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Autore: effewrites    23/03/2013    2 recensioni
[SOSPESA]
AU - TALUKE (+ Percabeth, + Lunabeth) - Rating Arancione per linguaggio e tematiche.
«Luke, ti presento Talia Grace, la mia migliore amica. Talia, lui è Luke Castellan, il mio fidanzato».
Mr. Sorriso era il tizio-nel-letto.
E Talia Grace era in un mare di guai.

Una mattina come tante altre, Talia si sveglia in un letto non suo, con i postumi di una sbornia colossale, e uno sconosciuto che le dorme accanto. Potrebbe essere una delle tante storie da una botta e via. Potrebbe non rivedere questo sconosciuto mai più. Ma, siamo seri!, a chi interesserebbe poi una storia del genere?
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Castellan, Percy Jackson, Quasi tutti, Talia Grace
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Nei capitoli precedenti di Last Friday Night:

«Luke, ti presento Talia Grace, la mia migliore amica. Talia, lui è Luke Castellan, il mio fidanzato».
Mr. Sorriso era il tizio-nel-letto.
E Talia Grace era in un mare di guai.

«Annabeth mi ha parlato di te, Percy. È un piacere conoscerti di persona, finalmente» disse. E poi, stupendo tutti: «Senza rancore, spero. Siamo tra adulti»

«Dobbiamo parlare»


ONCE UPON A TIME, A FEW MISTAKES AGO
I WAS IN YOUR SIGHT, YOU GOT ME ALONE.

