Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Rowan936    23/03/2013    1 recensioni
Questa è un'AU in cui Astoria ha un anno in meno di Oliver Baston. I due si conoscono al settimo anno di Oliver e nascerà un rapporto che la protagonista non dimenticherà mai.
***
«Sono una parte importante della tua vita?» chiese.
Astoria arrossì di colpo, abbassando lo sguardo.
«Be’… un po’… insomma, passiamo tanto tempo insieme…»
Oliver sorrise nel vederla così imbarazzata.
«Tu per me sei molto importante.»
«Anche più del Quidditch?» lo sfidò lei, preparandosi ad una risposta negativa.
«Ora non esageriamo!»

[Oliver/Astoria]
***
[Partecipa al concorso "Tre pacchetti e coppie random" organizzato da Kiki Faeries Chibi sul forum di Efp]
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Astoria Greengrass, Oliver Wood/Baston
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Image and video hosting by TinyPic

Titolo: Immortelle

Autore: Rowan936

Personaggi/Coppia: Astoria Greengrass/Oliver Baston

Pacchetti: Oppure, Lentamente e Roderich

Note varie ed eventuali: Ok, questo pairing è assurdo. Davvero, è inconcepibile, infatti, per renderlo possibile, ho dovuto scrivere un’AU in cui Astoria ha un anno in meno di Oliver, altrimenti sarebbe stata davvero troppo piccola. Allora, mi rendo conto che sia una one-shot un po’ incasinata, ma non sono riuscita a fare di meglio! Le parti scritte normalmente sono il presente (anche il tempo verbale è presente, infatti), le parti in corsivo sono i ricordi di Astoria e Oliver, mentre le parti in grassetto sono le strofe della canzone “Immortelle” di Lara Fabian. Ora, la canzone è cantata dalla protagonista nel presente, ma le strofe sono poi quelle che conducono la trama, diciamo quindi che sono a metà tra presente e passato… incomprensibile, lo so. Insomma, per farla breve, Astoria canta e, cantando, ricorda i momenti passati con il suo Oliver. Fine. Spero di non aver scritto una schifezza, è stato interessante cimentarmi in un pairing assurdo, ne avevo proprio voglia! ^^

 

PS= le note relative al linguaggio e precisazioni varie sono infondo.

 

PPS= questo è il link della canzone: http://www.youtube.com/watch?v=OsV2JIhEzJ4

PPPS= Qui troverete il concorso

 

 

 

Immortelle

 

 

Astoria sospira rigirandosi la fede tra le mani.

Si è sposata, alla fine.¹

Ha accontentato i suoi genitori, si è comportata ancora una volta come una “brava bambina”, non ha deluso nessuno.

Nessuno, a parte la persona più importante di tutte.

Nessuno, a parte l’unico che l’abbia amata non per i soldi, non per il prestigio della sua famiglia, non per il suo aspetto, ma per quello che è davvero.

Nessuno, a parte l’ultima persona di cui avrebbe pensato di potersi innamorare ma che invece ha amato, e ama tuttora, con tutta se stessa.

E adesso, che sta seduta con i gomiti appoggiati ad un pianoforte così simile a quello che li aveva avvicinati, non può fare a meno di chiedersi: “Ne è valsa davvero la pena?

Senza pensarci, inizia a cantare la loro canzone.

 

«Si perdue dans le ciel

Ne me restait qu'une aile

Tu serais celle-là

Si traînant dans mes ruines

Ne brillait rien qu'un fil

Tu serais celui-là.»

 

Astoria passò la punta delle dita sul pianoforte, sorridendo. Aveva sempre avuto una bella voce, infatti aveva sempre amato cantare e, quando lo faceva, si sentiva libera dal suo cognome, libera da tutto ciò che non fosse se stessa.

Sentì un timido applauso turbare la quiete della sua solitudine e si voltò di scatto verso l’intruso: Oliver Baston. Frequentava il settimo anno ed era il capitano della squadra di Quidditch di Grifondoro.

«Sei molto brava.» le disse sorridendo.

Astoria lo guardò con altezzosità, annuendo leggermente in segno di ringraziamento.

