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Autore: Herm735    23/03/2013    14 recensioni
Raccolta di One-Shot per provare a dimostrare che, in qualsiasi modo, in qualsiasi mondo, Callie e Arizona si sarebbero trovate. L'ambientazione cambia di capitolo in capitolo, in epoche diverse, luoghi diversi, con una sola costante: il loro amore. Almeno, è così che mi piace pensarla...
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Ringrazio ancora tutti quelli che hanno recensito la storia, siete fantastiche!<3

Avvertimenti: very AU! Multi-crossover (Rizzoli & Isles; Glee; Pretty Little Liars; Dr House; Once Upon a Time)




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Il nostro primo angelo custode


Eravamo sulla terrazza, ci eravamo accomodate sulle rispettive sdraio. C'era una vista niente male, ma noi ci stavamo concentrando sul cielo. Non c'era una nuvola, quella sera, ed ogni stella sembrava particolarmente luminosa.
Presi un sorso del mio drink, continuando a tenere gli occhi puntati verso l'alto.
“È una stranissima serata” osservò Teddy, che era un po' fissata con l'astrologia e cavolate come quella.
Alzai gli occhi al cielo.
“Ci risiamo” sussurrai a me stessa.
“Dico sul serio, succederà qualcosa di strano. Me lo sento. Ho avuto una strana vibrazione per tutta la settimana.”
“L'ultima volta che hai detto una cosa del genere la cosa più emozionante che è accaduta è stato che Addison ha comprato una coca cola non diet” le ricordò la Bailey, anche lei sorseggiando il proprio drink.
“Forse dovremmo smetterla di venire in posti come questo e andare, tipo, a Las Vegas. Lì di sicuro troveremmo compagnia” propose la rossa, sentendosi chiamata in causa.
“No, grazie. Sto cercando la mia anima gemella, non una malattia venerea” le ricordò Miranda.
“Non essere così rigida, Bailey. La tua anima gemella potrebbe arrivare nella forma in cui meno te l'aspetti” continuò Addison.
“Come no” borbottò sarcasticamente.
“Beh, anima gemella o malattia venerea, questi tre giorni sono stati vuoti da entrambi i fronti. È la sera di capodanno e siamo noi quattro da sole nell'attico di New York di Addison che dice di non riuscire a vendere a causa del fatto che ha vissuto per anni qui, mentre tutti sappiamo che non riesce a venderlo a causa della persona con cui viveva qui.”
“Teddy, sta zitta” la riprese la rossa.
“Cosa? È la verità” si difese.
“Oh, ehi, guardate” puntai verso il cielo. “Una stella cadente. Chiudete gli occhi ed esprimete un desiderio.”
Era più che altro un modo per farle smettere di punzecchiarsi.
Chiudemmo tutte e quattro gli occhi, sussurrando la stessa identica frase:
“Desidero trovare il vero amore.”
Forse aveva avuto ragione Teddy fin dal primo momento. Forse, invece, avevamo tutte bevuto troppo e a quel punto ci immaginavamo cose che non esistevano. Fatto sta che le nostre versioni di ciò che accadde in quel momento sono uguali.
Davanti a noi si propagò una luce abbagliante, che ci costrinse a chiudere gli occhi per qualche momento.
Poi sentimmo la voce di una donna.
“Il vostro desiderio è esaurito.”
Poi più niente. Era sparita. La voce, la luce, non c'era più niente.
Ci guardammo, spaesate, per diversi istanti.
“Lo avete visto?” chiese Miranda.
“Io l'ho visto” confermò subito Teddy, eccitata per quello che stava succedendo quasi al punto di essere terrificante.
“E sentito” aggiunse Addie.
“Dio mio, che diavolo era?” chiese Bailey.
“Angelo.”
“Qualsiasi cosa fosse, io dico di darcela a gambe prima che...” iniziai. “Un momento. Chi ha appena parlato?”
Ci voltammo di scatto.
“Angelo” ripeté. “Sono un angelo. Aiutiamo Cupido, di tanto in tanto. Sapete, ha un mucchio di roba da fare” scherzò.
“Ok, Addison, c'è una donna dentro casa tua. Chiama la polizia” ordinai.
“Provaci, se vuoi. Sarà divertente quando arriveranno qui, non saranno in grado di vedermi e vi rinchiuderanno in un manicomio.”
“D'accordo. Niente polizia allora. Dammi la tua mazza da baseball” propose Teddy, tirandosi su le maniche. “Sono stata nell'esercito, dolcezza, e se...”
“Ti prego, non chiamarmi dolcezza, Theodora. Chi pensi che sia, Addison?” chiese, indicando la rossa. “Avete espresso un desiderio, no? Ed io sono qui per esaudirlo” ci disse rivolgendoci un sorriso completo di fossette.
“Ok, questa è un'allucinazione” concluse Addison con semplicità. “Io dico di andare a dormire e vedrete che, domani, quando ci sarà passata la sbronza, non vedremo nessuna donna dai capelli biondi che proclama di essere un angelo.”
“Ferme, ferme, ferme. Aspettate un secondo” ci bloccò Teddy, alzando le mani in maniera palesemente alticcia. “Come funziona questa cosa?” chiese alla donna davanti a noi. “Nel senso, dobbiamo venderti la nostra anima o cose del genere?”
La donna alzò gli occhi al cielo.
“Angelo” puntò un dito contro se stessa. “Sono qui per aiutarvi, visto che sembrate incapaci di risolvere i vostri problemi da sole.”
“Questo che vorrebbe dire?” chiese la Bailey con aria scettica, nel modo in cui era solita rivolgersi a chiunque dubitasse di lei.
“Nel corso delle vostre vite vi sono state mandate delle ottime seconde scelte, sapete?” chiese, facendo apparire delle immagini semplicemente passando una mano nello spazio tra lei e noi. “Ma nessuno di loro vi ha mai accontentato minimamente. Miranda, tu hai avuto Tucker, lui era in una buona posizione, sul secondo gradino, Ben era sul terzo, ma nessuno di loro due è riuscito a mantenere le tue aspettative” spiegò.
“Woah, aspetta, aspetta, che sono adesso i gradini?” chiesi, cercando di capirci qualcosa.
“Ok, facciamo un passo indietro. Sapete quello che si dice, che per ognuno esiste un'anima gemella a questo mondo, da qualche parte?”
“Vuoi dire che non è vero? Dopo tutta la fatica che abbiamo fatto per cercarla?” domandò Teddy, incredula.
“No, certo che esiste. Ma, a volte, capita che qualcuno non possa stare con la propria anima gemella per qualche motivo. Nel caso di Miranda, non riesce ad aprire gli occhi su qualcuno che vive molto vicino a lei. Per Teddy le cose sono più complicate. Doveva incontrare la sua anima gemella anni fa, ma si è arruolata e la sua anima gemella ha sposato qualcun altro. Addison, al contrario, sa perfettamente chi è, almeno inconsciamente, ma è spaventata a morte di sbagliarsi e non riesce a fare i conti con la verità. E tu, Calliope, non farmi nemmeno iniziare. Parlando in senso romantico, sei un disastro che cammina.”
“Pfff, non è vero.”
“Ok, parliamo di George. Lui era un gradino otto. Otto, Calliope.”
“Ed eccoci di nuovo a parlare di gradini.”
“Ok, lasciatemi spiegare. Come dicevo, capita che le persone non possano stare con la loro anima gemella. Ma potranno comunque essere felici, incontrando una delle altre persone che possono accompagnarle nel cammino di questa vita. Supponiamo che ci sia una scala, dove l'anima gemella occupa il primo posto. Che si riesca a trovare, è davvero una cosa molto rara per un motivo o per l'altro. Per la maggior parte, la gente si stufa di cercare e smette di guardare proprio un attimo prima di quanto avrebbe dovuto. Comunque, le persone finiscono per stare con qualcuno sul terzo, quarto, qualche volta perfino quinto gradino. Più in giù è una perdita di tempo, da non arrivare nemmeno al secondo appuntamento. Più in su è amore a prima vista.”
Rimase in silenzio per qualche istante, lasciandoci elaborare.
“Il punto è che la maggior parte delle persone passano accanto alla loro anima gemella senza rendersene conto e vanno avanti con le loro vite e non lo sapranno mai” concluse brevemente.
“Che è successo al mio vero amore?” chiesi. “A loro hai dato una spiegazione, a me hai solo detto che sono un disastro.”
Lei mi rivolse un sorriso così piccolo da poter passare anche inosservato, se non fosse stato accompagnato da una fossetta sulla sua guancia.
“Il tuo vero amore ha fatto qualcosa che non avrebbe dovuto fare e si è trovato in una pessima situazione. Era in servizio in Iraq quando una bomba è esplosa vicino alla sua unità. È morto perché non c'erano abbastanza dottori, laggiù” mosse di nuovo la mano, facendo apparire l'immagine di un uomo molto affascinante, con i capelli biondo cenere e gli occhi azzurri, un'ombra di barba gli circondava il viso, mentre l'uniforme da soldato gli faceva le spalle più grandi di quello che, probabilmente, erano in realtà. “Si chiamava Timothy Robbins. Ti sarebbe davvero piaciuto, Calliope.”
“Ti assomiglia, in qualche modo. Tu...Tu chi sei?”
Lei mi sorrise di nuovo di sfuggita.
“Il mio nome è Arizona. Sarei dovuta nascere, ma serviva un angelo ed hanno scelto me” sventolò una mano. “Storia lunga, non c'entra niente adesso” cambiò discorso sbrigativamente. “Tornando ai tuoi disastri. Il tizio che hai sposato, George? Scalino otto. Non so come sia stato possibile, davvero, considerando che sullo scalino dieci, l'ultimo, ci sono le persone per cui si ha una sorta di antipatia.”
“Che scalino era Owen?” chiese a quel punto Teddy.
“Cinque. Passabile. Se non avesse incontrato Cristina, certo.”
“E Derek?” intercettò Addison.
“Terzo. C'eri davvero vicina. Ma lui e Meredith sono al primo posto l'uno per l'altra.”
“Che mi dici di Mark?” chiesi a quel punto.
“Per te o per lei?”
Io e la mia migliore amica ci scambiammo un'occhiata strana.
“Comunque un due, per entrambe. Ma anche lui ha incontrato il suo numero uno.”
“Lexie” conclusi al posto suo.
“Già.”
“Aspetta, e dov'è quindi Timothy, adesso?”
Lei mi rivolse un sorriso che mi spiazzò per un attimo.
“È proprio accanto a te, Calliope. Tutto il tempo. Tu non puoi vederlo, certo, ma lui è lì. Di voi, tu sei l'unica ad avere un angelo custode personale. In realtà, sei una delle pochissime persone al mondo.”
Io non riuscii a rispondere niente. Chiusi gli occhi, ma non percepii nessuno al mio fianco. Era un colpo duro, scoprire che la persona che avevo cercato per tutta la mia vita, non c'era più. Che non l'avrei mai trovata.
La voce di Arizona mi distrasse da quei pensieri.
“ Allora, iniziamo dalle cose semplici” tirò fuori dalla tasca un foglio molto lungo, che controllò velocemente. “Miranda. Mi vedrai un giorno o l'altro a lavoro” le fece sapere. “Potresti non riconoscermi a prima vista, ma capirai che sono io, fidati” le rivolse un occhiolino. “Con voi tre, ci rivediamo appena ho finito con Miranda” ci fece sapere, sparendo nel nulla subito dopo.
Noi ci scambiammo delle occhiate di confusione.
Fissai il punto in cui era un attimo prima.
“Nah” conclusi alla fine, voltandomi verso la porta della terrazza, preparandomi a rientrare dentro casa. “No, non mi è appena successo davvero.”

Il giorno dopo eravamo di ritorno a lavoro a Seattle. Avevamo evitato di parlarne per il bene delle nostre saluti mentali. Erano passate un paio di settimane, e tutto sembrava essere tranquillo e normale. Proprio come avrebbe dovuto essere.
“Mi serve la cartella della paziente nella 22-34” disse ad alta voce la Bailey.
“Gliela prendo subito” un infermiere le rispose immediatamente.
Lei annuì, mormorando un ringraziamento senza neanche alzare la testa dai fogli che stava compilando.
Fu a quel punto che qualcuno si schiarì la voce.
“Salve, stavo cercando la stanza 22-34.”
Entrambe ci voltammo, probabilmente captando una familiarità nella voce.
“È una parente?” domandai.
“Non importa” le disse Bailey. “L'orario delle visite è terminato. Non può entrare al momento.”
“D'accordo. Tutto ciò che volevo fare, comunque” ci informò scrollando le spalle “era portare un messaggio, chiaro e inconfondibile.”
“E sarebbe?”
“Ecco a lei la cartella dottoressa Bailey.”
“Alza gli occhi, Miranda” sussurrò la donna che ci aveva rivolto parola.
Lei fece come le era stato chiesto, incrociando lo sguardo dell'infermiere e rimanendo spiazzata per un lungo momento.
“Ah, grazie Eli.”
“Si figuri” le sorrise, annuendo brevemente e togliendo il disturbo.
Eccetto per il fatto che non sembrava affatto che Bailey si sentisse disturbata.
“Stai bene?” le chiesi, corrugando la fronte.
“Benissimo” rispose distrattamente, seguendo Eli con lo sguardo.
“L'hai mancato per tutta la tua vita praticamente a causa di una frazione di secondo, Miranda. Spero che da adesso in poi tu sia in grado di vedere.”
Mi voltai per risponderle, ma al nostro fianco non c'era più nessuno.
“Ok, sto iniziando a pensare di essere pazza.”
“Allora siamo in due, Torres. Siamo in due.”
I suoi occhi erano ancora saldamente posizionati sull'infermiere.

