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Autore: theStarbucksGirl    25/03/2013    1 recensioni
Quattro maghi si materializzano in un'isola inesplorata e selvaggia; hanno un grandioso progetto, per il quale però devono trovare il luogo ideale. Riusciranno a scovarlo in quella terra, così imprevedibile, e soprattutto così magica?
I quattro maghi sfoderarono bacchette magiche di diversa forma e fattura, e si diressero in quattro direzioni diverse. Il suono dei loro passi circospetti si perse nell'ululare del vento, e ben presto furono soli.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Godric, Priscilla, Corvonero, Salazar, Serpeverde, Tosca, Tassorosso
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Questa storia si è classificata sesta al "Paddy's Day Contest" indetto da Ferao sul forum di Efp.

Il luogo ideale


Un sonoro crack risuonò nella vallata ventosa, accompagnato dall'apparizione di quattro figure avvolte in lunghi mantelli da viaggio. Erano due uomini – uno imponente con indomabili barba e chioma rossa, l'altro sinuoso e dallo sguardo acuto-, e due donne – una paffuta e luminosa, l'altra affascinante e austera.

Per qualche minuto stettero in silenzio guardandosi attorno; non c'era altro che un mare d'erba profumata sferzato dal vento, punteggiato da pochi fiori e molte rocce, che nella loro disposizione casuale, sembravano avere un disegno preciso.

Ecco! Siamo senz'altro nel posto giusto! La sentite anche voi?” domandò l'uomo dai capelli rossi.

Che cosa?” chiese la donna più bassa, leggermente confusa.

LA MAGIA!” esclamarono i tre compagni all'unisono.

Infatti, nessuno di quegli strani individui poteva negare di aver avvertito, nel momento stesso in cui avevano posato piede in quella landa, un certo formicolio al naso, la pelle d'oca sulle braccia, brividi lungo la schiena e piccole scosse ai polpastrelli delle dita, tutti segnali che suggerivano un'unica cosa: quella terra brulicava di magia, dal cielo plumbeo fino alle sue fondamenta.

Questo posto è perfetto! Quanta magia! Pensate a quanto potremmo imparare da questa terra, e a quanto potremmo insegnare...”

Non viaggiare troppo con la fantasia, Salazar! Dobbiamo ancora valutare tutte le possibilità” intervenne la donna che non aveva ancora parlato. “Io sono sempre convinta che quel lago in Scozia che abbiamo visitato sia migliore” disse dubbiosa, aggrottando le sopracciglia perfette.

Non fare la difficile come al solito, Priscilla!” intervenne l'amica, dandole una gomitata. “Perché non vuoi ammettere che questo posto sia esattamente ciò che cerchiamo?” concluse con un sorrisetto.

Proporrei di dividerci ed esplorare la zona” dichiarò l'uomo dai capelli rossi. Poi tirò fuori da una tasca del mantello una bacchetta magica, la appoggiò sul palmo della mano, e sussurrò: “Guidami”. La bacchetta tremò leggermente e ruotò come se qualcuno la muovesse. L'uomo la osservò soddisfatto e proseguì: “Ci dirigeremo ciascuno verso un punto cardinale. Priscilla, tu andrai a nord, nella direzione indicata dalla bacchetta. Quindi, Salazar a ovest, Tosca a sud, mentre io esplorerò a est. Mi raccomando, bacchette pronte. Non sappiamo quali creature incontreremo.”

I quattro maghi, perché di questo si trattavano, sfoderarono quattro bacchette magiche di diversa forma e fattura, e si diressero in quattro direzioni diverse. Il suono dei loro passi circospetti si perse nell'ululare del vento e ben presto furono soli.


***


I lunghi capelli di Priscilla turbinavano al vento come se possedessero vita propria. Il sentiero assegnatole da Godric si snodava in salita, ma l'aria era talmente pungente che non c'era pericolo che las strega soffrisse la fatica o il caldo. Il paesaggio era cambiato: un terreno brullo e accidentato aveva sostituito l'erba soffice; per di più, la pioggia annunciata dalle nuvole scure che l'avevano seguita per la strada, aveva infine iniziato a cadere.