Cosa voleva da lei? Quel ragazzo aveva testa solo per il Quidditch, la sua scopa e gli schemi di gioco. Era risaputo che passasse le serate in Sala Comune a organizzare nuove tattiche per la sua squadra, anche quando gli esami erano alle porte. Di certo non si intendeva di musica né era interessato alle ragazze come lei.

«Continua.»

Sembrava più un ordine che una richiesta, quasi l’avesse scambiata per un componente della sua squadra di perdenti.

Baston si accomodò su un banco e la fissò, in attesa che lei obbedisse.

Per un attimo la ragazza pensò di andarsene e lasciarlo con un palmo di naso, ma qualcosa la trattenne dal farlo e ricominciò a cantare.

 

 

«Si oubliée des dieux

J'échouais vers une île

Tu serais celle-là»

 

Baston la fissava come di solito guardava una Firebolt, incantato dalla sua voce che sembrava essere un tutt’uno con le dita che si muovevano sui tasti con grazia e delicatezza, che sembravano quasi accarezzare lo strumento.

 

«Si même l'inutile

Restait le seuil fragile

Je franchirais le pas»

 

Non resistette e si avvicinò alla ragazza.

Si posizionò alle sue spalle e le spostò una ciocca scura dietro l’orecchio.

Astoria smise di cantare per voltarsi verso il Grifondoro.

Gli occhi verdi si posarono indagatori su Baston, una muta domanda nello sguardo fiero.

«Come ti chiami?» chiese il ragazzo, sedendosi sullo sgabello di fianco al suo.

«Astoria. Astoria Greengrass.» rispose lei, mentre le loro ginocchia si sfioravano accidentalmente.

«Astoria…» mormorò lui, quasi volesse assaporare quel nome. «Mi piace. Mi fa pensare al cielo.»

La ragazza sbuffò.

«E al Quidditch.» aggiunse togliendosi una ciocca di capelli dal viso. Certo, quello non pensava mai ad altro!

Baston sorrise, divertito.

«A dire il vero, per una volta Quidditch, coppa e campionato erano l’ultimo dei pensieri.»

«Davvero?»

Lui annuì, alzandosi.

«Ci vediamo, Astoria Greengrass.» disse andandosene.

«Immortelle… immortelle…» mormorò la ragazza guardando la figura slanciata allontanarsi.

 

«Immortelle, immortelle

J'ai le sentiment d'être celle

Qui survivra à tout ce mal

Je meurs de toi»

 

Astoria e Oliver si rividero altre volte, moltissime.

Principalmente parlavano di loro, dei loro amici della loro vita. Poi, a volte, Astoria cantava qualche strofa di qualche canzone, soprattutto francesi, perché erano le sue preferite, e Oliver l’ascoltava sempre.

Erano felici di condividere quei pomeriggi nascosti, felici di poter essere loro stessi lontano da tutto e da tutti.

Erano felici di amarsi, anche se ancora non lo sapevano.

«Oliver…» disse Astoria uno dei tanti pomeriggi, mentre lui lucidava la scopa in riva al Lago Nero e intanto chiacchierava con lei «Perché lo facciamo?»

Baston smise di lucidare la scopa e la guardò stranito.

«Ha importanza?» chiese.

La ragazza cercò le parole per descrivere come si sentiva.

«Un po’. Il fatto è che… mi sento come… non so… mi opprime il dover nascondere a tutti una parte importante della mia vita, ecco.»

Il ragazzo appoggiò definitivamente la scopa a terra e si avvicinò.

«Sono una parte importante della tua vita?» chiese.

Astoria arrossì di colpo, abbassando lo sguardo.

«Be’… un po’… insomma, passiamo tanto tempo insieme…»

Oliver sorrise nel vederla così imbarazzata.

«Tu per me sei molto importante.»

«Anche più del Quidditch?» lo sfidò lei, preparandosi ad una risposta negativa.

«Ora non esageriamo!» rispose infatti lui alzando le mani con fare sconvolto.

Astoria mise il broncio, fingendosi offesa, anche se ci era veramente rimasta male.

Oliver sorrise nuovamente e si avvicinò alla ragazza, prendendole il mento tra le dita.

«Anche più del Quidditch.» sussurrò.

 

Astoria smette di cantare e sorride a quel ricordo di una felicità perduta, mentre la fede pesa come un macigno.