 
«Lascia la porta aperta» fece Talia una volta entrata nella stanza.
Luke aggrottò le sopracciglia, e parve sinceramente confuso. «Credevo volessi parlarmi in privato»
Talia rabbrividì. Effettivamente, il suo scopo era quello. Ma la stanza degli ospiti di Silena era una camera piccola, per quanto confortevole, illuminata solamente da una lama di luce che filtrava attraverso le leggere tende bianche che coprivano la finestra. I rumori che provenivano dal salone, tutte le chiacchiere e le risate giungevano estremamente ovattate. Si era venuta a creare una strana sensazione di intimità e segretezza che a Talia non piaceva affatto.
«D’accordo, allora. Socchiudila. Ma non accendere» sospirò infine Talia, giungendo alla conclusione che sarebbe stato meglio evitare di attirare l’attenzione di qualcuno, facendo sì che le loro parole potessero giungere a orecchie indiscrete. Sapendo che nel salone erano presenti anche quei pettegoli dei fratelli Stoll, era un rischio che non poteva decisamente essere corso.
Luke accostò la porta allo stipite; grazie anche alla poca luce che entrava nel corridoio, gli occhi di entrambi si abituarono in fretta all’oscurità.
«Allora?» domandò Luke incrociando le braccia al petto. Il tono della sua voce non sembrava irritato, né tantomeno divertito o curioso. Pareva più che altro preoccupato.
Sulle prime Talia non ne comprese appieno il motivo, ma poi la situazione le apparve comicamente chiara: eccola lì, ancora una volta furtivamente chiusa in una camera da letto con il fidanzato della sua migliore amica.
Tutta la determinazione che aveva spinto Talia a chiedere a Luke un confronto diretto sembrò scemare sotto una pesante cascata di senso di colpa. Temporeggiando, Talia andò a poggiarsi contro una cassettiera di legno posta dinanzi al grande letto matrimoniale sepolto sotto strati e strati di giacche che troneggiava spavaldo al centro della stanza.
«Ti senti bene?» le chiese Luke.
No, avrebbe voluto rispondere. Aveva la gola terribilmente secca e una nausea più fastidiosa di una zanzara che ti ronza nelle orecchie.
«Non dire mai più a Percy una cosa del genere» disse invece. Il pensiero di suo cugino sembrò quasi ridarle forza. Inspirò profondamente.
Luke la osservò, confuso.
«Non capisco. Non mi sembra di aver detto nulla di male nei suoi confronti»
«Annabeth te l’ha raccontato che lei e mio cugino sono stati insieme praticamente da quando erano due ragazzini, anche se l’hanno capito con anni di ritardo?» sbottò Talia. «Non sono affatto il tipo di persona che crede in quelle stronzate sul destino e sul vero amore, quello che arriva e ti travolge l’esistenza al punto tale che quando scompare lascia il vuoto sia dietro che dinanzi a sé, ma so per certo che Annabeth è stato il grande amore di Percy. Okay? L’Amore con la A maiuscola. Il primo e l’ultimo, fino ad ora. Come puoi pensare che un semplice “Senza rancore” basti a sistemare il fatto che glie l’hai portata via?»
Luke era rimasto letteralmente a bocca aperta. Stava fissando Talia con l’aria di chi non riesce a credere ai propri occhi.
«Io non glie l’ho portata via!» ribatté infine.
«È come se l’avessi fatto» mormorò Talia senza scomporsi, conscia della rabbia che mano a mano le stava crescendo dentro e che aumentò a dismisura quando Luke, ridendo, scosse la testa e si passò una mano tra i corti capelli biondi.
«Ascolta, Talia. Ho capito, stai solo cercando di prendere le parti di tuo cugino. Va bene. Ma quando ho incontrato Annabeth lei aveva già chiuso la storia con Percy, altrimenti non avrei mai iniziato la nostra relazione»
Al sentire queste parole fu Talia che rise. La sua risata, però, era priva di genuinità; era un suono crudele, tagliente, pregno di sdegno e irritazione.
