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Autore: Redemption    25/03/2013    0 recensioni
Una raccolta di varie storie d'amore brevi, che spaziano tra diversi periodi storici, luoghi e situazioni. Ogni storia inizierà con "Mi chiamo (Nome della protagonista del racconto) e l'amore mi ha (effetto che esso ha avuto sulla sua vita)", ed evidenzierà il distacco dagli altri racconti presenti in questa raccolta. Buona lettura.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Mi chiamo Vanessa, e l'amore mi ha rinnovata.
Sono sempre stata una ragazza molto chiusa e introversa, o forse troppo diffidente nei confronti del mondo e di chi mi stava attorno, e sono sempre rimasta molto sulle mie. Non mi sono mai interessata alla moda, alla musica o a qualcos'altro, l'unica cosa che m’interessava era riuscire a mantenere il mio posto all'ufficio arrivando ogni mattina prestissimo, così da farmi notare dal capo come una brava dipendente, nonostante arrivasse sempre più tardi del dovuto così da distruggere ogni mio tentativo di passare per la più puntuale.
Il destino e gli avvenimenti che disegnano quella che tutti comunemente chiamiamo vita, non hanno mai dipinto su quella tela bianca della mia esistenza qualcosa di forte, d’indelebile, ma sempre e soltanto dei tratti grigi e deboli che spesso con il tempo si deterioravano da soli. Non provai mai a cambiare le cose, a prendere in mano i pennelli e a tracciare anche solo una linea di mio pugno, ho sempre lasciato la totale decisione prima sui miei genitori e poi sugli avvenimenti. O almeno, questo fu il paesaggio che caratterizzò le mie giornate fino a quando non incontrai Jacopo.
Si era appena trasferito nel monolocale di fronte al mio quando lo vidi per la prima volta. Ero appena arrivata in quel quinto piano di un palazzo vecchio che nonostante fosse piccolo, non mi stava stretto, dopo mezz’ora passata a cercare una maledetta crema depilatoria al supermercato. Lui aveva appena aperto la porta di casa, e stava portando dentro la sua nuova abitazione, una decina di scatoloni ben sigillati, tutti con una nomenclatura sopra che riassumeva con una o due parole il loro contenuto. Molti erano strumenti da lavoro come raschietti, pennelli, tavolozze, pochi erano gli scatoloni con i vestiti.
Ricordo che una strana curiosità s'impadronì di me, e mi portò a compiere un'azione che mille volte avrei ripetuto, pur di dare finalmente uno scossone alla mia vita.
 
Lo salutai,sì.
 
Beh, potrebbe sembrare qualcosa di banale, normalissimo, dopotutto sarebbe diventato il mio vicino di casa, l'avrei incontrato quasi ogni giorno, ma per me fu qualcosa di straordinario, un'azione completamente lontana da tutto ciò che avevo compiuto nella mia vita. Non avevo molti amici, non mi era mai interessato averne, forse per non avere nessun tipo di problema. Vedevo mia madre, attorniata di donne di mezza età con cappellini eccentrici e voglia di pettegolezzi, sempre preoccupata a cosa dire, cosa fare, cosa indossare nei pomeriggi in salone a prendere il te. Non era la vita che faceva per me, credevo a trentadue anni, scioccamente.
Quella volta però, non so, qualcosa mi mosse da dentro, e all'inizio pensai che quella trovata fosse stata un fiasco totale, giacché Jacopo, il quale nome per me in quel momento era sconosciuto, neanche mi calcolò. Però, cosa ne potevo sapere io, che non avevo neanche notato che indossasse le cuffie? Nulla, e fu proprio per questo che mi rinchiusi in casa per circa tre giorni, presa da un imbarazzo esorbitante. Uscii solo per andare a lavoro un'ora prima dell'orario regolare, e non lo vidi per un po' di giorni. Fu solo al settimo giorno dal suo arrivo che si fece vivo, bussando alla mia porta.
Se provassi a concentrarmi riuscirei a sentire ancora il cuore battermi all'impazzata, ne sono sicura.
Fu aprendo quella porta che per la prima volta riuscii a scorgere il suo viso in ogni dettaglio. I suoi occhi erano neri come la notte, profondi e magnetici, e le sue iridi sembravano aver visto tutto, nonostante potessero avere all'incirca una trentina di anni o poco più. Erano sottolineate dai tratti somatici spigolosi ma eleganti, circondati da capelli ondulati e scuri che contrastavano il chiarore della sua pelle caucasica. Sarebbe potuto sembrare anche uno straniero, se non fosse stato per il suo accento marcato fiorentino. Era più alto di me, nonostante io non fossi una persona bassa.
Ritrovarmelo davanti fu sconvolgente, e il mio viso diventò del colore dei miei capelli, rosso come un pomodoro, mischiandosi quasi con il colore delle lentiggini. Aveva un bicchiere di ceramica bianco in mano, in cui si potevano scorgere delle pennellate, rimaste dopo aver pulito i pennelli sporchi in un'acqua che non c'era più. Non attese più del dovuto, e si limitò a presentarsi e a chiedermi se avessi acqua ossigenata in casa, fissandomi dritto negli occhi nocciola. Io invece, da brava imbranata, aspettai una ventina di secondi prima di farlo accomodare in casa per cercare l'acqua ossigenata, che trovai solo un quarto d'ora dopo, scombinando l'equilibrio di pulizia e ordine della mia casa. Jacopo rimase in silenzio tutto il tempo, seduto sul mio divano, picchiettando l'indice sul ginocchio, tenendo il tempo di una qualche melodia che sicuramente non conoscevo. Mi diede molto fastidio, quel silenzio pesante sembrava una barriera invalicabile, un muro che avrei tanto voluto superare.
Ma come avrei fatto a scalarlo se il mio carattere non me l'avrebbe mai permesso? Fu quando, dopo esserci freddamente salutati, uscì dalla mia porta che decisi che avrei dovuto cambiare qualcosa nella mia vita, e in fretta.
Però non ci riuscii, o almeno non subito.
Per quanto mi sforzassi, rimanevo la grigia Vanessa di sempre, senza colori, senza sogni. Inoltre, più passavano i giorni, più mi accorgevo di quanto lontano potesse essere il mio mondo da quello suo. Jacopo passava i suoi pomeriggi ad ascoltare musica classica e a dipingere. Lo sapevo perché lo sorpresi un paio di volte con un camice bianco sporco di mille colori quando gli suonavo per chiedergli o un po' di sale, o del latte. Io invece, passavo i miei pomeriggi a guardare apatica la tv, lasciandomi divorare il cervello dalle pubblicità e dai notiziari fin troppo fittizi. Non c'era nulla di interessante in me e nella mia vita, era tutto troppo flebile, indefinito, noioso.
Jacopo lo sapeva, lo sapeva benissimo.
 