Tutto a un tratto, attraverso il fragore dell'acqua scrosciante e del vento, udì la melodia di un'arpa. Scrutando tra la cortina di pioggia, avvistò non molto lontano, una figura. Istintivamente, rafforzò la presa attorno alla sua bacchetta, nascosta tra le pieghe del mantello. Aveva deciso di non scagliare incantesimi, a meno che non fosse necessario (quelli non erano bei tempi per chi praticava la magia), quindi optò per cambiare strada. Imboccò un sentiero che la portava leggermente a sinistra, ma dopo qualche passo, ecco davanti a lei la figura del musicista. Perplessa, cambiò ancora direzione, ma da qualsiasi parte svoltasse, il musicista si trovava sempre sulla sua strada.

'Qualcosa di magico è sicuramente in atto' pensò. Si risolse così ad avanzare verso il suonatore, con tutti i sensi all'erta.

La figura misteriosa era un uomo. Se ne stava seduto, nelle sue ricche vesti, all'interno di un cerchio formato da grosse pietre, pizzicando con grande maestria le corde dello strumento. Pur non volendo attardarsi, Priscilla non riuscì ad evitarlo: da quel cerchio di pietre, oltre la musica accattivante, proveniva anche un caldo tepore – molto piacevole sui suoi vestiti fradici – e un profumo inebriante. Un solo respiro di quell'aroma e la sua missione finì relegata nello sfondo dei suoi pensieri; l'unica cosa che desiderava era che lo sconosciuto la guardasse. E finalmente, lui lo fece: aveva gli occhi del colore del cielo al crepuscolo, e ciò che poteva essere scambiato per gocce di pioggia attorno alla sua testa, erano invece piccole creaturine alate di tutti i colori: fate. Priscilla non aveva mai visto niente di più meraviglioso.

Poi l'uomo parlò, e la sua voce era così melodiosa da far impallidire quella dell'arpa: “Siete la creatura più leggiadra su cui abbia mai posato lo sguardo” disse, facendo brillare il suo sorriso perfetto, e afferrandole una mano per baciarla. Il cuore della strega sussultò. Senza accorgersene, stava impercettibilmente avanzando verso il perimetro del cerchio.

Raggiungete la mia corte, mia signora... Raggiungete la mia corte, mia regina...” cantava l'uomo come se leggesse lo spartito della sua anima. Le fatine che lo circondavano iniziarono a volteggiare, evocando una visione da sogno: un castello sormontato da soffici nuvole, giardini brulicanti di ogni specie di fiori dove si svolgevano magiche danze... Nella visione, due sagome si fecero più distinte: era lei, stretta al musicista in una danza armoniosa. La brama di avvicinarsi iniziava a diventare intollerabile; desiderava che quel gentiluomo l'accarezzasse, le afferrasse la vita e la baciasse. Ottenebrata da questi scioccanti pensieri, fece per oltrepassare le pietre e portarsi all'interno del cerchio, ma non aveva neanche sollevato una gamba, che la bacchetta, ancora stretta nella sua mano, le mandò delle scosse, come se tentasse di avvertirla.

Ahi!” urlò Priscilla. Era come se qualcuno avesse aperto una finestra per lasciar uscire il fumo che annebbiava la sua mente. Sbatté le palpebre più volte, e fece un passo indietro. Subito, fu investita da una folata di sensazioni, profumi e desideri che la stordirono; proveniva tutto da quel cerchio di pietre, e lei era stata così sciocca da lasciarsene catturare. Tuttavia, non era ancora finita. Ondate di desiderio continuavano ad abbattersi su di lei, mentre faceva di tutto per resistere all'irrazionale impulso di gettarsi tra le braccia dello sconosciuto. Per tirarsi fuori da quell'impiccio, Priscilla non trovava altra soluzione che usare la bacchetta.

Protego!” urlò, creando una difesa invisibile che la proteggesse dagli attacchi provenienti dal cerchio. Finalmente riusciva a respirare normalmente; ora era totalmente concentrata sul nemico, il quale, dal canto suo, appariva disorientato. Dei tonfi contro lo scudo da lei creato, l'avvisavano che gli attacchi erano ancora in corso, ma non avevano più effetto ormai.

Non so quali siano le vostre intenzioni, ma vi consiglio di arrendervi” dichiarò la strega.

I tonfi si fecero più frequenti.

Se mi costringerete, non esiterò ad attaccarvi” lo avvertì Priscilla, osservando preoccupata la trasformazione che avveniva davanti ai suoi occhi. Il musicista proruppe in un grido frustrato, talmente sovrannaturale da farla rabbrividire. Il suo volto era decisamente meno umano; non era più perfetto, i lineamenti erano come accartocciati, le labbra sollevate mettevano in mostra denti neri e appuntiti, mentre due piccole corna crescevano sulla fronte bitorzoluta. Anche le fate non erano più dolci creature carine: si erano ricoperte di peli scuri, dai quali si distinguevano appena le faccette maligne. Ed erano molto più numerose di prima, anzi continuavano ad aumentare.