Come può un semplice anello essere tanto pesante? Come può il dolore di una donna che ha perso la persona amata trasferirsi nell’oggetto che rappresenta la sua condanna?

Dentro quel piccolo anello d’oro vi sono incisi due nomi, ma non sono quelli che Astoria vorrebbe vedervi.

Oliver e Astoria.

Suonano così bene insieme, che sembra impossibile che non abbiano mai avuto occasione di diventare una cosa sola.

Mentre la prima lacrima inizia a rigarle le guance, la donna riprende a cantare:

 

«Immortelle, immortelle

J'ai décroché un bout de ciel

Il n'abritait plus l'Eternel

Je meurs de toi»

 

«No, no, no e poi NO!» protestò Astoria «Non riuscirai mai a convincermi a salire su quell’arnese!»

Oliver sorrise divertito.

«Dai! Guarda che i miei amici sono anche i suoi!» disse, dando una pacca alla scopa.

La ragazza sbuffò.

Detestava volare, era sempre stato così e non sarebbe stato certo lui a farle cambiare idea. Cosa pensava di ottenere con un volo nel parco della scuola?

«Scordatelo!»

Oliver si era già posizionato in sella e la guardava, in attesa. Astoria, dal canto suo, continuava a fissarlo con le braccia incrociate sotto il seno.

«Ti prego!» disse lui, dopo un minuto di silenzio «Un giro solo!»

La Serpeverde era ancora molto dubbiosa, ma alla fine acconsentì, più che altro per farlo smettere.

«Un giro solo.» ribadì «E che sia breve.»

Oliver la fece sedere dietro di lui e si raccomandò di tenersi stretta.

Astoria si aggrappò alla sua schiena e chiuse gli occhi.

Avvertì un senso di vuoto allo stomaco che le fece intuire di non essere più a terra e poco dopo sentì l’aria frustarle i capelli e il viso.

Il ragazzo stava andando piano, se ne rendeva conto, ma volare non le piaceva comunque. Aveva la sensazione di poter cadere da un momento all’altro.

«Astoria… mi stai soffocando!» protestò Oliver, fermandosi sopra il centro del Lago Nero.

La ragazza allentò la presa, ma mantenne gli occhi serrati.

«Come fai a farlo in continuazione?! È orribile!» disse la Serpeverde.

«Ma cosa dici? È bellissimo! Prova ad aprire gli occhi e te ne accorgerai!»

Astoria obbedì, titubante.

La prima cosa che vide fu il nero del maglione di Oliver. Quando spostò lo sguardo, però, i suoi occhi furono catturati da una vista mozzafiato: il sole stava tramontando e i suoi raggi tingevano di rosso le acque scure del lago, creando una serie di riflessi suggestivi e mozzafiato.

«Allora? Non ho ragione?» chiese Oliver e Astoria sorrise.

«Sì… sì, è bellissimo.»

 

Quando scesero a terra, Astoria si ritrovò un po’ malferma sulle gambe, ma Oliver la sorresse prontamente.

«È normale.» la rassicurò.

Lei annuì.

«Ti sei divertita?»

«Sì… grazie.»

La ragazza si avvicinò e si allungò leggermente per posargli un lieve bacio sulle labbra.

Sorrise nel vedere la sua espressione stupefatta e fece per allontanarsi, ma si sentì afferrare per un braccio. Si voltò con fare interrogativo e Oliver le mise in mano qualcosa di freddo.

Era una collana con un ciondolo a forma di boccino d’oro.

«Aprilo.» la invitò lui.

Astoria fece forza sulla piccola fessura e il ciondolo si aprì, rivelando una piccola fotografia rotonda del Grifondoro che sorrideva e, affianco, la scritta “Per sempre tuo” incisa in caratteri eleganti ma semplici.

Era dolce, forse fin troppo per lui, ma Astoria apprezzava quel genere di gesti. E Oliver lo sapeva.

Lo invitò a legargli il ciondolo attorno al collo e lui obbedì, sorridente.

«Vuol dire che ti piace?»

La ragazza si voltò e, per tutta risposta, gli posò un altro bacio sulle labbra.

«Tu che dici?»

Oliver sorrise, Astoria ricambiò.