Entrai al bar, qualche sera più tardi, sedendomi davanti ad Addison e Teddy.
“Ok, non ci crederete mai.”
Avevano l'aria parecchio abbattuta.
“Lo sappiamo già.”
Fui presa in contropiede. Volevo parlare loro del primo appuntamento in onore del terzo giorno delle fistole. Di sicuro quello non potevano saperlo, giusto?
“Bailey ve lo ha raccontato?”
“No, non Bailey” spiegò Addison. “La nuova cameriera” indicò con l'indice verso il bancone, dove una donna dai capelli biondi e con addosso una maglietta che lasciava poco all'immaginazione stava servendo da bere ai clienti.
“Alla faccia dell'angelo” sussurrai a denti stretti.
Guardò immediatamente nella mia direzione, come se mi avesse sentito. Forse lo aveva fatto, a pensarci bene.
“Che vi ha detto?”
“Non molto. A quanto pare prima di noi ci sono un bel po' di persone sulla lista, quindi dovremo aspettare” continuò la rossa.
“Ma ha anche accennato al fatto che con la Bailey è stato molto, molto più semplice della media, di solito ci vogliono delle settimane perché le cose si stabilizzino, qualche volta dei mesi interi. Quindi potremmo dover aspettare un sacco di tempo” l'espressione di Teddy rispecchiava quella delusa di Addison.
Guardai nella sua direzione.
“Aspettatemi qui. Vado a prendermi un drink” dissi loro, alzandomi in piedi e dirigendomi verso il bancone.
Feci un cenno alla cameriera che subito si diresse verso di me.
“Che posso fare per te?”
“Una vodka doppia con ghiaccio, per prima cosa.”
Lei prese un bicchiere e la bottiglia in questione.
“Adesso si danno ordini?” chiese, guardandomi di sottecchi e cercando di trattenere un sorriso, fallendo però miseramente.
“Hai detto che la mia anima gemella è morta.”
Non ero il tipo da girare attorno alla questione.
Il suo sorriso sparì.
“È così.”
“Ma loro hanno ancora una possibilità, no?” lanciai un'occhiata verso le mie due migliori amiche, al nostro tavolo.
“Sai bene quanto me con chi sono destinate a stare, Calliope. Ma prima di occuparmi di loro ho una lista infinita di persone che non sono così fortunate da avere semplicemente gli occhi chiusi come Teddy o da essere in piena fase di negazione come Addison.”
“E allora portaci con te. Quando vai a far innamorare la gente. Questo potrebbe aprire loro gli occhi, giusto?”
Scrollò le spalle, prendendo del ghiaccio.
“Possibile.”
“Andiamo, sei un angelo. Potrai fare una cosa tipo 'Canto di Natale' e fargli realizzare come stanno le cose una volta per tutte, no?”
Sospirò. “Potrei provarci. Ma non prometto niente.”
“Sono uscita con un tizio, un paio di sere fa” le raccontai. “Appuntamento al buio organizzato dal mio presunto migliore amico. La definizione di catastrofe naturale non si avvicina nemmeno a descrivere quel tipo.”
Lei rise, scuotendo la testa e porgendomi la mia vodka doppia con ghiaccio.
“Sappi che incolpo te per questo” la informai. “Io sto davvero provando a non appesantirti il lavoro, ma tu e il tuo amico Cupido mi state rendendo le cose parecchio difficili” sussurrai con tono cospiratorio.
“Ti dirò un segreto” mi fece cenno di avvicinarmi e si protrasse attraverso il bancone. “Non esiste davvero Cupido. Ognuno trova la sua anima gemella coi suoi tempi e nel suo modo. Ma ci sono casi particolari in cui interveniamo noi angeli. Io mi occupo di una categoria di coppie in particolare.”
“Quale?”
“Credo che lo capirai, quando avremo la nostra prima coppia” mi disse, emozionata, tornando a lavorare.
Io sorrisi, guardandola per un secondo in più, mentre sorseggiavo il mio drink.
Mi alzai, tornando al tavolo da cui mi ero alzata poco prima.
“Via le facce tristi” le ripresi. “L'ho convinta ad uno sconto di pena.”
Alzai il mio bicchiere. Loro dopo un momento che gli servì per registrare il significato delle mie parole, mi sorrisero, facendo scontrare i loro con il mio e svuotandoli subito dopo.

Dopo circa un mese, avevamo avuto il tempo di abituarci all'idea di come sarebbe stato lavorare insieme a lei.
All'inizio sembrava una cosa impossibile e francamente surreale, ma ci avevamo fantasticato sopra talmente tanto che, quando finalmente arrivò il giorno, quasi non vedevamo l'ora di sapere come sarebbe stato rendere felici due persone semplicemente facendole incontrare al momento giusto.
“Questo è strano per me, non l'avevo mai fatto insieme a qualcun altro.”
“Beh, io non l'avevo mai fatto e basta se può consolarti” la informai sorseggiando il mio caffè.
“Ok, ecco l'auto di Jane.”
“Che te ne pare?” sussurrò Addison, che era voltata di spalle.
“Niente male” ammisi. “Capelli castani, non molto alta. Veste parecchio elegante.”
“Oh, no. Quella non è Jane” sussurrò la donna al mio fianco. “Quella è Jane.”
Vidi una donna scendere dal lato del guidatore.
“Lei è più alta. Capelli mori, ricci. Veste un po' come un uomo, ma stranamente le sta comunque molto bene quello che ha addosso” descrissi brevemente.
“Che intendi, come un uomo?” chiese Teddy, voltandosi per lanciare un'occhiata.
“La donna più bassa si chiama Maura. Sono davvero, davvero, un caso senza speranze. Sono la quinta persona che lavora con loro e le ho tenute d'occhio per un mese senza arrivare a conclusioni valide.”
“Che intendi?” chiese Addie, continuando a bere caffè.
“Si lasciano sfuggire tutte le migliori seconde scelte. Jane ha avuto Dean e Casey, Maura ha perfino incontrato la persona esattamente al secondo posto di cui lei stessa parla come il suo grande amore, perfino Tommy, il fratello di Jane, era abbastanza in alto per lei, ma nessuna delle due riesce ad avere una storia stabile.”
“Sono, tipo, rotte o qualcosa del genere?” domandò Teddy, sbirciando di nuovo.
“No” Arizona rise. “Ma non puoi accontentarti di nessuno al secondo gradino, se hai la tua prima scelta che ti sta accanto tutto il tempo come succede a loro.”
“Non sarà un problema per me, giusto? La mia prima scelta è morta” sapevo che non era colpa sua, ma continuavo a rinfacciarle la cosa.
Lei decise, saggiamente, di ignorarmi.
“Eccoci di nuovo allo stesso punto di sempre.”
Ci voltammo tutte, guardando la scena davanti ai nostri occhi.
“Ok, niente supposizioni, te lo prometto. Parola di scout, Maura.”
“Giovanni sembra un tipo simpatico.”
“Oh, oh no. No, no. Sei stata già da quelle parti, ti ricordi? Ho dovuto fingere di essere la tua fidanzata per tirarti fuori dai guai. Due volte!”
“Dico solo...”
“No. Non dire niente, nah-ah. Non mi farò tirare dentro a qualcosa del genere un'altra volta. Se prova di nuovo a mangiarti la faccia, stavolta sei da sola.”
“Ew. Volgare” sussurrò Teddy.
“Questa cosa sta andando a finire dove penso?” sussurrai.
“Dipende. Se pensi che Maura sposerà il fratello di Jane, no, non andrà a finire dove pensi” mi rivolse un sorrisetto che mi fece capire che lei sapeva esattamente cosa stavo pensando e che proprio lì sarebbe andata a finire.
Tornai ad ascoltare loro. La mora stava rispondendo a qualcosa che l'altra le aveva appena detto. “Beh, anch'io. Ma non vuoi venire a letto con me, vero?”
“Oh, Gesù” sussurrai.
“Vero?” chiese in modo più esitante alla mancanza di una risposta.
“No! E non è la prima volta che me lo chiedi, ma la risposta rimane sempre la stessa.”
“Forse lei spera che cambi” commentai con una risata.
“Ferme, quindi sarebbero anime gemelle? Loro due?” chiese Addison. “No, impossibile. Una delle due porta tacchi da cento dollari e l'altra scarpette da tennis.”
“Sai come si dice. Gli opposti si attraggono.”
Io mi alzai, posando il bicchiere ormai vuoto di caffè, sorridendo alla mia idea geniale.
“Ci penso io a loro due. Aspettatemi qui, ci metto un secondo.”
Mi avvicinai alla mora, mettendo su un aria infastidita.
“Mi scusi, non ho potuto fare a meno di notare il distintivo della polizia di Boston. Mi dispiace disturbarla, ma ho un favore da chiederle.”
“Certo, dica pure” mi rispose cordialmente, con un sorriso.
“Ok, vede quella donna?” le indicai Arizona.
“Ah-ah.”
“È la mia ex fidanzata. Sono circa due mesi che mi pedina, adesso è arrivata a importunare perfino le mie amiche. Non è che potrebbe farle un paio di minacce vuote, mostrarle il distintivo, sa, per spaventarla e farla sparire dalla mia vita una volta per tutte?”
Per un attimo sembrò spiazzata.
“Ah, ecco, ok. Certo.”
Le sorrisi educatamente, avvicinandomi al tavolo insieme a lei e la sua amica.
“Ok, mi hai costretto a farlo. Lei è della polizia” mi rivolsi ad Arizona, indicando Jane. “Adesso te lo dirò per l'ultima volta. Smettila di seguirmi” scandii. “Non è più dolce e romantico, è solo disperato e disturbante. Ti ho lasciato, fattene una ragione.”
Quasi si strozzò con il suo caffè.
“Signorina, sono il detective Jane Rizzoli della polizia di Boston. Devo chiederle di smettere e voglio ricordarle che lo stalking è un reato punito molto severamente.”
Lei spostò lentamente lo sguardo su di me.
“Oh, adesso ti seguo?” chiese, inclinando la testa di lato. “Maturo da parte tua, davvero maturo” per un istante pensai che stesse per tradire la balla che avevo raccontato. “Non mi sembrava che la pensassi così, l'altro giorno, quando mi hai fatto fare i salti mortali per non farci beccare da tuo marito.”
Alzai gli occhi al cielo.
“Erano tre mesi fa, le cose sono parecchio diverse, adesso. Ti ho detto che è finita.”
“Un secondo, lei ha un marito?” mi chiese la detective.
“Ah, sì. In realtà adesso siamo separati, ma quando noi ci frequentavamo ero ancora sposata” ammisi casualmente.
“Oh, ok” lanciò un'occhiata alla sua amica.
“Ah, adesso ti sei decisa a lasciarlo?”
“Non ricominciare, ti prego.”
“No, invece ricomincio eccome. Ti ho chiesto di lasciarlo per due anni, due maledetti anni, in cui tu hai ignorato i miei sentimenti e le mie richieste, facendomi sentire sempre come una seconda scelta.”
Se la stava giocando davvero bene. E le finte lacrime agli occhi erano un colpo di classe. Ma non ero disposta a mollare la presa, ancora.
“Beh, l'avrei fatto, se non fossi stata nel bel mezzo di violenze domestiche.”
“Woah, aspetti. Lei subisce violenze domestiche?” chiese Jane, confusa.
“Subivo. E più che altro erano psicologiche” mi ricordai che lavorava per la polizia e mi avrebbe probabilmente chiesto le generalità per denunciare il tipo, se avessi continuato su quella lunghezza d'onda.
“Già, eccetto per le due costole che ti aveva rotto o l'occhio che avevi nero una settimana sì e una no.”
Jane si voltò lentamente verso di me, mentre io distoglievo lo sguardo.
Colpii Addison su un braccio.
“Dille che non è vero” la incitai.
Lei si scambiò un'occhiata veloce con Arizona. Un'occhiata che, in sostanza, significava, 'stai dalla mia parte o scordati la tua anima gemella'.
“I giorni peggiori erano quelli in cui era ubriaco” iniziò a raccontare. “Era terribile.”
“Non stanno dicendo sul serio” rassicurai Jane.
Alzò un sopracciglio nella mia direzione, guardandomi con aria scettica ed aspettando una spiegazione valida.
“Ok, metterò le carte in tavola” iniziai, voltandomi verso di lei ed inspirando. “Noi siamo qui” le dissi, schioccando la lingua “per farvi incontrare la vostra anima gemella” il suo sguardo incredulo mi fermò solo per un istante. “Lei” indicai Arizona “è una specie di Cupido, che fa innamorare le persone.”
“No, no no, in realtà, io faccio solo incontrare alla gente la persona giusta.”
“Tipo, una compagnia di incontri organizzati?” chiese Maura.
“Niente del genere” scossi la testa.
“Una setta, allora?” azzardò Jane. “Perché io non pago nessuna iscrizione e non vi intesto la mia casa, sia chiaro.”
“No, ascoltate. Noi siamo qui” parlai lentamente “per farvi aprire gli occhi sulla persona giusta per voi” spiegai con semplicità, terminando il discorso con un sorriso.
Jane mi osservò per qualche momento, annuendo. Poi si voltò verso Arizona.
“È seria? Perché se è seria devo portarla in centrale per una perizia psichiatrica.”
“No, certo che non è seria” le sorrise. “Ha perso una scommessa. Doveva raccontare le storie più assurde che le venissero in mente ad un agente di polizia.”
Sospirai. “La prego non mi arresti. Lei mi ha costretto” indicai Addison, vendicandomi per il voltafaccia di poco prima.
Maura, sorprendentemente, sorrise.
“Deve essere una situazione strana.”
“Non ne ha idea” confessai.
“Ok, Calliope. Seconda occasione” sussurrò Arizona.
All'improvviso, ero di nuovo in piedi davanti al tavolo, ma girata di spalle, diretta verso le due donne che erano ancora a diversi metri di distanza da noi.
Mi aveva dato l'occasione di tentare di nuovo da capo. Mi voltai verso di lei, che mi rivolse un piccolo occhiolino, mentre continuava a parlare con Addison e Teddy. Loro due, probabilmente, non si erano accorte di niente.
“Poco male” sussurrai a me stessa. “Vada per il piano B.”
Mi avvicinai inspirando profondamente. Perché mai avevo accettato di cacciarmi in quella situazione a dir poco assurda? Gettai un'occhiata alle mie spalle. Ah, giusto. Le mie due migliori amiche.
“Salve” salutai entrambe le donne con un sorriso.
Si voltarono verso di me, ricambiando il saluto.
“Io e la mia amica, laggiù” indicai la bionda “vi abbiamo visto arrivare e ci chiedevamo se per caso voleste unirvi a noi.”
Jane mi guardò confusa, scuotendo appena la testa mentre corrugava la fronte.
“Oppure, se siete occupate, potreste lasciarci i vostri numeri” sperai di essere stata più chiara, con quella frase. Il punto era che io, quale donna eterosessuale, non avevo idea di come avrei dovuto provarci con un'altra donna.
“Ah, siamo lusingate. Davvero” rispose Maura, che aveva finalmente capito dove stavo andando a parare. “Ma, sfortunatamente, già impegnate” si affrettò a prendere la mano di Jane.
“Già impegnate?” dissi con incredulità. “Per piacere, una persona può percepire da sei chilometri di distanza la tensione sessuale tra di voi. Se vi decideste ad aprire gli occhi e...” puntai un dito contro di loro, mettendomi l'altra mano su un fianco.
“Terzo tentativo!”
Di nuovo, ero al tavolo e loro erano lontane. Sospirai, andando loro incontro.
“Buongiorno, mi scusi, ha l'aria familiare. Ci siamo già incontrate prima?”
“No, non credo.”
“Ne è sicura, perché a me sembra proprio di averla già vista da qualche parte.”
Probabilmente la voce che avevo usato era molto lontano dal tono sexy che volevo e più vicino a quello di un maniaco, perché vidi una delle sue mani che scivolava lentamente verso il fodero della pistola.
“Quarto, quarto, quarto” sussurrai, chiudendo gli occhi. “Ti prego, quarto.”
Quando li riaprii ero di nuovo a diversi metri di distanza. Stavo seriamente iniziando a perdere la pazienza.
“Salve, vi occupate di omicidi? Perché ho appena ucciso una persona e...”
“Calliope. Preferirei non farti condannare a morte per oggi, grazie comunque” la sua voce risuonò nella mia testa. “Quinto.”
“Ciao, mi chiedevo se aveste da cambiare cinque dollari.”
“Sesto.”
“Buongiorno, vorrei denunciare un furto, agente. I suoi occhi mi hanno rubato il cuore.”
“Settimo!”
“Ad una di voi va una sveltina? No? E una cosa a tre?”
“Ok, basta. Basta così.”
Fui catapultata di nuovo a sedere al tavolo. Non mi ero mai davvero alzata, a quanto sembrava. Mi aveva semplicemente fatto analizzare cosa sarebbe successo da dentro la mia mente, o qualcosa del genere.
“Lascia fare a me” mi disse con un mezzo sorriso. “Vieni.”
Prese il proprio caffè con una mano e posizionò l'altra saldamente nella mia. Teddy e Addison si misero comode per osservare la scena.
“Guarda e impara” mi disse, mentre ci avvicinavamo alle due donne che stavano parlando animatamente avvicinandosi al piccolo bar.
“E c'era questo...”
Non ho idea di come fece, ma Arizona fece in modo che Jane, gesticolando, colpisse il suo bicchiere, rovesciandole il caffè sulla maglietta.
“Oh, accidenti. Mi scusi, mi scusi tantissimo” prese dei tovaglioli da uno dei tavoli lì all'esterno, porgendoli ad Arizona.
Io fui veloce ad intercettarli, tentando di asciugare la macchia per lei.
“Lascia fare a me. Aspetta. Non muoverti.”
“Cavolo, sono sempre la solita imbranata” disse Arizona, rivolgendole un sorriso di scusa.
“No, è colpa mia. Sono mortificata. E poi è una maglietta bianca.”
“Non si preoccupi” la rassicurai con un sorriso. “Ha un milione di magliette bianche. Praticamente è l'unico colore che indossa. Ora che ci penso, non credo di averti mai visto con altro addosso” notai, ridendo.
“Sempre la solita esagerata. Comunque è vero, ne ho tantissime. Non si deve preoccupare per una macchia, la mia fidanzata riesce a smacchiare qualsiasi cosa. È, tipo, il suo super potere” sorrise, incrociando il mio sguardo.
“Vero” confermai. “Sono quasi magica.”
Se la notizia di noi due le colse alla sprovvista, non lo dettero troppo a vedere.
“Mi lasci almeno ricomprarle il caffè.”
“È davvero molto gentile da parte sua offrirsi di farlo, ma non ce n'è davvero bisogno” le sorrise, includendo le fossette.
“Dice sul serio” intervenni. “Prende qualcosa come sedici caffè al giorno. Uno in meno non può che essere positivo” sorrisi guardandola negli occhi e riprendendo la sua mano con la mia.
“Oh, cavolo” il suo sguardo scivolò verso la cintura della donna davanti a noi. “Polizia?” chiese con un sorriso.
“Già. Detective Jane Rizzoli” le porse la mano.
“Arizona” la strinse velocemente. “Lei è la mia fidanzata, Callie” anche io strinsi velocemente la sua mano.
“Dottoressa Maura Isles” si presentò l'altra donna, stringendo la mano ad entrambe.
“Oh, dottoressa? Davvero? Io sono un chirurgo” le sorrisi.
“Io sono una patologa.”
“Ah. Beh, questo spiega come vi siete conosciute.”
“Callie, lasciale in pace” mi colpì scherzosamente, ma sorridendo dolcemente. “Anche noi ci siamo incontrate a lavoro in realtà.”
“Sapete come si dice. L'unica persona che possa riuscire a tenere a bada l'ego di un chirurgo è un altro chirurgo” spiegai loro, voltandomi poi verso di lei. “E funziona benissimo per me” terminai in modo tenero.
“Di solito le persone che incontriamo per caso vengono fuori essere i principali sospettati di un omicidio, quindi probabilmente farete parte del nostro prossimo caso” ci disse Maura con un sorriso.
“Eh, solo se la vittima è una di loro due” feci un cenno della testa verso il nostro tavolo, dove le due donne furono veloci a distogliere lo sguardo.
Jane gettò un'occhiata verso di loro, poi mi sorrise.
“Devo interpretarla come una minaccia?”
“Oh, sì” confermai. “Sì, dovrebbe. Non fanno altro che comportarsi come una coppia, ma continuano a dire a tutti di non essere una coppia” alzai gli occhi al cielo. “I primi tempi era carino, adesso è solo faticoso.”
Teddy inclinò la testa di lato alle spalle di Jane e Maura, mentre Addison mimò con le labbra la frase 'io ti ucciderò'.
“Già, alcune volte le persone non si rendono conto di quello che hanno davanti agli occhi” continuò Arizona. “Noi due siamo state migliori amiche per anni, prima di renderci conto si essere innamorate.”
Passai un braccio sulle sue spalle, avvicinandola e limitandomi a guardare il suo viso e mantenere realistica la mia parte mentre lei continuava a parlare con loro.
“Allora, suppongo che ci vedremo quando ci accuserete di omicidio, giusto?” sorrise in quel modo che le faceva brillare gli occhi. “È stato un piacere conoscervi.”
Le salutammo con un gesto della mano, tornando a sederci.
“Spero davvero che si rendano conto di quanto si amano” sussurrò. “Quello che hanno è meraviglioso.”
“Un po' mi rende triste pensare che lui sia morto” le confessai, mentre guardavo le due donne interagire. “Ma suppongo che non me ne accorgerò nemmeno. Troverò qualcuno e mi convincerò che amare di più sia impossibile, giusto?” mi voltai, intercettando i suoi occhi, fissi su di me.
Distolse immediatamente lo sguardo.
“Giusto” confermò. “Andiamo. Voglio vedere come sono cambiate le cose nel presente. Se abbiamo fatto bene il nostro lavoro, oggi ormai dovrebbe essere cambiato qualcosa, considerando che qui era un anno fa.”
Teddy e Addison erano rimaste in silenzio per tutto il tempo.
Stavamo aspettando fuori dalla stazione di polizia.
“Vado io” mi offrii.
“Oh, no. Non possiamo metterci una decina di tentativi anche stavolta. Aspettatemi qui, ok?” si allontanò quando le vide dall'altra parte della strada.
Rimasi appoggiata al muretto insieme alle mie migliori amiche.
“Frustrante, no? Insomma, entrambe erano in piena fase di negazione, ma infelici senza aversi accanto.”
“Siamo noi, non è vero?”
Voltai la testa di scatto verso Addison, vedendo i suoi occhi pieni di lacrime.
“Siamo io e Teddy. Siamo come loro.”
“No, non siete come loro. Secondo me, loro se ne erano accorte da tempo, in realtà. Ma pensavano che così fosse più semplice. Voi due...voi non lo sapevate ancora, no? Tutto dipende da cosa farete adesso.”
“Questo cambia tutto, tra noi tre. Vero?” chiese sommessamente Teddy.
“Questo non cambia niente. Voi continuerete a comportarvi da coppia ed io continuerò a prendervi in giro per questo. Tutto sarà esattamente come è sempre stato” dissi loro. “Però voi due sarete molto, molto più felici. Sarà bellissimo. E se sono perfino io a dirlo, deve essere proprio vero, giusto?”
Le feci sorridere. Mi avvicinai, abbracciando entrambe.
“Andrà tutto bene, ok? Voi sarete le persone più schifosamente felici sulla faccia del pianeta” presi le loro mani, avvicinandole finché non intrecciarono le dita.
“Ok, finito. Sono felicemente fidanzate da più di sei mesi e non hanno di certo bisogno del nostro aiuto per far funzionare le cose” ci informò Arizona, tornando. Estrasse la lista dalla tasca dei suoi pantaloni. “I loro nomi sono spariti. Ehi, un momento, perché sono sparite anche Teddy ed Addison?” alzò gli occhi, vedendo le loro mani intrecciate. “Oh. Beh, congratulazioni. Avete trovato la vostra anima gemella. Adesso vi riporto a casa, ok?”
Riaccompagnammo loro due a casa di Addison e poi decidemmo di fare una passeggiata verso il mio appartamento.
“Allora, quindi tutta la storia di Dio era vera, uh?”
“Ed io come potrei saperlo secondo te?” corrugò la fronte. “Non sono mica morta, ancora. Tutto quello che so è che ci sono delle entità che gestiscono l'ordine del mondo in modo che non si crei il caos totale, che fanno in modo che certe leggi vengano rispettate e cose del genere.”
“Aspetta, quindi tu sei viva?”
“Più o meno. Cioè, sono viva, ma non mi è concesso intrattenere rapporti con gli altri esseri umani, quindi è come se fossi morta. Suppongo di doverli ringraziare però, visto che altrimenti sarei morta davvero.”
Corrugai la fronte.
“Credevo avessi detto che non ti hanno permesso di nascere.”
“Oh, certo. È quello che intendevo” si grattò la testa.
“E così gli angeli mentono, eh? Interessante” le sorrisi. “Allora, quindi io avrei il mio angelo personale?”
“Esatto.”
“E dove era, esattamente, e cosa stava facendo, mentre io decidevo di sposare un uomo che a malapena conoscevo?”
“Non ha potuto fare niente per quello. Nessuno può negarti il più grande diritto della vita che inizia con la nascita stessa.”
“L'amore?”
Lei rise, un po' sarcasticamente.
“Il libero arbitrio.”
Aveva ragione. Niente è più grande della libertà.
“Ha provato ad impedirtelo mandandoti dei segnali, alcuni anche molto evidenti. Ma era un periodo molto strano per te. Il tuo cuore, in qualche modo, si era reso conto di aver perso il suo destino ed avevano iniziato a succederti cose strane. George, diventare specializzando capo, il desiderio più che improvviso di avere bambini. E poi erano le sue prime settimane come tuo angelo custode, visto che era appena morto.”
“Già. Non deve essere stato semplice abituarsi a quello.”
Lei rise. “Non lo è mai. La morte è uno strano passo nel cammino della vita. Le persone non si rendono conto che può però non essere l'ultimo passo.”
“Giusto. Quindi che hai intenzione di farne di me? Rimarrò single a vita? O mi presenterai uno dei tizi sullo scalino due, o sul tre?”
Lei mi sorrise enigmaticamente, ma non rispose. Eravamo arrivate al mio appartamento.
“Addio, Calliope.”
“No, aspetta. Voglio continuare ad aiutarti con quella lista. Prima finisci con loro, prima arriva il mio turno, giusto?” chiesi speranzosa. “Lasciami venire con te la prossima volta che torni indietro nel tempo.”
“Te lo farò sapere” rispose non molto definitivamente. “Ci vediamo in giro.”
Mi lasciò da sola nella notte di Seattle.

