Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Segui la storia  |       
Autore: Laylath    26/03/2013    1 recensioni
Che cosa sarebbe successo a tutti loro? Potevano continuare a proteggersi a vicenda?
In poche ore gli uomini di Mustang ricevono l'ordine di trasferirsi negli angoli più pericolosi del paese: gli scacchi vengono allontanati dal loro re.
E' il pedone che, in poche ore, deve fare i conti con le paure e i dolori della separazione e alcuni tremendi sospetti; perché ogni pezzo è indispensabile alla vittoria finale.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Team Mustang
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Military memories'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Quando riprese i sensi la prima cosa che percepì fu la coperta sopra di lui. Man mano che la consapevolezza del suo corpo tornava, si accorse di essere sdraiato su di un letto, con un morbido cuscino sotto la sua testa. Non era la dura branda dove si buttava ogni sera che poteva passare lontano dalla trincea.
Dove si trovava?
“Ah, ti sei svegliato! – esclamò una voce accanto a lui – Quando ti hanno portato qui eri in preda a un delirio tale che ti hanno dovuto sedare.”
Girando la testa, nonostante la vista sfocata per la mancanza degli occhiali, scoprì che a parlare era stato un uomo, sulla trentina, sdraiato su un letto e con una gamba ingessata: aveva i capelli neri e sottili e stava fumando una sigaretta. Per qualche secondo Fury pensò che c’era qualche cosa di strano in quell’uomo: non capiva se la sigaretta o i capelli del colore sbagliato.
“Dove…?” chiese debolmente accorgendosi di avere la gola fastidiosamente secca.
“Nell’ospedale di Senna, a una trentina di chilometri dall’inferno della guerra. Fai come me e goditela finchè puoi, prima che ci rimandino in battaglia” dichiarò lo sconosciuto con un secco sorriso.
Sentendo la parola ospedale, il giovane si portò istintivamente la mano sinistra al braccio destro e si accorse che era fasciato. Il senso di torpore e di gonfiore era notevolmente diminuito, ma ora poteva sentire piccole fitte di dolore.
Una leggera brezza entrò da una finestra aperta e si sentì il cinguettio di alcuni uccellini.
Era tornato nel mondo dei vivi, ma tutto gli sembrava così fuori posto che decise di chiudere di nuovo gli occhi e tornare nel misericordioso oblio che l’aveva colto durante quella notte in trincea.
 
“Il gonfiore dovuto all’infezione sta diminuendo. E’ un buon segno: vuol dire che le schegge che ti hanno ferito il braccio sono state tutte rimosse. – spiegò il medico mentre un’infermiera gli cambiava la fasciatura – Ti terremo sotto antibiotici per ancora cinque giorni per scongiurare qualsiasi ricaduta, così anche le contusioni minori avranno tempo di stabilizzarsi”
Fury annuì debolmente mentre sedeva sul letto e sentiva quelle mani gentili ed esperte sul suo braccio.
Dopo il primo giorno di totale smarrimento, le voci dei dottori l’avevano in parte risvegliato dall’apatia in cui era piombato. Gli avevano raccontato che era stato trovato svenuto da una squadra di soccorsi che faceva il giro delle trincee alla ricerca dei dispersi: era privo di sensi e in preda a una forte febbre. L’avevano portato all’ospedale da campo ma, data la carenza di posti letto, si era deciso di trasferirlo nella vicina città di Senna. Qui era rimasto un altro giorno in preda al delirio prima che i medicinali iniziassero a fare effetto.
Stava osservando la porta dal quale il medico era appena uscito, quando il suo compagno di stanza disse
“Infermiera, le dispiace se fumo?”
“Avevo detto solo una al giorno, soldato! – lo rimproverò la ragazza – Questa mi pare la seconda”
“E’ la prima, lo giuro. E poi al giovanotto non sembra dare fastidio, vero?”
Fury si girò a fissare l’uomo che si accendeva la sigaretta e dava un tiro soddisfatto. Subito all’odore di disinfettante della stanza si aggiunse quello del tabacco: un qualcosa di familiare che lo fece in qualche modo rilassare.
“Certi pazienti sono davvero incontrollabili. – sospirò l’infermiera, finendo la medicazione. Poi si rivolse a Fury – Bene, qui ho finito: adesso ti attacco la flebo di antibiotici e ti lascio in pace.”
Lui la osservò con occhi vacui mentre collegava il tubo alla boccetta di liquido appesa a un gancio accanto al letto. Nel vedere l’ago, ebbe la sensazione di aver dimenticato qualcosa di estremamente importante. Il contatto del cotone bagnato di disinfettante sul braccio lo fece sussultare.
