrivania.
Sorrise imbarazzata.
Si sentiva come un’adolescente alla prima cotta, con il cuore in subbuglio e gli ormoni impazziti. Neanche con Sachi, il suo ex-fidanzato, si era mai sentita così.
Del resto, a pensarci, non c’era proprio paragone. Sachi l’aveva corteggiata per mesi, prima che lei cedesse, conquistata, alla fine, dalla perseveranza del ragazzo. Ma, solo adesso che c’era Mamoru nella sua vita, Usagi si rendeva conto che i suoi dubbi di allora erano reali.
Non aveva mai amato Sachi. Semplicemente si era auto-convinta dei propri sentimenti, lasciandosi trascinare dagli eventi e dall’amore che lui provava per lei, anche se, alla fine, si era comportato nel peggiore dei modi, facendola soffrire.
Con Mamoru era stato tutto diverso. L’aveva riconosciuto al primo sguardo e, in un mese, la sua vita era stata stravolta. Anche se, tra loro, lei era quella che si esponeva di meno, ancora trattenuta dalle sue vecchie e stupide paure, sapeva di amarlo da sempre, senza chiedersi perché, lo amava e basta.
Si rendeva conto che, in poco tempo, Mamoru era diventato il suo ossigeno, il pezzo mancante che dava completezza alla sua vita. E, adesso che quel treno la portava lontano da lui, anche se per soli tre giorni, lei si sentiva incompleta.
Ebbe una voglia improvvisa di sentire la sua voce, ma, sicuramente, in quel momento, lui era immerso nel sonno più profondo. Allora, prese il cellulare nella borsa e rapidamente digitò un messaggio.
 
“Immagino che tu stia dormendo. Volevo dirti che sono appena partita e che ci sentiamo quando sarai sveglio. Mi manchi! Ti amo. Usako”
 
Ripose il telefono, senza attendere una risposta. Sospirò, cercando di cacciare via la malinconia e di godersi, invece, la piacevole ansia di riabbracciare i suoi cari. Poi, prese il suo lettore mp3 e il suo libro e si isolò completamente dal resto, nell’attesa di giungere a destinazione.
 
Lo stridio dei freni sui binari la svegliò di soprassalto.
“Cavoli, mi sono addormentata!” pensò.
Ma, fortunatamente, la fermata era quella giusta. Era quasi mezzogiorno ed era finalmente arrivata a casa.
Raccolse velocemente le sue cose, tirò giù il trolley dal vano portabagagli e si diresse verso l’uscita. Scese i gradini, facendo attenzione a non inciampare, e respirò a pieni polmoni quell’aria frizzante, l’aria di casa sua. Peccato solo non ci fosse la neve, come si aspettava, nonostante facesse davvero molto freddo.
«Usaaaaaaa!» una voce familiare gridò alle sue spalle, attirando la sua attenzione.
«Chibiusa, amore mio! - rispose lei con gioia, mentre due braccine le circondavano la vita. - Quanto mi sei mancata, piccola peste!» aggiunse, poi, ricambiando l’abbraccio e riempiendo di baci la sua sorellina.
In quei mesi era cresciuta e notò ancora di più quanto si somigliassero, benché figlie di madri diverse. I geni della nonna paterna, almeno così dicevano in famiglia.
«Ehi, sorella!» esclamò un’altra voce, mentre Usagi non smetteva di accarezzare e ammirare la piccola Chibiusa.
«Shingo! – esclamò lei, gettando le braccia al collo di quel bel ragazzo che, invece, non le somigliava per nulla – Come stai?».
«Benone, e tu? Come te la passi?».
«Alla grande, direi! - rispose sorridendo e lasciando che il fratello intuisse tutto l’entusiasmo per la sua nuova vita. - Ma dov’è papà? Non lo vedo» aggiunse poi, guardandosi intorno.
«Aveva da fare e non ce l’avrebbe fatta a venire in tempo alla stazione».
Usagi rimase delusa nell’apprendere che avrebbe dovuto attendere ancora per riabbracciare il suo adorato papà.
“Vabbè, pazienza!” pensò.
«Usa, - esclamò, a un tratto, la piccola Chibiusa, tirandole un braccio, nel tentativo, tipico dei bambini, di attirare l’attenzione - lo sai che la mamma ha comprato un albero gigante pieno di luci e di palline colorate?».
«Davvero? – le rispose Usagi, cercando di mostrare lo stesso entusiasmo della bambina di fronte a quella notizia – Allora dobbiamo subito correre a casa a vederlo! Forza Shingo, che stai aspettando? Muoviamoci!».
«Agli ordini, signorine!» rispose il ragazzo mettendosi sull’attenti e adottando lo stesso tono entusiasta delle sorelle.
E così, i tre fratelli Tsukino, di nuovo uniti, anche se per poco, si avviarono alla macchina, diretti a casa.
 
