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Autore: Akilendra    25/03/2013    8 recensioni
Gli Hunger Games sono giochi senza un vincitore, ventitrè ragazzi perdono la vita, l'ultimo che rimane perde sè stesso in quell'arena, non c'è nulla da vincere, solo da perdere. Nell'arena si è soli, soli col proprio destino, Jenna però non è sola...
Cosa sei disposto a fare per non perdere te stesso? E se fossi costretto a rinunciare alla tua vita prima ancora di entrare nell'arena?
Gli Hunger Games saranno solo l'inizio...
(dal Capitolo 1):
"Un solo rumore e so che lei è qui...l'altra faccia della medaglia, il mio pezzo mancante, la mia immagine riflessa allo specchio, una copia così perfetta che forse potrebbe ingannare anche me, se non fosse che io sono la copia originale dalla quale è stata creata. Dopotutto sono uscita per prima dalla pancia di nostra madre, quindi io sono l'originale e lei la copia."
(dal Capitolo 29):
"'Che fai Jenna?'
Mi libero della menzogna.
'Che fai Jenna?'
Abbraccio la verità.
'Che fai Jenna?'
Mostro l'altra faccia della medaglia."
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 14


Rimango ore ferma lì davanti ai binari, ad aspettare, non so bene neanch'io cosa, ma aspetto; forse è la vana speranza di vedere quel treno tornare indietro a non farmi muovere, o forse rimango lì, perchè non saprei dov'altro andare.

Se solo potessi tornare indietro, riavvolgere il nastro come in un film, mi basterebbero poche ore, giusto il tempo di reagire, il tempo di raccogliere un briciolo di coraggio e non lasciarlo andare, solo il tempo di sussurrare al suo orecchio un 'ti amo'.

Ed ora? Cosa faccio ora?
Cosa farei per averlo qui accanto a me!
'Faresti anche quello che vorrebbe lui?'
Farei tutto!
'Lui vorrebbe che ti alzassi'
Faccio forza sulle gambe e mi alzo in piedi.
'Lui vorrebbe che ti alzassi'
L'ho fatto.
'No Jenna, lui vorrebbe che ti alzassi!'

Solo ora capisco il senso di quelle parole.
Si, lui vorrebbe che mi alzassi, che reagissi, che mi riprendessi la mia vita.

Un nuovo calore invade il mio corpo, sento bruciarmi dentro una fiamma, soprendente quanto inattesa e so che è finito il tempo di compiangersi, è finito il tempo di rimanere immobili, è finito il tempo di guardare la vita scorrere, è arrivato il tempo di rialzarsi, di rinascere dalle ceneri, di vivere quella vita, la mia vita.

Mentre cammino verso casa per le strade del distretto mi sento nuova, più leggera, mi sento forte abbastanza da tenere la testa alta, forte abbastanza da sentirmi quasi viva.
Metto un passo dietro l'altro e la monotonia dei miei movimenti concilia i miei pensieri, penso alle persone che sono lontane.
Ad Anna, che in questo momento starà tremando ripetendosi che non può farcela e nonostante tutto vorrei essere là per poggiarle una mano sulla spalla e dirle che andrà tutto bene, a Sam, che chissà a cosa pensa, vorrei esssere là per abbracciarlo e dirgli quelle parole che non ho fatto in tempo a dire, ad Ares...penso a lui e ritorna il dolore, improvvisamente la forza di poco fa si dissolve e mi lascia vuota e senza fiato.

È facile dire di andare avanti, di rialzarsi, di smetterla di soffrire, ma il dolore che sento quando penso a lui ci sarà sempre, lo stesso che la sera mi impedisce di prendere sonno, lo stesso che la mattina mi sveglia e mi toglie il respiro, ricordandomi che è appena iniziato un nuovo giorno che lui non vivrà mai, uno dei tanti.

Mi sento colpevole e mi condanno pur sapendo in cuor mio di essere innocente; tocco il suo ciondolo che ho intorno al collo, quella pietra color dei suoi occhi sembra tutt'un tratto animarsi e gridarmi in faccia, urla che è colpa mia ed io gli credo.