'Se continuano così, non credo che riuscirò a resistere' pensò Priscilla, preoccupata, mentre frotte di fate si lanciavano contro lo scudo, attaccandolo con pungiglioni aguzzi spuntati alla base dei loro corpicini.

La strega usò tutti gli incantesimi che conosceva per sbarazzarsi delle prime fate che oltrepassarono la sua difesa, ma più ne abbatteva, più ne arrivavano. Ben presto fu circondata. Lo sciame sghignazzava sguaiato; sembrava la deridesse nel suo linguaggio acuto e incomprensibile, ma Priscilla stava lì, dritta in mezzo a loro conservando la dignità. Anche quando lo sciame si diradò, mostrandole il musicista, ormai diventato un mostro, spiegare un paio di ali purpuree, non diede segno di cedimento.

Quando la creatura la catturò, librandosi in volo, a Priscilla non rimase che scagliare in cielo delle scintille rosse con la bacchetta, affinché i suoi amici accorressero in suo aiuto.

Sempre che la trovassero, ovunque la stessero portando, pensò sconsolata mentre sorvolava i verdi campi di quella strana isola1.


***


Il suono delle risate, del cozzare dei piatti e dei bicchieri infranti, echeggiava per tutta la vallata. La fonte di quel chiasso era una taverna solitaria al limitare della strada maestra, una di quelle locande in cui i viaggiatori sono soliti sostare per una pinta di birra o di idromele in compagnia di avventori allegri e chiacchieroni.

A Tosca, strega laboriosa e amante dei lauti banchetti, si erano illuminati gli occhi quando aveva sentito il profumino che proveniva dalla taverna, e non si era lasciata sfuggire quell'occasione. Salazar o Priscilla non avrebbero apprezzato quella sosta, ma a lei non sembrava un'idea così malvagia: ci sarebbe sicuramente stata della gente del luogo che avrebbe potuto darle le informazioni che cercava. Si era quindi accomodata a un rozzo tavolone dove le erano stati subito serviti pane, formaggio fresco, cosciotti di carne e patate. Pur essendo l'unica signora presente non si sentiva affatto a disagio, tutto il contrario. Aveva trovato una compagnia proprio simpatica e interessante: un folto gruppo di uomini, molto ospitali e stranamente tutti simili – con i loro occhi verde brillante e le folte chiome rosse – le si era radunato attorno, non stupiti quanto altri che una donna viaggiasse da sola. Chiacchieravano affabili, servendo a Tosca tutto il cibo che voleva. Tra un boccone e l'altro, la donna era venuta a sapere che la taverna era gestita proprio da loro, appartenenti, come aveva intuito, alla stesa famiglia. Ma non solo. Grazie a domande apparentemente disinteressate, aveva scoperto che lì a sud scarseggiavano alture vere e proprie e il paesaggio era per lo più pianeggiante, data la vicinanza della foce di un grande fiume. Era proprio ciò che voleva sapere. Sarebbe già potuta tornare indietro dai suoi amici per riferire loro quanto aveva scoperto, ma poteva ancora scovare qualche tesoro nascosto nello scrigno di quella locanda. Infatti, Tosca non aveva mancato di notare che il cibo usciva dalla cucina continuamente, quasi ci fosse un'armata di cuochi che lavorasse ininterrottamente.

Questo, amici miei, è il più buon pasto che io abbia mai gustato!” annunciò Tosca, soddisfatta. “Vogliate permettermi di porgere i complimenti al cuoco” proseguì facendo per alzarsi.

La combriccola, improvvisamente agitata, si alzò di scatto dalle sedie: “Ma, mia signora, il cuoco è un uomo molto timido...”

... e non gradisce che uno sconosciuto entri in cucina...” farfugliarono gli uomini parlando uno sopra l'altro, visibilmente allarmati.

Suvvia! È mio dovere porgergli i miei omaggi dopo quanto mi ha offerto!” insistette Tosca.

C'era una ragione per cui quella donnetta fosse considerata la strega più capace del tempo: il suo carattere bonario e tenace rendeva impossibile negarle qualcosa. Era questa la sua particolare magia, e non risparmiò nemmeno degli uomini grandi e grossi.