“Ok, quindi sono passate due settimane e non si è più fatta viva?” chiese Addison.
“No. Non credo che tornerà, l'avete sentita ragazze. La mia anima gemella è due metri sotto terra.”
“Attenta a come parli. Potrebbe sentirti, se Arizona dice la verità è sempre al tuo fianco, no?” mi riprese Teddy.
“Siete pronte per ordinare?”
“Una doppia vodka con ghiaccio” risposi senza alzare gli occhi dal tavolo.
Lui scrisse velocemente i nostri drink e se ne andò. Appoggiai la guancia sul palmo della mia mano, sospirando.
“Non lo so. Forse non troverò mai qualcuno abbastanza in alto sulla maledetta scala. Forse è meglio così in ogni caso.”
“Andiamo, non puoi semplicemente arrenderti. Ci dev'essere qualcuno.”
“Salve, questo posto è occupato?”
“Oh, sì. Stiamo aspettando una nostra amica” risposi, guardando in basso verso il giacchetto che ci avevo appoggiato sopra.
Lui se ne andò senza fare altre domande. Tolsi il giacchetto, sperando che Bailey arrivasse di lì a poco.
“Insomma, non deve essere una passeggiata per lui, no?” chiesi a bassa voce. “Vedere la sua anima gemella vivere felice con qualcun altro.”
“Callie, non lo conosci nemmeno, no? Per quello che ne sai, non ti sarebbe neanche piaciuto più di tanto.”
“No, sentite, quello che avevo con Mark, non era giusto. Potevo sentirlo quando eravamo insieme. E lui era allo scalino numero due” spiegai. “Grazie” dissi al cameriere che ci portò i drink che avevamo ordinato, prendendo il mio distrattamente.
“Ma forse non era proprio il numero due, no? Forse c'è qualcuno tra Mark e quel tizio.”
“Scusi, mi saprebbe dire l'ora?”
“Ah, le nove e mezza” risposi sovrappensiero, senza prendermi il disturbo di alzare lo sguardo.
Lui aspettò un istante in più, quando capì che non avrei aggiunto altro se ne andò.
“Ok, Calliope, mi stai rendendo le cose difficili, lo sai, vero?”
Ci voltammo per vedere il posto della Bailey occupato da una donna con i capelli biondi.
“Guarda un po', chi non muore si rivede.”
“Tecnicamente, sono morta eccome. Ma non è questo il punto. Io mi sto davvero impegnando, ma solo stasera hai bruciato tre persone. Nell'ultima settimana dodici. Non so come ci riesci, davvero, non li guardi nemmeno negli occhi. Come pretendi che io ti faccia innamorare? Hai ignorato il cameriere, il tizio del posto, quello dell'ora. Ho fatto assumere nella tua caffetteria preferita uno del terzo scalino come cameriere ed in due settimane non gli hai ancora rivolto parola eccetto per ordinare il tuo cappuccino!”
“Cavolo. Faccio proprio schifo” osservai.
Si passò una mano tra i capelli.
“No, forse, sai, forse è colpa mia.”
Si guardò attorno, finché, improvvisamente, sembrò essere colta da un'idea.
“Ok, ci sono. Andiamo, ti porto in un posto con me.”
La seguii fuori dal locale. Aprii la porta per lei, varcandola subito dopo. Ma quando fui dall'altra parte non vidi la strada buia di una serata umida di Seattle. Quello che vidi fu il corridoio di un liceo di non so quale città.
“Dove siamo?”
“Lima, Ohio.”
“Che ci facciamo qui?”
“Guarda tu stessa.”
Mi voltai verso l'unico ragazzo presente nel corridoio. Aveva i capelli castani, non era molto alto e non sembrava atletico. Aveva la faccia di un ragazzino tranquillo, però.
“Ehi, Kurt.”
“Oh, ciao Brittany. Che ci fai ancora a scuola?”
“Mi sono persa di nuovo.”
Il ragazzo sorrise.
“Vieni, ti accompagno a casa.”
“No, non fa niente. So che hai le prove con i ragazzi della banda.”
“La banda?” chiesi, corrugando la fronte.
“Dovresti sentire come canta quel ragazzo, Calliope. O vedere come balla quella ragazza. Erano entrambi destinati a far parte del Glee club della loro scuola, ma non ce n'è più uno da qualche anno a causa del numero insufficiente di iscrizioni.”
Arrivarono dei ragazzi con dei giubbotti, probabilmente giocatori di football.
Uno di loro, passando, gettò Kurt addosso agli armadietti con forza.
“Che idiota” scattai in avanti, ma Arizona mi fermò.
“Non ti vedono” mi ricordò.
Io lo guardai ridere insieme ai suoi amici, per poi prendere la mano di una delle poche cheerleader che erano con loro.
“Vedi quella ragazza? Sarebbe dovuta essere il membro del Glee che permetteva al gruppo di esistere, ma i suoi cosiddetti amici non avrebbero approvato, quindi non si è mai unita al club. E quest'anno avrebbero vinto i campionati nazionali, Calliope.”
Il gruppo di giocatori si allontanò. La ragazza si gettò un ultimo sguardo indietro, incrociando gli occhi dei due ragazzi che di sicuro i suoi amici consideravano perdenti. Non lei, però, notai vedendo il suo sguardo dispiaciuto. Lei sarebbe voluta rimanere e avrebbe voluto aiutare quel ragazzo a rialzarsi.
“Lei è la parte più triste in questa realtà” indicò con un cenno della testa la ragazza bionda che stava aiutando il suo amico a rialzarsi. “È persa.”
Non si riferiva solo al fatto che si era persa in quel momento dentro la scuola, lo sapevo. Era qualcosa di ben più profondo. Un velo nei suoi occhi che non aveva nome, se non forse proprio quello che Arizona aveva implicato. Solitudine.
“È persa senza la sua anima affine.”
“È terribile” sussurrai.
“Torniamo indietro, adesso. E cambiamo qualcosa di piccolissimo, stavolta.”
Mi condusse fuori dal liceo passando dalla porta principale.
Eravamo in mezzo ad un parco giochi quasi deserto. C'erano sì e no una decina di bambini, divisi in tre, forse quattro gruppi. C'era una bambina, però, che stava giocando da sola. Che teneva in mano la corda con cui stava saltando in modo strano perché non c'era nessuno a reggerla per lei.
Il mio sguardo, però, fu catturato da un'altra bambina. Era seduta su una delle altalene. Anche lei era da sola. Aveva sulla testa un cappello che la copriva alla vista del mondo e copriva la vista del mondo a lei.
“È la ragazza di prima. La bionda.”
“Brittany” mi ricordò Arizona.
“Lei” confermai. “Perché siamo qui?”
Mi sorrise. “Stiamo per scrivere una delle più grandi storie d'amore che il mondo abbia mai visto, Calliope. Guarda.”
Mosse una mano nell'aria. Non c'era stato un filo di vento, fino a quel momento, ma il cappello di Brittany volò via da sopra la sua testa solo per andarsi a posare proprio davanti alla bambina con la corda. Lei lo raccolse da terra, porgendoglielo non appena la vide arrivare.
“Grazie.”
“Prego.”
“Sarebbe volato via di sicuro, se tu non l'avessi raccolto” se lo risistemò sulla testa, rivolgendo un sorriso smagliante alla bambina davanti a lei.
“Vuoi saltare con la corda insieme a me?”
Il viso della bambina dai capelli biondi si illuminò.
“Mi chiamo Brittany.”
“Io sono Santana.”
Il tempo iniziò a scorrere più velocemente. In pochi secondi, vidi tutto il pomeriggio che avevano passato insieme, finché, al tramonto, erano tornate verso i loro genitori.
Sorrisi. Avevano i mignoli intrecciati.
“Vuoi vedere come sono le cose adesso?”
Annuii.
Quando fummo di nuovo dentro il liceo, in particolare dentro una stanza con delle sedie ed un pianoforte, notai un trofeo enorme.
“Hanno vinto le nazionali” notai.
“E non è tutto. Guarda” uscimmo nel corridoio.
Il ragazzo che avevo visto prima essere buttato contro un armadietto stava prendendo dei libri proprio come la prima volta. Lo stesso ragazzo, lo buttò contro lo stesso identico armadietto.
“Ehi Karofsky, ti conviene dartela a gambe. Ho delle lamette tra i capelli, sono tutte lì” fece un gesto attorno propria testa.
Il ragazzo forzò un sorriso e poi si dileguò. Era la ragazza dagli occhi tristi che lo teneva per mano nella realtà precedente, la cheerleader che non era nel Glee la prima volta per colpa dei suoi cosiddetti amici.
“Tutto bene, Hummel?”
“Sì. Ti ringrazio Santana.”
“Non dirlo nemmeno. Il tuo preziosissimo canarino mi avrebbe rotto per mesi se non ti avessi difeso.”
“Usignolo” la corresse. “E ormai è un anno che è con noi nei Nuovi Percorsi.”
“Come ti pare. Devo andare. Brittany mi sta aspettando.”
Lo superò, solo per fermarsi qualche armadietto più in là.
“Ehi Britt-Britt. Perché quella faccia?”
“Credo che Lord Tubbington abbia ripreso a fumare. E mi sono persa di nuovo.”
La ragazza dai capelli mori sorrise.
“Sai che non puoi perderti mai, finché ci sono io, Britt. Io ritroverò sempre la strada di casa per te, così come ritroverò sempre la strada fino a te, ovunque tu sia.”
Le tese la mano.
La ragazza intrecciò il proprio mignolo con il suo, sorridendole in modo disarmante.
“Sai, Quinn ha comprato a Rachel un abbonamento per andarla a trovare.”
“Oh, Dio. Giuro che qualche volta l'ottusità di Quinn mi demoralizza. Cioè, quanto altro tempo ci metterà a capire che Berry sbava dietro il suo sedere foderato dall'uniforme da cheerleader da tre anni?”
“Non essere gelosa, Santana.”
“Gelosa?” chiese, ritraendo il mignolo solo per intrecciare la mano completamente a quella dell'altra ragazza. “Perché mai dovrei essere gelosa? Io ho te” le ricordò, baciandola a fior di labbra.
Si sorrisero, riprendendo a camminare.
“Se sapessi tutto quello che hanno passato, capiresti quanto è incredibile questa storia” mi fece sapere Arizona.
“Mi basta guardare i loro occhi mentre si guardano per capire quanto è incredibile questa storia” sussurrai, guardandole ridere insieme mentre si allontanavano.

