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Autore: Scattered Dream    23/03/2013    2 recensioni
PARTECIPA AL CONTEST "PARALLEL TIMES" INDETTO DA DESTROYED FAIRY E PrideStalker (Zael)
***
"Ti amo non con il cuore ma con l'anima, perche un giorno il cuore smetterà di battere mentre l'anima vivrà in eterno"
Osservò le sue dolci labbra incurvarsi in un sorriso. L'ultimo, moltro probabilmente.
-Perchè piangi? Morire non fa male, lo diceva anche Fidio- Gianluca gli si avvicinò, stringendolo al suo petto. Marco non rispose. Non poteva dirgli "ti amo", non poteva dirgli che stava piangendo perchè non l'avrebbe più rivisto, perchè non avrebbe potuto più incantarsi a guardare quegli occhi azzurri che sognava ogni notte, o perchè non avrebbe risentito più quella piacevole sensazione di calore quando lo abbracciava....O, forse, poteva? Stavano per morire, e quindi anche se Gianluca lo avesse rifiutato sarebbe stato uguale, tanto non lo avrebbe più rivisto.
"Non lo rivedrò più" quel pensiero lo aiutò a trovare il coraggio necessario per dichiararsi, quello che gli era mancato per tutti quegli anni.
-Ti...amo- gli sussurrò, prima che il freddo vento della morte lo circondasse.
"Offrirei tutte le ore che mi rimangono da vivere per stare ancora qualche secondo vicino a te"
Genere: Generale, Guerra, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gianluca Zanardi, Marco Maseratti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Autore: Soul_Fire
Titolo: The Last Smile
Epoca: Seconda Guerra Mondiale, più precisamente nel periodo in cui gli americani sbarcarono in Italia, occupando quasi tutto il Sud, mentre i tedeschi occuparono il Centro-Nord.
Parole: 1.529
Pairing: MarcoxGianluca (credo che siano leggermente OOC, ecco perché ho messo l’avvertimento)
Note: Un parto. Questo capitolo è stato un parto J. Questo è il mio primo Contest, senza contare il fatto che non avevo mai scritto una MarcoxGianluca fino ad ora, e quindi ho un’ansia del diavolo e…e…non so più cosa dire. Spero vi sia piaciuta, davvero :s .
 
 

The Last Smile ~
 

 