'Non è colpa tua, Jenna'
Si invece, lui è morto, io sono viva.
'Non è colpa tua'
Farei di tutto per poterlo riavere indietro.
'Faresti anche quello che vorrebbe lui?'
Tutto.
'Lui vorrebbe che ti alzassi'

Loro vorrebbero che mi alzassi.
Ed io mi alzerò, non importa quanto farà male, non importa se ogni giorno penserò di non farcela , non importa quanto sembrerà facile mollare tutto, ricadere; io mi alzerò, per me, per Sam, per Ares.

Un po' più forte con questa nuova consapevolezza, giro la maniglia della porta della mia nuova casa, quella al villaggio dei vincitori, quella in cui non ho mai voluto mettere piede finora e mi preparo a riabbracciare un importante pezzo della mia vecchia vita, mio padre.

Quando entro in casa, lo vedo in piedi davanti a me, come se mi stesse aspettando, in effetti poi capisco che è proprio così, che mi stava aspettando e mi ricordo che ai suoi occhi io sono Jenna, la figlia che gli Hunger Games non hanno sciupato, io sono Jenna, quella che in questo periodo gli è stata accanto mentre Anna, stordita dal dolore si rifiutava di vederlo.
Vorrei abbracciarlo, vorrei dirgli quanto mi è mancato per tutto questo tempo, ma non posso, non ce ne sarebbe motivo, per lui io sono Jenna e sono sempre rimasta qui, con lui.
Così quando i miei occhi non ce la fanno più a trattenersi e qualche lacrima salata mi riga le guance, è facile convincerlo che sono per Anna, che è perchè mi dispiace che sia partita di nuovo, come potrebbe mai sapere che quelle lacrime sono per me? Come potebbe mai pensare che piango per la mia vita?

Finirò mai di recitarla? Inizierò mai a viverla?

Nonostante sia difficile stare vicino a mio padre non potendogli dire la verità, cerco di farlo lo stesso, non perdo occasione per stare insieme a lui, ho passato troppo tempo a fare l'adulta, ora voglio riprendermi quel ruolo che mi è stato strappato, voglio fare la bambina, voglio fare la figlia, voglio godere del calore del suo abbraccio, voglio poter credere di essere al sicuro sotto il suo sguardo protettivo, ne ho bisogno.

Cerchiamo di non parlare di Anna, della sua partenza, di solito quando possiamo teniamo anche la televisone spenta, ma a volte si accende da sola, comandata dai sistemi della capitale e ci mostra senza il nostro permesso i tour della vittoria, se ci riusciamo, sgattaioliamo di comune accordo in cucina, dove le immagini e i suoni dell'apparecchio in soggiorno non possono raggiungerci; altre volte però la curiosità e l'apprensione di papà sono troppo grandi e allora lo vedo guardare con sguardo preoccupato, l'immagine di sua figlia mentre legge con voce tremante i discorsi alle famiglie dei tributi.
Allora lo sento mormorare parole apprensive, si chiede quanto sforzo debba fare e quanto le faccia male ricordare quei ragazzi che ha visto morire, quando succede, mi allontano, devo farlo, o rischierei di mandare all'aria il nostro segreto, proprio non ce la faccio a sentirgli dire quelle parole.

Povera Anna! Eh già, vorrei poterla commiserare anch'io, ma il ricordo di lei mentre mi dice di non avermi chiesto di salvarle la vita, mi sale fino al cervello, mi annebbia la vista e mi fa impazzire dalla rabbia.
Poi, quando dal silenzio capisco che il televisore è spento, la rabbia si attenua, non sparisce mai del tutto, ma le si affianca un altro sentimento che l'annebbia, non so cosa sia, so solo che quando lo sento, vorrei averla vicino, per stringerla forte, non è che la rabbia sparisca, semplicemente passa in secondo piano e non mi importa più quello che è successo, sento solo che è mia sorella e che la voglio vicino a me.