“Allora, ancora niente? Neanche un appuntamento?”
“No, niente di niente. Arizona ha detto che devo avere pazienza, Addie, ma onestamente non so dopo quanto tempo la speranza diventa disperazione.”
“Se può consolarti io e Teddy non siamo mai state così felici.”
“Oh, sì. Sì, la vostra felicità mi consola. No, aspetta. Questo non sembra sollievo” osservai. “Oh, giusto” schioccai le dita teatralmente. “Perché è gelosia.”
Lei rise.
“Non lo so. Continuavo ad uscire sempre con tipi uguali, sai? Ragazzi di bell'aspetto, però anche gentili. Ma tutti finivano sempre per comportarsi da stupidi con me. Forse sono io che sono sbagliata.”
“No, io non penso. Penso che stai cercando il tipo sbagliato d'uomo, questo sì.”
“Il punto, Addison, è che non ho nemmeno più idea di quale sia il tipo giusto, ormai.”

“Ok, per prima cosa, dove siamo?”
“Siamo a Rosewood, Pennsylvania.”
“Bene. E che ci facciamo qui?”
“Dopo l'ultima volta, ho pensato che ti avrei portata di nuovo. Sembravi così grata di vedere Brittany e Santana felici.”
“Lo ero” confermai. “Lo ero davvero. Sembravano diverse da prima. Mi rende un po' triste sapere che a me non succederà, ma allo stesso tempo sono contenta di poterlo almeno vedere in altre persone.”
“Ecco qui, guarda.”
“Oh, oh mio Dio, quella tizia sta tentando di affogare un'altra ragazza.”
“No. No, stai a vedere.”
Non potevamo sentirle parlare. Poco importante, visto che un attimo dopo la scena era cambiata ed eravamo in una camera da letto.
“Sai, tu eri il tipo di ragazzo che cercavo quando ancora cercavo un ragazzo. Qualcuno che mi facesse salire su un palco e cantare.”
“Che? Aspetta, loro due? No, ha tentato di affogarla! Deve esserci un errore” protestai.
“Sssh, ascolta e basta, ok?”
Il posto cambiò di nuovo. Eravamo ad una specie di ballo.
“Non eri pronta. E questo va bene.”
“Vorrei aver lottato più duramente per te” le disse con le lacrime agli occhi.
“Mi dispiace, Paige.”
“Non te lo sto dicendo perché tu sia dispiaciuta. Ma perché voglio essere onesta. Ci tengo a te, quindi sarò qui per te. Per qualsiasi cosa ti serva.”
“Quello che mi serve adesso è un'amica.”
“Allora è ufficiale. Siamo amiche.”
Il modo in cui la guardava. Il modo in cui suoi occhi brillavano. Mio Dio, forse il momento era sbagliato, ma loro due erano giuste. Erano perfette l'una per l'altra. Sorrisi brevemente, guardandole sorridersi.
“Non capisco che c'è che non va in questa storia. È perfetta. Quando arriverà il momento, la loro amicizia diventerà qualcosa di più” conclusi con sicurezza.
Mi voltai verso Arizona, che le stava guardando con gli occhi che le brillavano. Diventai immediatamente seria.
“Penseresti che questo sia ciò che dovrebbe accadere, no?” chiese, voltandosi verso di me con un sorriso triste sulle labbra. “Ma questa è l'ultima volta che Emily e Paige si parleranno. Non si vedranno mai più, per tutto il resto delle loro vite.”
Mi voltai di nuovo verso le due ragazze.
“Ma...ma la guarda con una luce negli occhi che...toglie il fiato.”
“Lo so. Paige ha già capito che Emily è la sua anima gemella, ma lei è ancora attaccata al suo primo amore, Alison.”
“Cosa possiamo fare?” chiesi, senza distogliere lo sguardo da loro due. “Dobbiamo salvarle in qualche modo, no?”
Lei sospirò. “Vorrei che potessimo farlo, ma non so come. Ho provato, davvero. Ma tutto ciò che ottengo sono piccoli cambiamenti. Forse sto sbagliando qualcosa.”
“Forse non sei andata abbastanza indietro.”
“Oh, no. Con loro due non si può. Il loro passato deve rimanere com'è. Ma c'è qualcosa che devo poter fare, in quest'ultimo periodo delle loro vite.”
“Aspetta. La ragazza con gli occhi che brillano, Paige, giusto?”
“Giusto.”
“Si è scusata per qualcosa che ha fatto.”
“Oh, aspetta. Lascia che te lo faccia vedere.”
Ci trovammo fuori da un ristorante, osservai attentamente la scena che si svolse davanti ai miei occhi e che terminò in un bacio mancato.
“Eccolo. Ecco cosa puoi cambiare. Dice di aver sbagliato, di voler essere qualsiasi cosa di cui ha bisogno. Il problema è il bacio. Forse se lei non facesse pressioni adesso, Emily sarebbe più aperta la sera in cui si parlano.”
“Beh, possiamo provare. Ma non sarà facile, cambiare la sua scelta. Il libero arbitrio...”
“Sì, sì. Mi ricordo. 'Libere scelte. Bla bla. Le persone sbagliano. Bla bla bla.' Lascia fare a me.”
Mi riportò all'inizio della conversazione.
Appena vidi cosa stava per succedere mi avvicinai, schiarendomi la voce e attirando la loro attenzione.
“Scusate, sapreste dirmi l'orario?” chiesi con un sorriso appena accennato.
Ecco fatto. Avevo rovinato il momento.
“Ah, un quarto alle dieci” rispose Emily educatamente.
“Vi ringrazio. Buona serata” augurai loro, tornando verso Arizona, rivolgendole un piccolo occhiolino.
“Ok, vediamo che è successo” propose.
Emily e Paige andarono al ballo insieme. Danzarono e parlarono e ci fu un momento davvero dolcissimo in cui entrambe sentirono l'elettricità nell'aria.
Si baciarono in modo casto e veloce, perché chiunque dei loro compagni di classe si sarebbe potuto voltare da un momento all'altro.
“Vorrei aver lottato più duramente per te” le sussurrò mentre ballavano, evitando di guardarsi negli occhi a causa del momento che avevano appena vissuto.
Emily alzò gli occhi, guardandola per qualche istante.
“Sei qui adesso. Sei tornata indietro, mentre le altre persone si sono limitate a scappare.”
“Tornerei sempre indietro per te.”
Ed ecco che di nuovo aveva le lacrime agli occhi e quello strano tono di voce, come se stesse un po' tremando.
Emily l'abbracciò un po' più forte e si spostò un po' più vicina.
“Sono felice di sentirtelo dire.”
Sorrisi a me stessa. Sapevo che sarebbe stata una buona idea.
“Diamo un'occhiata al futuro, ti va?” domandò conoscendo già perfettamente la risposta.
“Ci puoi scommettere.”
Eravamo una decina, forse vent'anni nel futuro.
“Sembrano felici” osservai, vedendole scherzare mentre stavano pranzando insieme. “Davvero felici.”
“Lo sono” intervenne sommessamente. “Hanno finalmente capito entrambe.”
Si voltò verso di me, sorridendomi.
“Devo riportarti a casa” mi informò, inclinando la testa di lato.
“Odio questa parte in cui sparisci per giorni e giorni, sai? Odio quando devi riportarmi indietro, mi piace questo lavoro, rendere le persone felici. E mi piace passare del tempo con te.”
Rise di cuore.
Ma un attimo dopo ero comunque da sola davanti alla porta del mio appartamento.

“Questa storia è andata avanti anche troppo a lungo” mi disse Teddy.
“Secondo me tre coppie sono più che sufficienti, adesso dovrebbe essere il tuo turno” mi fece notare Addison.
“No, sono sicura che lei nel frattempo mi stava mandando persone adatte a me, è solo che mi sembra di non riuscire a vedere nessuno di loro. Forse, sapete, è il periodo sbagliato. Forse mi serve tempo per me stessa.”
“E gli ultimi tre anni cos'erano, una pausa dall'amore tra il tempo per te stessa di prima e quello di adesso?”
“No” la guardai con incredulità. “C'è stato George” le ricordai “e Mark.”
“Entrambi un fiasco.”
“Sì, ma non è questo il punto. Mi sto stancando di provare, ragazze. Forse dovrei accontentarmi di quello che ho.”
“E cosa sarebbe esattamente?” domandò scetticamente Teddy.
“Un angelo custode.”
“Ok, sapevo dove saresti andata a parare. Di nuovo con questa storia. Va bene, ti dico io che devi fare. Devi trovare questo tipo, andare a parlare con la sua famiglia e farti dire qualcosa di lui, in modo da convincerti che probabilmente non sareste andati neanche lontanamente d'accordo, così puoi dimenticartelo e tornare ad occuparti delle tue relazioni sentimentali con gente che è ancora nel mondo dei vivi.”
Io risi. “Magari fosse così semplice. Vedete, la vita è un cammino e la morte non è che un passo di questo cammino. Solo che, qualche volta, non è l'ultimo.”
“Fammi indovinare, questa frase è della tua nuova migliore amica.”
Io alzai gli occhi al cielo.
“E anche se fosse? Arizona mi piace, ok? Mi piace passare del tempo con lei e non ho intenzione di rinunciarci a causa della vostra paranoia.”
“D'accordo. Ok, va bene, mi arrendo” Addison alzò entrambe le mani in segno di resa. “Continua a giocare coi dardi di Cupido quanto vuoi. Ma, te lo chiedo come favore personale, nel frattempo, cerca di scoprire chi era questo tizio.”
Sospirai pesantemente, spostando lo sguardo da lei a Teddy e viceversa per diverse volte.
“Perché no” dissi alla fine. “Potrebbe essere utile, alla fine.”
Continuai a sorseggiare il mio caffè mentre l'argomento della discussione si spostava sull'imminente convivenza di Miranda ed Eli.