Fu così che venne accompagnata in cucina. Tosca si annodò il mantello come fosse un grembiule, ma quello non era il luogo che si aspettava. Si trattava di una stanza circolare, priva di scaffali, piatti, o del consueto caos che ci si aspetterebbe nella cucina di una taverna; vi regnava anzi, un religioso silenzio. L'unico ornamento era un calderone, apparentemente molto antico, piazzato esattamente nel centro, dal quale si alzava in sonnolente spirali, il profumo di pesce e verdura affumicati, focacce al miele e latte appena munto.

Tosca non credeva ai propri occhi (o meglio, al proprio naso). Girò attorno al favoloso oggetto, studiandolo con attenzione. Quando però vi sbirciò dentro, non vide altro che il fondo arrugginito di un normale calderone. Sollevò lo sguardo incredula: “Se qua dentro non c'è nulla, allora da dove proviene il cibo? Questa magia è sensazionale! Vi prego, ditemi come funziona!” implorò. Senza lasciarsi troppo pregare, quegli strani uomini glielo spiegarono. Era una magia molto antica e complicata: il calderone cucinava, certo, ma era la magia di quegli uomini, legata alla loro terra, unita a un piccolo rituale, a permettere al cibo di manifestarsi. Mentre ascoltava assorta, Tosca pensava già a come poter adattare quella formula alla propria magia: 'Sembrerebbe un Incantesimo di Estensione Irriconoscibile molto complicato. Dovrei convincere l'oggetto in questione a cucinare per me, e a palesare il cibo a ogni mia richiesta' rifletteva. 'Potrebbe funzionare se cambiassi i fattori dell'incantesimo e ne riducessi la portata, trasferendolo su qualcosa di più piccolo di un calderone...' meditava. Una coppa sarebbe stata l'ideale. Suo nonno, il patriarca dei Tassorosso, gliene aveva lasciata una di recente che faceva proprio al caso suo.

Tutto a un tratto però, le sorse un dubbio: “Perché mi state raccontando tutte queste cose?” domandò agli uomini. Sapeva per esperienza che non si svelano i trucchi migliori, soprattutto agli sconosciuti, quindi era sospetto che lo raccontassero proprio a lei, per quanto persuasiva potesse essere. Gli uomini si guardarono, calmi, ma decisi: “Ve lo stiamo raccontando, Tosca, perché il cibo che avete mangiato, molto presto vi farà cadere addormentata. Ci penseranno i Saggi a farvi dimenticare quanto avete appreso”.

Tosca li fissò come se non capisse quello che le dicevano: “Co-come avete detto?”

Era troppo tardi. Gli occhi avevano già iniziato ad appesantirsi, si sentiva la testa leggera e la sua bocca si aprì in una serie di sbadigli. Il pavimento iniziò ad ondeggiare pericolosamente, tanto che dovette aggrapparsi all'uomo più vicino.

Ci dispiace, Tosca, ma davvero credevate che avremmo affidato il sapere dei nostri avi a qualcuno di pericoloso come te?” le giunse all'orecchio la voce di uno di loro, come da una grande distanza.

Pericoloso? Io non voglio fare del male a nessuno...” riuscì a farfugliare la strega, prima che il sonno la vincesse e cadesse nel cupo baratro dell'incoscienza.

L'ultima cosa che vide, furono una dozzina di occhi verdi che ammiccavano, beffardi.2


***


Godric procedeva spedito sul sentiero che portava a est. Lungo il cammino aveva notato dei posti che avrebbero ben sposato la causa della sua compagnia: una conca tra i due versanti di un monte, una radura in cima a una collina, riparata dai fitti tronchi del bosco circostante. A ben vedere, lì qualsiasi luogo sarebbe stato perfetto, dato che non aveva incontrato nessun villaggio lungo a strada. La natura selvaggia sembrava essere l'unica abitante di quella parte dell'isola. Nessuna abitazione, capanna o accampamento: solo prati e montagne, compagni inseparabili, i cui colori venivano costantemente mescolati da occasionali gocce di pioggia, all'azzurro cangiante del cielo, come in un dipinto un po' pasticciato. Nonostante l'assenza di esseri umani, non c'era mai completo silenzio: i versi degli animali e la voce del vento che si scontrava con le pareti di roccia non facevano certo sentire soli i viaggiatori.

Godric camminava baldanzoso, fischiettando e sistemandosi la falda del fido cappello a seconda che il sole facesse capolino tra le nuvole, o la corrente si facesse troppo insistente.