«Bentornata a casa Usa-chan! – esclamò Yumiko abbracciandola con calore – Sei ancora più bella di quando sei partita».
«Grazie Yumiko!» rispose Usagi, ricambiando l’abbraccio e riassaporando, per qualche secondo, quel calore che per anni l’aveva consolata, ogni volta che ne aveva avuto bisogno. Quanto le era mancato quell’abbraccio!
«Tuo padre aveva un impegno, ma sarà qui a momenti – disse la donna – Se vuoi, puoi andare in camera tua a riposarti. Ti chiamerò non appena sarà rientrato».
«Ti ringrazio, ma non ce n’è bisogno. Ho dormito in treno durante tutto il viaggio e così … ».
«La solita dormigliona!» la interruppe Shingo con tono canzonatorio.
«Pensa agli affari tuoi! Io lavoro anche di notte!» gli gridò Usagi con una smorfia, mostrandogli la lingua.
Yumiko sorrise, scuotendo la testa divertita, mentre guardava quei due ragazzi, che amava come se fossero figli suoi.
«È bello notare che non è cambiato niente! Mi sembra di essere tornata indietro nel tempo» osservò poi malinconica, mentre Usagi, a quell’esclamazione, le gettava di nuovo le braccia al collo, per godere ancora del suo calore di mamma.
«Allora, Chibiusa, mi fai vedere questo meraviglioso albero?» esclamò poi la ragazza, sciogliendosi da quell’abbraccio.
«Andiamo! » rispose la piccola, afferrandole una mano e trascinandola nel salotto, al centro del quale si ergeva un bellissimo albero, pieno di luci e colori.
Gli occhi di Usagi si illuminarono.
«Wow, ma è davvero stupendo come dicevi!» disse rivolgendosi a sua sorella, che, nel frattempo, sorrideva soddisfatta.
 
Usagi era al piano di sopra con la piccola Chibiusa, che in preda all’entusiasmo per il ritorno della sorella maggiore, aveva deciso di darle una mano a sistemare le sue cose. Non aveva molti vestiti da mettere a posto e, in realtà, non ci sarebbe neanche stato bisogno di disfare la valigia, visto che si sarebbe fermata solo per qualche giorno. Ma lei, presa dalla nostalgia, aveva voglia di credere che non fosse solo di passaggio e che la sua permanenza sarebbe durata di più.
D’un tratto una voce la distrasse dai suoi pensieri.
«Dov’è la mia principessa?» sentì pronunciare dal piano inferiore.
«È arrivato papà!» esclamò, fiondandosi fuori dalla sua stanza e scendendo di corsa le scale, per finire, poi, tra le braccia di Kenji.
L’energia che scaturiva da quell’abbraccio, riportò entrambi a quando Usagi era piccola e Kenji, rientrando dal lavoro, la salutava sempre con quella stessa esclamazione.
«Che bello averti a casa, Usako!» disse l’uomo, accarezzando i capelli biondi della figlia.
Usagi sorrise sentendo quel nomignolo con cui era solito chiamarla suo padre, ma che adesso le suonava un po’ strano, pronunciato da lui.
«Anche io sono contenta di essere di nuovo qui!» rispose beandosi delle sue carezze.
«Devo dire che il lavoro e l’aria della Capitale ti fanno proprio bene. Sei ancora più bella!» esclamò Kenji osservandola con attenzione.
«Anche io ho detto la stessa cosa – si intromise Yumiko – Ma non sono tanto sicura che sia l’aria della Capitale a farle questo effetto!» aggiunse, poi, sorridendo maliziosa verso Usagi, che arrossì leggermente.
«Qualunque cosa sia – disse Kenji alzando le spalle – devo ammettere che ti fa proprio bene!».
Usagi sorrise, abbracciando di nuovo suo padre e restando così per qualche minuto, a godersi la gioia di quel momento.
 