“Benvenuta a Princeton, New Jersey.”
“Ok, questo posto è più strano del solito. Dove siamo?”
“Fuori da un locale gay. Vieni, entriamo. Ti offro da bere.”
Io la seguii all'interno, molto incerta.
“Mi stai chiedendo di uscire? Perché se mi hai portato in un altro Stato per...”
“Oh, no no no. Figurati. Stiamo aspettando la nostra prossima persona che si è persa in questo lungo, lungo cammino.”
“Ok, beh, fammi un fischio quando arriva. Ma visto che si è persa ed è un lungo cammino potrebbe volerci un po'” le feci presente. “Quindi io nel frattempo mi prendo qualcosa da bere. Vuoi qualcosa?”
Lei rise. “No, ti ringrazio.”
Ordinai una vodka doppia con ghiaccio al barista.
“Oh, wow. Guarda la ragazza di stasera. Bruna con gli occhi scuri ed un fisico da paura. Remy si sta allontanando sempre di più” mi voltai, seguendo il suo sguardo.
“Chi è Remy?” domandai, vedendo due ragazze interagire.
“È una donna che ha vissuto tutta la sua vita alla ricerca disperata di qualcosa. L'aveva quasi trovato, ma poi la sua malattia...”
“Malattia?”
“Ha la corea di Hungtington.”
“Cavolo” sussurrai, facendo una smorfia. “È terribile.”
“Lo è. Ma quel che è peggio è che invece di passare i suoi ultimi giorni con il suo grande amore se ne va in giro a rimorchiare ragazze nei bar.”
“Possiamo fare qualcosa?”
Mi voltai per vederla rivolgermi un sorriso.
“Possiamo sempre fare qualcosa.”
La scena davanti ai nostri occhi era cambiata. La ragazza di prima era insieme ad un uomo alto, dai capelli neri e gli occhi scuri.
“Chi è lui?”
“Il suo nome è Eric Foreman.”
“Sembrano una coppia carina.”
“Vero. Non staranno insieme ancora a lungo, però.”
Eravamo in un laboratorio analisi. Quando spostai lo sguardo dal profilo di Arizona non c'era più l'uomo di prima accanto a lei. C'era una donna.
“Dovresti leggere quei risultati. Credo che dovresti farlo.”
“Non credo...” scosse la testa. “Non voglio leggere quello che c'è scritto lì dentro.”
“Perché li hai fatti, allora?”
“Volevo solo zittire House.”
“Ah, questo posso capirlo” le rivolse un sorriso empatico. “Io facevo cose del genere tutto il tempo, finché ho capito che non esiste un modo efficace per far stare zitto House.”
“Ti ha cambiata, non è vero? Lavorare con lui intendo.”
“Già” rise con se stessa di qualcosa che non disse ad alta voce, guardando in basso. “Mi ha cambiata più che altro tutto quello che è successo mentre lavoravo con lui. La mia vita è molto diversa da com'era anni fa.”
“Capisco che intendi” sussurrò, rigirandosi la busta tra le mani. “Tieni. Aprila tu.”
L'altra donna fissò la carta senza muovere un muscolo.
“Non credo che sia una buona idea.”
“Andiamo, sei un medico. Dai brutte notizie ai pazienti tutto il tempo, no?”
“Generalmente sono persone che non rivedrò mai più, non colleghi o amici.”
“Noi non siamo amiche” le disse con aria seria.
L'altra donna rise.
“Hai rubato una battuta di Foreman, lo sai?”
“Dico sul serio. Ci conosciamo a malapena. Noi sai niente di me.”
Non le rispose. Picchiettò le dita sul ripiano davanti a loro.
“Probabilmente hai ragione. Ma questo non cambia il fatto che non leggerò i risultati per te.”
“Se ne sta per andare” sentii la voce di Arizona al mio fianco. “A breve lascerà la città.”
“La bionda?” chiesi. “Credevo che la sua anima gemella fosse il tizio di colore.”
“Oh, cielo, no. Hai visto come guarda lei? Sfortunatamente, non si vedranno mai più. A meno che noi non facciamo in modo che rimanga.”
“E come, esattamente?”
“Non hai ancora imparato? Dal loro passato, ovviamente.”
Uscimmo dalla stanza, solo perché mi ritrovassi ancora più confusa del solito mentre passeggiavamo in un pronto soccorso.
“Dove siamo?”
“Al loro primo incontro da sole.”
“House ti sta dando il tormento, vero?”
“Come riuscivi a stargli dietro?”
“Non ci riuscivo. Ecco perché ho dato le dimissioni.”
“Sì, ma i tre anni prima...”
“Non puoi tenere il passo con House, Tredici. Lui sta sempre sei passi avanti.”
“Non chiamarmi in quel modo. Lo fa abbastanza lui per tutti.”
“Scusa” rispose con una piccola risata. “Remy, giusto?” le tese una mano. “Allison Cameron.”
“So chi sei” rispose, tuttavia stringendogliela. “Sei una specie di leggenda.”
La donna rise di gusto, scuotendo la testa.
“Lavorare con House è stato snervante. Per tre anni, tutto ciò che mangiavo, bevevo e dormivo era il lavoro. Non è una vita che consiglio a nessuno.”
“Sei molto incoraggiante.”
“Mi dispiace. Sono sicura che te la caverai meglio di quanto sono riuscita a fare io.”
“Senti, che ne dici di condividere con me qualche storia che possa tornarmi utile? In cambio pago da bere io per tutta la sera.”
La bionda si fermò, sorridendole.
“Sono di turno stasera.”
“Oh, no, non lo sei” sussurrai, guardando Arizona. “Scommetto che puoi fare in modo che qualcuno la sostituisca.”
“Va bene. Stavolta facciamo a modo tuo” mi rispose, mentre la scena davanti ai nostri occhi cambiava.
Erano sedute vicine al bancone di un bar.
“Sono uscite insieme, quindi” osservai.
“No. Stanno parlando, per il momento, visto che Cameron pensa di essere etero.”
“Aspetta, come può essere la sua anima gemella, se è etero?”
“Non ho detto che lo è. Ho detto che pensa di esserlo.”
“Non posso crederci. A vedere i Monster Truck?”
“Non ridere, ok? È stata una bella serata. Foreman non la smetteva più di prendermi in giro a riguardo, però.”
Remy abbassò lo sguardo.
“Sembra un tipo apposto.”
“Oh, guarda chi si è presa una cotta la sua prima settimana di lavoro” la prese in giro la donna al suo fianco.
“Ah, no. Non sono proprio interessata ad una storia ora come ora. Sono uscita da una relazione seria e non sono pronta a frequentare di nuovo qualcuno.”
“Come si chiamava lui?” chiese distrattamente Allison, sorseggiando il suo drink.
“Shannon.”
Quasi si strozzò con il contenuto del bicchiere.
“Ok, quindi o i suoi genitori gli volevano davvero molto male, oppure lui era in realtà una lei” sorrise, riprendendosi dall'essersi quasi strozzata.
“È un problema?”
“No, perché dovrebbe esserlo?”
“Beh, ecco fatto. Diventeranno migliori amiche, si fidanzeranno, si sposeranno e vivranno per sempre felici e contente” le rivolsi un sorriso abbagliante.
“Non esattamente. Questa non è una storia come le altre. Diventeranno migliori amiche, su questo avevi ragione. Ma Remy non parlerà mai dei suoi sentimenti per paura di perdere Allison. Finché, un giorno, inizieranno gli spasmi.”
Il sorriso che avevo sparì lentamente e fu rimpiazzato da un'espressione seria di contrariata tristezza.
“Cameron rimarrà al suo fianco per tutta la malattia.”
Mi voltai di nuovo. Al bancone del bar c'era seduta solo la donna dai capelli biondi, che stava sorseggiando qualcosa dall'aria particolarmente forte.
“Solo dopo la sua morte si renderà conto di averla amata. Più di quanto avrebbe dovuto in quanto sua migliore amica. Si sono amate. E questo va bene, anche se non lo sapranno mai.”
“Avrebbero potuto essere felici” le feci notare.
“Non avrebbero potuto. Era una corsa contro il tempo. Cameron sarebbe stata spaventata dai suoi sentimenti, si sarebbe allontanata a lungo, avrebbe perso un sacco di tempo. Così, invece, le è rimasta affianco per tutta la sua vita. Ogni secondo.”
“Ma...ma potevano essere felici” sussurrai, incapace di accattare quel finale.
“Non più di quanto lo sono state, Calliope. Capita, a volte, che la tua anima gemella sia la persona che ti è rimasta affianco per tutta la tua vita. Capita che la tua anima gemella sia la tua migliore amica.”
“Guardala, Arizona. È infelice. È distrutta. È persa” sussurrai l'ultima parola. “Non è cambiato niente, non si è risolto niente.”
“Certo che si è risolto qualcosa. Qualsiasi cosa succeda da adesso in poi, lei avrà sempre il ricordo di Remy ad accompagnarla. Lo terrà sempre stretto al cuore, in modo che la guidi. Cameron non sarà da sola mai più, Calliope. Non si perderà mai più.”
Guardai verso Allison. Aveva gli occhi arrossati ed aveva pianto. Sembrava triste. Sembrava un dolore, il suo, di quelli che non vanno più via neanche dopo anni, neanche dopo la guarigione. Ma a guardarla bene negli occhi, facendo caso a quella piccola luce che vi brillava dentro, si poteva vedere che, per quando distrutta, non era sperduta.

“Stavo cercando il suo nome su Google, ieri sera” raccontai alla Bailey. “È andata via la corrente all'improvviso.”
“Strano.”
“Non è tutto. Stamani ci ho riprovato qui in ospedale. Il computer che stavo usando ha iniziato letteralmente ad andare a fuoco. C'era del fumo che usciva da quell'affare. Ho chiamato un tecnico e lui mi ha detto che qualche giorno fa era apposto e stamani si sono inspiegabilmente fusi alcuni dei circuiti.”
“Ok, questo va ben oltre la mia definizione di strano.”
“È esattamente quello che ho pensato anche io. È come se qualcuno non volesse farmi trovare informazioni sul suo conto.”
“Non serve certo un campione di Cluedo per capire chi esattamente ti sta mettendo i bastoni tra le ruote.”
Io la guardai, la fronte corrugata.
“È lui Torres, sveglia. Il tuo angelo custode ti sta impedendo di scoprire cose sul suo conto. Forse è un segno. Dovresti lasciar perdere.”
“Non posso lasciar perdere, Bailey. Sto impazzendo. Devo sapere qualcosa su di lui, qualsiasi cosa che possa aiutarmi a capire chi fosse. Ho bisogno di qualche risposta alla mia ridicola quantità di domande.”
“D'accordo. Stai solo attenta nel frattempo a non far esplodere un altro computer. O una risonanza magnetica.”
Io risi.
“Ci proverò.”

“Questa città è strana davvero.”
“Che te lo fa pensare?”
“Non lo so. È più che altro una sensazione. Ma c'è qualcosa di incredibilmente surreale in queste persone.”
Lei si limitò ad una piccola risata, chiaramente a conoscenza di cose che io non sapevo.
“Dove hai detto che siamo?”
“Storybrook, Maine.”
“Ok, chi dobbiamo aiutare stavolta? Le due ragazze laggiù? O quelle due donne dall'altra parte della strada? No, non dirmelo, sono le due tizie sedute dentro la tavola calda.”
“Che ti fa pensare che si tratti di due donne?”
“Oh, per piacere. Come se non avessi capito che sta succedendo.”
La vidi deglutire pesantemente.
“Hai capito?”
“Certo. Tu ti occupi solo di questo tipo di coppie. Mi sta bene” le dissi scrollando le spalle. “Ma sappi che se c'è qualcosa che vuoi dirmi, qualsiasi cosa, io non sono il tipo di persona che giudica gli altri, ok?” le dissi con tono drammatico, prendendo una delle sue mani.
Lei roteò gli occhi, tirando via la mano ed usandola per colpirmi su un braccio.
“Concentrati. Sarà una cosa veloce.”
“Quanto veloce? Perché ho un impegno stasera.”
“Cosa? Con chi? Perché io non ne sapevo niente?”
“Non è una cosa romantica” le risposi, alzando gli occhi al cielo. “Devo solo incontrare Bailey per una cosa che deve aiutarmi a fare.”
“Cos'è tutto questo mistero improvviso? Sei arrabbiata con me o qualcosa del genere? Perché non so che ho fatto, ma mi dispiace comunque.”
Io sorrisi come un'idiota.
“Non hai fatto niente, ma sei perdonata comunque.”
Ricambiò il mio sorriso.
“D'accordo. Allora sbrighiamoci, così puoi fare questa cosa super segreta insieme a Miranda, va bene?”
Scrollai le spalle.
“Puoi venire anche tu, se vuoi. Anzi, potresti tornarmi utile. Sto cercando di scoprire qualcosa in più su Timothy.”
Il suo sorriso vacillò per un lungo momento.
“Ah, no, non fa niente. Ho altri piani per stasera. Ma non credo che sia una buona idea sapere cose in più su di lui.”
“Hai altri piani?” chiesi corrugando la fronte. “Che c'è, stai vedendo qualcuno?” le domandai ridendo.
Lei distolse lo sguardo, incrociando le braccia. Io diventai improvvisamente seria.
“Oh mio Dio, chi stai vedendo?”
“Nessuno” sminuì la mia affermazione. “Figurati, nessuno” borbottò. “Sai, questo non è il mio primo lavoro.”
“Ah, no?”
“No. Io sono un angelo custode. Stasera sono con uno dei miei protetti. Mi dispiace però, avrei accettato volentieri l'invito a cena. Sai, fare l'angelo non rende bene come uno tenderebbe a pensare.”
Io risi, scuotendo la testa.
“Andiamo, fammi vedere chi sono stavolta. E sarà meglio per te che ci sia un lieto fine, perché l'ultima volta mi sono chiusa in camera mia a piangere per tre giorni.”
Lei indicò con un cenno della testa due donne che stavano uscendo dalla tavola calda. Una delle due aveva lunghi capelli biondi, mentre l'altra li aveva tagliati corti e neri.
“Come si chiamano?”
“Dipende dall'universo in cui sono. Qui, ora come ora” rispose “si chiamano Emma e Mary Margaret.”
“Che dovrebbe significare qui?”
“Questa ti piacerà, Calliope. Mary Margaret, in realtà è Biancaneve.”
Mi voltai verso di lei, corrugando la fronte, sgranando gli occhi e inclinando la testa di lato nella mia migliore performance dello sguardo 'sei impazzita del tutto?'.
“Ed Emma chi sarebbe, la bella addormentata?”
“No. Emma si chiamava comunque Emma. È sua figlia.”
E fu a quel punto che non ci capii davvero più niente.
“Forse non ho capito bene cosa dobbiamo fare.”
“C'è questa donna, Regina” iniziò a raccontare, mentre passeggiavamo, seguendole. “Che sarebbe in realtà la Regina Cattiva, che ha portato tutti in questo universo con una maledizione, eccetera eccetera. Comunque, Regina ha provato in più occasioni ad uccidere Biancaneve o il suo Principe Azzurro, fallendo di volta in volta.”
“Oh, e noi siamo qui per far mettere insieme Biancaneve e il Principe Azzurro? Perché sembra già abbastanza destinato ad accadere così com'è, senza che io e te ci mettiamo ad incasinare le cose. Si chiamano favole perché hanno sempre il loro lieto fine, no?”
“Infatti non siamo qui per loro.”
“E per chi siamo qui, allora?”
Lei mi sorrise, facendomi un cenno della testa in direzione di una donna dai capelli neri che stava praticamente marciando in direzione di Emma e Mary Margaret. Cioè...Biancaneve. Insomma, loro due.
“Siamo qui per Regina ed Emma.”
Mi voltai verso loro tre e per un secondo pensai che stesse scherzando.
“Ok. Bene. Niente di più facile, giusto? L'anima gemella di quel personaggio delle favole è la matrigna cattiva che ha provato ad uccidere sua madre e suo padre reiterate volte, la quale madre, fatto difficile da lasciarsi sfuggire, ha più o meno la sua stessa età. Fammi pensare, ho dimenticato qualcosa?”
Lei mi guardò con un sopracciglio alzato.
“Oh, giusto. In più sono entrambe donne” le feci notare con un sorriso sarcastico. “Cosa mai potrebbe andare storto?”

