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Autore: Theresa_94    23/03/2013    3 recensioni
Da un lato i soliti Jane e Lisbon.
Dall'altro un piccolo paesino, delle ragazze. Nonostante la loro infinita pazienza, sono anche stanche di aspettare e sono pronte a rivoltarsi anche contro il "Divino Heller" pur di ottenere quello che aspettano da tempo.
Enjoy!
Th.
Genere: Comico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Patrick Jane, Teresa Lisbon, Un po' tutti | Coppie: Jane/Lisbon
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Ora vi muovete e aggiustate tutto qui!”. L’ordine di Mici rimbombò tra le mura della casa, e anche oltre.

Theresa e Pazithi però sembravano non averla sentita, sembravano incantate a fissarsi entrambe l’una negli occhi dell’altra.
Le pupille dilatate, fisse. Le palpebre sembravano non compiere più il loro dovere. Entrambe erano ancora sedute nonostante i continui richiami di Mici. Sembravano comunicare con un loro segreto alfabeto, sembravano tramare qualcosa…

Poi all’improvviso scattarono in piedi, e iniziarono a rimettere ordine, come dei robot appena azionati.

Mici scosse la testa e uscì dall’abitazione. Si diresse alla panchina vicina, quella che si affacciava sulla foresta. Si accasciò su di essa come se avesse camminato per chilometri.

Sapeva cosa stava per succedere, lo aveva capito. Lei mandava avanti la città, doveva prepararsi. La rivolta che ormai avevano tutte in mente… era pericolosa, forse nemmeno la cosa più adatta da fare. Doveva prendere in mano le redini di quelle menti che elaboravano da tempo qualcosa di losco. La avrebbe aiutate, ma avrebbe evitato l’eccesso. Non sapeva se avrebbero ottenuto quello che volevano, e “Heller” era meglio non farselo troppo nemico.

Si portò una mano sulla fronte, poi la lasciò cadere al suo fianco. Chiuse gli occhi e inspirò profondamente. Amava l’odore della natura, l’odore del fresco e dell’incontaminato, amava i colori vividi che riusciva a vedere senza guardare. Inspirò ancora, e si godette forse uno degli ultimi momenti di pace.




Nel frattempo quattro nanetti, quatti quatti, con passo felpato, raccolsero come di consueto i pacchi posati intorno al grande fuoco. Li posarono tutti sulla solita carretta e silenziosi come erano arrivati, si allontanarono dal paesino, senza sapere, però, che qualcuno li stava osservando.
Appena nelle sue mani, Luck, l’addetto a scartare i pacchi, iniziò il suo lavoro. Inizialmente non si paventò, ma poi…

 Ogni volta che ne apriva uno in più, il suo cuore gli arrivava sempre più in gola, gocce di sudore gli cadevano dalla fronte, gli occhi si colmavano di paura.
Non che non avesse mai pensato a questa eventualità, ma la realtà non è mai come te la immagini. Certo lui si era preparato, ma nella sua mente non aveva riflettuto su cosa dire al suo supervisore. Tuttavia in quel momento Luck si sentì davvero fortunato, e ringraziò, non sapeva nemmeno lui chi, per il suo lavoro. Quest’ultimo, seppur umile, ora gli garantiva la sopravvivenza. Sì, perché non toccava a lui riferire quello che aveva trovato al “Divino”. Certo riferirlo al suo supervisore non era un’ impresa poco ardua.

Così con la testa bassa, bussò alla porta di legno, con l’incisione d’oro: “Jimmy Gadd’s office”. Entrò appena sentì la voce dell’uomo dargli il permesso di entrare.