“E’… è proprio…necessario?” si ritrovò a dire
“Cosa? – chiese la donna – Non mi dire che ti spaventano gli aghi, soldato. Guarda, non vedi che ho già fatto?”
Abbassando lo sguardo sul suo braccio e vedendo l’ago infilato nella vena, sentì un leggero brivido attraversargli la schiena. Si appoggiò al cuscino e trasse un profondo respiro.
“Ah, a proposito! – continuò l’infermiera tirando fuori un bigliettino dalla tasca del camice – Pare che abbiano tentato di mettersi in contatto con te. Tieni, in questo foglio c’è un numero di telefono a cui hanno detto di chiamare agli orari scritti in basso. Direi che domani puoi provare a scendere da questo letto, dato che non hai più la febbre”
 
Quelle cifre sul foglietto di carta non gli dicevano nulla. Rilesse più volte anche gli orari, ma nemmeno quelli gli fornirono qualche indizio utile.
Da una parte si diceva che doveva incuriosirsi, porsi delle domande.
Ma la trincea l’aveva obbligato ad eliminare qualsiasi forma di pensiero e a ridursi a puri automatismi e gesti istintivi. La mente non doveva intervenire perché poteva rallentarlo.
Adesso, nella tranquillità dell’ospedale, avrebbe potuto riflettere, ricordare: ma riprendere a pensare voleva dire fare i conti con l’orrore… era meglio lasciar scivolare tutto nell’indifferenza.
All’ora indicata si diresse verso i telefoni, come se avesse ricevuto un ordine, e compose il numero
“Pronto? Qui quartier militare di Pendleton. Con chi parlo?”
Pendleton? Quel nome non gli diceva nulla.
“Mi… mi è stato detto di chiamare”
“Ah si? Scusa, ma chi saresti?”
“Sergente maggiore Kain Fury”
“Ah… aspetta! Credo di aver capito. Ehi, qualcuno vada a chiamare il sottotenente. Tu attendi in linea.”
Il sottotenente? Trattenne il fiato mentre le gambe iniziarono a tremargli e fu costretto ad aggrapparsi con forza al tavolo su cui stava il telefono.
“Fammi passare, scemo! E’ urgente! – disse una voce seccata che si faceva sempre più vicina  – Fury! Fury, dannazione! Che fine avevi fatto!?”
“Sottotenente Breda!” singhiozzò mentre tutti i ricordi, i sentimenti, le emozioni che aveva obliato uscivano prepotenti e invadevano ogni fibra del suo essere, riportandolo con forza alla vita.
“E’ da settimane che cerco di contattarti! Porca miseria, sergente! Potevi sprecarti di far sapere ai tuoi compagni che stavi bene! – sbottò la voce – Eravamo tutti in pensiero! Giuro che ti prenderei per quei tuoi stupidi capelli dritti e ti sbatterei la testa contro il muro!”
“Mi dispiace, – pianse – giuro che mi dispiace!”
“Smettila di piangere. – disse Breda in tono più tranquillo - Non sono arrabbiato... ero solo in pensiero. Ho saputo che sei in ospedale. Che è successo?”
“Io ci ho provato – disse Fury cercando di controllare le lacrime – Ho fatto come ha detto lei, ho cercato una ragione… una maledetta ragione ogni giorno. Ma non è…”
“Non è facile, lo so. Come stai? Sei ferito gravemente?”
“Io… io no. Solo delle schegge e qualche livido. Ma… signore… gli altri sono morti e io ero lì… ero lì per tutto quel tempo e non ho potuto fare niente! – singhiozzò sfogando il terrore di quelle interminabili ore – E i loro occhi mi accusavano… perché io ero vivo! Ci sarei… ci sarei dovuto essere io al loro posto!”
“Oh porca… - sospirò la voce di Breda – Kain, ascoltami. Va tutto bene. Non è colpa tua. Non dovevi essere al loro posto, non c’è accusa che possa essere rivolta contro di te. Purtroppo è la realtà della trincea: la morte prende alcuni e lascia altri. Non cercare una giustizia in questo. Ma tu sei vivo… e questo è importante, per me e per gli altri. Per il colonnello, il tenente, Falman e Havoc… per le persone che ami.”
“Le persone che amo…” mormorò
“Pensa a loro, ragazzo. Pensa a casa tua, ai tuoi genitori. Pensa che prima o poi questa storia finirà.”
“Io…”
“Hai ventuno anni, sergente. Hai tutta la vita davanti. – dichiarò la voce – Non permettere a quell’orrore di avere la meglio su di te”
“Come ha detto il tenente…” sussurrò sorpreso
“Eh?”