«Bene, torno in Sala Comune.» annunciò la ragazza.

Il Grifondoro annuì.

Giunta a un paio di metri di distanza da lui, Astoria si voltò.

«Ah, dimenticavo.» disse con un ghigno divertito «Non si vola senza permesso, signor Baston. Dieci punti in meno a Grifondoro.»

Oliver scosse la testa a metà tra lo sconsolato e il divertito.

«Come ti odio quando fai il bravo Prefetto!»

 

«Si les mots sont des traces

Je marquerai ma peau

De ce qu'on ne dit pas

Pour que rien ne t'efface

Je garderai le mal

S'il ne reste que ça»

 

Era l’ultimo giorno di scuola.

Per Astoria significava solo la fine di un altro anno, il sesto, ma per Oliver era la fine di un’era.

I due erano abbracciati, seduti sulla Torre di Astronomia.

«Mi mancherai…» mormorò la ragazza.

Il Grifondoro annuì.

«Anche tu mi mancherai… non potremo più vederci.»

«Troveremo un modo.» disse Astoria, ostentando una sicurezza che in realtà non possedeva.

Non era affatto sicura di riuscire a trovare una maniera per vederlo, mentre era sicura che non sarebbe andata contro i propri genitori. Aveva semplicemente troppa paura, non voleva deluderli.

«Verrò sicuramente a vederti giocare, te lo prometto.» aggiunse.

Lui sorrise.

«Devi. Sei il mio portafortuna.»

«Sciocchezze. Sei bravissimo comunque.»

Rimasero in silenzio, beandosi di quel momento.

«Astoria…» lei lo fissò, come a dire che stava ascoltando «Non ti sposerai, vero?»

La ragazza si toccò il ciondolo a forma di boccino che portava ancora al collo.

«Non posso promettertelo.» rispose sincera. Lui si rabbuiò.

«Ma ricorda» aggiunse «che qualunque cognome io porti, sarò sempre tua.»

«Vorrei che fosse davvero così.» rispose Oliver, alzandosi «Vorrei che tu avessi il coraggio di lottare per me, per noi.»

Lei abbassò lo sguardo.

Era vero: non aveva il coraggio di opporsi, di far sentire la propria opinione, di lottare. Non l’aveva mai avuto.

«Non si può andare contro le tradizioni…» disse lei.

Oliver scosse la testa, frustrato.

«Si può eccome, ma tu non vuoi!» sbottò.

«M-mi dispiace. Io… non voglio deluderli, capisci?» mormorò Astoria.

Di fronte al suo sguardo colmo di lacrime, Oliver non poté che accettare la cosa.

«Non importa…» disse abbracciandola «Va tutto bene… ci sono io. Ci sarò sempre.»

«Sempre?»

Lui annuì.

«Qualunque cosa succeda.»

 

«On aura beau me dire

Que rien ne valait rien

Tout ce rien est à moi

A quoi peut me servir

De trouver le destin

S'il ne mène pas à toi ?»

 

Durante l’estate, come promesso, Astoria era andata a vederlo giocare, sempre.

Riusciva a scrollarsi di dosso i genitori con le scuse più fantasiose e andava a mescolarsi alla folla che assisteva alle partite. Oliver la trovava sempre, anche in mezzo a tutta quella gente.

Teoricamente, il ragazzo era una riserva, ma il portiere titolare non poteva giocare il campionato per motivi di salute, così avevano offerto il posto all’ex-Grifondoro, almeno momentaneamente. Inutile dire che ne era felicissimo.

Quando saliva in campo, Astoria lo vedeva vagare tra le tribune con lo sguardo, alla ricerca dei suoi occhi verdi. E li trovava, sempre.

Lei era sempre lì a sostenerlo, lei era sempre lì ad applaudire ogni sua parata, lei era sempre lì a consolarlo quando non vincevano. Lei c’era e questo gli bastava, non importava che non potesse averla alla luce del sole.

Astoria non aveva mai amato il Quidditch, ma a forza di guardare Oliver giocare aveva iniziato ad appassionarsi. Certo, non seguiva le partite con ossessività come il Grifondoro, ma almeno distingueva la pluffa da un bolide. All’inizio si annoiava a guardare quattordici tizi seduti su delle scope e si limitava a fissare il suo amante, ma poi ci aveva preso gusto ed alla fine non andava più solo per Oliver ma anche per divertimento personale.