Inutile dire che arrivai all'incontro con Miranda in ritardo.
“Come è andata, oggi?”
“Non vuoi davvero saperlo” le risposi. “Diciamo solo che non voglio più vedere una mela a meno di duecento metri da me per almeno una ventina di giorni.”
Lei rise, scuotendo la testa ed aprendo la porta per permettermi di entrare.
“Ecco a te” mi disse, prendendo dei fogli da sopra il tavolo e porgendomeli. “Ho scoperto delle cose interessanti su questo tizio. A quanto pare si è arruolato ed è stato spedito in Iraq. I genitori vivono nel Maryland. Ho anche controllato il cimitero del paesino in cui abitano ed in effetti ho trovato un Robbins.”
“Questi cosa sono?” domandai, soppesando i fogli che mi aveva consegnato.
“Le cartine per arrivarci” rispose, alzando un sopracciglio.
“Sei grande, Bailey” la abbracciai.
“Vuoi che venga con te?”
“Lo vorrei. Non sai quanto. Ma è una cosa che devo fare da sola.”
“D'accordo. Quando hai intenzione di partire?”
“Stasera.”
“Come, scusa? Potresti ripetere?”
“Se gli lascio del tempo proverà a fermarmi, facendo esplodere la mia marmitta o qualcosa del genere” spiegai con un sospiro. “Devo occuparmene adesso, coglierlo di sorpresa.”
“Proverei a dissuaderti, ma non credo che niente che potrei mai dire avrebbe alcun tipo di effetto su di te.”
“Sapevo che c'era un motivo per cui tu eri quella intelligente, Miranda” le dissi, abbracciandola ancora una volta prima di uscire.

“Oh, andiamo. Non posso crederci” sussurrai, provando per la decima volta ad avviare il motore della macchina. “Carino” fu l'unico modo in cui riuscii a commentare quello che mi stava succedendo. “Quindi questo è il modo in cui vuoi giocartela, eh?” chiesi ad alta voce, sperando che il mio cosiddetto angelo custode mi stesse ascoltando. “Ti faccio vedere io, che succede quando il gioco si fa duro.”
Estrassi il telefono, chiamando Addison e chiedendole di venirmi a prendere davanti casa di Miranda.
Mentre aspettavo, ovviamente, iniziò a piovere a dirotto. Nel giro di due minuti ero completamente bagnata.
Non mi mossi neanche di un passo.
Addison accostò, abbassando il finestrino.
“Apri la macchina” le dissi.
Lei scosse la testa, guardandomi con entrambe le sopracciglia alzate, probabilmente chiedendosi se fossi impazzita.
“Apri e basta, Addison” la implorai, con un gesto della mano che indicava il marciapiede. “La mia auto si è rotta ed ho bisogno di un passaggio in aeroporto. So che sono completamente bagnata, ma devi farmi entrare. Ti prego.”
Ci pensò diversi istanti, mordendosi un labbro. Sapevo esattamente quanto aveva pagato quei sedili in pelle, ma il mio sguardo da cucciolo bastonato non falliva mai nel farmi ottenere tutto ciò che volevo da lei.
Roteò gli occhi.
“Sali. Ma stai almeno attenta allo stereo, ok? Ancora meglio, vai sul sedile posteriore.”
“Ti ringrazio, Addie. Sei un tesoro” entrai dentro l'auto, esultando internamente.
“Perché non hai chiamato un taxi, in ogni caso?”
“Perché tu costi molto, molto di meno.”
Il mio aereo era tre ore in ritardo.
“Senti, vorrei davvero rimanere, ma io e Teddy abbiamo un appuntamento tra meno di un'ora ed io devo cambiarmi.”
“Non preoccuparti. Me la caverò.”
“Ne sei sicura? Perché non voglio stare in pensiero finché non so che sei al sicuro e ho l'impressione che se me ne vado adesso è esattamente quello che mi ritroverò a fare per i prossimi tre giorni.”
“Ti preoccupi troppo, Addison. Salutamela e dille addio da parte mia, se non dovessi tornare viva da questo viaggio.”
“Non esagerare. Per ora ci sono stati solo un paio di intoppi, giusto?”
“Giusto. Come il fatto che la mia macchina si è bloccata all'improvviso.”
“Non sarebbe successo se ogni tanto la portassi dal meccanico per una revisione.”
“O il fatto che è saltata la corrente mentre cercavo il suo nome su Google.”
“A Seattle piove parecchio, probabilmente uno dei cavi si è bagnato.”
“Uno dei computer in ospedale, controllato da un tecnico qualche giorno prima, ha quasi preso fuoco davanti a me.”
“Questo è perché quei computer hanno un milione di anni.”
“Visto? Non hai niente di cui preoccuparti, quindi vai al tuo appuntamento con Teddy” risposi con un sorriso furbo.
Lei sospirò.
“D'accordo, hai vinto. Buona fortuna, Callie” mi abbracciò velocemente, lasciandomi ad aspettare da sola.
Dopo cinque ore, finalmente, ci fu permesso di fare il check in.
“Dovresti imparare a leggere meglio i segnali, Calliope” mi voltai verso la donna apparsa improvvisamente al mio fianco.
“Che ci fai tu qui?” chiesi, confusa. “Credevo che avessi già un impegno per stasera.”
“Ce l'avevo, ma sono riuscita a sbrigarmela in fretta, quindi eccomi qui a cercare di impedirti di fare qualcosa di stupido.”
“Cercare di scoprire qualcosa sulla mia anima gemella non è stupido. Voglio solo un paio di risposte, e le otterrò che tu sia dalla mia parte o meno.”
“Non ci arriverai mai. Ovunque sia che stai andando. Posso percepire quanto il tuo angelo custode è risoluto a riguardo.”
“Lo vedremo” sussurrai a denti stretti, oltrepassando il punto di check in e porgendo il mio passaporto all'operatrice con un sorriso palesemente finto ben piantato sulla labbra.
La prima cosa che feci, salendo sull'aereo, fu allacciarmi la cintura di sicurezza. Tuttavia, sapevo che un angelo, in quanto tale, di certo non avrebbe ucciso tutte quelle persone solo per far recepire a me qualcosa.
“Signore e signori, siete pregati di allacciare le cinture di sicurezza. Stiamo per decollare.”
Di sicuro, non me lo sarei fatto ripetere due volte.
Chiusi gli occhi appena sentii i motori accendersi.
“Ha paura degli aerei?” chiese l'uomo al mio fianco.
Io scossi la testa. “Ho paura di questo qui e basta” sussurrai a me stessa.
E infatti, a circa venti centimetri da terra, invece di prendere quota l'aereo tornò con le ruote sull'asfalto. I motori si spensero e ci fu un black out delle luci.
“E va bene, Tim. L'hai voluto tu.”
Scesi dall'aereo e mi diressi immediatamente verso il noleggio macchine lì accanto, chiedendo la macchina più veloce e sicura che avessero, senza preoccupazioni per il prezzo.
Guidai per tutta la notte in un ostinato silenzio, con la radio spenta e i denti che mi mordevano l'interno di una guancia.
“Se non la smetti di preoccuparti così tanto ti verrà un'ulcera.”
“Vattene via.”
“Io avevo cercato di avvertirti, Calliope, ma tu non mi hai dato ascolto. Dovresti prendertela con te stessa, non con me.”
“Vai via” ripetei con il massimo della freddezza.
“Andiamo, non è che...”
“Arizona, dico sul serio. Vattene. Non voglio il tuo aiuto, non voglio che tu mi faccia incontrare qualcuno del secondo o terzo scalino, non voglio nemmeno più sentire la tua voce. Vattene via, ti prego.”
Le mie parole la colsero del tutto alla sprovvista. Me ne accorsi perfino senza voltarmi verso il posto del passeggero.
“Se me ne vado adesso non tornerò, Calliope.”
“Beh, menomale.”
Continuai a guidare in silenzio finché fui talmente stanca da dovermi per forza fermare e presi una stanza in hotel.
Quando ripartii, la mattina dopo, ero quasi al confine con l'Idaho e fuori c'era il sole.
“Finalmente qualcosa di positivo” borbottai.
Non ero più dello stesso parere quando, qualche ora dopo, la macchina si ruppe improvvisamente nel bel mezzo del nulla e mi ritrovai ad aspettare un carro attrezzi per sei ore in mezzo al deserto sotto il sole.
Niente in confronto a quello che mi successe il giorno dopo, quando mi ritrovai quasi nel centro di un uragano con la macchina, finii la benzina – e giuro, lo giuro, un minuto prima c'era quasi il pieno nel serbatoio – di nuovo in mezzo al niente e il telefono dell'albergo quasi mi scoppiò tra le mani quando provai a chiamare Addison per farle sapere che ero sana e salva. Beh, no. Non sana e salva, ma perlomeno ancora viva. Non riuscii a chiamarla.
Il quarto giorno ripartii dal Montana e fu super divertente.
Soprattutto le tre ore che passai in prigione per possesso di marijuana.
L'idiota che aveva noleggiato l'auto prima di me ne aveva lasciata qualche grammo dentro il cruscotto e i cani della polizia, ovviamente, l'avevano fiutata quando ero stata fermata ad un posto di blocco.
Il risultato nel database della polizia del Minnesota quando cercarono il mio nome fu una fedina penale con precedenti assurdi.
Tre ore in prigione erano bastate per far arrivare un fax della mia vera fedina da Washington, esattamente come me la ricordavo: pulitissima. La ditta di noleggio macchine aveva perfino provveduto a mandare le generalità del tipo che l'aveva noleggiata prima di me, il cui profilo era consistente con il possesso di droga.
All'inizio del giorno quattro ero ancora al confine tra il North Dakota e il Minnesota, a circa metà del viaggio.
Guidai per dieci ore, prima che mi si bucasse una gomma.
Accostai, scesi dalla macchina, presi il crick dal portabagagli e sollevai la parte posteriore destra della vettura come avevo visto fare una volta a mio padre. Svitai i bulloni della ruota bucata e la tolsi, gettandola nel bagagliaio ed afferrando quella di scorta, che smontai da sotto la macchina in circa mezz'ora, perché non riuscivo a vedere la vite che la teneva attaccata. Poi la montai e strinsi i bulloni più forte che potevo. Incredibile la forza che viene data dalla rabbia ad una persona normalmente calma.
Buttai gli attrezzi che avevo usato dentro il portabagagli, mi pulii le mani unte e quasi del tutto nere sui miei jeans di marca e poi richiusi la quinta porta con un rumore secco, risalendo in macchina e sentendo il cellulare squillare da dentro la mia borsa.
“Pronto?”
“Tesoro, come sta andando il viaggio?” era la voce di Addison.
“Bene” risposi con uno strano di voce. Non sembrava nemmeno che fossi stata io a pronunciare quella parola.
“Bene?” chiese in maniera esitante.
“Sì” confermai. “Se escludi il fatto che l'aereo su cui ero non è riuscito a decollare, che ho noleggiato una macchina che si è rotta il secondo giorno e ho dovuto aspettare aiuto per sei ore sotto il sole a quaranta gradi, che mi hanno arrestato per possesso di droga perché il tizio che ha noleggiato la macchina prima di me l'ha lasciata nel cruscotto, che la mia fedina penale aveva precedenti per prostituzione, spaccio, furto, vendita di alcolici ai minori e tentato omicidio, che sono stata quasi travolta da un uragano, che dopo aver appena fatto il pieno la mia macchina è rimasta senza benzina, che mi è quasi esploso un telefono in mano quando ho provato a chiamarti e che si è bucata una ruota della macchina che ho appena cambiato a mani nude indossando vestiti firmati, tutto va alla grande.”
Ci furono parecchi momenti di silenzio.
“Ho menzionato l'uragano? Era enorme e molto, molto veloce...e gigantesco.”
“Torna immediatamente indietro.”
“Col cavolo. Tra circa un'ora sarò a Chicago. Spera solo che l'albergo in cui mi fermo non crolli o prenda fuoco, ok? Ci sentiamo.”
“Callie, sono seria. Torna immediatamente qui!”
“Se non ci parlassimo mai più, ti ho amata Addison. Con tutto il cuore.”
Riattaccai, sospirando mentre rimettevo in moto.
Quando posai la testa sul cuscino fui invasa da un senso di stanchezza infinito. Ero esausta. Non capivo cosa c'era in Maryland che non avrei dovuto trovare, ma qualsiasi cosa fosse, stavo quasi per perdere la pazienza.
E infatti successe.
Il giorno cinque. Quando, dopo sette ore e mezza di macchina mi ritrovai in mezzo ad un temporale quasi epico, e un'altra delle mie ruote si bucò.
“Oh, oh, questo è meraviglioso” uscii sbattendo la portiera. “Ho usato l'unica ruota di scorta che avevo, e adesso la mia ruota di scorta si è bucata” urlai in mezzo al nulla. “Tu” guardai verso l'alto, non sapendo bene dove avrei dovuto guardare in realtà. “Tu non sei la mia anima gemella” urlai con rabbia mentre il più grande temporale che avessi mai visto si abbatteva su di me ed io rimanevo lì in mezzo alla strada senza neanche un ombrello. “Tu sei la mia nemesi. Angelo custode un cavolo, stai cercando di uccidermi!”
L'unica risposta fu altra pioggia, più forte e più fitta.
“Sto cercando di parlare con te, d'accordo? Sto cercando di venire da te e scoprire chi sei, ma l'unica cosa che sto ottenendo sono calamità naturali, prima un uragano e adesso il fottuto diluvio universale!” continuai ad urlare contro il cielo, noncurante del fatto che nessuno stava ascoltando e intoccata dall'apparire come una pazza agli occhi di chiunque passasse da lì.
“Dimmi solo cosa vuoi che faccia, ok? Dimmi perché non vuoi che vada a casa tua. Dimmi perché, dimmi solo perché” le mie lacrime iniziarono a mischiarsi alla pioggia. “Perché mi hai lasciato da sola. Perché mi hai lasciato a perdermi in un mondo in cui tutti possono ritrovare la loro strada. Ho passato gli ultimi mesi a guardare Arizona che mi dimostrava che prima o poi tutti trovano la propria strada, tutti trovano la propria casa, ma non io” non stavo più urlando, parlavo a voce normale, anzi, quasi in un sussurro, in realtà. “Io sono persa, perché tu non sei qui al mio fianco, dove eri destinato ad essere. Voglio solo sapere perché” implorai, con voce mozzata. “Perché è successo a me di essere così disperatamente persa per la mia intera vita solo perché tu non eri con me.”
Mi coprii il viso con le mani.
Continuai a piangere, finché il freddo della pioggia mi costrinse a tornare in macchina e a chiamare l'officina più vicina.
Dopo che mi ebbe portato ad un'ora più avanti e cambiato la gomma erano passate altre tre ore ed era quasi sera. Ma io ricominciai a guidare per altre due ore e mezza circa, alla fine mi fermai quando non riuscivo quasi più a tenere gli occhi aperti.
Ero a un paio d'ore dal paese che stavo cercando, quindi la mattina dopo mi alzai di buon ora e ci arrivai con addirittura qualche minuto in anticipo rispetto al previsto.
“Niente ruote bucate, nessun tornado, niente agenti di polizia, nessuna esplosione e in cielo splende il sole” osservai parcheggiando davanti al cimitero. “O ti sei arreso o stai preparandoti al colpo finale, uh?”
Chiusi la macchina a chiave, dirigendomi verso i cancelli chiusi del cimitero.
“Un momento. Chiusi?” chiesi a me stessa. “Oh, no. Non farmi questo ti prego” sussurrai, prendendo una delle sbarre di metallo in una mano e dando una leggera spinta. La porta si aprì immediatamente. Tirai un sospiro di sollievo.
All'ingresso trovai un uomo anziano che stava annaffiando le siepi.
“Salve, mi scusi, lei è il custode del cimitero?”
“Sono io. Dica pure.”
“Stavo cercando la tomba di Timothy Robbins.”
Si grattò la testa. Sembrava parecchio in là con gli anni, dubitavo si ricordasse tutti i nomi incisi in quel posto, ma dopo qualche secondo la sua espressione si illuminò.
“Ma sì, mi sembra che ci sia un Robbins. Comunque se c'è lo trova proseguendo da quella parte, le tombe meno recenti degli ultimi due anni sono state risistemate di recente in ordine alfabetico.”
“La ringrazio” gli sorrisi, incamminandomi nella direzione che mi aveva appena indicato.
Era un cimitero piuttosto grande per la piccola città in cui mi trovavo.
“Ridley, Riggleman, Roach, Robbins, Robertson” tornai un passo indietro. “Robbins.”
Per qualche istante fissai il marmo senza riuscire a formare un pensiero coerente.
Appena il mio cervello riprese a funzionare mi inginocchiai davanti alla lapide.
“Oh, Dio.”
Allungai una mano, sfiorando le lettere scolpite sul marmo.
Scossi la testa.
Fissai gli occhi nell'immagine che era incastonata nella pietra accanto al nome e sentii le lacrime riempirmi gli occhi.
Mi stava facendo più male di quello che mi ero aspettata.
“Mi scusi” sentii una voce alle mie spalle ed alzai gli occhi. “Vi conoscevate?”
Mi alzai in piedi. Aveva un'aria familiare. Ci messi sì e no due secondi per realizzare chi fosse l'uomo davanti a me.
Non risposi, mi voltai di nuovo e lessi per la seconda volta l'effige.
Beloved daughter, sister and friend.
Il nome inciso sopra mi fece gelare il sangue per la seconda volta, era tutto troppo poco probabile per essere vero.
Arizona Robbins.
“Non per molto tempo” risposi. “Ma mi manca più di quello che avrei pensato.”
“Io sono...beh, ero, suo fratello” tese una mano verso di me, che la presi immediatamente.
“Timothy. Arizona mi ha parlato molto di te. Mi ha fatto perfino vedere una tua fotografia, una volta.”
Beh, più una specie di fumo colorato in mezzo all'aria con delle immagini al centro, ma comunque, sapevo chi era.
“Io sono Callie Torres.”
Corrugò la fronte.
“Callie, nel senso di Calliope? Credevo non ti avesse conosciuto quando era ancora viva. Aspetta, volevo dire...”
“Un momento. Tu lo sai? Che lei è un angelo, dico.”
Sembrò sollevato dal fatto che fossi già a conoscenza di quella notizia.
“Viene a trovarci, di tanto in tanto. Molto di rado, però. Dice che ha qualcuno di cui deve prendersi cura” rimase molto sul vago. “Allora, vuoi raccontarmi perché sei qui?”
“Io stavo” mi voltai di nuovo verso la lapide. “Stavo cercando te, in realtà. Arizona mi ha detto che eri la mia anima gemella, ma che eri morto in Iraq.”
“No, sono tornato dall'Iraq” si indicò con un gesto dal petto in giù “come è ovvio” aggiunse con una risata. “È stato per merito suo, in realtà. Stavo per essere ucciso, ma lei mi ha salvato la vita. È utile, qualche volta, avere un angelo come sorella.”
“Lei è” mi schiarii la voce, cercando di suonare normale. “È morta quattro anni fa” osservai, senza traccia di domanda. Potevo benissimo leggere l'anno di morte inciso sul marmo. “Il periodo subito prima che iniziassi a frequentare George” sussurrai a me stessa.
“Oggi è l'anniversario della sua morte.”
Io deglutii.
“Non voleva fermarmi. Voleva che arrivassi qui al momento giusto per incontrare te, voleva che ti conoscessi, almeno di sfuggita” gli dissi, capendo finalmente il motivo delle mie più che incredibili disavventure.
“Vorrei che venissi con me. Ci sono un paio di persone che avrebbero voluto conoscerti più di qualsiasi altra cosa al mondo.”
Annuii, seguendolo.