«Allora, come si chiama?» le chiese Yumiko allusiva, non appena Kenji si fu allontanato per un attimo.
La ragazza comprese subito e rimase senza parole per un attimo. Ma come aveva fatto Yumiko ad accorgersene?
«È così evidente?» chiese stupita, invece di rispondere alla domanda.
«Sei partita così arrabbiata, sembrava quasi che ce l’avessi col mondo intero. E, adesso, sembri una persona completamente diversa. Non credo che sia solo merito del lavoro».
Usagi sorrise ancora. Yumiko la conosceva davvero benissimo e non le si poteva certo mentire.
«Si chiama Mamoru ed è un medico anche lui» si decise, alla fine, a rispondere mantenendosi sul vago.
«Credo che a tuo padre piacerà! – esclamò, quindi, la donna facendole l’occhiolino, prima di uscire dalla stanza - Sachi non ti faceva per niente lo stesso effetto».
Già, Sachi! Anche lei aveva pensato la stessa identica cosa e, a quanto sembrava, non era l’unica.
A proposito di Mamoru, poi, Usagi guardò l’orario sul suo cellulare ancora muto.
“Che fine avrà fatto?” pensò con una leggera preoccupazione.
 
Dopo il pranzo, si era congedata dalla sua famiglia per recarsi in centro, dove aveva appuntamento con le sue amiche. Non poteva e non voleva rimandare ulteriormente il loro incontro e così si era organizzata per trascorrere l’intero pomeriggio con loro.
Il momento in cui le cinque amiche finalmente si rividero fu un tripudio di baci, abbracci e gridolini di gioia. Abituate com’erano a condividere ogni momento della giornata, quei quattro mesi erano sembrati un’eternità.
«Shhhh, non gridate, ragazze – esclamò Usagi imbarazzata – Ci stanno guardando tutti!».
«Oh, che guardino pure e ci prendano per pazze! – rispose invece la solita esuberante Minako, continuando a gridare – Siamo troppo contente che la nostra Usa-chan sia tornata!».
«Usagi ha ragione, - si intromise la più timida e pacata Ami – stiamo dando spettacolo! Sembriamo delle oche starnazzanti».
Le cinque ragazze risero di quella osservazione.
«Forza, andiamo a sederci al Moonlight Bar al calduccio» le incitò a quel punto Makoto, che stava congelando.
«Sì, abbiamo tanto da raccontarci!» aggiunse Rei.
Così, le cinque amiche entrarono nel bar, sistemandosi attorno al tavolo nell’angolo, dove erano solite sedersi, ogni volta che si incontravano in quel caldo e accogliente locale.
Usagi si guardò intorno, provando un senso di tepore e rilassatezza nel constatare che tutto era uguale. Del resto, quattro mesi erano pochi, benché fossero sembrati un’eternità.
Prima di prendere posto, lanciò un altro sguardo pensieroso al suo telefono.
 Le quattro e ancora niente!
“Possibile che stia ancora dormendo?” pensò, appoggiando il cellulare sul tavolo.
«Allora, ragazze! – chiese Usagi, cercando di allontanare le preoccupazioni da quel momento di euforia con le sua amiche – raccontatemi tutto!».
«Non c’è molto raccontare, le nostre vite non sono cambiate» rispose Makoto.
«Già, siamo le stesse identiche persone che hai lasciato e con le stesse identiche e noiose vite» aggiunse Ami.
«Piuttosto, sei tu quella che ha cambiato vita radicalmente. Cosa si prova ad aprire in due un essere umano?» chiese, invece, Rei.
Usagi rise divertita. Le sue amiche non avevano mai capito la sua passione per quel lavoro.
«È un’emozione indescrivibile … » rispose la ragazza, facendo trasparire tutto il suo entusiasmo.
«Andiamo, ragazze, non fate le ipocrite – la interruppe Minako – A nessuna di voi interessano le macabre pratiche di Usagi!».
«Macabre pratiche? – ripetè Usagi – Guarda, che io sto imparando a salvare vite!».
«E la tua di vita? L’hai salvata? » chiese Makoto con un’espressione allusiva, che Usagi inizialmente non comprese.
«Ci è giunta voce di un certo dottore, che pare ti abbia fatto capitolare» insinuò Minako con sguardo malizioso.
