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Autore: NIKI_P    25/03/2013    0 recensioni
Nell'idillio la tragedia non giunge sempre dall'esterno: talvolta non è il destino ad infrangerlo, ma è l'idillio stesso che porta in se i semi del suo disfacimento. Il difetto della serenità è nel sacrificio, sia esso manchi, sia si presenti come necessario.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un respiro per assimilare la consapevolezza che il tempo fluisce in un solo verso.  Potevo sentire il palmo della mano modificarsi e accogliere la forma delle vertebre. La vita di quel corpo stuzzicò le mie terminazioni nervose: paure, parole, intuizioni, volontà, cose non fatte; la materia che ci distingue dall'incoscienza piccava sul mio palmo. Non stavo decidendo, stavo agendo.

Non misi molta forza nel gesto, non ne necessitava. Con delicatezza spostai il peso del corpo sul braccio destro e l'equilibrio del ragazzo vacillò. Forse emise un suono a mezza bocca, ma il vociare della folla soffocò ogni forma di protesta. Un respiro e il tempo avrebbe ripreso a scorrere.

L'avevo scelto subito, istintivamente. Scendendo le scale mi guardai intorno alla ricerca del contenitore della mia salvezza; bastarono un paio d'occhiate alla folla che il chiarore di quella testa rasata, pallida, ai bordi della banchina, attrasse i miei intenti come la fiamma attrae le falene. Non staccai mai gli occhi da quella sfera, bussola tra la folla. Sapevo che il treno sarebbe arrivato entro un minuto, un minuto e mezzo al massimo. Impaziente mi diressi verso di lui alla massima velocità consentitami dal blocco di persone in attesa, senza lesinare spinte e pestoni, dimenticando per un attimo che tanta impellenza cafona avrebbe potuto far sfumare l'occasione: in un amen mi sarei ritrovato coinvolto in un rituale di scuse e proteste e l'opportunità sarebbe svanita.

In una decina di secondi gli fui dietro. Vedevo il mio respiro infrangersi sulla sua camicia. Era poco più alto di me e molto più magro; teneva la camicia blu notte, spezzata da righe scarlatte, infilata in aderenti jeans pece che sembravano formare un unicum con i mocassini dello stesso tono. L'unico dettaglio che si staccava dall'indifferenza di quella persona erano i due orecchini d'oro, ribelle vampata di colore in quell'apparenza così neutra. Non vidi la sua faccia e, come Edipo accecato dalla colpa, non sarei mai più stato in grado di vederla.

All'arrivo del treno non volsi lo sguardo a sinistra: avevo il sospetto che quella visione avrebbe donato un livello di consapevolezza maggiore all'aberrazione del gesto, scippandomi dell'unica trovata capace di capovolgere la mia situazione. Udii però il rumore: un barrito meccanico, la frizione dei freni sulle rotaie, il silenzioso respiro trattenuto da decine di anime sui blocchi di partenza, col pensiero già proiettato al lavoro, alla casa, alla meta. Il tempismo fu perfetto perchè mi limitai ad agire: se avessi atteso il momento giusto questo sarebbe passato senza che io fossi stato in grado di afferrarlo, l'avrei visto scorrere imprendibile davanti a me, troppo veloce per essere imbrigliato. Non era questione di volontà, era puro tempo di reazione. Spinsi l'uomo prima di essere pronto, prima che quell'istante immaginario si manifestasse: creai io stesso il momento giusto.

Mi sembrò che i polpastrelli fossero rimasti appiccicati al retro della camicia, intrappolati in un collante di sudore e cotone, tanto fu il tempo che ci volle perché le mie dita toccassero l'aria e nient'altro. Espirai nel ritrarre il braccio e, prima di poter assistere al dramma in atto, mi voltai verso un gran numero di facce incredule.

Spinsi e annaspai in quei secondi di caos, aggrappato al significato di quel gesto, sensato solo in caso di fuga riuscita. L'amore per la vita intensificò i miei sforzi, l'amore per quella vita che avevo accarezzato, che mi ero preso in modo tanto efferato, strappandola al legittimo proprietario come un ladro strappa un gioiello alla vittima: segnandola sul collo, sui polsi, sui lobi. Un profitto illegale pagato in dolore; era per un mio arricchimento che gliel'avevo sottratta, incapace di guadagnare se non rubando.

Il primo respiro all'incrocio adiacente l'entrata della metro mi imbottì di lucida speranza: osservai azioni e avvenimenti accadere secondo copione. Con gli occhi lucidi affrettai il passo verso il bus in partenza, ignorando le richieste d'arresto e le grida, di incredulità più che di dolore, provenienti dalla fossa-prigione in cui la metro si era trasformata. Il rumore dell'andatura sul marciapiede suonò come un tamburo rituale, scandendo i battiti del mio cuore. Non temei neanche per un momento di poter essere fermato da qualcuno o qualcosa: in quella finestra temporale ero io che dirigevo l'orchestra: avevo compiuto un gesto così significativo che qualsiasi ostacolo non proveniente da me era stato spazzato via. Non c'è morte per il narratore che vuole concludere, solo mancanza di ispirazione. Quello che sarebbe venuto da lì in poi sarebbe stato tutto "my stuff", una brusca interruzione solo mancanza di idee.

Le portiere del 3 barrato si chiusero in un sibilo serpentino; un vetro sporco e rigato frapposto tra me e le mie azioni, protezione irrisoria ma confortevolmente reale rispetto all'impalpabile eccezionalità di ciò che era appena accaduto. Mi specchiai in quel vetro appannato: mi fissarono di rimando gli occhi di un uomo in una Vergine di Ferro con spilli dall'aspetto di problemi. Sorrisi soddisfatto: non più deserto in tutte le direzioni, ma montagne insormontabili, bellissime ed inaccessibili vette.

  
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