Ad aprire la porta fu una donna sulla sessantina. Aveva gli occhi arrossati, non era difficile indovinare che aveva pianto.
“Tim, che ci fai qui? Non ti aspettavamo prima di mezzogiorno.”
“Mamma, c'è una persona che vorrei che tu e papà conosceste.”
Mi si strinse il cuore. Erano i suoi genitori.
“Signora Robbins, so che non è un buon momento. Ero in città e Tim ha pensato che sarei potuta passare a presentarmi. Sono Callie Torres, un'amica di Arizona.”
Vidi la sua espressione cambiare, la sua bocca si dischiuse appena in un'espressione di perplessità. “Callie?” guardò suo figlio, che annuì in conferma. “Entrate” ci disse con un sorriso. “Daniel è in soggiorno. Perché non lo raggiungiamo?” propose, facendo strada.
Dopo che ebbe detto a suo marito chi ero, si sedettero sul divano facendo accomodare noi due in quello davanti.
“Cosa posso portarti da bere?” mi chiese gentilmente la signora Robbins.
Io trattenni a stento l'urgenza di rispondere con il nome di qualche alcolico molto forte e forzai un sorriso.
“Sono a posto così, la ringrazio.”
“Arizona di solito rispondeva doppia vodka con ghiaccio” ricordò Tim con un sorriso.
Sentii una morsa allo stomaco. Esattamente quello che prendevo io di solito.
“Da quello che ho capito, vi aveva parlato di me” iniziai con incertezza.
“Infatti” confermò Daniel. “Parla molto bene di te.”
“Parlava” lo corresse Barbara, appoggiando una mano sul suo braccio. “Parlava” ripeté. Poi si voltò verso di me. “È ancora difficile abituarsi, anche dopo quattro anni.”
“Soprattutto visto che l'ultima volta che l'abbiamo vista erano circa cinque giorni fa” intervenne Tim.
Barbara e Daniel si scambiarono un'occhiata di incredulità.
“E questo spiega l'impegno improrogabile che aveva quella sera” sussurrai a me stessa.
“L'hai” Daniel attirò la mia attenzione. “L'hai incontrata dopo, non è vero? Dopo che era già diventata...”
“Un angelo” terminai per lui, annuendo. “Già.”
Per diversi momenti rimasi in silenzio mentre il signor Robbins mi osservava.
“Sei esattamente come ti ha descritto” concluse.
Io mi schiarii la voce, raccogliendo il coraggio.
“Signori Robbins, so che probabilmente è una domanda molto delicata e poco appropriata, ma mi domandavo se potreste dirmi qualcosa sul modo in cui è morta Arizona.”
“Ha avuto un incidente automobilistico” rispose brevemente il signor Robbins.
“Stava andando a lavoro, aveva ricevuto una chiamata d'urgenza” continuò Barbara. “Non doveva nemmeno essere di turno quel giorno, ma uno dei suoi colleghi si era sentito male all'ultimo momento e così avevano chiamato lei.”
“Ma non sarebbe dovuta morire, giusto?” domandai. “Non era quello il suo destino.”
“No, non lo era” concordò Tim. “Ma è impossibile sapere cosa è andato storto. Ci sono così tanti dettagli che avrebbero potuto cambiare tutta la storia, che fare un'ipotesi è impensabile. Tutto quello che sappiamo è che un paio di settimane dopo era diventata un angelo.”
“Com'era lei? Intendo, nella vita di tutti i giorni. Com'era?”
“Era” Tim sembrò pensarci a lungo. Alla fine rise, scuotendo la testa. “Allegra.”
“Sembra sempre felice infatti. Sembra il tipo di persona che dipingerebbe le pareti di casa sua come il cesto delle uova di Pasqua.”
“Vuoi vedere camera sua? O qualche foto?” chiese sua madre.
“La ringrazio, ma dovrei probabilmente andare. Voi dovrete fare pranzo ed io avevo in programma di ripartire.”
“Perché non rimani a pranzo con noi?” offrì cordialmente.
“Non vorrei intromettermi.”
“Non essere sciocca, saremmo più che felici di averti con noi.”
Sarebbe stata un'idea più saggia rifiutare, ma come potevo guardare dentro gli occhi speranzosi della donna davanti a me e declinare?
E, allo stesso tempo, come potevo illuderla?
Non sarei mai stata quello che lei voleva che fossi. Non sarei mai stata insieme a sua figlia. Non sarei mai stata parte della loro famiglia.
“Vorrei potermi fermare, davvero. Lo vorrei. Ma è meglio che riparta.”
Mi rivolse un sorriso triste.
“Posso ripassare, però. A salutarvi, intendo. Prima di lasciare la città” le promisi.
Tim mi accompagnò alla porta, io entrai in macchina chiudendo la portiera e scuotendo una mano nella sua direzione per salutarlo. Quando rientrò io chiusi gli occhi e posai le mani sul volante.
“Perché non hai detto niente?”
“Pensavo che sarebbe stato più facile per te non aver mai saputo.”
Scossi la testa.
“Perché?”
“Principalmente” iniziò sospirando “tutta la storia dell'essere attratta dalle donne. Non è facile farci i conti. Non volevo causarti dolore, quindi ho mentito.”
“Quindi eri l'unica donna di cui mi sarei mai innamorata?”
“Già. Ma non l'unica donna con cui avresti avuto una relazione. Ma io non sarei mai arrivata, quindi la tua vita non ti ha preparato a, ecco, diciamo...me.”
Aprii gli occhi, voltando la testa di lato verso il sedile del passeggero molto lentamente.
“Eri davvero la mia anima gemella, non è così?”
Lei annuì.
“Lo ero. Lo sono” si corresse. “Tuttavia credo sia giusto avvertirti che l'uragano non era per rallentarti, stavo davvero cercando di fermarti.”
Io risi. “Già, a pensarci bene avrei dovuto aspettarmelo. Capisco perché volevi tenermelo nascosto, davvero, ma perché? Perché è successo a noi?”
“Succede, Calliope. Non siamo il primo caso, di certo non saremo l'ultimo.”
“Tu lavori davvero come Cupido o anche quella era una bugia?”
Arricciò il naso e scosse appena la testa.
“Io sono il tuo angelo custode. Mi sono state assegnate la Bailey, Teddy ed Addison e le coppie che abbiamo aggiustato io e te insieme, solo come copertura. Beh, quelle che abbiamo visto insieme erano più che altro perché ti fosse data la possibilità di renderti conto che era una donna con cui eri destinata a passare il resto della tua vita.”
“Sei stata con me per, quanto, quattro anni?”
“Sì. E qualche volta non è stato facile. Ma la maggior parte dei giorni sei un vero spasso.”
Mio malgrado, risi della sua battuta.
“Quindi perché sono riuscita a vederti solo qualche mese fa?”
“Beh, non dovevi renderti conto che io sono il tuo angelo custode, in realtà. Ma quando hai espresso quel desiderio, la sera di capodanno, tu non hai chiesto semplicemente la felicità, o l'amore. Tu hai chiesto il vero amore. Qualcosa che non poteva esserti dato. Così mi hanno mandato perché esaudissi almeno il tuo desiderio che le tue migliori amiche potessero trovarlo.”
“E questo come lo hai saputo? Perché ricordo di averlo pensato, ma non di averlo detto ad alta voce.”
“Sono dentro di te, Calliope. La maggior parte delle volte, almeno. Esisto dentro la tua testa, dentro la tua anima. Sono una parte di te. Riesci a capire in che senso?”
Ci riflettei qualche istante. Alla fine annuii.
“Non andare via, ok? Dammi un arco di tempo, anche solo, tipo, dieci minuti al giorno, in cui posso vederti. Non andare.”
Mi guardò negli occhi con espressione mortalmente seria. Eravamo tutte due sull'orlo delle lacrime, ma non ci azzardavamo a piangere.
“Vorrei che fosse possibile” mormorò.
“No” chiusi gli occhi. “No” ripetei a voce più alta. “Rimani con me e basta.”
“Non posso. Non sono io che faccio le regole.”
No. Ma io avevo bisogno di lei. Così come Tim, così come i suoi genitori.
“Dio, i tuoi genitori. Mi trattano come se fossimo state insieme per anni. Vieni almeno a salutarli con me stasera. Lascia che ci vedano insieme solo per stavolta. Avresti dovuto vedere gli occhi di tua madre quando le ho detto il mio nome, Arizona. Era come se avesse appena avuto qualcosa a cui aveva da tempo rinunciato a sperare.”
Incontrai di nuovo il suo sguardo. E nei suoi occhi blu lessi per la prima volta quel pensiero che avevo paura anche solo ad ammettere.
Lo sentii forte e chiaro urlato dal mio cuore e recepito dalla mia testa.
Mi sarei potuta innamorare di lei.