Usagi sgranò gli occhi.
«Rei! – gridò stizzita verso la sua amica – Volevo essere io a raccontare tutto e tu non hai saputo mantenere il segreto!».
«Scusami, Usa! – pronunciò Rei dispiaciuta – Ma era una notizia così bella e inattesa che non ho saputo resistere. Mi perdoni?».
«Dai, Usagi, non te la prendere con Rei, è normale che parlasse, te lo dovevi aspettare» si intromise Ami.
«Quando sei partita eri una pazza furiosa e noi eravamo così preoccupate per te. Rei voleva solo rassicurarci che stessi bene» aggiunse Makoto.
«Una pazza furiosa?!?» ripetè Usagi, stupita.
Davvero quella era l’immagine che aveva dato di sé?
«Già! – ammise Minako – Hai seminato morti e feriti sul tuo cammino».
«Morti e feriti?!?» chiese Usagi, ancora più stupita.
«Akira e Masao ancora chiedono di te» disse Ami.
«Per non parlare di Yukichi. Pare che abbia cambiato città a causa tua» aggiunse Makoto, rincarando la dose.
Usagi era senza parole. Akira, Masao, Yukichi! Ripensandoci adesso, dopo tanto tempo, si era comportata davvero male con loro, giocando con i loro sentimenti. 
«Mi dispiace! Io … io … ero un’altra persona – balbettò Usagi, quasi sconvolta dal ricordo del suo cinismo – Comunque, riguardo a Rei, scherzavo».
«Ah, menomale! – esclamò la diretta interessata – Per un attimo ho temuto che fossi davvero arrabbiata con me».
Usagi scosse la testa accennando un lieve sorriso nella direzione della ragazza.
«Comunque eri davvero un’altra persona. Adesso sembri rinata. È merito del tuo dottore?».
«Dai parlaci di lui! Com’è?».
«Come si chiama? Quanti anni ha?».
«Raccontaci del vostro primo bacio!».
Le ragazze formulavano domande a raffica, prese dall’entusiasmo di quella sorprendente novità nella vita della loro amica, che sembrava così felice.
Usagi sorrise divertita. Quanto le era mancata l’esuberanza di quelle quattro ragazze. E, soprattutto, quanto le era mancata quella complicità che le univa da sempre.
Emise un profondo sospirò, poi cominciò a raccontare tutto dal principio, cercando di soddisfare il più possibile la curiosità di tutte loro.
«Non ci hai detto se è bravo a letto, però!» esclamò Minako seria, quando Usagi ebbe finito di raccontare.
«Mina, sei sempre la solita! - la rimproverò Rei. Poi, rivolgendosi a Usagi chiese maliziosa – E allora, com’è? Diccelo!».
«Dai, siamo curiose. Non puoi tralasciare un particolare così importante!» insistette Makoto.
La ragazza si morse le labbra imbarazzata, mentre stavano tutte a fissarla curiose, tranne Ami, che era sempre timida davanti a certi discorsi.
«Ecco … veramente ... ».
Usagi farfugliava, non sapendo cosa rispondere. Il suo Mamoru era favoloso e fare l’amore con lui era quanto di più bello e intenso potesse esistere, ma non aveva voglia di parlare di certe cose.
Erano le sue migliori amiche e a loro aveva sempre raccontato tutto. Non stavolta, però!
Si sentiva estremamente gelosa dell’intimità che la legava a Mamoru. Un’altra novità!
Mentre continuava a tergiversare sull’argomento, cercando di trovare una possibile scusa per non rispondere, il suo cellulare sul tavolo, cominciò a vibrare. Era Mamoru, finalmente.
Il suo sguardo si illuminò e il cuore prese a batterle forte, come ogni volta che si trattava di lui.
«Scusate, ragazze! Devo rispondere» esclamò con un sorriso a trentadue denti, correndo rapida verso l’esterno del locale, senza neanche avere cura di indossare la giacca, e lasciando le sue amiche lì, immobili, a fissarsi per lo sconcerto.
«Secondo voi era il suo Mamoru?» chiese Makoto.
«E chi altri potrebbe essere a procurarle una reazione del genere?» disse Ami.
«Voi come la vedete?» chiese, poi, Rei pensierosa.
«Felice come non l’ho mai vista. Neanche con Sachi!» rispose Minako, mentre le altre amiche annuivano, pienamente d’accordo su questa affermazione.
 