“Niente. Io… signore che… che devo fare?” chiese pendendo da quella voce come un assetato davanti a una borraccia tesa
“Andare avanti. Quando ti rimanderanno in quella maledetta guerra ripeti a te stesso che quei bastardi non ti avranno mai. Corri, reagisci, ma non perdere il contatto con la realtà, non dimenticare. Ricordi cosa hai promesso al colonnello?”
“Ho promesso…” esitò
“Avanti, soldato, non aver paura di dirlo”
“Ho promesso che quando avrebbe avuto bisogno di me, io ci sarei stato.”
“Appunto. E possiamo deluderlo?” dalla voce si capiva che stava facendo uno dei suoi sorrisi sarcastici
“No… non possiamo”
“Bravo ragazzo. Senti, non posso stare molto al telefono. Puoi chiamarmi almeno una volta alla settimana? Giusto per sapere che sei vivo”
“Nel fronte non ci sono telefoni…”
“Ma sto parlando con il vero Kain Fury? No… perché queste frase lui non la direbbe mai.”
“Ha ragione signore – ammise lui, mentre una parte della sua mente iniziava, di propria iniziativa, a macinare piano piano l’idea di un sistema per collegarsi alle linee – non ci avevo pensato”
“Si vede che sei proprio in convalescenza. Cerca di riprenderti, ragazzo! Adesso chiamo Falman, anche lui era preocupatissimo per te!”
“Mi dispiace, davvero… sono stato bravo solo a farvi stare in pensiero.”
“Lascia perdere. Adesso segui il mio consiglio: chiama a casa. Ascolta la voce di tua madre, non potrà farti che bene.”
“Si, signore”
“Ah, un’ultima cosa. Ti ricordi che dovevo provare il cibo dell’Ovest?”
“Si”
“Beh, a quanto pare ne vale davvero la pena, Fury. Te lo devo proprio far assaggiare!”
“Va bene signore – riuscì a sorridere – La terrò informato, promesso!”
“Ci conto!”
 
Come riattaccò dovette restare diversi minuti con gli occhi chiusi, respirando profondamente. Il ritorno improvviso al mondo, grazie alla voce di Breda, era stato così devastante che dovette riprendersi. Come una radio che è stata usata male per diverso tempo e finalmente torna a funzionare correttamente ed i circuiti hanno di nuovo il giusto flusso di energia. Proprio questa energia scorreva di nuovo nelle sue vene, ricordandogli chi era e perché era lì.
Era arrivato davvero vicino al baratro: stava per cadere nel gioco del nemico.
Se vuoi credere di essere sacrificabile, allora stai facendo il gioco dell’avversario.
Le parole del Colonnello gli risuonavano nella testa. Si sentiva uno sciocco: aveva rischiato di venire meno alla sua promessa; era stato vicino a deludere le aspettative che riponevano in lui. Perché lo scacco matto doveva essere dato da tutti i membri della squadra.
Come aveva potuto rischiare di commettere un errore così imperdonabile che poteva costare la vita a tutti quanti?
“Io non sono sacrificabile” disse a se stesso
E doveva vivere perché al momento giusto il suo aiuto sarebbe servito.
Ma anche e soprattutto perché lo doveva alle persone che amava.
Riprese il telefono e compose un altro numero.
“Pronto?” rispose la voce di colei che aveva invocato quando era allo stremo
“Ciao mamma” salutò, cercando di controllare la commozione
“Kain! Ciao tesoro! Come stai?”
Fury guardò un attimo il suo braccio destro
“Bene, mamma. – rispose dopo un secondo di esitazione – E tu e papà?”
“Tutto bene, caro. Tuo padre è andato in paese, che peccato! Gli avrebbe fatto davvero piacere sentirti!”
“Mi dispiace… è una chiamata improvvisa.” La voce di sua madre gli sembrava un balsamo fresco spalmato su delle ferite doloranti: sarebbe rimasto ore a sentirla.
“Ma tu puoi chiamare sempre, tesoro! Del resto non abbiamo installato il telefono proprio per sentirti più spesso? Ma racconta, come ti trovi a Central City? Da quando ti sei trasferito lì ti avrò sentito solo due volte.”
“E’… è tutto molto grande – disse arrossendo per la bugia. Non aveva la forza di dirle che non era più nella capitale, ma in piena guerra – Diciamo che è tutto diverso…”
“Tesoro, cosa c’è?” chiese la voce in tono gentile dopo qualche secondo di silenzio
“Niente, mamma, davvero” mormorò, pur sapendo che lei aveva già capito tutto: riusciva a immaginarsi persino la sua espressione con il solito sorriso paziente e comprensivo.