Una delle tante volte che la televisione si accende da sola, sento la voce del presentatore annunciare che la vincitrice quel giorno ci parla dal distretto 2, il distretto di Alexandra...il distretto di Ares.
Non posso trattenermi e prima ancora che Anna inizi a storpiare con la voce un discorso che doveva essere muto, esco di casa sbattendo la porta, ritrovandomi per strada senza sapere neanche dove sto andando.
Proprio non ce la faccio a sentirgliele leggere, quelle parole che so a memoria perchè le ho scritte io, quelle parole pensate come l'ultimo saluto al mio più grande amico.
Così scappo via verso il bosco, non mi fermo finchè non mi sento al sicuro, rannicchiata sotto ad un albero secolare e allora le dico, quelle parole, la bocca chiusa, l'unica voce che si sente è quella del cuore e mentre le pronuncio dico addio ad Ares, lo ringrazio di tutto, gli dico quanto gli ho voluto bene, gli confesso che qualunque cosa accada non riuscirò mai a dimenticarlo e gli prometto, giurandoglielo, che la mia vita continuerà, gli prometto che conserverò il suo ricordo ed in nome di questo non permetterò mai che il dolore della sua perdita mi impedisca di vivere.
Gli prometto che mi alzerò, gli mostrò che lo sto già facendo, mi sto alzando, proprio come avrebbe voluto.

Un giorno, a svegliarmi dal mio lussuoso sonno tra le trapunte ricamate, degne della casa di un vincitore, è la voce di mio padre che mi annuncia che quella stessa mattina Anna sarebbe tornata a casa, mi dice che quest'anno hanno voluto fare un'eccezione e che dopo aver fatto il giro di tutti i distretti, la vincitrice tornerà al suo per la tradizionale festa e poi festeggerà per l'ultima volta a Capitol City.
Penso che ci siamo un po' troppe eccezioni quest'anno per i miei gusti, ma una parte di me, quella assai in minoranza che non è arrabbiata con lei per come si è comportata, è felice di poterla riabbracciare.
Così all'ora prevista la stazione si è riempita della gente di tutto il distretto, venuta ad accogliere la vincitrice e a festeggiare con lei.

Quando la vedo fare capolino dal treno, il suo viso si apre in un sorriso e penso che stia recitando molto meglio ora, qui tra la sua gente dove non ce n'è bisogno, che durante il tour della vittoria, o forse non sta recitando, forse è solo felice di essere tornata a casa.
Dopo aver fatto qualche ripresa i giornalisti ed i camera-men se ne vanno soddisfatti e la stazione comincia a svuotarsi, tutti corrono a casa per prepararsi alla festa di questa sera, allora c'è finalmente spazio per respirare, il sorriso raggiante che mostrava mia sorella sul suo viso si sostituisce con uno un po' più tirato ed un'espressione stanca.
Quando non è più occupata a preoccuparsi di recitare per le telecamere si accorge improvvisamente anche di me, mi fa un cenno della testa a cui rispondo con un'occhiata, vorrei correrle incontro e dirle quanto mi è mancata, ma il mio orgoglio mi trattiene, non posso far finta di niente, troveremo il tempo per chiarire la situazione quando saremo a casa.

Solo ora, per ultimo, anche Sam scende dal treno, ma a differenza di Anna, lui non deve fingere proprio niente e prima ancora che abbia poggiato un piede a terra, i suoi occhi sono già fissati nei miei.
Sento un sussulto nei pressi dello stomaco ed il mio cuore perde un battito, è tornato, ora è qui, ora posso dirgli quello che provo, ora finalmente tornerà tutto come prima tra di noi.

All'improvviso un dubbio si insinua nella mia testa: e se le cose non dovessero tornare come prima? Non ci avevo neanche pensato un attimo, impegnata com'ero a rinfacciarmi di non essere riuscita a dirgli che lo amavo, infondo lui ha sofferto molto e tutto per colpa mia, ha tutto il diritto di non volermi più.
Per un istante soppeso l'idea che tra noi non possa tornare come prima e la approvo, non sarà come prima, gli Hunger Games hanno lasciato in me un segno indelebile, proprio come fu anche con lui, ma Sam mi ama, io amo lui, non riesco a trovare una ragione al mondo per cui lui possa smettere di amarmi, come non riesco a trovare un solo motivo che mi spinga a vivere senza di lui, noi semplicemente ci apparteniamo, siamo fatti per stare insieme.