«Ehi, ma dove sei finito? Sono le cinque passate!» esclamò Usagi, rispondendo al telefono, senza neanche salutarlo.
«Mi dispiace, Usako – disse lui – Ci sono state un paio di emergenze in ospedale e ho avuto molto da fare. Non sono neanche tornato a casa a dormire».
Usagi si vergognò di se stessa. Era un medico, e lei doveva sapere benissimo che potessero esserci state delle emergenze. Perché non ci aveva pensato prima, invece di farsi delle paranoie?
«Scusami, se ti ho aggredito - disse dispiaciuta - Stai tornando a casa, adesso?».
«Non importa! - rispose lui sorridendo – Comunque sì, sto tornando a casa. Ho giusto un paio di ore per riposarmi prima di andare a cena da Motoki e Reika. Inoltre, ti informo che ho chiesto due giorni di ferie, senza reperibilità».
«Dottor Chiba, lei è diventato davvero uno scansafatiche!» esclamò Usagi, ridendo.
Mamoru ascoltò compiaciuto la risata cristallina della ragazza. Come sempre, era quanto di più piacevole le sue orecchie potessero udire.
Seguirono pochi secondi di silenzio.
«Anche tu mi manchi! – disse, poi, rispondendo al messaggio che Usagi gli aveva inviato quella mattina – È triste girare nei corridoi di quell’ospedale sapendo che non ci sei».
Usagi sorrise commossa a quella dichiarazione.
«Non ti preoccupare, tanto torno presto».
«Cercherò di resistere. Tu intanto goditi la tua famiglia e le tue amiche. Lo so che sentivi tanto la loro mancanza».
Usagi pensò che, come sempre, Mamoru sapeva essere dolcissimo e ancora di più sentì la sua mancanza.
«Già, ma vorrei che fossi qui – esclamò, improvvisamente, stupendolo per quella dichiarazione improvvisa – Mi dispiace averti abbandonato proprio a Natale!».
«Non ti preoccupare! Non amo particolarmente il Natale, per me è un giorno come un altro!».
Usagi restò in silenzio.
“Già, ma vorrei ugualmente che lo passassi con me!” pensò malinconica.
«Ora devo lasciarti. Sono arrivato alla macchina. Divertiti! Ti amo, piccola!».
«Anche io ti amo, dottore!».
 
«Ragazze, si è fatto tardi! Devo andare. Yumiko avrà sicuramente bisogno di una mano per preparare la cena» disse Usagi alle sue amiche, rientrando nel bar mezza congelata.
Le cinque amiche così si salutarono, dopo aver preso appuntamento per quella stessa sera a casa di Rei, dove avrebbero trascorso un altro po’ di tempo insieme, in compagnia anche di altri amici. Poi, si diressero a casa, dove ciascuna, immersa nell’intimità della propria famiglia, avrebbe trascorso la vigilia di Natale.
 
Era quasi mezzanotte e Mamoru se ne stava in piedi, davanti alla finestra, impassibile, con lo sguardo perso nel panorama delle luci della città, che si poteva ammirare dal salotto di casa di Motoki.
Le voci allegre e festanti della famiglia Furuhata facevano da sfondo ai suoi pensieri malinconici: il Natale lo riportava sempre alla sua famiglia, quella che non esisteva più e, forse, non era mai esistita. Ripensava alle parole di sua madre e alla speranza di vederli un giorno riuniti. In fondo, pensò che sarebbe bastato solo un proprio gesto affinchè tutto tornasse come prima.
“Neanche per sogno!” si disse.
Tutto come prima, appunto! No, non sarebbe mai accaduto! Non avrebbe mai perdonato suo padre per quello che aveva fatto!
Pensò alla sua Usagi e al suo attaccamento alla famiglia. Quasi invidiò la sua serenità in quel momento, immersa nel confortevole calore familiare, quello che lui non aveva mai conosciuto davvero.
«Tutto bene?» chiese una voce alle sue spalle.
Motoki si era accorto che Mamoru, da un po’, si era isolato dagli altri ed era andato quindi ad assicurarsi che fosse tutto a posto.
«Sì, riflettevo» rispose Mamoru con la sua consueta freddezza.
«Si tratta di Usagi? Credevo andasse a meraviglia tra voi» chiese poi Motoki, con sguardo preoccupato.
«No, Usagi non c’entra. Lei è stupenda! Si tratta di mia madre e di quello che mi ha raccontato ieri su Hiroshi, ma preferisco non scendere nei dettagli».
«Hiroshi Chiba non si smentisce mai! Il suo fantasma torna sempre a tormentarti nei momenti meno opportuni» rispose Motoki, che, insieme a Heles, conosceva bene la storia di Mamoru e non aveva molta simpatia per quell’uomo, benché fosse un genio della chirurgia.
«Già!» disse seccato Mamoru, ripensando a quante volte, nonostante avesse preso da anni le distanze da lui, il suo pensiero fosse tornato ad angosciarlo.
Fortunatamente, in quel momento, il suono del suo cellulare lo distrasse da quei pensieri intrisi di rabbia e tristezza.
«È un messaggio di Usagi » disse sorridendo verso Motoki.
Poi si apprestò a leggerlo a mente.
 