“Non sei mai stato bravo a dire bugie, Kain” sospirò
“Mamma… è che… - non poteva dirle che era in un ospedale dopo essere stato ferito al fronte. Ma non poteva nemmeno dire una menzogna che non sarebbe mai stata creduta. – E’ che purtroppo la mia squadra è stata momentaneamente separata… e mi sento spaesato” e questa era una realtà che sotto un certo punto di vista faceva più male della guerra.
“Capisco. Piccolo mio, lo so che sei estremamente legato ai tuoi amici… ma come hai detto tu è una cosa temporanea, no?”
“Sì… fino a nuovo ordine da parte del colonnello”
“Vedrai che non potrà fare a meno di voi per molto! Da quello che mi hai sempre raccontato, non riuscite a stare lontani per tanto tempo: siete così uniti. Un giorno me li devi proprio presentare, questi tuoi meravigliosi compagni”
“Appena questa storia finirà. Te lo prometto” sorrise lui
“Spero che tu possa venire a trovarci presto! Quando stavi a East City potevi tornare a casa più spesso. Mi manchi, piccolo mio.”
“Mi manchi anche tu, non sai quanto. – sospirò rendendosi conto di quanto fosse vero - Ma prometto che cercherò di chiamarti più frequentemente”
“Fallo, caro. Ti conosco, e so che in situazioni difficili tendi a chiuderti in te stesso, quando invece parlare e sfogarti ti farebbe bene. Io sono qui per questo, e lo sai. Mi dispiace solo di dovermi limitare alle parole e non poter essere lì ad abbracciarti. Ma forse ti metterei in imbarazzo”
“Non penso. In questo momento il tuo abbraccio è la cosa che vorrei di più al mondo” mormorò
“Oh, tesoro…”dalla voce si capiva che stava trattenendo anche lei le lacrime
“Mamma…”
“Dimmi”
“Grazie”
“Grazie di cosa?”
“Di esserci anche quando tutto sembra andare… per il verso sbagliato” disse mentre una singola lacrima gli colava sulla guancia.
“Beh, una madre serve anche a questo, non credi? Sarò sempre qui per te, pulcino mio, ogni volta che ne avrai bisogno, lo sai. Quindi promettimi che ora starai più tranquillo.”
“Va bene, te lo prometto. Purtroppo non posso stare molto al telefono… salutami tanto papà. Vi voglio bene, tantissimo bene!”
“Anche noi, Kain. A presto!”
 
“Allora, ragazzo, sei riuscito a fare quella chiamata?” chiese il suo compagno di stanza
Fury annuì mentre si rimetteva a letto. Adesso quella camera di ospedale gli appariva diversa, non sterile e settica, ma carica di luce con la finestra aperta che dava su un giardino alberato.
Il rumore degli alberi mossi dal vento, la luce del giorno, i colori… tutto sembrava essere tornato al suo posto.
Non permettere che l’orrore abbia la meglio su di te, Fury… Tieni fede a quanto mi hai promesso.
La voce del tenente risuonò limpida nella sua testa, non più come un ricordo sconosciuto che lo faceva impazzire. Adesso era legata a un volto, a un momento specifico… a qualcosa di estremamente importante.
“Gliel’ho promesso, tenente. – sussurrò con un sorriso – Non accadrà di nuovo.”
“Hai detto qualcosa?” chiese l’uomo del letto accanto
“Niente – rispose Fury – solo una cosa che mi era tornata in mente. E’ molto che sei ricoverato?”
“Una settimana – ammise il tipo dando una lieve pacca alla gamba ingessata – ma ne avrò per parecchio, mi sa. Ehi, vedo che sei loquace! Forse eri solo stordito dai farmaci… sai giocare a carte?”
“A carte? Dipende dal gioco” si sorprese Fury
“Nessun problema – rise prendendo un mazzo di carte dal comodino – direi che abbiamo abbastanza tempo libero. Ero stufo di fare solitari… forza, vieni qui. Vediamo come te la cavi a poker. A proposito, non so nemmeno come ti chiami”
Fury ebbe un attimo di esitazione, ricordandosi di come evitasse, ormai, di imparare i nomi di persone che probabilmente sarebbero passate nella sua vita come un soffio di vento. Ma quelli erano i pensieri di una pedina sacrificabile, e lui non lo era più… anzi non lo era mai stato
“Mi chiamo Fury. Sergente Maggiore Kain Fury”
“Un pari grado eh? Io mi chiamo Brook… Sergente Maggiore Alan Brook. E adesso, smezza giovanotto!”
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: Laylath