Capitolo 17
Ebbi il coraggio di guardare le facce di tutti: i genitori di Debby erano impietriti, Debby stringeva gli occhi per non piangere, Aliviero e Mr. Cloud stavano per avere un attacco isterico, Diego mi guardava con occhi dolci ed io... io stupidamente avevo sempre sognato tutto questo.
Volevo tornare indietro nel passato, esattamente come stava per accadere, sin da quando vidi il primo film sul '700 o lessi “Orgoglio e Pregiudizio” di Jane Austen. Adesso, però, mi rendevo conto che tutto ciò era una sciagura, un qualcosa di tremendo, la mente mi vagò tra tutti i libri e i film che avevo letto sui tempi antichi, in nessuno di essi le donne venivano trattate con un minimo di rispetto o amore. Perché era ovvio che abbandonando i progressi della tecnologia che il mondo aveva ottenuto in anni di sacrifici, anche le leggi sarebbero cambiate, sarebbero regredite.
Espirai dalla bocca i terribili pensieri che stavo avendo: niente musica, niente jeans, niente scarpe da ginnastica, niente libertà, nessun diritto per me e per Debby. Come sarei riuscita ad essere me stessa se probabilmente come lavoro avrei dovuto fare la tessitrice? E i miei capelli? Li avrei dovuti tenere legati per il resto della mia vita, il mio meraviglioso simbolo di libertà assoluta... o peggio, li avrei dovuti tagliare?
Avevo l'impressione che fosse tutto un terribile incubo. Esistono avvenimenti così carichi di emozioni, dolore o felicità che siano, da farti perdere la cognizione del concreto e dell'astratto.
La gente sarebbe andata in rivolta e poi? Poi li avrebbero ammazzati tutti con una ghigliottina, oppure li avrebbero rinchiusi in una cella fatiscente a morire di fame, nessuno si sarebbe più ribellato e la Chiesa avrebbe vinto e i ricchi avrebbero vinto, come sempre d'altro canto.
Quando ero arrabbiata sentivo come se il cuore si ribellasse e volesse uscire e sputare tutto il suo rancore, come se, invece del sangue, nelle vene, mi scorresse del veleno che dovevo eliminare al più presto.
In quei momenti piangere non mi serviva, ridere neppure, mi serviva parlare, mi serviva urlare, leggere, mi serviva potermela prendere con qualcuno, ma mio padre non c'era più e, anche se stento a crederlo ancor oggi, mentre scrivo, mi mancava.
–Bene... chi sa andare a cavallo?– chiesi per rompere quel silenzio opprimente.
–Io e Aliviero anche– disse Mr. Cloud. Diego scosse la testa, i genitori di Debby pure e Debby disse: –Io ho cavalcato un pony per cinque o sei lezioni quando avevo sette anni e tu?–
–Mai provato... beh, almeno qualcuno di noi ne farà uso– conclusi.
–Fortunatamente non siete mai stati bocciati, cari ragazzi– disse Aliviero con un accento aspro.
–Io non ho capito una cosa, se riceveremo del cibo al mese, sarà sempre quello, non esisteranno supermercati, giusto?– domandò Diego.
–Niente di niente, solo quella sbobba che ci propineranno– confermò Mr. Cloud.
–Non farò più la cioccolataia– sussurrò la mamma di Debby –che lavoro avremo?–.
–Uno brutto– suppose il padre.
–Regole ancora da completare– bisbigliai.
–Questa è la parte più importante, il lavoro, il cibo e tutto il resto è il piccolo, ma le regole, la legislazione, quella è il succo, vi consiglio di non spremerlo, potreste schizzarvi di acido- disse Mr. Cloud.
Schiacciati da un vecchio rincoglionito, tutta l'Italia schiacciata da un vecchio rincoglionito!
Mi grattai la fronte e mi passai la mano in faccia sconsolata. Il campanello trillò, Aliviero andò incontro alla porta.
–C'è il vostro cavallo– disse un uomo insignificante –ah, domani verrò a prelevare questi tre ragazzi,– c'indicò –il sindaco vuole parlarvi–.
–Vuole anche imballarci?– ironizzai. Non rispose.
–Solo a noi tre?– chiese Debby con la sua dolce e suadente voce.
–No, a tutti i ragazzi di Milano che non abbiano superato la maggior età e che abbiano già iniziato le elementari– rispose lui e se ne andò senza dire o fare niente.
Non vedevo l'ora di farmi ridicolizzare davanti a tutti.
Arrivata sera ero talmente distrutta che non volevo nemmeno cambiarmi i vestiti o farmi una doccia. Un presentimento mi percosse, spalancai le porte dell'armadio: gonne e camicie, scarpette, una vestaglia, i miei vestiti erano scomparsi, come avevano fatto a prenderli?
E i libri...! Mi gettai tra i libri cercando i miei preferiti e osservando man mano i titoli, non c'era più nemmeno un fantasy, un horror, un thriller, in compenso le storie della vita di Gesù abbondavano. Presi una Bibbia, la sfogliai, la rigirai, ne aspirai l'odore, lessi un verso: i dieci comandamenti, non nominare il nome di Dio invano, 'e intanto l'hai già nominato' pensai, con una penna nera cancellai tutti i comandamenti, rovinai quel libro, se così si poteva chiamare, e lo strappai, pagine volarono ovunque. Raccolsi i pezzi e andai dritta verso il cestino, poi ci ripensai; basta, non era un sogno, bisognava reagire. Aprii la porta d'entrata e buttai la Bibbia distrutta a terra.