«È la verità» aggiunse Luke, tenendo fisso lo sguardo su di lei. Con la poca luce presente nella stanza, i suoi occhi parevano più oscuri che mai, due macchie d’inchiostro su di un viso altrimenti affascinante.
«Mi spiace» mormorò Talia. «Ma mi risulta difficile credere a queste parole quando a pronunciarle è lo stesso uomo che ha tradito la sua ragazza con una tizia qualsiasi incontrata in un bar»
L’ultima frase di Talia sembrò aleggiare nell’aria per forse anche più di un intero minuto, prima che Luke desse anche solo il minimo segno di averla recepita. Quando lui chinò mestamente il capo e prese a spianarsi la fronte con le dita, Talia seppe di aver fatto centro.
Aveva fatto centro non solo per la reazione di Luke, ma anche perché quella rabbia ribollente sembrava aver improvvisamente trovato una via di fuga. Persino la nausea che provava pareva essersi calmata.
«Pensavo avessimo già chiarito» mormorò Luke stancamente.
«Parlare cinque minuti scarsi in un bar non è esattamente quello che io chiamo un chiarimento»
«Che cosa vuoi che ti dica, Talia? Che mi dispiace? Che ho fatto una stronzata?»
«Non voglionulla da te, Luke! Ad essere sinceri, mi disgusta anche solo l’idea di dovere aver a che fare con te»
«Non sono stato io ad imbarcarmi in questa conversazione»
«Così come non sei tu a sentirti dilaniato dai sensi di colpa per quello che è successo l’altra notte? Perché io—»
«Chi ti dice che non mi sento in colpa?» sibilò Luke, con la voce tanto piena di rabbia che Talia cercò istintivamente di allontanarsi da lui. «Mi detesto sempre di più ogni ora che passa, ogni istante che trascorro con Annabeth. Non lo capisci, Talia? Sono il primo ad essermi reso conto che tu sei stata solo un errore»
Per Talia fu come se qualcuno le avesse appena squarciato il ventre.
Senza che potesse far nulla per combatterlo, percepì nettamente le sue spalle afflosciarsi sotto il loro stesso peso, mentre tutto d’un tratto le dita parvero essersi trasformare in fredda, insensibile pietra.
Luke sgranò gli occhi. Alzò lentamente la mano stretta a pugno, premendolo con forza sulle labbra. Quando abbassò il braccio, questo gli ricadde inerte lungo il fianco.
«Talia… Non volevo… Quello che c’è stato tra noi è stato qualcosa di sbagliato, ma ti giuro che non volevo—»
Nel momento in cui la prima lacrima calda scese sulla guancia di Talia, lei guardò Luke come se non avesse potuto credere ai suoi occhi. Alzò la mano e lo colpì con una forza e una violenza che non credeva di possedere; il rumore dello schiaffo spezzò il silenzio in maniera tanto brusca che Talia sobbalzò.
«Devo andare» mormorò con un filo di voce, sforzandosi per ignorare l’orrenda sensazione che anticipa il pianto, quando la gola sembra richiudersi su sé stessa e dolere come se qualcuno la stesse stringendo tra le mani con lo scopo di privarti del respiro.
Luke non fece nulla per fermarla, e forse fu meglio così; Talia afferrò la sua giacca, poggiata sul letto insieme alle altre, e si diresse con passo malfermo fuori dalla stanza.
La luce del corridoio la accecò per un istante. Talia sbatté ripetutamente le palpebre, per tentare di scacciare il velo di lacrime davanti agli occhi, dopodiché si domandò cosa fare.
Forse sarebbe dovuta andare in bagno e ricomporsi, per poi tornare nel salone come se non fosse successo nulla; forse avrebbe dovuto scusarsi con Luke per la sua reazione; forse sarebbe stato meglio avvisare gli altri che non si sentiva bene e che sarebbe tornata a casa.
Fanculo i forse.
Fanculo le lacrime, fanculo Luke, fanculo quella cazzo di serata.
Talia uscì dall’appartamento di Silena in maniera silenziosa e discreta, chiudendosi la porta alle spalle proprio mentre Luke si affacciava nel corridoio.