Aveva appena sollevato il cappello, quando all'orizzonte, avvistò quello che con tutta probabilità era un paese piuttosto esteso. Non aveva ancora deciso cosa fosse meglio fare (se tornare indietro o semplicemente cambiare direzione), che dei botti alle sue spalle lo fecero sobbalzare. Si voltò giusto in tempo per vedere delle scintille rosse fendere il cielo.

I miei amici! Sono in pericolo!” gridò estraendo la bacchetta e impugnando l'elsa luccicante della spada che occhieggiava dalla sua veste.

Stava per smaterializzarsi, quando qualcuno lo attaccò alle spalle. Per qualche minuto, Godric fu impegnato a mettere fuori gioco con pugni ben piazzati (un modo ben poco magico di duellare che detestava) chiunque l'avesse attaccato. Le due figure, allacciate in questa danza confusa, sollevarono un gran polverone rotolandosi sul sentiero; poi, con uno spintone, Godric riuscì finalmente a districarsi e portarsi il più lontano possibile. Si rialzò ansimante, cercando di esaminare la situazione, ma, al contempo, pronto a combattere. Avrebbe potuto smaterializzarsi e scomparire, ma il suo orgoglio e il suo senso di giustizia non glielo permettevano; l'aggressore avrebbe saputo di che pasta era fatto.

Chi sei?” ringhiò Godric, minaccioso.

Sono il protettore dell'isola, e sono qui per cacciarti” rispose l'ignoto assalitore.

Godric lo squadrò. Sembrava un ragazzo, ma qualcosa di antico, che si muoveva nei suoi occhi, gli diceva che aveva molti anni sulle spalle; indossava un semplice gonnellino e la sua pelle era curiosamente sporca di nero, anche se lasciava intravedere un disegno di complicati tatuaggi blu che lo identificavano come un potente guerriero.

Godric sapeva di avere la magia dalla sua parte, ma era davvero sicuro che il suo avversario non avesse un simile asso nella manica? Il suo primo impulso sarebbe stato attaccare, ma, come gli avevano sempre consigliato i suoi amici, tentò prima la pacifica via della conversazione: “Amico mio, non devi aver paura di me. Non c'è nessun bisogno di cacciarmi. Sono qui soltanto in visita con i miei amici per cercare un posto dove...”

Il guerriero non lo lasciò terminare: “Tu non puoi stare qui, straniero. Il mio compito è proteggere l'isola, ed è ciò che farò!”

E con un urlo bellicoso, si lanciò all'attacco. Possedeva una forza animalesca. Più di una volta, Godric finì gambe all'aria senza avere la possibilità di usare la bacchetta. La rabbia per un simile trattamento rischiava di fargli perdere il duello. Respirò profondamente; con una mano strinse la bacchetta, pronta a scagliare incantesimi; con l'altra impugnò la spada per menare fendenti, e finalmente Godric passò al contrattacco.

Nessuno dei suoi colpi pareva avere l'effetto desiderato. Proprio come aveva temuto, anche il suo avversario aveva dei poteri magici, altrimenti non si spiegava come mai la spada non lo ferisse in profondità e neanche lo Schiantesimo lo stordisse a dovere. La sua bacchetta gli indirizzava scintille, fiamme, sferzate di magia, ma otteneva solo che al guerriero sanguinasse un po' il naso.

Il duello proseguiva. Godric era stremato, ma non si sarebbe mai arreso; preferiva la morte alla codardia della resa. L'avversario aveva certo intuito la sua stanchezza, ma forse per onorare il suo valore - o per sminuirlo - attaccava imperterrito. Godric continuava a cadere, e ogni volta era sempre più difficile rialzarsi.

Dovrai finirmi se vuoi mettere fine al duello” disse Godric stravolto. “Io non mi arrenderò mai!” annunciò sorridendo per quanto glielo permettesse il labbro spaccato. Un lampo di rispetto attraversò il viso del rivale, il quale però lo sovrastava in tutta la sua altezza. Godric era caduto a terra e non se n'era neanche accorto. Riverso al suolo, il mago sapeva cosa stava per accadere; conosceva bene quel momento perché lui stesso l'aveva vissuto innumerevoli volte. Quello era il momento in cui un duellante sa di avere la vittoria in tasca e ne assapora il gusto, il momento in cui il vincitore infligge il colpo di grazia all'avversario.