L’ufficio si trovava al ventesimo piano di quell’immenso edificio bianco. Il suo interno era poco arredato, e quelle poche cose che cerano, erano per lo più evanescenti. Il tavolo era una semplice tavola di legno massiccio, sospesa nell’aria. Sopra erano poggiati pochi fogli e dietro la scrivania c’era una poltrona rossa, su cui ora Jimmy era seduto. Le pareti erano ricoperte di una libreria –bianca-, stracolma di libri.
Senza dire una parola si avvicinò all’uomo e posò sul legno il contenuto di quei pacchi: lettere, solo lettere, tutte con la medesima richiesta impressa con l’inchiostro: quella piccola cittadella chiedeva Jisbon. Non era qualcosa di impossibile, ma tutti sapevano cosa ne pensava Heller a riguardo.

Fece qualche passo indietro, abbassò la testa, strinse le mani lungo i fianchi. Attendeva che la furia dell’uomo si riversasse sui fogli e magari anche su di lui. Strinse gli occhi, con la paura che gli finisse in testa anche qualche libro. Aspettò, uno, due, tre minuti. Ma tutto quello che aveva immaginato non arrivò. Quello che vide fu solo un sorriso di Gadd mentre leggeva le lettere.

La realtà non è mai come te la immagini. E così Luck uscì dall’ufficio dopo aver sussurrato un flebile “Ciao”. Sì, era davvero fortunato.



“Theresa!?!”

“Cosa succede Pazithi?” 
                                                                                                                                                                    
“Inizia, muoviti!”

"Arrivo" disse Theresa, che con un balzo si sedette sul divano, con in mano un contenitore di pop-corn, da cui Pazithi non tardò ad attingerne qualcuno.




 Lisbon con passo veloce, che lasciava capire come fosse irata col suo consulente, si diresse nel suo ufficio per prendere le chiavi del suo SUV.

Senza pensarci volte si precipitò sulla scrivania e iniziò a metterla a soqquadro.

Nel frattempo Jane si accorse che le chiavi erano sul divano –probabilmente le aveva fatte cadere mentre si agitava nel sonno- e si lanciò su di esso. Si accorse in quel momento anche della giacca, ma non la raccolse: voleva che fosse lei ad accorgersene.

“Jane invece di poltrire come fai sempre, perché non mi aiuti a cercare le chiavi?”

“Solo se poi mi fai guidare!” propose il consulente, pregustandosi già la vittoria e la possibilità di guidare.

“Fuori di qui!” sibilò invece Lisbon, lasciandolo completamente di stucco: non si aspettava questa reazione.

Teresa, dal canto suo, stava impazzendo. La sua scrivania era una montagna di carte sparse, molte finite anche a terra. I cassetti aperti e il suo computer nascosto da alcuni fascicoli. Aveva i nervi a fior di pelle e avrebbe preso volentieri a pugni qualcuno.

“Lisbon, quanto tempo pensi che debba passare prima che tu ti accorga cosa sto sventolando da almeno dieci minuti, praticamente sotto il tuo naso?” chiese Jane con tono stanco e un po’ canzonatorio.

Giusto in tempo…

In meno di un nano secondo si ritrovò l’agente, con tutto il suo metro e sessanta di pistola e distintivo, di fronte. Gli occhi socchiusi, le sopracciglia piegate in uno sguardo stracolmo d’ira. La solita ruga vicino alle labbra, le braccia lungo i fianchi e la testa leggermente chinata a destra. Amava farla arrabbiare, amava il sguardo che gli riservava ogni volta che faceva di testa sua. Poi si accese improvvisamente una lampadina nella sua testa…

“Sai Lisbon dovresti fare box o anche un po’ di corsa mattutina. Ti aiuta a scaricare la tensione che…”

Non finì la frase, troppo occupato a portarsi una mano sul suo naso, che aveva appena incontrato la rabbia acchiusa in un solo pugno della sua partner.

“Anche questo aiuta?” chiese Lisbon, con tono canzonatorio e allegro, felice di aver sorpreso Jane e di averlo lasciato senza parole.



*Più tardi sulla scena del crimine*



“Cosa abbiamo qui?” domandò come di consueto Lisbon a Risgby, mentre si addentrava nel bosco. Odiava i boschi, troppo complicati da attraversare, capaci di ostacolare il suo cammino e una tranquilla indagine. Per poco non inciampò, ma subito dopo si riprese.