Ma quando guardo ancora in quegli occhi color cielo le mie solide convinzioni tutt'un tratto crollano e per un istante ho davvero paura.

Nessuno di noi parla durante il breve tragitto che ci conduce fino a casa mia, quando entriamo senza accordarci ci disponiamo a cerchio e ci guardiamo a vicenda, come per indovinare chi sarà il primo a rompere il ghiaccio; ma nessuno di noi lo fa, a spezzare la pesante atmosfera invece è la voce stridula dall'accento tipicamente Capitolino di uno dei miei preparatori, anzi ora di Anna, che sembra essersi materializzato all'improvviso in casa mia, squittisce qualche parola e trascina mia sorella con sè.

- No, io devo parlare con Jenna! - dice guardandomi, ma le sue obiezioni disperate non servo a niente, il capitolino continua a ripeterle che potrà parlare con me più tardi e che ora non c'è tempo perchè devono prepararla per la festa in suo onore che si terrà questa sera.
Così rimaniamo io e Sam, per un attimo entrambi facciamo finta di dedicare la nostra attenzione a le cose più stupide che troviamo nella stanza e mentre io fisso attentamente le mattonelle del pavimento, lui sembra trovare interessantissimi i ricami sulle tende, poi dopo un istante torniamo a guardarci – Io...- bisbigliamo all'unisono cercando di iniziare una conversazione – Tu? - diciamo ancora insime.
Ci concediamo un sorriso tirato e ripiombiamo nel silenzio, quando credo di non poter più sopportare la situazione lo prendo per mano – Vieni con me – gli sussurro facendogli strada.

Lo conduco nel bosco in un posto appartato dove nessuno può sentirci nè vederci, mi siedo per prima ai piedi di un grande albero e lui mi imita, mi sarei aspettata un fiume di parole uscirgli dalla bocca ed invece eccolo qui: muto e pensieroso davanti a me.

Nel silenzio non smettiamo un attimo di guardarci negli occhi ed io che fino a qualche settimana fa facevo fatica, ora avendo fatto chiarezza tra i miei sentimenti, lo guardo senza paura.

Dopo parecchi minuti di taciti sguardi inizio a parlare sorprendendomi di quanto la mia voce risulti calma e molodica, mentre descrivo Ares, non c'è dolore nelle mie parole, forse un po' di nostalgia, come quando si parla di un vecchio amico di infanzia che non si vede da anni.

Molte volte da quando ero tornata dall'arena Sam mi aveva chiesto di lui ed io non avevo mai risposto, quando mi aveva domandato dei sentimenti che nutrivo nei suoi confronti, io mi ero chiusa a ricco, combattendo il mio dolore in solitudine; ora senza che lui mi avesse chiesto niente, gli sto aprendo il mio cuore con una semplicità che faccio fatica a riconoscere in me.
Gli racconto tutto, gli parlo della prima volta che ci ho parlato, al centro di addestramento, di come mi ha aiutato gratuitamente, di come mi ha inserito nel gruppo dei favoriti, gli dico di quando sull'hovercraft mi ha chiesto di diventare sua alleata, di come mi sono sentita una codarda ad averlo abbandonato inizialmente durante il bagno di sangue; poi gli racconto anche di quella notte intorno al fuoco, di come mi sentivo prottetta accanto a lui e di come mi sono sentita sola ed abbandonata quando pensavo che mi avesse tradita.
Gli racconto dei suoi ultimi attimi di vita, delle sue mani che mi mettono al collo la sua collana e anche di quel bacio, il suo ultimo desiderio.

- Ares era un amico, il più grande che avessi mai avuto e che avrò, a lui devo tutto, è merito suo se sono ancora viva, lui mi ha insegnato tante cose ed io sento che mai potrò ripagare il debito che ho nei suoi confronti. Quando è morto mi sono sentita persa, una parte di me è morta in quell'arena insieme a lui... io gli ho voluto davvero molto bene, nemmeno tra un milione di anni potrei dimenticarlo!- dico alla fine, mi concedo un attimo di silenzio e scruto a fondo la sua espressione da cui non riesco a leggere alcuna emozione.