Eppure…
 
Era domenica il giorno in cui per la prima volta vidi i 'colori', assaporando l'essenza della felicità. Il mio eccentrico vicino di casa suonò alla mia porta, e senza che io potessi dir nulla mi ordinò di prendere le chiavi di casa e di seguirlo. Non avevo idea di cosa volesse fare, e sinceramente avevo anche un po' paura. M’invitò ad entrare a casa sua, facendomi cenno di restare in silenzio, poggiando l'indice sulle labbra sottili e quasi anonime ma che mi affascinavano tanto. Nell'aria echeggiavano le note di qualcosa che forse poteva essere Mozart, se la memoria scarsa e quasi inesistente sulla musica non m’ingannò, rendendo quella casa spoglia di mobili di grande stazza piena di qualcosa di inspiegabile. E non erano solo le decine di meravigliosi quadri dipinti da lui stesso, che raffiguravano suggestivi paesaggi. Jacopo mi accompagnò in una stanza piccola e con le mura bianche e piene di schizzi di colore, con al centro una tela ancora non iniziata, e mi accompagnò davanti ad essa, dandomi in mano un pennello ed una tavolozza. Dal salone risuonavano note leggere e semplici, e fu come se fossero state proprio loro, insieme alla mano di Jacopo, ad accompagnare le mie dita su quel candore bianco che fu macchiato da una linea rossa come il sangue e come la passione. Proprio in quel momento, mentre il colore s’imprimeva sulla tela, sentii qualcosa cambiare dentro, come se il mio essere, la mia anima e tutto stessero cambiando. Fuproprio così: lamiavitasi stava trasformando. Secondo dopo secondo, minuto dopo minuto, quella tela si riempì sempre più di colore, finché non iniziò a tracciarsi in quella tempesta di tonalità la figura di una donna dalla chioma rossa. Ero io quella? Sì, eroproprio io. L'abbozzo stava prendendo forma sempre più, e fu una sorpresa incredibile vedere la mano di Jacopo seguirmi nel tracciare una linea sinuosa e azzurra che partiva dalla mia schiena. Era l'abbozzo di un'ala, che solo pochi minuti dopo si sdoppiò, prendendo la forma di ali di farfalla.
Avevo appena compiuto la mia metamorfosi. Il bruco ormai da troppo addormentato nella crisalide si era appena svegliato, trasformandosi in una meravigliosa farfalla.
Un'incredibile ed inattesa sensazione di libertà mi esplose nel cuore, e tutto avrei potuto immaginare fuorché questo: ero rinata, e questa volta veramente. Fissai meravigliata quella figura dalla chioma rosso sgargiante e dalle maestose ali librarsi nell'immensità degli infiniti paesaggi abbozzati nella tela, e poi mi voltai verso Jacopo, che mi guardò negli occhi con uno sguardo colmo di emozioni che solo allora riuscii a comprendere. Bastarono una manciata di secondi per far sì che le sue labbra si poggiassero sulle mie, e quello fu l'inizio di qualcosa che ancora oggi non ha fine. 
  
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