Si appoggiò stancamente alla parete grigiastra dietro di lui, chiudendo gli occhi ed incurvando le spalle. Quell’angolo isolato e polveroso, che la maggior parte delle persone non notava, era il suo rifugio. Lì si sentiva al sicuro dagli sguardi indiscreti dei suoi numerosi compagni, protetto dalle urla dei soldati e dagli spari dei loro fucili. Improvvisamente, udì dei passi che si avvicinavano sempre di più, e le sue mani presero a sudare freddo, mentre cercava inutilmente di aprire gli occhi, che si ostinavano a rimanere serrati, come una porta di ferro ben chiusa.
-Anche tu da queste parti- le mani smisero improvvisamente di sudare. Il suo sguardo tagliente incontrò quello divertito di Marco. La maglietta era ridotta a brandelli, e i pantaloni, che inizialmente arrivavano fino alle caviglie, ora coprivano a malapena il ginocchio sanguinante. Il rosso gli si sedette vicino, scrutando con gli occhi verdi il viso pallido dell’amico. Un taglio, molto probabilmente provocato da una frusta , gli solcava diagonalmente metà guancia, terminando vicino al labbro superiore, screpolato per il freddo. Vagò con lo sguardo ancora per un po’, per poi fermarsi a fissare gli occhi di Gianluca, talmente azzurri da fare invidia al cielo stesso. Notò con stupore che, nonostante ciò che avevano passato, nonostante il luogo in cui si trovavano, nonostante quello che avrebbero dovuto affrontare, il moretto manteneva il suo abituale comportamento menefreghista e apparentemente freddo. Anche in quel momento, in presenza del suo migliore amico, si ostinava a rimanere, in qualche modo, indifferente. Ma Marco sapeva che, in realtà, lui stava soffrendo. Soffriva come tutti loro, e il pensiero che sarebbe potuto morire da un momento all’altro lo faceva impazzire. L’unica ragione per cui si ostinava a rimanere impassibile era quella di non voler dare la soddisfazione ai propri aguzzini di vederlo soffrire ed urlare disperatamente.  
-Voi due!- esclamò un vecchio con gli occhi sporgenti, puntando un dito nella loro direzione. I due ragazzi si voltarono, consapevoli di avere gli occhi di tutti puntati addosso, mentre l’ansia cresceva a poco a poco nei loro cuori.
-Fra poco inizia il turno di lavoro, quindi vedete di non addormentarvi- li rimproverò ruvidamente, andandosi a sedere anche lui per terra. Il rosso tirò un sospiro di sollievo, annuendo brevemente in direzione dell’ anziano signore che, a sua volta, lo guardò di sbieco.
-Quanto pensi che durerà?- sussurrò Gianluca, guardando Maseratti dritto negli occhi. Il sangue aveva ricominciato ad uscire dal taglio sul viso, disegnando sottili strisce rosse sulle guance. Sembrava che stesse piangendo sangue.
-E tu cosa pensi che succeda a casa, se noi moriamo qui?- Marco abbassò gli occhi, tentando di nascondere le lacrime che, prepotenti, tentavano di uscire. Della loro famiglia non era rimasto molto, e non si sarebbero mai perdonati se, quei pochi che non erano morti in qualche campo di concentramento, o fucilati per strada, fossero morti di fame, o di freddo, o di dolore, o si sarebbero suicidati, cosa molto probabile, visto il putiferio che si era scatenato quando, pochi giorni prima della loro cattura, erano venuti a sapere della morte di Fidio, e Bianca aveva tentato di tagliarsi le vene con un pezzo di legno appuntito. Tutti quei ricordi erano ancora vividi nelle loro menti, e non c’era modo di cancellarli, soprattutto di notte, quando si tramutavano in terribili incubi.
Il silenzio cadde tra i due amici. Nessuno sapeva come rispondere alla domanda dell’altro, poiché le risposte erano davvero poco entusiasmanti, e facevano diminuire la loro già scarsa speranza di uscire vivi da lì, mentre la paura aumentava secondo dopo secondo, minuto dopo minuto, ora dopo ora. Rimasero a fissare le persone intorno a loro, rendendosi conto, pian piano, che erano diminuite notevolmente rispetto all’ultima volta che si erano messi a contarle. Marco si alzò in piedi, trattenendo un conato di vomito, mentre amare lacrime gli bagnavano il viso sporco di fuliggine e di terra. Tra i due, era quello che riusciva a controllare di meno le propri emozioni.
-E’ ora di andare a lavorare- gridò sprezzante un soldato tedesco, facendoli mettere in fila ed osservandoli con aria superiore, anche se, come uomo, valeva meno di carta straccia. Uccideva dei suoi simili solo perché erano ebrei, li maltrattava e umiliava solo per il piacere di vederli strisciare ai suoi piedi, implorando pietà. Un uomo del genere non può considerarsi tale, tantomeno può dire di avere un’anima, o dei sentimenti, o un cuore.