- Gli ho voluto bene, Sam, gliene voglio ancora molto, nonostante non ci sia più – continuo e solo per un attimo mi pare di vedere un'emozione attraversare veloce il suo viso, poi ritorna la maschera illegibile di pochi istanti prima – Ma io amo te, Sam ... amerò sempre te! - dico in un sussurro con le lacrime agli occhi.

Per un attimo è come se il tempo si fermasse, la maschera illegibile che era il suo viso si scioglie e tutti i sentimenti che cercava di trattenere gli piombano addosso, mescolandosi e facendogli abbassare lo sguardo per l'emozione.

Lo vedo tremare, proprio come sto facendo io, mentre trova la forza di alzare lo sguardo e torna a guardarmi negli occhi, schiude più volte le labbra come per dire qualcosa, ma ogni volta che lo fa, le richiude subito dopo bocciando le parole che stava per pronunciare, dato che non trova la forza di parlare decido di aiutarlo, mi avvicino a lui lentamente – Ti amo, Sam – bisbiglio prendendo le sue mani tra le mie.

Le mie parole invece sembrano colpirlo quanto una lama, ritrae le mani come se il contatto con la mia pelle le avesse ustionate, per qualche secondo è combattuto tra le due parti in cui è diviso il suo cuore, alla fine esausto si mette le mani tra i capelli e piano sembra calmarsi, così so che una delle due ha prevalso sull'altra.
Nei suoi occhi riesco a vedere quella fiamma che lo divora e non gli da tregua, mi guarda come un bambino guarda la mamma scusandosi per quello che sta per combinare, poi quella stessa fiamma si impossessa di lui, mi prende il viso tra le mani e preme con foga le sue labbra sulle mie.
In un attimo anch'io vengo presa da quel fuoco, lo sento bruciarmi sulla bocca mentre mi bacia e sul corpo mentre mi spoglia e all'improvviso scompare tutto, niente è più importante, in tutto l'universo non esistiamo che noi.

Non esistiamo che noi mentre mi bacia come non ha mai fatto, mentre mi strappa i vestiti di dosso, mi stringe a lui fino a farmi male eppure sento che potrei morire se le sue braccia mi lasciassero anche solo per un secondo, sento che potrei soffocare se smettesse di baciarmi.

Questa notte stento a riconoscere il ragazzo che stringo fra le braccia, mi sembra di abbracciare il fuoco, mi sembra di baciare il diavolo, questa notte avrebbe potuto chiedermi di raggiungerlo all'inferno ed io avrei accettato.

Quando ci svegliamo ancora morbosamente attaccati l'uno all'altra, ci accorgiamo che siamo nel bosco e ben presto ci rendiamo conto che sarà difficile ritornare a casa conservando un aspetto decoroso.
Impreco a gran voce mentre senza nulla addosso setaccio il sottobosco nei dintorni in cerca dei miei vesiti, Sam invece ride di gusto mentre mi sventola davanti al naso quello che l'altra sera doveva essere una camicetta, ma che ora è ridotta ad un malconcio brandello di stoffa.
Man mano nei cespugli, tra le radici, alcuni persino impigliati su un ramo, ritroviamo i nostri vestiti e un anche se sono sgualciti, strappati e sporchi di terra, cerchiamo di indossarli meglio che possiamo, per fortuna ci sono i cappotti, impossibili da strappare, che sono rimasti intatti e coprono abbastanza bene il resto degli indumenti.

Mentre tremanti dal fredddo, raggiungiamo in fretta il villaggio dei vincitori, non possiamo non scambiarci sguardi complici e divertiti, poi recuperando un po' di serietà entrambi entriamo nelle nostre rispettive case.
Per fortuna sembra che papà ed Anna dormano ancora, sto per entrare silenziosa in camera mia, quando sento una mano poggiarsi sulla mia spalla e trattenermi.