Quando mi presentai davanti a quella stessa porta, neanche un'ora più tardi, avevo le mani che mi tremavano. Bussai mentre inspiravo forzatamente.
Sentii una mano scivolare dentro la mia.
“Andrà tutto bene.”
“Facile dirlo per te” replicai, voltandomi per sentirmi rassicurare da quel suo sorriso dolce.
Fu Tim ad aprire la porta.
“Sei arriv- Arizona?”
“Ciao Tim.”
Il suo sguardo cadde sulle dita intrecciate tra i nostri corpi. Sorrise come un idiota alla realizzazione che ci stavamo tenendo per mano.
“Mamma, vieni un attimo qui” urlò verso il soggiorno. “Mi offrirei di fare una fotografia, ma non so se Arizona verrebbe immortalata. Con il fatto di essere un angelo e tutto.”
Lei lo colpì su una spalla, entrando dentro la casa.
La signora Robbins, con le lacrime agli occhi, provò però davvero a farci una foto, quando ci vide tenerci per mano, e venne fuori che Arizona si vedeva perfettamente. Tim si offrì di mandarmela per email.
Rimanemmo a parlare con loro a lungo. Barbara, così aveva insistito che la chiamassi la signora Robbins, mi aveva raccontato alcune storie dell'infanzia di Arizona. Era davvero imbarazzata, ma si vendicò raccontando nel dettaglio ciò che avevo dovuto passare per arrivare fin lì.
Era come se fossi stata lì tutto il tempo, se fossi potuta rimanere per sempre. Era come se potessimo vederci tutti i giorni e parlare tutti i giorni.
E invece non potevo.
Fu il Colonnello ad accompagnarci alla porta quando dissi loro che era davvero ora per me di andare. Aveva detto a malapena due frasi. Più che altro mi aveva guardato con espressione indecifrabile.
Aprì la porta per noi e poi guardò Arizona dritta negli occhi.
“Callie è un brav'uomo nella tempesta. Posso capire perché ti saresti innamorata di lei.”
Arizona lo guardò negli occhi a lungo. Infine annuì soltanto. Lui si voltò nella mia direzione, io gli strinsi prontamente la mano che mi stava offrendo.
“Se mai dovesse, ecco, aver voglia di passare due minuti di tempo in cui non sa cosa fare, il numero di casa mia lo trova nell'elenco di Seattle sotto il nome di Calliope Torres. Mi farebbe piacere sentire lei e Barbara, se mai ne avrete voglia.”
Lui rafforzò la stretta sulla mia mano, tirando per farmi avvicinare e mi abbracciò velocemente, ringraziandomi in un sussurro.
Salimmo in macchina in silenzio.
Posai le mani sul volante, ma non accesi il motore.
“Mio padre ti adora. Quello che ha detto sulla tempesta, quello è più o meno il più alto complimento nella sua scala. Non ha mai nemmeno imparato il nome di una delle ragazze di Tim, né delle mie, perché sapeva che non si sarebbero fermate a lungo.”
“Già, beh, io sono la tua anima gemella però” mormorai, accendendo il motore ed iniziando a guidare.
I primi minuti passarono in silenzio finché fummo fuori dalla città.
“Ha detto 'ti saresti', sai?” stavo pensando ad alta voce. “Ha detto che ti saresti innamorata di me, ma onestamente io non ne sono così sicura. Voglio dire, sei stata al mio fianco per quattro anni. Se dovevi innamorarti di me ormai sarebbe successo, no?”
Gettai un'occhiata verso di lei, quando non rispose. E la vidi che mi guardava in silenzio, con quei suoi occhi tristi e il sorriso dispiaciuto.
“Mi sono innamorata di te il secondo esatto in cui ti ho vista, Calliope.”
La voce le tremava in un modo in cui non l'avevo mai sentita.
Continuai a guidare in silenzio.
“Vuoi che vada via?” chiese in un sussurro.
“No” risposi immediatamente. “No, rimani. Rimani per tutto il tempo che puoi.”
Sentii il peso di una mano che si appoggiava timidamente sul mio ginocchio.
“Sai, posso sentirti. Quando mi tocchi.”
“Lo so.”
“Perché non puoi rimanere e basta?”
“Non mi è consentito avere una seconda occasione. Sono morta. I morti non sono fatti per andarsene in giro nel mondo dei vivi.”
“Ma non è giusto. Ho aspettato tutta la mia vita, tutto questo tempo...”
“Ero persa anche io” intervenne, bloccandomi. “Sai?”
“Stavi origliando mentre urlavo sotto la pioggia?”
“Ero persa e non avevo la minima idea di quello che stavo facendo con la mia vita” continuò ignorando la mia domanda. “Ma ho trovato la mia strada.”
“Quando?” le chiesi scuotendo la testa. “Come?” “Quando ho visto i tuoi occhi distrutti dalla vita, sapevo che quello era il posto in cui appartenevo, proprio lì al tuo fianco, a cercare di far andare via le lacrime dai tuoi occhi.”
“Non è giusto. Noi andiamo nel passato della gente tutto il tempo. Abbiamo aggiustato delle persone, perché adesso non possiamo aggiustare noi?”
“Non si gioca con la morte, Calliope. Ricordi, non potevamo andare a incasinare il passato di Emily.”
“Ma tu...Tu mi manchi e sei qui. Tu mi manchi quando posso sentire la tua mano” afferrai la mano che aveva sul mio ginocchio, intrecciando le nostre dita “proprio in questo modo contro la mia, ancora mi manchi. Non voglio che tu vada via.”
“Ma devo farlo. Non capisci che non dipende da me?”
“Quindi continuerai a starmi affianco? A guardarmi vivere e tenermi fuori dai guai? Continuerai a mandarmi gente finché non mi piacerà uno di loro abbastanza da decidere di smettere di farti soffrire e sistemarmi?”
“Voglio solo il meglio per te.”
Tu sei il meglio per me. O, lo saresti stata, se non ti avessero portato via.”
Non rispose, ma mi strinse la mano più forte.
“Se davvero mi ami, Arizona, come puoi stare a guardare mentre amo qualcuno che non sei tu? Ogni giorno della tua vita, dovrai rimanere al mio fianco e convivere con il fatto che io e te eravamo destinate a stare insieme e ciò che era nostro ci è stato strappato via.”
“Come ho detto, voglio il meglio per te, Calliope. E se non posso avere il massimo, la seconda miglior soluzione dovrà andare bene lo stesso.”
“Quindi questo è quanto? Ad un certo punto chiuderò gli occhi e tu sparirai per sempre e non ti vedrò mai più? E basta? Non proverai nemmeno a combattere? Nemmeno ci proverai, nemmeno per noi?”
“Credi che non abbia provato? Ma non me lo lasciano fare, non mi lasciano stare con te. Non capisci che questo è il mio più grande incubo che diventa realtà? Vederti stare insieme a qualcuno che non sono io, vederti dimenticarti di me giorno dopo giorno, vedere che tutto sommato riesci a cavartela anche senza di me.” Abbassò la voce a livello impercettibile quando arrivò ad elencare l'ultima delle sua paure. “O vederti avere il cuore spezzato a causa mia.”
“Ma è successo, ok? Tutto questo, è già successo, sta succedendo, succederà e poi succederà di nuovo, ancora e ancora e ancora. E loro mi devono qualcosa, ok? Hanno rovinato le nostre vite e si sono presi qualcosa di mio che non spettava a loro avere.”
“E cosa sarebbe?”
“Tu. La mia perfezione. Non eri loro da prendere e non eri loro da tenere, ma ti hanno portata via da me ed io ti rivoglio indietro.”
“Calliope, non si può tornare indietro.”
“Ma...” la guardai per un breve istante. “Ma io sono innamorata di te.”
Quello la colse alla sprovvista.
“Tutte le persone che abbiamo aiutato, in un modo o nell'altro, loro potevano starsi accanto, giusto?” chiesi sospirando. “Io voglio quello per noi due. Voglio che tu mi sia accanto.”
“E lo sono. Lo sarò sempre. Anche quando non mi vedrai, io sarò proprio lì a prendermi sempre cura di te, ok?”
Scossi la testa.
“Ed io come farò a prendermi cura di te?”
Non aveva una risposta a quella domanda.

Avevo preso una singola, visto che, in ogni caso, il ragazzo alla reception dell'albergo non era in grado di vederla. Aprii la porta, precedendola all'interno e sentendola richiudersi poi la porta alle spalle.
“Allora, lato sinistro o lato destro?” scherzai guardando il letto ad una sola piazza.
Mi voltai con il sorriso sulle labbra, solo per trovarmi davanti ad una stanza completamente vuota. Smisi all'istante di sorridere e feci scivolare velocemente lo sguardo lungo tutta la stanza.
“Non smetterò mai di cercarti ancora.”

Arrivai in città di sera e, dopo aver restituito la macchina, chiesi al tassista di portarmi a casa di Addison. Sapevo che sarebbero state tutte e tre lì ad aspettarmi.
Quando entrai mi assalirono con un milione di domande alla volta. Io feci loro segno di tacere mentre posavo il giacchetto e gli facevo segno di sedersi comode.
“Una alla volta.”
“Com'era il ragazzo?” domandò Addison.
“Non c'era nessun ragazzo” scossi la testa.
Sembrarono tutte e tre molto perplesse.
“No, nel senso” intervenne Teddy “sappiamo che è morto e tutto, ma hai sentito qualche sorta di connessione davanti alla tomba, o...” fece un cenno con la mano invitandomi a continuare.
“Leggendo il nome sulla tomba, il mio primo pensiero è stato che mi si stava spezzando il cuore senza motivo. Sapevo che il mio vero amore era morto da un sacco di tempo. Ma posso onestamente dire che non mi stavo aspettando di vedere quello che ho visto, né di incontrare chi ho incontrato.”
“Che hai visto?” chiese Bailey.
“Tim” risposi semplicemente, vedendo i loro sguardi perplessi. “Timothy Robbins è ancora vivo e vegeto grazie all'intervento del mio angelo custode.”
“Fantastico” esultò Addison. “La tua anima gemella è ancora viva. Perfetto.”
“No, Addie. Il mio angelo custode è la mia anima gemella. Ed è anche la persona il cui nome era scritto su quella lapide. Tim aveva una sorella, Arizona Robbins.”
Le osservai mentre finalmente i pezzi del puzzle si sistemavano.
“Le ho parlato, mi ha detto che stava cercando di proteggermi e che non la rivedrò mai più. Eppure lei è proprio qui e mi sta ascoltando” mi guardai brevemente attorno. “E se la vedessi ora come ora proverei a colpirla” aggiunsi. “E mi manca” sussurrai.
E mi mancava sul serio.
“Che farai adesso?” chiese Teddy, la prima a riprendersi dallo stupore.
“Non lo so. Probabilmente niente. Eccetto ricordarle” alzai la voce “che so che è proprio qui vicino a me e che non smetterò di parlare con lei finché non si deciderà a combattere perché ci venga data una chance.”
“È invisibile, non sorda” mi ricordò Addison.
Quando arrivai a casa quella sera, ero infinitamente stanca. Posai la borsa, mi tolsi il giacchetto ed entrai dentro la camera da letto, gettandomi sul letto ancora vestita.
“Dammi solo un segno che ci sei ancora, ok?” sussurrai alla stanza vuota ed immersa nell'oscurità.
Mi coprii il viso con entrambe le mani.
“Ti prego, ti prego. Qualsiasi cosa. Fammi solo sapere che non mi sono persa di nuovo.”
Non successe niente di niente.
Mi tolsi le mani dagli occhi. Fui colta di sprovvista dalla luce. Mi tirai a sedere, voltandomi, confusa.
La lampada sul mio comodino era improvvisamente accesa.
Mi cambiai, indossando un pigiama e mi infilai sotto le coperte, sfiorando il cuscino vuoto dall'altro lato del letto.
“Buonanotte, Arizona.”

Ormai la maggior parte delle sere andava a finire in quel modo. Con me che piangevo in silenzio sdraiata dentro il letto e me la immaginavo lì al mio fianco.
Dopo sei mesi ormai le cose sarebbero dovute iniziare ad andare meglio.
Invece era sempre peggio.
Ero sempre più sola, sempre più inutile, sempre più depressa.
Sempre più persa.
Non riuscivo più a pensare a niente che non fosse lei.
“Sono rotta” ammisi in un sussurro. “Mi hai spezzato.”
Chiusi gli occhi, sentendo le lacrime ricominciare a cadere.
“Vi prego, ridatemela indietro. Cambiate il passato, qualsiasi cosa, solo ridatemela indietro perché non posso vivere senza di lei. Me lo dovete. Sono una brava persona, salvo vite tutti i giorni. E tutto quello che ho mai voluto dalla vita è lei e voi ve la siete portata via.”
“Sssh” sentii delle labbra premute contro la mia fronte ed una mano che mi accarezzava i capelli nel tentativo di calmarmi. “Sono proprio qui.”

Mi svegliai di soprassalto.
Avevo il respiro irregolare e affannato.
Stavo sudando freddo.
Non riuscivo ad aggiustare la vista all'oscurità.
Mi passai una mano tra i capelli cercando di distinguere la realtà in cui mi trovavo.
Ero spaesata in un modo che non avrei mai creduto possibile.
Tutto tornò improvvisamente alla memoria quando sentii il tocco gentile di una mano sulla mia spalla.
“Qualcosa non va?”
“Solo un sogno.”
“Un incubo o un bel sogno?”
“Non lo so. Solo un sogno, penso” mi voltai per guardarla attraverso l'oscurità. “No, era decisamente un incubo.”
“Ti senti bene? Sembri molto scossa” si tirò a sua volta a sedere, abbracciandomi.
“Tutto bene” risposi, sdraiandomi di nuovo e trascinandola con me. “Ho solo fatto il più strano dei sogni.”
“Eri di nuovo sposata ad Owen Hunt? Perché potrei iniziare a cercare dei mattoni, la prossima volta che lo vedo.”
“No. Niente del genere. Ma tu eri...Eri morta. E poi eri diventata il mio angelo custode, perché eri la mia anima gemella.”
“Oh. Beh, sempre meglio di vederti insieme ad Hunt.”
La ignorai, continuando il mio discorso senza senso.
“E, voglio dire, sei sempre stata il mio angelo, sei bella e dolce più di qualsiasi altra cosa al mondo, così come ho sempre saputo che sei la mia anima gemella, dal primo momento in cui ti ho guardata negli occhi. Ma lì eri morta ed era terribile.”
Appoggiò la testa sulla mia spalla, continuando ad ascoltare mentre veniva però trascinata nuovamente nel mondo dei sogni.
“Era solo un terribile, terribile sogno, tesoro. Torna a dormire, ok?” alzò la testa per baciarmi velocemente.
Fissai il soffitto per diversi momenti.
“Arizona?”
“Mh?”
“Se avessero esaudito il mio desiderio, se fossero tornati nel passato e avessero cambiato le cose in modo che tu non fossi mai morta, se questa fosse in realtà la nostra seconda occasione, noi non lo sapremmo mai.”
“Suppongo di no. Ma, pensaci bene. È improbabile che esistano davvero gli angeli.”
Ci pensai ancora qualche momento.
“Ma sì. Hai ragione. Era solo un sogno.”
Le accarezzai lentamente la schiena, baciandola sulla testa.
“E poi, se fosse la nostra seconda occasione, in qualche modo ce ne accorgeremmo, giusto?”






  
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