Perché...” esalò Godric, poco prima che il colpo finale piombasse su di lui.3


***


Al contrario di Priscilla, Salazar non si era affatto preoccupato di nascondere la bacchetta magica lungo il cammino: era un mago, e che fosse un po' di pioggia o un ostacolo sul sentiero, era dell'opinione che un bell'incantesimo sistemasse tutto. Da quando aveva iniziato la ricognizione aveva fatto esplodere un masso che ostruiva il percorso, aveva utilizzato più volte l'Incantesimo Quattro Punti per controllare se procedesse nella giusta direzione e Appellato un uccello di passaggio per placare la fame.

Non si era accorto però di essere spiato. Una creaturina simile a un folletto, interamente abbigliato di verde e non più alto di un metro, l'aveva seguito come un'ombra studiando con astuto interesse la sua bacchetta, e, strano a dirsi, le sue scarpe. Quando Salazar se le sfilò per cercare ristoro presso il torrente che costeggiava la via, il folletto si appostò dietro un grande masso lì vicino.

Mmm...” mormorò pensieroso. “Sarebbe un vero peccato lasciare sole solette su un sasso quelle calzature di una fattura che non ho mai veduto. Da lepricano calzolaio quale sono, sarebbe un vero insulto non prenderle per studiarle. Non credo che quello spilungone ne sentirà la mancanza, comunque. In fondo, ha quel buffo bastoncino di legno che, da quanto ho visto, gliene può procurare quante ne vuole!”

Un rapido passetto dopo l'altro, il lepricano si avvicinò, acciuffò le scarpe e con un gesto fluido delle mani le fece sparire. Sarebbe scomparso lui stesso, se lo specchio delle acque del torrente non avesse rivelato a Salazar un movimento che attirò la sua attenzione. Il mago si voltò tempestivamente, cogliendo la creatura sul fatto. Non poteva conoscere la regola che impedisce a folletti come quelli di fuggire se viene mantenuto il contatto visivo, ma il suo sesto senso probabilmente l'aveva intuito. Passò qualche secondo di silenzio, in cui Salazar osservò i repentini cambiamenti che si inseguivano sul piccolo volto della creatura: la sua espressione era passata da colpevole, a meditabonda, a vittoriosa nel giro di pochi istanti. Perciò, quando l'esserino parlò, lo ascoltò, all'erta.

Buongiorno, signore!” esclamò con un piccolo inchino. “Siete nuovo di queste parti, dico bene? Ho memorizzato ogni viso che ho incontrato – e credetemi, ne ho visti tanti – ma il vostro mi sfugge”. Aveva una vocetta penetrante e una parlantina rapida di cui si faticava a distinguere le parole.

In effetti, sono appena giunto su quest'isola” rispose Salazar, laconico, poiché non voleva fornire troppe informazioni.

E come avete viaggiato fino a qui? In nave? A cavallo? Di certo non a piedi, dato che non possedete scarpe!” proseguì il lepricano, maliziosamente.

Ma cosa dite? Le mie scarpe sono proprio lì, su quel sasso alla mia destra” ribatté Salazar.

No, no, mio buon signore. Vi assicuro che non c'è ombra di scarpe nei dintorni. Guardate, se non mi credete!” aggiunse il folletto, credendo di ingannarlo, facendogli distogliere lo sguardo per poter fuggire. Ma Salazar non era uno sciocco; annusava puzzo di imbroglio nell'aria, e non intendeva dare soddisfazioni a quell'essere insolito mostrandosi incerto.

Il lepricano, intuendo che non sarebbe stata impresa facile imbrogliare quell'essere umano, cambiò strategia.

Beh, non temete! Io sono un calzolaio, uno dei migliori, e vi posso fabbricare il più bel paio di scarpe che abbiate mai visto!” lo informò. “Purtroppo però non lavoro senza un compenso. Avrete di che pagare, spero” concluse con il tono di chi, convinto, sa essere convincente.

Salazar, pur avendo sentore della beffa ordita ai suoi danni, decise di agire secondo uno dei suoi precetti: un idiota travestito da genio attira solitamente troppa attenzione; un genio travestito da idiota, invece, passa totalmente inosservato. Quindi perché non assecondare quel buffo ometto? Era proprio curioso di scoprire le sue intenzioni.

Sono sicuro che raggiungeremo un accordo come si conviene a due uomini di mondo come noi. Dove si trova la vostra bottega? Sarei lieto di seguirvi”.

Il lepricano ghignò: “Io non dispongo di alcuna bottega, signore. È mio costume lavorare sul posto, dove vi è necessità dei miei servigi”.

