Eccomi
qui con una fic a capitoli con protagonisti tratti dalla seria
“I Cesaroni”.
Enjoy it!
(Il primo capitolo è un po’ un prologo. I prossimi
saranno più lunghi!)
ATTENZIONE:
I personaggi
de “I Cesaroni” non mi appartengono e tutte le
canzoni da me citate sono proprietà
degli artisti che le hanno create. India, la protagonista, e la sua
famiglia
sono personaggi di mia invenzione. Ogni riferimento a luoghi e persone
realmente esistenti è puramente casuale. La storia non
è scritta a fini di
lucro.
Capitolo
1 – Si parte!
- India, a che punto sei? –
Madri. Ansiose come sempre.
- Sto chiudendo la valigia, mamma. –
- Fai in fretta, mi raccomando. –
Non ci sarebbe stato bisogno di dirlo, dato che, secondo la
leggenda, era lei a essere sempre in ritardo. Quel giorno, per la prima
volta
da molto tempo, Laura, la madre di India aveva paura di fare tardi.
Eppure
avrebbe dovuto essere sua figlia, quella divorata dall’ansia.
Dopo più di diciotto
anni di vita in Sicilia, erano pronte a partire: quella sera sarebbero
già
state a Roma, nella loro nuova casa. Beh, non proprio
“loro”. Era grazie alla
zia Giulia se potevano assicurarsi un appartamentino in affitto per
tutto il
soggiorno a Roma. Non era detto che dovesse durare in eterno, ma
neanche che
l’avrebbero lasciata appena finito il corso d’arte.
Povera zia Giulia. Era talmente vecchia e malandata, ormai,
che fare questo “piccolo regalo” alle sue nipoti,
come diceva lei, era stata
una vera gioia per lei. In gran confidenza aveva detto a India di
averlo fatto
solo ed esclusivamente per lei, perché se ad averne bisogno
fosse stata sua
madre, non si sarebbe data tanto da fare. Questo, alla madre, India non
l’aveva
detto, ma dubitava che Laura ne sarebbe rimasta urtata o amareggiata.
Era così
presa dalla sua lotta quotidiana, che non aveva certo il tempo di
prendersi una
botta di collera per stupidaggini come quella.
India agganciò le fibbie del suo unico bagaglio e ci si
sedette sopra sospirando. Non perché fosse troppo piena,
semplicemente perché
si sentiva spossata, come se il viaggio fosse appena terminato. E
invece
l’aereo sarebbe partito appena tre ore dopo.
Provò a immaginarsi la nuova casa: non le riuscì
granché
bene. Forse perché non era la casa, la sua preoccupazione.
E la scuola, come sarebbe stata? Se il motivo del
trasferimento non fosse stato molto valido, la ragazza avrebbe pensato
che
fosse una sciocchezza cambiare scuola proprio l’ultimo anno.
“Probabilmente non
avrò neanche il tempo di farmi qualche vero amico. Non che
ne abbia mai avuto
uno” pensò. Chi non diffidava del color
caffellatte della sua carnagione, era
reticente per il suo carattere chiuso e la sua natura non esattamente
di
logorroica.
Alzò lo sguardo e incrociò il riflesso rimandato
dallo
specchio che teneva appoggiato sulla scrivania. Fortunatamente non si
era mai fatta
troppe paturnie per il proprio aspetto. Anzi, nel complesso si piaceva
abbastanza. Pensava che la pelle scura le donasse, e le piacciono i
suoi
morbidi capelli castani, corti e vaporosi. Trovava buffa la forma
leggermente
squadrata del suo viso. La zia Giulia non le aveva mai nascosto il
proprio
amore per gli occhi verdi della nipotina.
Era il suo nome a darle fastidio.
India.
Sua madre l’aveva chiamata così semplicemente
perché l’aveva
concepita insieme a un uomo proveniente da quel lontano Paese.
Dopodiché lui
era sparito, così India portava il cognome di sua madre,
Fabiani. Lei l’aveva
solo visto in fotografia. Mai una telefonata, mai una lettera. Laura
diceva di
essere soltanto affezionata ai ricordi di lui che conservava, ma India
sapeva
benissimo che, da diciotto lunghi anni, sua madre non faceva altro che
aspettare
il suo ritorno. Sinceramente, a lei interessava di più la
chiazza d’inchiostro
che ornava le sue scarpe da tennis bianche, e che sembrava volerle
ricordare
che era giunto il momento di acquistarne un altro paio. Ma di certo non
poteva
chiederlo a sua madre.
Essendo sola e con una figlia da mantenere (anche se lei
sperava che le cose cambiassero entro un anno), non poteva certo
permettersi
grandi lussi. Si arrangiava andando a pulire la casa ogni giorno di una
famiglia
diversa. Non era il massimo come confidente, per sua figlia, ma
bisognava
ammettere che da quel punto di vista era instancabile. Quindi non se la
passavano
neanche tanto male, e nell’armadio di India c’erano
bei vestiti, anche se
certamente non nuotavano nell’oro. Per Laura, o Sicilia, o
Lazio, o Polo Nord
non faceva differenza: per una cameriera non era poi tanto difficile
trovare un
posto. La loro nuova casa sarebbe stata più piccola di
quella che avevano avuto
fino a quel momento, ma fortunatamente India non aveva mai avuto grossi
problemi
di adattamento. Anzi, nonostante dalla sua nascita a quella parte
avesse
abitato in tre appartamenti diversi, tutti regolarmente affittati, era
sempre
riuscita ad affezionarsi a tutti. Adesso, si sentiva strana: come se
non
provasse niente.
- India, prendi le tue cose e andiamo! –
La ragazza si alzò, afferrò il manico della
valigia e se la
trascinò dietro fino all’entrata. La madre
l’aspettava con i suoi due borsoni.