Gianluca appoggiò una mano al muro, alzandosi a fatica, e solo in quel momento il rosso notò la brutta ferita al polpaccio, che aveva buone probabilità di infettarsi. Senza pensarci due volte, si strappò un pezzo di stoffa, il più integro che riuscì a trovare, e lo legò stretto sul taglio del moro, il quale grugnì di dolore, fulminandolo con lo sguardo.
-Si può sapere come te lo sei fatto?- gli chiese bisbigliando mentre attraversavano gli innumerevoli corridoi del campo di concentramento, stando ben attenti a dove mettevano i piedi, e cercando di guardare, con la poca luce che c’era, dove stessero andando.
-Mi hanno punito perché ho difeso un bambino zoppo, che stava per essere frustato senza motivo- spiegò piatto Zanardi, continuando a guardare dritto, come se davanti a lui ci fosse scritto il modo per uscire da quel posto. Improvvisamente, Marco si fermò, guardandosi freneticamente intorno, per poi accucciarsi sul pavimento e portarsi le mani alla testa. Il moro gli fu subito vicino, sollevandolo con uno strattone e bloccandogli entrambe le mani, costringendo l’amico a guardarlo negli occhi. Aveva un’espressione di sgomento e di terrore dipinta sul volto, e gli occhi castani continuavano a osservare freneticamente ogni angolo del corridoio, cercando qualcosa.
-Che cos’hai?- gli chiese Gianluca, costringendolo a camminare. Se i soldati si fossero accorti che si erano fermati, li avrebbero fatti fuori all’istante, oppure li avrebbero frustati, o usati come cavie per i loro folli e brutali esperimenti. Già, perché lì dentro usavano le persone come cavie, delle volte, vivisezionandole fino allo sfinimento, e la cosa peggiore era che, quello di essere scelti come cavia da laboratorio, era uno dei modi con cui alcune persone erano riuscite a salvarsi, evitando di finire bruciati vivi nei forni, o fucilati contro un muro.
-Non è la stessa strada- sussurrò Marco, come in preda al delirio, dimenandosi dalla stretta del moro che, per non farlo scappare, dovette stringerlo contro il suo petto, in un abbraccio che sapeva di fine e di morte. Si, perché nonostante le parole sconnesse dell’amico, Gianluca era riuscito a comprendere quello che voleva dire, e quando l’aveva capito, aveva sentito il bisogno di stringerlo a se, non tanto per evitargli una morte che sarebbe arrivata comunque, ma perché aveva bisogno di sentire il calore del suo corpo sul suo, di sentire la sua testa appoggiata sul suo petto.
-Non ci stanno portando al lavoro…..Moriremo…Morirò senza…- Maseratti continuava a sussurrare frasi scollegate tra loro, senza un senso apparente. Il sorriso che illuminava costantemente il suo viso era sparito, lasciando il posto alle lacrime. Solo due, semplici lacrime, che correvano veloci sulle sue guance.
Il soldato che li stava guidando, si fermò improvvisamente, urlando qualcosa  a due guardie ferme davanti ad una grande porta, che subito si misero al lavoro per aprirla, facendo scattare le numerose serrature e spingendo i pesanti battenti, spalancandoli completamente. La luce invase i volti di tutti i presenti, rivelando uno spettacolo pietoso: uomini, donne e bambini, sporchi, magrissimi e feriti, in fila, mentre venivano portati al centro di un’enorme spiazzo circondato da alte mura. Il moro notò con profondo stupore e dolore che, tra le persone presenti, c’era anche il ragazzino zoppo, Angelo, quello per cui si era beccato venti frustate.
Lo stesso soldato di prima, urlò ancora qualcosa, e una ventina di tedeschi, con i fucili in mano, fecero il loro ingresso in quella specie di piazza, disponendosi in un’unica fila ordinata, e prendendo la mira ognuno su una persona diversa.
Gianluca deglutì rumorosamente, imprecando mentalmente contro quei mostri, e rendendosi conto che il tempo non gli sarebbe bastato per chiedere perdono di ogni peccato. Guardò con la coda dell’occhio Marco, osservando il suo viso, i suoi occhi, i suoi capelli, tentando di memorizzarne ogni dettaglio, ogni particolare. Sorrise, rassicurato al pensiero che, almeno, sarebbero morti insieme.
I soldati caricarono i fucili, e si preparano a sparare. Zanardi si accorse che Maserati tentava di attirare la sua attenzione, cercando di dirgli disperatamente qualcosa.
Ti amo. Le sue labbra dicevano questo, e Gianluca fece appena in tempo a capirlo, poi sentì qualcosa che lo pizzicava violentemente, e gli attraversava il cuore senza pietà. Un attimo prima di accasciarsi al suolo, il moro vide Marco, anche lui con una macchia rossa sul petto, che gli sorrideva.
Il ricordo di quel sorriso, lo accompagnò serenamente in cielo.
 
 

 

[Amare te è l'unica cosa che mi ha fatto stare davvero bene,
che mi ha dato gioia,
che mi ha dato forza giorno dopo giorno.
Il tuo amore non mi basterà mai, ed è per questo che ti amerò per sempre
.]

 

  
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