**

«Non ti sembra di aver bevuto abbastanza?»
«Da quando in qua sei la mia babysitter, Duck?»
Dakota lanciò uno sguardo di rimprovero a Talia, arricciando le labbra in quella storica smorfia che lo faceva somigliare ad una papera e che gli aveva fatto guadagnare il suo soprannome.
Dietro il bancone del bar, il ragazzo scosse la testa con biasimo, scuotendo i riccioli neri in un movimento che a Talia pareva stranamente ipnotico.
Inarcando le sopracciglia, impaziente, Talia allungò sul bancone il suo bicchiere vuoto e fece segno a Dakota di riempirlo. Lui le rivolse un’occhiata di biasimo e, al contempo, di preoccupazione, che Talia non riuscì a sopportare.
Oh, perfetto, adesso anche il ragazzo del bar si sentiva in dovere di farla sentire un’emerita merda? Talia si sarebbe alzata e se ne sarebbe andata in quattro e quattr’otto se non fosse stato per la morsa di puro panico che le stringeva lo stomaco ogni volta che pensava di abbandonare quel locale dalle luci soffuse, tappezzato di stampe di antiche città di fondazione romana, una decorazione quanto mai inusuale per un bar ma che non stonava affatto.
Erano anni che frequentava regolarmente “La Taverna di Bacco”. Lei e Dakota, il figlio del proprietario, si conoscevano da quando erano due ragazzini scapestrati a cui piaceva ubriacarsi con le vecchie bottiglie dei loro genitori. Poi lui aveva terminato gli studi e aveva preso a lavorare e si era trasformato in un ragazzo serio che guardava con disprezzo la sua vecchia compagna di ubriacature.
Disgustoso.
«Guarda che ce li ho i soldi per pagarlo, non sono una morta di fame» disse Talia, dopo aver aspettato una buona manciata di minuti un drink che Dakota non aveva alcuna intenzione di versarle.
«Oh, lo so bene. Non è questo il punto» fece il ragazzo, passando uno strofinaccio umido sul bancone, cancellando i cerchi di liquore lasciati dal bicchiere di Talia.
«Sai cosa, Duck? Fottiti. Fottiti sul serio. Non passerò la mia serata a bere alcolici scadenti in questo cesso di un locale»
«Ci hai trascorso i migliori anni della tua adolescenza, in questo cesso di un locale»
«Che adolescenza di merda che devo aver avuto»
Talia si alzò dallo sgabello, tenendosi poggiata al bancone dal momento che le sue ginocchia sembravano essersi trasformate in gelatina, preparandosi al teatrino che si ripeteva ogni qualvolta minacciava di andarsene dalla Taverna: Dakota aggirava il bancone in un istante, pronto a sorreggere in maniera cavalleresca la sua amica, che lo scacciava con malagrazia tornando a sedere e ordinando poi l’ennesimo cicchetto.
Stavolta Dakota non si mosse.
«Tals, dico sul serio» mormorò serioso. «Per stasera hai bevuto anche troppo. Lascia che ti chiami un taxi»
Talia aggrottò le sopracciglia. «La degna fine per questo schifo di serata» disse, infilando le mani nella sua borsa e tirandone fuori una manciata di dollari spiegazzati che gettò con violenza sul bancone. «Tieni il resto»
«Oh, andiamo, Talia! Talia! Dove stai andando? Sei ubriaca fradicia!»
Talia alzò il dito medio in segno di saluto e aprì la porta del locale, facendo tintinnare lo stupido campanellino che segnava l’entrata o l’uscita di qualche cliente.
La fresca aria della notte newyorkese fu come un balsamo sulla sua pelle. Non si era accorta di avere le guance in fiamme fino a quel momento. La sensazione era così piacevole che per un attimo cancellò ogni sua preoccupazione. Poi, però, tornò tutto, colpendola violentemente sulle spalle afflosciate dall’alcol, come fa la pioggia scrosciante quando non hai nulla per ripararti.
La rabbia, il disgusto, il senso di smarrimento. No, pioggia scrosciante era riduttivo: Talia si trovava senza riparo sotto la grandine.
Iniziò a camminare, inizialmente senza ben sapere dove si stesse recando, ma le bastò poco per capire dove i suoi piedi avevano avuto la brillante idea di portarla. Il cimitero.
Il percorso era abbastanza lungo, ma le strade erano tranquille e non era ancora così tardi da doversi preoccupare della feccia che di notte popola la città.
Mantenendosi accanto al muro per non inciampare nei suoi stessi piedi, Talia arrivò a fronteggiare i familiari cancelli che dividevano i morti dai vivi, i rimpianti e i rimorsi dalle infinite possibilità.
Sfiorò il metallo freddo e umido con le dita, poggiandovi poi contro la fronte con un sospiro.
Conosceva a memoria la strada che portava al cimitero perché l’aveva percorsa almeno una volta ogni settimana da quando aveva dodici anni per andare a trovare sua madre, che aveva tirato le cuoia decisamente troppo presto in un incidente d’auto. Era stata lei a causarlo: il suo tasso alcolico nel sangue era di parecchio più alto del consentito.
Talia sorrise amaramente, serrando le palpebre.
Le pareva di cogliere una certa ironia nella situazione. La sua sbornia l’aveva davvero condotta a far visita a quell’ubriacona di sua madre, morta a causa di un bel po’ di bicchieri di troppo?
E dire che Talia aveva sempre giurato e spergiurato che non sarebbe mai, mai stata uguale ad Elizabeth Grace, la donna che si era infatuata dell’uomo di un’altra e che aveva affogato i suoi dispiaceri nell’alcol.
Ma, ironia del destino, ecco Talia, che si era portata a letto il fidanzato della sua migliore amica e adesso cercava di zittire i sensi di colpa con del liquore di pessima qualità.
«Dannazione» mormorò Talia, sferrando poi con violenza un calcio al cancello. Il rumore metallico risuonò tutt’intorno. Se c’era un guardiano a controllare il cimitero, di certo l’aveva sentito.
Talia si strofinò gli occhi e tirò su col naso, raddrizzando le spalle. Era giunto il momento di tornare a casa.
Fu proprio mentre si voltava ed iniziava a camminare lungo il marciapiede che una lussuosa macchina nera si avvicinò, rallentando a passo d’uomo. Talia si fermò ad osservarla mentre il finestrino oscurato si abbassava, rivelando una figura conosciuta fin troppo bene.
«Buonasera, Talia» esclamò l’elegante giovane donna seduta al posto di guida.
Talia strabuzzò gli occhi, sconcertata.
«Zoe? Che diamine ci fai tu qui?»


And the saddest fear comes creeping in
That you never loved me, or her, or anything
I knew you were trouble whe you walked in
So shame on me now
[I Knew You Were Trouble – Taylor Swift]









 

Aw, scusate l'imperdonabile ritardo! Vado di fretta persino adesso che sto finalmente aggiornando :/ 
Vorrei avere la forza di riuscire a commentare il capitolo in maniera coerente, ma davvero non ce la faccio. Ho solo 5 ore di sonno sulle spalle T___T Dico solamente che la storia della madre di Talia, Elizabeth, verrà approfondita. Dakota è un personaggio che compare nel libro The Son of Neptune, e che ho riadattato per questa fanfiction.
Besos!

  
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