Non si poteva certo dire che fosse al massimo della forma: i suoi
capelli
biondi avevano l’aria di non vedere una spazzola da almeno
due giorni. La pelle
chiara era già segnata da rughe mediamente profonde. Chi le
avesse viste insieme
non avrebbe mai sospettato di una parentela: nonostante i lineamenti
europei
molto simili a quelli di sua madre, India aveva preso i colori del suo
ipotetico padre. – Forza, sbrigati, non vorrai perdere
l’aereo? –
Certo che no! Le era costato così tanto prendere questa
decisione, che non poteva tirarsi indietro per puro e semplice
orgoglio. L’idea
di cominciare il corso d’arte non poteva che elettrizzarla.
Al momento, era
l’unica cosa che desiderava.
Comodamente seduta su una delle poltroncine dell’aereo,
accanto a Laura che sfogliava nervosamente una rivista
(l’idea di volare la
terrorizzava, ma cercava sempre di non darlo a vedere),
cominciò a chiedersi
cosa avrebbe fatto dopo. Cominciare? Erano settimane, mesi che
affrontava
mentalmente l’argomento. Era fermamente convinta di quello
che stava per fare,
ma quando cominciava a pensare al “dopo”, le idee
si sfumavano e la testa si
svuotava. Avrebbe potuto fare l’illustratrice. O la
ritrattista. Chissà. India
disegnava la gente, le poche persone che conosceva, le tante che le
passavano
davanti senza sapere che lei li stava osservando con attenzione, quelle
sedute
su una panchina al parco mentre lei si appostava con il suo blocco e la
matita.
Forse quello che avrebbe fatto era secondario. Quello che contava
davvero era
che potesse sempre rimanere nella sua posizione, acquattata su una
sedia, o su
un muretto, o per terra, a osservare senza essere osservata.
Mamma Laura le aveva detto che se non avesse avuto i voti
che invece aveva, il corso se lo sarebbe potuto scordare. India non era
sicura
che dicesse sul serio, ma per fortuna i suoi 8 e 9 erano sempre stati
lì,
fissati sul registro e sulle pagelle.
Naturalmente avrebbe cercato di dare un contributo per le
spese della scuola e del corso, sia perché non voleva pesare
sulle spalle di nessuno
e perché avrebbe dovuto cominciare a darsi da fare da sola.
Sarebbe bastato un
lavoretto part-time. Solo, non aveva la più pallida idea di
cosa avrebbe potuto
fare: sperava che l’occasione si presentasse da sola.
Smise di pensare e guardò fuori dal finestrino: il cielo era
azzurro, senza una nuvola. Sperava che il tempo non somigliasse troppo
a quello
lasciato in Sicilia: non aveva mai amato quel caldo asfissiante, con
annesso
sudore e senso di debolezza.
E così, eccola lì a preoccuparsi del tempo
atmosferico,
invece che delle persone con cui avrebbe avuto a che fare. Era strano,
si
sentiva come se non gliene importasse veramente. In fondo, se stava
andando via
da casa non era per cercare nuovi amici, ma per impegnarsi nel
coltivare la propria
passione.
A volte aveva paura di risultare asociale. Non avrebbe
voluto dare quell’impressione, ma purtroppo, dato lo scarso
numero di suoi conoscenti,
pareva che fosse proprio quello che faceva. Forse perché non
era mai riuscita a
togliersi dalla testa che doveva essere anche colpa sua se non aveva un
padre e
sua madre non aveva un marito. Certo, guardandola capiva che lei non
era
esattamente il tipo da matrimonio, ma era come se, guardandola negli
occhi,
leggesse una sorta di accusa nei suoi confronti.
O forse era solo paranoica.
L’aereo atterrò alle 18;00 esatte. Il sole non era
ancora
calato, l’aria era piacevolmente fresca e le persone che si
affollavano
all’aeroporto misero allegria alla ragazza. Sua madre non
perse tempo a
guardarsi intorno e si fece subito largo nella confusione.
Acchiapparono al
volo i bagagli e in un batter d’occhio si trovarono sedute
sul sedile
posteriore di un taxi, dirette verso la loro nuova abitazione.
Vista da fuori non sembrava niente male. Si trovarono
davanti a un portone verniciato di verde. Sul citofono
c’erano solo cinque
etichette con i rispettivi pulsanti. Salirono tre rampe di scale,
aprirono una
porta in legno di noce e subito si trovarono dentro la loro nuova vita.
India
dette un’occhiata veloce: un bagno, una camera con due letti
e due comodini,
una piccola cucina e un soggiorno di pochi metri quadri.
Decise subito che la casa le piaceva.
L’unica cosa a cui avrebbe faticato un po’ ad
abituarsi era
la condivisione della camera da letto con sua madre. Ma supponeva che
con il
tempo non ci avrebbe fatto più tanto caso.
Meno di due ore dopo, i vestiti erano sistemati negli
armadi, i mobili erano stati spolverati (perlomeno in superficie) e il
resto
degli averi di madre e figlia avevano già preso posto in
casa.
Intenta a prepararmi un panino in cucina, India capì da un
improvviso silenzio che mamma Laura si era messa a letto. Magari
avrebbe fatto
lo stesso non appena finito di mangiare.
Finì in fretta il panino e, anziché andare in
camera da letto,
si rannicchiò sul divano. Voleva godersi un po’ di
solitudine prima dell’inizio
della nuova vita.
Non aveva quasi scambiato una parola con sua madre, ma poco
importava. Ormai ci era abituata.
Sperava solo che quel soggiorno a Roma non la facesse
diventare un’eremita completa.