- Ehi! - mi grida Anna facendomi balzare per lo spavento, gli occhi neri fissi nei miei – Shhh! - le intimo di fare silenzio con un dito sulle labbra – Devo parlarti! - mi dice seria senza abbassare la voce – Prima vado a cambiarmi – dico cercando si sgattaiolare nella mia stanza – Ora! - mi ordina con un tono così fermo ed autoritario che non faccio più obiezioni e la seguo.
Mi porta nel bagno e dopo aver accuratamente chiuso la porta a chiave, apre l'acqua del rubinetto e quella della doccia – Ma che fai?- dico sorpresa per un simile spreco, il lusso dell'acqua corrente fino a pochi mesi fa non ci era concesso, ma Anna mi ignora, mi guarda solo negli occhi con un'espressione cupa, sembra molto preoccupata – Devo chiederti scusa...- inizia con voce tremante  - Anch'io devo farlo, l'ultima volta che abbiamo parlato io...- la interrompo, ma lei mi tappa la bocca con le mani e si butta a terra singhiozzando – No, no, è tutta colpa mia...è colpa mia, scusami Jenna, io non volevo, è tutta colpa mia! - dice tra le lacrime, mi inginocchio anch'io e cerco invano di consolarla, le dico che abbiamo sbagliato entrambe ma che ora è acqua passata, ma lei continua a piangere a dirotto e non la smette di dire che è colpa sua – No, tu non capisci, non è questo...è tutta colpa mia...ora lui verrà qui! - mi dice con aria spaventata – Ma di cosa stai parlando? Chi è che verrà qui? - chiedo confusa – Lui! Lui verrà qui, noi l'abbiamo fatto arrabbiare, ha capito tutto, lui sa... - dice con l'affanno – Anna, lui chi? - chiedo all'improvvsio spaventata della sua possibile risposta, quando pronuncia il suo nome sento il mondo crollarmi addosso -Snow!- dice col panico negli occhi – NO! - urlo – Si invece, lui si è accorto che io non ero te! - mi dice disperata – Lui non può fare niente, è tutto finito, lui non ci farà del male! - cerco di tranquillizzare lei ma anche me  - No Jenna, lui verrà qui, verrà a prenderci! - la sua voce è sempre più spaventata – Non può venire qui, non può farci del male! - dico imprimendo in quelle parole tutta la convinzione e la forza di volontà che ho in corpo.

Passano giorni in cui Anna è intrattabile, non fa che ripetere frasi senza senso, quando le sono vicino mi afferra per un braccio e mi prega di scappare, mi dice che lui arriverà, che lui verrà a prenderci, che è tutta colpa sua e mi chiede di perdonarla, ogni volta cerco di tranquillizzarla e col passare dei giorni, la paura che mi aveva contagiata viene sostituita dalla sicurezza che siamo al sicuro, che lui ormai non può farci più nulla.

Poi circa una settimana dopo il campanello di casa suona e quando apro la porta gli occhi da rettile del presidente Snow mi fissano maligni e la sua voce stridula mi augura buongiorno.








Angoletto dell'autrice esaurita:
Ecco finito un altro capitolo, questa settimana non mi pareva quasi impossibile riuscire a pubblicare il capitolo, perciò quando l'ho finito di scrivere, non mi sembrava vero!
Questo non vuol dire che sia per forza bello, o all'altezza ( seppur minima) degli altri, questo dovete dirmelo voi.
Vediamo un po', Jenna fa chiarezza nella sua testa e dice il suo addio ad Ares, nel frattempo Sam ed Anna ritornano e mentre lei e Sam...'fanno pace', Anna si sente in colpa, dice che è tutta colpa sua e che sono in pericolo e poi c'è Snow che bussa alla porta... :O
Bene, sarei molto contenta se voleste lasciarmi una vostra opinione, è davvero importante!
Ringrazio moltissimo chi lo ha fatto nello scorso capitolo: _Nica89_ , TheSandPrincess, Hoshi98, Bessie, lula99, Water_wolf.
Grazie davvero!

 

  
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