 

Anche quel giorno Oliver avrebbe giocato e lei si stava preparando per uscire.

«Dove vai, Astoria?» chiese sua madre, appoggiata alla porta della stanza della figlia.

«A fare una passeggiata. Torno tra qualche ora.»

«No. Oggi non si esce.» rispose la donna con voce ferma.

«P-perché?» chiese la ragazza.

«Abbiamo degli ospiti importanti, Astoria. Una famiglia Purosangue molto rispettabile.»

«Non capisco, di solito non sono tenuta a partecipare a questo genere di eventi. Di solito è un dovere di Daphne.»

«Non questa volta.» disse la donna con un tono che alla figlia suonò come una minaccia. «Ti ho trovato un marito, Astoria.»

Astoria si congelò sul posto, un’espressione terrorizzata dipinta sul volto.

«C-cosa?» mormorò.

«Ti ho trovato un marito. Finirai gli studi e vi fidanzerete ufficialmente. Tempo un anno o due e vi sposerete.»

«Chi è?» mormorò Astoria, nonostante non le importasse più di tanto. Era Oliver che voleva, che importava chi avrebbe dovuto sposare?

«Marcus Flint.»

La prima reazione fu una specie di conato di vomito.

Si ricordava di Flint: giocava a Quidditch, era alto e grosso, con i capelli scuri. Era arrogante e sicuro di sé, si vantava della sua abilità come cacciatore, ma Astoria aveva imparato abbastanza in quell’ultimo mese da sapere che non era troppo bravo. Inoltre, era stato il nemico giurato di Oliver per tutti i sette anni ad Hogwarts.

«M-ma… io non lo amo.» provò a protestare la ragazza, pur sapendo quanto fosse inutile.

«L’amore!» disse la signora Greengrass con fare sprezzante. «L’amore è una favola, Astoria, un concetto immaginario che in realtà non esiste. Sono altre le cose importanti. Ti aspetto giù tra dieci minuti.»

Non appena la donna se ne fu andata, Astoria si accasciò ai piedi del letto, in lacrime.

Non solo avrebbe dovuto sposare Flint, ma non poteva nemmeno andare alla partita e farsi consolare dal suo Oliver.

“Devi. Sei il mio portafortuna.”

«Mi dispiace.» mormorò, alzandosi. «Dovrai vincere anche senza il tuo portafortuna, Oliver.»

Tanto non aveva mai creduto in quel genere di cose.

 

 

«Immortelle, immortelle

J'ai le sentiment d'être celle

Qui survivra à tout ce mal

Je meurs de toi»

 

Astoria lesse e rilesse quell’articolo di giornale un migliaio di volte prima di convincersi che non era solo un sogno.

Mentre le lacrime bagnavano il pavimento, le lettere del titolo continuavano a danzarle davanti agli occhi.

“Incidente alla partita di Quidditch. Morto un diciassettenne.” ²

Astoria singhiozzò più forte.

Morto.

Non lo avrebbe più rivisto.

Non si erano nemmeno salutati come si deve, l’ultima volta avevano solo festeggiato la vittoria e si erano scambiati qualche bacio, ma niente di più. Anzi, alla fine avevano mezzo litigato per la questione del futuro di Astoria.

“Devi. Sei il mio portafortuna.”

Lei non c’era. Non aveva mantenuto la promessa, non era andata a vederlo giocare. E lui era morto.

Un bolide, tutta colpa di uno stupido bolide.

Chissà cosa lo aveva distratto.

Forse stava cercando il suo sguardo tra le tribune e, non trovandolo, si era preoccupato.

Forse era semplicemente arrabbiato con lei per non aver mantenuto la promessa.

Non lo avrebbe mai saputo.

«Anche tu hai mentito…» singhiozzò Astoria «Avevi detto che ci saresti sempre stato, ma ora non sei qui con me.»

 

«Immortelle, immortelle

J'ai déchiré un bout de ciel

Il n'abritait plus l'Eternel

Je meurs de toi»

 

Dopo quel giorno, Astoria rimase chiusa in casa per più di un mese, ignorando i richiami di sua madre, le proteste. Si era chiusa in camera con un incantesimo e non lasciava entrare nessuno, se non la sorella.