“Buon Natale amore mio! Ti insegnerò ad amare questa festa. Ti amo. Usako”
 
Quel messaggio sembrò provvidenziale, come se Usagi, a chilometri di distanza, avesse letto nella sua mente e si fosse precipitata a soccorrerlo.
Motoki aveva visto il volto del suo amico, che fino a pochi secondi prima era cupo e malinconico, rallegrarsi di colpo, e ne fu sollevato.
Mamoru digitò subito la sua risposta, mentre quel sorriso luminoso ancora non lo abbandonava.
 
“Posso dirti di amarla un po’ di più, adesso che ci sei tu! Buon Natale anche a te, piccola mia. Ti amo”.
 
«Questa ragazza ti fa proprio bene, amico mio!» esclamò Motoki, dandogli una leggera pacca sulla spalla.
«Già! – rispose Mamoru – Non credevo ci si potesse sentire così ad amare una persona».
«E pensa che è solo l’inizio! – continuò Motoki – Hai ancora un sacco di cose meravigliose da scoprire».
«È solo l’inizio, ma adesso che non c’è, mi manca già!».
«Quando torna?».
«Tra un paio di giorni».
«E ti sembrano un’infinità».
Mamoru annuì con una smorfia, poi ricambiò il sorriso di Motoki.
Entrambi stavano pensando a quanto fosse assurda quella situazione, che fino a un mese prima sembrava impossibile. E, invece, era accaduto! Mamoru Chiba si era innamorato.
Mamoru ci pensò su qualche secondo, poi capendo che non avrebbe resistito altro tempo lontano da lei, prese la sua decisione.
«Basta, – esclamò – Domani mattina parto e la raggiungo».
«Cosa fai?» chiese Motoki stupito da quell’improvvisa decisione.
«Se parto verso le sette, alle dieci sarò da lei e forse ce la faccio anche a tornare per il pranzo».
Motoki non aveva parole.
«Dov’è che vai, Chiba?» si intromise Heles che aveva notato, già da tempo, i due amici che chiacchieravano in disparte.
«Vuole andare da Usagi» rispose Motoki con un’espressione di sconcerto sul volto.
«Ma non era dalla sua famiglia?» chiese la ragazza.
«Sì! Ma ci vorranno solo tre ore di macchina!» rispose Mamoru.
«All’andata! Più altre tre al ritorno!» aggiunse Motoki, al quale quell’idea sembrava un’assurda follia.
«Ma non puoi trovarti un albergo e stare lì un paio di giorni?» chiese Heles.
« No – rispose Mamoru – Non voglio distoglierla dalla sua famiglia! Ci teneva tanto a tornare a casa».
«E che andresti a fare? Giusto il tempo di un bacio?» lo prese in giro Motoki.
«No. Vado ad augurarle Buon Natale e a portarle il mio regalo».
«Oh, mamma! Mamoru Chiba che dispensa auguri e compra regali di Natale!» rise Motoki.
«Amico mio, tu sei completamente andato! – esclamò Heles che ancora stentava a credere – Quella ragazza ti ha fatto davvero perdere il lume della ragione!».
Mamoru rise. Quella sua improvvisa decisione aveva lasciato i suoi due amici di stucco. O forse, era l’improvviso e repentino cambiamento che Usagi aveva causato in lui a scatenare in loro quella reazione.
«Allora, sarà meglio che vada – esclamò Mamoru, senza perdere altro tempo – Ho bisogno di dormire prima di partire. Grazie ancora per la cena Motoki! Vi faccio avere mie notizie domani mattina».
E così dicendo, si avviò verso la sala da pranzo a salutare Reika e gli altri ospiti, prima di andare via.
«Credi che questo suo modo di fare sia normale?» chiese Heles quasi preoccupata.
Motoki scoppiò a ridere ancora una volta.
«No che non lo è! Sembra un ragazzino, non lo riconosco più. Ma in fondo è quello che volevamo, no?».
«Già – rispose Heles scuotendo la testa divertita – Sono felice per lui. Spero solo che non si faccia male, se dovesse cadere, visto lo slancio con cui è partito».
  
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