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Autore: Melian_Belt    23/03/2013    2 recensioni
Nella Roma del 410 d.C., uno schiavo viene acquistato da una potente famiglia romana e si trova a vivere in un mondo diverso da quello al quale era abituato. Ma l'elemento più disturbante si rivelerà il nuovo padrone, destinato a dare una svolta inaspettata a quello che credeva il suo destino già segnato.
Slash, tanto per cambiare U_U
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi sveglio con un sussulto, sentendo un caldo innaturale e bagnato contro il mio fianco. Tolgo i capelli sudati dalla mia fronte e in pochi istanti torno a ragionare, ricordando in un turbine gli eventi degli ultimi giorni. Il respiro di Giuliano sussurra nella penombra della stanza, illuminata da una piccola lucerna ad olio. Poggio delicatamente una mano sul suo petto, rigido sotto il mio palmo. È madido di traspirazione, il volto, piegato in una smorfia di dolore anche nell’incoscienza.
Costringo le mie gambe distrutte a muoversi e bagno una pezza umida. Scotta come una fornace e lo bagno ripetutamente, cercando di non toccare le numerose ferite, ma è quasi impossibile. Il più anziano dei medici passa qui ripetutamente nel corso della notte e io non permetto più al sonno di sconfiggermi. Gli faccio da assistente al meglio delle mie possibilità, odiando con tutto me stesso i momenti in cui non si può fare altro se non aspettare. Stringo la sua mano, gli accarezzo i capelli, il viso, sussurrando stupide cose senza senso. Se gli dei mi hanno dato una voce che piace così tanto, provo l’irrazionale certezza che l’abbiano fatto solo per questo momento. Guardo il suo petto alzarsi e abbassarsi, trattengo il fiato ogni volta che un respiro non segue il precedente abbastanza in fretta, mi sento morire quando il suo corpo si irrigidisce, per poi rilassarsi con un rantolo soffocato.
Al mattino, Giuliano apre gli occhi. Per un attimo temo che sia tutta un’illusione, poi il suo sguardo confuso si poggia su di me. Corruga appena la fronte, ma anche quel piccolo movimento gli provoca una fitta alla testa.
“Cosa…Antares?”.
Rimango a fissarlo per dei lunghi istanti e mi passo una mano sugli occhi, togliendo le zuccherose gocce che stavano per scendere. Non riesco a trattenermi e lo stringo tra le mie braccia, affondando il viso nel suo collo e innamorandomi ancora una volta della sua essenza, presente sotto il sangue e la violenza.
Un suo braccio si stringe flebilmente intorno alla sua schiena e nascosto come sono lascio scappare una lacrima, una sola però. Le sue labbra si poggiano sulla mia testa e mi viene un magone in gola.
Lo sento sorridere contro i miei capelli: “Dovresti farti un bagno…”.
Ridacchio, probabilmente sembro un deficiente in questo momento. Mi separo da lui e mi accartoccio per la colpa a vedere il dolore che ha cercato di nascondermi mentre lo stringevo come un ramo d’edera.
Torna ad abbandonarsi contro i cuscini e guarda la stanza con un cipiglio perplesso.
“Dove siamo?”.
Sbuffo di stizza, pur stringendo la sua mano ferita tra le mie come fosse una reliquia: “Sei una vergogna. Non riconosci nemmeno casa tua”.
Sorride, ma ci sono malinconia e affetto per qualcosa di perso nel suo sguardo: “Avevo molti cose. Ma la mia casa era una sola”.
Si stira, sussultando per le ferite. Mi scuoto dalla mia imbecillità e mi affretto a mescolare la brodaglia dal colore lattoso che il medico mi ha raccomandato di fargli bere. Lo sollevo con cautela e Giuliano trattiene il respiro. Quando si rilassa almeno un po’ gli porto la ciotola alle labbra e arriccia il naso.
“Disgustosa”.
“Non fare il bambino e bevi”.
“Non possiamo… aspettare un attimo?”.
Ghigno, avvicinando il viso al suo. Sbarra i grandi occhi castani quando poggio le labbra sulle sue. Ha un’espressione che sarebbe comica, se non fosse per il suo corpo ferito. “Se ti comporti bene, ne avrai ancora”.
Inarca un sopracciglio, perplesso a scoprire questo lato di me che non conosceva. Sinceramente, era ignoto anche a me. Sospira, guardando la ciotola con arrendevolezza.   
Con un po’ di pazienza ne svuota il contenuto, non senza rischiare di rigettare miseramente la bevanda, che effettivamente non ha un buon odore. Fa un’altra smorfia, insieme ad un verso di sconforto.
Lo faccio sdraiare con cautela e mi alzo per andare a chiamare il medico, ma le due dita mi afferrano flebilmente la tunica. Mi chino a guardarlo: “Che c’è?”.
Si schiarisce la voce, mastica appena il labbro inferiore. Un imbarazzato rossore gli invade le gote: “Mi…mi sono comportato bene, no?”.
La ciotola mi cade dalle mani e la ignoro, chi mi biasimerebbe in un’occasione simile? Stringo il suo viso tra le mani e affondo la mia bocca contro la sua, famelico del respiro caldo che ho vegliato per ore eterne. Non ha la forza nemmeno di alzare le braccia, ci prova ma ricadono sul letto.
Non ricordo l’ultima volta che ho scambiato un bacio simile. Mai, mai così. Non sono mai stato io a volere, ero solo un oggetto al potere di altri. E non credevo di potere avere una passione simile, una voglia bruciante che consuma in questo modo e affumica il cervello.
Lo scavalco con un gamba e fatico a non poggiare il peso sul suo bacino. Lo tengo sollevato con un braccio intorno alla schiena e la sua arrendevolezza, l’essere io a maneggiare un uomo così prezioso, mi provocano una scossa elettrica nello stomaco.
Ci separiamo con il fiato pesante e poggio la fronte sulla sua, cercando di riportare aria nei polmoni affaticati.
“Grazie…di essermi venuto a prendere”.
Fisso gli occhi nei suoi. Con dita improvvisamente tremanti, forse per la stanchezza, delineo i contorni del suo viso. “Lo farei altre tremila volte”.
Chiude le palpebre e sposta la testa, poggiando le labbra sul mio palmo logorato. Sospiro, le membra troppo pesanti per essere sostenute da un corpo consumato. Anche io chiudo gli occhi e la mia mente si annebbia. È una sensazione lontana, sentire due braccia portarmi su un materasso morbido, stringermi ad un fianco in un cui mi incastro alla perfezione, come se fossi stato modellato per completarlo.
Una voce troppo bella per essere davvero contro il mio orecchio, sussurra una di quelle frasi che mi hanno sempre fatto sbeffeggiare coloro che le dicevano, ma mai a me.
“Antares…la mia stella custode”.
La mia bocca sorride da sola, non me ne rendo nemmeno conto. Affondo il viso contro la mia ancora, abbandonandomi finalmente ad un sonno sicuro e protetto, per la prima volta da quando venni al mondo.
  
 
 
 
  

  
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