Con un semplice schiocco delle piccole dita, fece apparire tutto l'occorrente per mettersi all'opera, lì dove si trovava, sulla sponda del torrente; prima però diede le spalle al mago. “Vi prego di non sbirciare; gli occhi indiscreti mi distraggono dal lavoro” precisò.

Salazar rimase colpito; l'esserino sembrava possedere una magia davvero interessante e un'agilità non comune.

Dopo qualche attimo, il lepricano si voltò, nascondendo il risultato del suo lavoro dietro la schiena.

Prima di darvi ciò che sarà vostro, necessito che voi saldiate il conto” annunciò furbetto. Un altro schiocco e, accanto a lui, comparve una pentola. “Prego, versate qui il vostro contributo” aggiunse indicandola.

Salazar trasse alcune falci da una tasca del mantello e le gettò nella pentola; il tintinnio esagerato che produssero cadendo, lo spinse a guardarvi dentro: era colma d'oro. Distogliendo con fatica lo sguardo da quella favolosa ricchezza (con gran soddisfazione dell'omino), il mago insistette per vedere il manufatto che aveva appena acquistato.

Ecco! Sono di vostro gradimento? Ammirate le finiture argentate e il pregiato tessuto verde con il quale le ho cucite” annunciò il folletto in tono pomposo; le sue manine reggevano nient'altro che le presunte scarpe perdute di Salazar.

Infastidito dal fatto che quell'esserino stesse approfittando del suo tempo, il mago disse con calma ammirevole: “Queste sono le mie scarpe. Vi state per caso prendendo gioco di me? Vi prego di restituirmi i soldi che vi ho dato”

Cosa odono le mie orecchie! Queste calzature sono state appena fabbricate grazie alla mia arte, come osate dubitarne?” esclamò inorridito il lepricano. “Un affare è un affare; non accetto né cambi né restituzioni. Se non le volete, sarò costretto a sbarazzarmene” concluse, e con una mossa teatrale lanciò le scarpe nella pentola.

Salazar stava per perdere la pazienza; aveva pensato che i poteri di quel folletto potessero essere interessanti, invece si trattava solo di un ciarlatano perdigiorno. Ignorando i suoi borbottii, si sporse sulla pentola d'oro in cerca dei suoi soldi e delle sue scarpe. Sbigottito, dentro non vi trovò la montagna di monete che aveva visto poco fa, bensì un vortice colorato e profondo.

Molti erano convinti che il pregio più grande di Salazar fosse la curiosità, che lo spingeva a imparare per migliorarsi; in quest'occasione però, la curiosità fu assolutamente controproducente. Sporgendosi sempre più avanti, ammaliato da quella spirale multicolore, non si accorse dell'espressione trionfante del lepricano, al quale bastò un semplice gestoper togliere di mezzo l'umano: il consueto, leggero schiocco di dita e Salazar fu risucchiato all'interno della pentola.


***


Le spumeggianti dita dell'oceano sembravano voler disperatamente raggiungere la terraferma, dal modo in cui artigliavano le pareti delle scogliere; uno spettacolo senza precedenti vi stava avendo luogo, e avrebbero fatto di tutto pur di parteciparvi. Ogni tanto qualche spruzzo raggiungeva la folla là radunata, ma era tutto quello che riuscivano a ottenere; per quanto ci provassero, scagliandosi con potenza o lambendole dolcemente, le onde non riuscivano a superare la barriera di quelle rocce troppo alte perché le potessero superare.

Priscilla, Tosca, Godric e Salazar, i quattro amici finalmente riuniti, si stringevano l'un l'altro, piuttosto scossi e malridotti, in quel luogo primordiale, scogliere nere a picco sull'oceano infuriato. Erano i protagonisti dell'evento straordinario che stava avendo luogo; attorno a loro, una miriade di personaggi di ogni tipo: folletti, gnomi, fate, ninfe, tribù guerriere, lepricani, giganti, e persino qualche drago; più vicino a loro, un vecchio, vestito alla stessa maniera di altri quattro anziani che gli stavano a un passo di distanza, rivolgeva loro delle domande. Era il Sacro Saggio, un Druido, il patriarca dell'isola, il sapiente custode della sua magia. Gli incantesimi messi in atto dall'isola stessa e dai suoi magici abitanti, il suo popolo, non erano serviti contro quei quattro forestieri; aveva quindi allertato ogni abitante fatato, che aveva provveduto con efficienza a portarglieli sulle scogliere. Gli stranieri venivano dall'altra parte del mare, da est, da una terra in cui la magia si dispensava tramite bastoncini di legno; non avevano cattive intenzioni, aveva appurato che il motivo per cui erano giunti fin lì non era malvagio, ma non poteva comunque permettere loro di portarlo a termine. In ogni caso, doveva loro una spiegazione; si sentiva un po' in colpa per il modo in cui erano stati trattati; dovevano capire il motivo per cui era stato necessario che venissero attaccati.