Anche quel giorno, Daphne bussò.

Astoria, sdraiata a pancia in giù sul letto, non rispose nemmeno. Aveva fatto in modo che l’incantesimo lasciasse passare solo lei.

Non le aveva mai detto per chi o cosa piangesse, ma alla ragazza non sembrava importare, voleva solo tentare di farla andare avanti.

«Ehi…» disse sedendosi di fianco a lei «Ti ho portato da mangiare.»

Le porse un vassoio, ma Astoria rifiutò.

«Perché la vita è così ingiusta?» chiese. Non piangeva più, il suo dolore ormai andava al di là di quello che le lacrime potevano esprimere.

«Non lo so… davvero, non lo so.»

La più piccola a quel punto si sarebbe aspettata una qualche domanda per capire un po’ di più, ma Daphne rimase zitta. Rispettava il suo silenzio perché la conosceva abbastanza bene da sapere che non avrebbe ottenuto niente tartassandola di domande.

«È successo quest’anno.» mormorò Astoria e iniziò a raccontare.

La sorella ascoltò in silenzio e solo quando giunse all’articolo chiese: «E tu non eri andata alla partita per la cena con i Flint, vero?»

Astoria annuì.

«Gliel’avevo promesso… e non l’ho fatto. Non sono nemmeno andata al funerale! Non ce l’ho fatta!»

Daphne la strinse in un abbraccio consolatorio e prese a cullarla.

«Mi dispiace, tesoro… ma sono sicura che lui non vorrebbe che ti distruggessi così. Non lo accetterebbe.»

Astoria portò la mano al ciondolo che teneva ancora al collo.

 

«Je meurs de toi...»

 

Era vero, Oliver non avrebbe voluto che lei si distruggesse così.

Fu allora che decise di andare avanti, di vivere anche per lui.

Fu allora che iniziò a montare in sella ad una scopa ad ogni tramonto.

Fu allora che iniziò ad amare davvero il Quidditch.

Fu allora che iniziò a credere ai portafortuna.

Fu allora che decise che non avrebbe pianto mai più, perché nessun dolore era paragonabile a quello provato alla perdita del suo Oliver.

 

«Immortelle, immortelle

J'ai décroché un bout de ciel

Il n'abritait plus l'Eternel

Je meurs de toi»

 

Astoria smette di cantare, le dita interrompono la loro danza e una vocetta allegra infrange la quiete irreale calata nella stanza.

«Mamma!»

Un bambino di sei anni, gli occhi verdi, i capelli scuri e la pelle pallida, irrompe nella stanza, con un oggetto d’oro in mano.

«Dimmi.» lo invita la donna con un piccolo sorriso.

Suo figlio.

Anche se non era nato per amore, era pur sempre sangue del suo sangue, la sua nuova ragione di vita.

«Papà ha detto che sono un bravissimissimo³ portiere, ho parato un sacco di tiri! E mi ha regalato questo!» trilla il piccolo, allungando un boccino d’oro per mostrarlo alla madre.

Marcus aveva inculcato il Quidditch in testa al suo erede praticamente appena il bambino aveva articolato la sua prima parola, così, all’età di sei anni, il piccolo di casa Flint era perfettamente in grado di cavalcare una scopa. Il suo ruolo preferito era il portiere e, quando era venuto a dirglielo per la prima volta, Astoria era quasi morta d’infarto.

«Bravissimo!» si complimentò con il figlio, aprendosi in un enorme sorriso «Sei davvero un portento, Oliver

 

«Immortelle»

 

 

NOTE:

 

¹ Lo sposo qui non è Draco – che è più piccolo di Astoria – ma un altro Purosangue scelto dalla famiglia Greengrass. Ovviamente, è uno di quei matrimoni combinati tipici delle famiglie Purosangue.

 

² Nei libri della Rowling Oliver non muore, anzi, partecipa alla Battaglia di Hogwarts, ma essendo un’AU/What if? mi sono presa la libertà di cambiare la sua sorte.

 

³ È un bambino, perdoniamogli qualche scorrettezza!

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Rowan936