Richiusi la porta di botto!
Quando mi svegliai dal sogno tormentato di quella notte ero nuda nel letto, strisciai ancora travagliata fino alla doccia, girai il rubinetto e scoprii che l'acqua era calda, dopo circa cinque minuti, però, un getto freddo m'investì e rigirai il pomello veloce. Per fortuna faceva caldo. Non sapevo come vestirmi, optai per una lunga camicia bianca che sembrava un vestito, mi stupii che mi stesse anche piuttosto bene e si adattasse al mio corpo perfettamente. Ma le scarpe? Io avevo bisogno di scarpe comode per correre, lì vedevo solo ballerine di camoscio e scarpette che sembravano far sanguinare i piedi da quant'erano piccole. Nell'angolo più remoto dell'armadio scovai degli stivali marrone chiaro, erano freschi, comodi e ottimi per correre visto che non rischiavano di volarmi via dal piede al primo passo.
Scesi per il caffè e magari una brioche. Tutto quello che trovai era del pane. Pane sordo.
–Non c'è niente da mettere sul pane? Non c'è nemmeno della frutta?– chiesi ad Aliviero.
–Abbiamo la ricotta, è buona e come frutta ci sono alcune ciliege, purtroppo niente caffè, ma il latte caldo posso preparartelo– mi rispose gentilmente, andava più che bene tutto, solo, per quanto tempo sarebbe durata la ricotta? E il latte? E le ciliege? Il pane sarebbe sempre stato così dorato e profumato o si sarebbe ridotto ad una forma piatta e nera piena di muffa? Una volta avevo letto che durante la guerra nel pane ci mettevano il cartone e le persone lo mangiavano comunque perché avevano troppa fame, sarebbe successo lo stesso?
–Grazie. Dov'è Mr. Cloud?–
Aliviero m'indicò con la testa il piano di sopra. Come avrebbe fatto Mr. Cloud senza il suo amato caffè e senza il giornale? Poteva sembrare una sciocca routine, ma era l'unico granello di quotidianità che Mr. Cloud si poteva permettere e, portarglielo via, era brutale.
Mangiai un poco. Avevo intenzione di parlare con Mr. Cloud, ma vennero a prendermi prima.
Finora non avevo mai avuto posti in cui volessi restare, volevo solo scappare, ma ora, ora abbandonare la mia famiglia era così dura, mi rassicurai pensando che presto sarei tornata. Ero stata abituata sin da bambina a saper badare a me stessa, non sarebbe stato impossibile affrontare il molle sindaco di Milano.
Procedemmo a passo di marcia e arrivammo in un tempo che mi parve infinito e, allo stesso tempo, troppo breve.
Ci costrinsero a schierarci in file parallele e ordinate, i miei muscoli erano tesi, come se dovessero essere sempre pronti a scattare per partire all'attacco.
Mi accorsi che avevo le spalle rigide, le rilassai. Il sindaco si presentò e cominciò a parlare:
–Voi siete la parte più importante di questa città, di questo paese, voi giovani. Sappiate che il vostro dovere è rappresentare la giustizia, la sapienza, la purezza; alcuni già lo fanno altri, invece, devono migliorare. Le ragazze, le ragazze sono un punto critico di questa nuova legislatura, io non sono d'accordo, ma è stata approvata una legge e le donne non possono più portare i pantaloni, né fare lavori da colti, lavoreranno nelle fabbriche.
Dovranno mantenere un comportamento rispettoso nei confronti dei loro colleghi uomini–
Alzai il braccio. Il sindaco annuì.
–Quelle che stanno studiando al liceo possono continuare e laurearsi?–
–Se lo farete non otterrete alcun genere di stipendio e non potete andare oltre il diploma liceale–.
Questo fu uno di quei momenti in cui il mio cuore si riempiva di veleno.
–Non è giusto! Le sembra una legge questa?!–
–No, ma devi sapere che la legalità non sempre combacia con la giustizia–
–Io non voglio lavorare in una fabbrica! Non voglio e non mi arrenderò!– protestò Debby.
Presto tutte le ragazze urlarono e si sbracciarono contro quell'ingiustizia che ci perseguitava. Trovai Cloe.
–Sei felice della Chiesa adesso? Volevi diventare un medico, vero? Me lo dicesti una volta, non potrai farlo! E questa è in parte colpa tua!–
Il sindaco continuò imperterrito ad elencare ciò che non avremmo potuto più fare:
–Non potrete più rispondere in modo sarcastico o irrispettoso agli uomini a meno che non siano loro a darvi il permesso.
Saranno loro a decidere chi avere tra voi. Non potrete più praticare sport.
Vi sarà tolta la libertà di parola.
Per chiunque violi queste leggi è prevista una pena dalla galera al rogo nel caso in cui siate condannate per eresia e proclamate streghe.
I maschi come punizione riceveranno ghigliottina, impiccagione e fustigazione, ma le regole che dovranno rispettare saranno di meno e avranno quasi tutti i diritti di ora–
–Nessuna di noi soccomberà!– gridai.
–Allora ognuna di voi verrà condannata a bruciare nelle fiamme dell'inferno–.
I passi del sindaco risuonarono lugubri sulla predella di legno...