Gentili amici, questa è una terra molto speciale. La magia l'ha creata, la magia la rende viva, la magia è la sua anima. Ma questo l'avrete sicuramente capito, siete dei maghi anche voi, lo percepite. È proprio per questo che non posso permettervi di portare a termine il vostro piano. Questa magia è così potente perché appartiene alla terra, e solo a noi che vi abitiamo e che possiamo chiamarla casa. Essa non vi apparterrà mai, né potrete mai utilizzarla. O meglio, potreste, se foste pronti a farvi conquistare da questo paese, ad accogliere ogni stelo d'erba, ogni corso d'acqua, ogni nuvola, ogni granello di polvere, nel vostro cuore. Ma da quel che vedo, voi non siete pronti, e non lo sarete mai. Vedo quattro abili maghi, fin troppo orgogliosi delle proprie capacità, con un ambizioso progetto per il quale qui non c'è spazio; portereste disequilibrio, che minerebbe le fondamenta della magia stessa. Capite?” chiese il saggio.

I quattro amici annuirono seriamente.

Tuttavia, non disperate!” proseguì il vecchio in tono più leggero. “Ho visto nel vostro futuro, l'esito favorevole del vostro proposito; riscuoterà un successo che andrà oltre lo spazio e il tempo. Accadrà nel vostro paese; cercate, cercate, e troverete il luogo che fa per voi. Forse l'avete già trovato, ma non ve ne rendete conto.”

Gli amici si guardarono, colpiti dalle enigmatiche parole del saggio.

Vi saluto, ora, amici. Che possiate fare un buon viaggio di ritorno, e che serbiate nel vostro cuore un ricordo non tanto amaro della nostra terra”. Queste furono le ultime parole pronunciate dal Druido. Fece un passo indietro, verso i suoi compagni, e si mise in attesa che gli stranieri partissero.

Godric, Tosca, Salazar e Priscilla si strinsero ancora più vicini.

E se provassimo a convincere alcuni di loro a seguirci?” propose Tosca in un sussurro.

Non credo servirebbe a qualcosa” obiettò Priscilla. “Sono decisi e troppo legati al loro paese. Non lo farebbero mai”.

Tosca ha ragione; non possiamo arrenderci così! Possiamo combattere! Godric, non lo pensi anche tu? Sono sicuro che...” ma Salazar non terminò la frase. Sapeva benissimo che non avrebbero avuto nessuna possibilità, solo che non sopportava di rinunciare a tutti gli incantesimi che avrebbe potuto imparare su quell'isola.

I quattro amici si guardarono, impotenti. Non c'era altro da fare: dovevano tornare a casa.

Si presero per mano, pronti a smaterializzarsi.

È un vero peccato” mormorò Godric malinconico dando un ultimo sguardo al popolo incantato che li circondava. “Questo era proprio il luogo ideale per costruire una scuola di magia!”






1La creatura qui descritta (con molte licenze poetiche) è un Gancanagh, una “fata maschio” che seduce le donne. Si dice abbia una tossina nella pelle che fa sì che le donzelle lo desiderino ardentemente.

2Per il gruppetto qui descritto, mi sono ispirata ai Tùatha Dé Danann, un popolo mitologico dell'Irlanda antica. Avevano poteri magici con i quali impedivano a potenziali nemici di sbarcare sull'isola. Sconfitti da un popolo nemico, si ritirarono a vivere nelle colline fatate diventando esseri immortali e soprannaturali.

Il calderone è uno dei loro quattro tesori: il calderone del Dagda, capace di sfamare un numero illimitato di persone senza mai svuotarsi.

3Il misterioso guerriero altri non è che Fionn Mac Cumhaill, il leggendario eroe irlandese, famoso per aver accidentalmente mangiato il salmone della saggezza. La leggenda narra che non sia mai morto, ma che riposi in una miniera nei pressi di Dublino (a est dell'isola) pronto a difendere l'Irlanda nel momento del bisogno.

  
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