“Una donna, sulla settantina, non ancora identificata. Uccisa con vari colpi sulla testa, tanto da rendere il suo viso irriconoscibile. E’ vestita elegantemente, ipotizziamo si stava dirigendo a un importante incontro di lavoro, dato anche la valigia rivenuta accanto al corpo.”

“Il corpo accanto è Jonsohn Green, dirigeva una piccola impresa a carattere famigliare a Sacramento. Ucciso anche lui con un colpo alla testa. L'arma de delitto non è stata rnvenuta in entrambi i casi.” Disse invece Cho, mentre Lisbon si accovacciò per osservare da più vicino il ragazzo.

Si rizzò sulle gambe qualche minuto dopo. Poi si rivolse a Van Pelt per sapere l’ora del decesso.

“Ci stanno ancora lavorando. Jane tu che ne pensi, hai qualcosa da dirci?”

“Sì, ho qualcosa da dire. Fra un po’ si abbatterà su di noi un diluvio, di quelli che si vedono solo una volta all’anno in California.”

“Originale” disse Lisbon.

“Originale, perché?”

“Hai trovato una scusa originale per ritornare a poltrire. Cho vai a parlare con i genitori di Green, Van Pelt, Risgby, aspettate il referto della scientifica per quanto riguarda l’ora del decesso e l’identità della donna. Io ritorno in ufficio, ho bisogno di sbrigare alcune carte.”

“Agli ordini!” risposero all’unisono i tre.

Prima ancora che Lisbon potesse pensare di dire qualcosa al suo consulente, si ritrovò inzuppata d’acqua. I suoi vestiti aderivano perfettamente e mettevano in evidenza ancora di più le sue forme. Jane si perse ad osservarla, senza dire niente.

Qualche secondo dopo la scientifica offrì un ombrello ad entrambi, creando un riparo anche per i due cadaveri, onde evitare perdere troppe prove.

“Lisbon, il mio non funziona.”

“Il mio sì.” Rispose l’agente, alzando il passo oon un leggero sorriso stampato sulle labbra.



*”Io come minimo l’avrei trascinato sotto l’ombrello e poi lo avrei baciato seduta stante. mi chiedo come faccia a resistere a Patrick Jane bagnato.” Disse Mici, ringraziando mentalmente il fatto di essere sola.*




Verso le dieci quella sera, Lisbon aveva fatto tornare la sua scrivania brillante come un tempo. Gli altri non erano ancora tornati, bloccati dalla pioggia troppo forte. Sentì le sue palpebre cedere, e così, con gli occhi chiusi, trascinando i piedi, si diresse verso il divano. Mentre camminava, inciampò e finì seduta.

Aprì gli occhi e si accorse il motivo per cui era inciampata: la giacca di Jane. Se la portò vicino al viso e ne inspirò l’odore. Sorrise, pensando che almeno si poteva considerare una “persona speciale”. Più stanca di prima si stese e si coprì con essa. Incapace di resistere oltre, si addormentò prima ancora di accorgersi che una lacrima –di felicità e tristezza insieme- le scendeva lungo la guancia.

Jane l’aveva osservata con la tazza di tè a mezz’aria. Sorrise malinconicamente, e sorseggiò il resto della sua amata bevanda.


 
Theresa e Pazithi erano contente. Contente. Ma sapevano che quella scena non avrebbe mai avuto un prosieguo, lo aveva sempre fatto Heller. La riunione segreta era vicina, il “Divino” non sapeva cosa gli aspettava.



 
Innanzitutto chiedo umilmente perdono per il ritardo. Purtroppo la scuola mi ruba la maggior parte del tempo e non è facile trovare il tempo per aggiornare la storia.
 Ringrazio di cuore, mici71, pazithi_90 e Naky94 per aver recensito lo scorso capitolo.
Bene, spero che anche questo vi piaccia. =). Alla prossima,
Th.

 

   
 
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