Attenzione:
Italiani! No, ok, così sembro Mussolini.
Seriamente... sono sempre io, sono sempre DarkSoul_ e questo
è solo un altro
account. La storia la continuerò da qui.
Carry me away from my pain
pt.2
Ikuinen Virta
Janika si svegliò la mattina di Natale, pensò che
dovesse essere molto presto poiché
la stanza era ancora immersa nel buio più totale.
Pensò a ciò che le era
successo ultimamente, in realtà non riusciva ancora a
realizzare gli
avvenimenti, il suo ex ragazzo, poi la storia fra Janne e Alexi e la
sua
sorellina. Pensò che probabilmente a occhi esterni tutto
questo sarebbe
sembrato delirante e che lei, lei che si sentiva la vittima di un mondo
crudele
e asettico, sarebbe stata giudicata come la causa, l'unico motivo per
cui tutto
questo stava accadendo. Si mise a sedere e sorseggiò la
birra che stava accanto
al suo letto. Lo sapeva, sapeva di essere l'unica vera colpevole di
tutto. Ma
la cosa che più la faceva star male era il dolore che stava
provando sua madre,
la malattia di sua sorella non poteva essere colpa di nessuno,
sicuramente non
poteva darla a se stessa, ed era proprio questo che la faceva
imbestialire: non
poter puntare il dito contro nessuno, non potersela prendere davvero ma
dover
semplicemente restare a guardare. Aspettare. Aspettare che cosa? La
guarigione?
Molto più probabilmente la morte. E chi, chi poteva essere
il responsabile? Il
destino. Ma cosa fosse il destino Janika non lo sapeva. Forse Dio.
Perchè alla
fine cos'è Dio se non una figura immaginaria cui poter
attribuire meriti ma
sopratutto errori dell'uomo. Oppure semplicemente l'ultima spiaggia,
qualcuno cui
aggrapparsi come salvagente, l'ultima speranza ma, alla fine, tutto
questo
continuava a sembrarle molto ipocrita. Un Dio perfetto, senza smacchi o
scheletri nell'armadio che non prova i sentimenti umani,
perché è superiore a
tutto questo, come può davvero capire gli uomini? Come si
può creare un mondo
popolato da esseri che non riesci a comprendere ma, no,
perché Dio è onnisciente,
quindi deve per forza capire tutto ma come si può capire
qualcosa che non si ha
mai provato. Ma a cosa servivano tutte queste elucubrazioni mentali? La
conclusione era e rimaneva una Janika si sentiva fottutamente sola.
Prese il
telefono e inconsciamente compose a memoria il numero di Janne,
aspettò che
l'altro alzasse il ricevitore contando gli squilli a vuoto:
uno...due...tre...quattro...Janne rispose con voce quasi rassegnata,
sapeva che
in ogni caso non sarebbe riuscito a riprendere sonno:
- Pronto? -
Janika rispose rovesciandogli addosso un fiume di parole, riportandogli
tutti i
suoi precedenti pensieri a velocità luce, tanto che il
ragazzo dovette alzarsi
per cerar di stare dietro alla corrente impetuosa che gli scorreva
nelle
orecchie, Dio, Alexi, lui e lei, la sorellina, la madre, il destino e
tutto
condito con una colpa che lui non riusciva a capire quale fosse.
Interruppe la
giovane che si fermò semplicemente, come un registratore che
viene
improvvisamente spento; Janne aspettò qualche secondo come
spaventato da quel
silenzio, poi cercò di trovare le parole per calmarla e
sapere il motivo di
quella chiamata:
- Janika sta calma! Ascolta, ok, ho capito adesso sei confusa
perché ti sono
piovuti addosso un sacco di disastri in poco tempo, non sai cosa
pensare e
continui a incolparti di tutto. No, questo è sbagliato. Non
può essere colpa
tua, tutti siamo un po' colpevoli. Sono le cinque della mattina di
Natale e tu
ti sei messa a formulare pensieri catastrofici, almeno per una volta
non
potresti accettare tutto questo e smetterla di piangerti addosso, trova
una
soluzione, prendi in mano la tua vita e fanne qualcosa,
perché stare qui a dire
queste cose a me, ti servirà ben poco. Io non posso importi
la felicità. Solo
tu puoi farlo. Perché ognuno è padrone delle
proprie azioni, sei tu che puoi
decidere il tuo destino. Devi trovare qualcuno per cui valga davvero la
pena
andare avanti. -
La ragazza rimase interdetta dalle sue parole. Qualcuno per cui poter
andare
avanti. Alexi. Alexi era il suo ragazzo, aveva litigato con Janne per
stare con
lei, gli doveva tutto ma... Che senso aveva? Alla fine Janne era
diventato il
suo migliore amico e, sentendosi male, era l'unica persona della quale
voleva
sentire la voce. Anche ora, nonostante le sue parole fossero dure e
contenessero un po' di rancore, ci si stava aggrappando come a
un’ancora:
- Janne, io ho trovato qualcuno per cui vivere, ma sono stata stupida e
l'ho
gettato via. Gli ho voltato le spalle, e me ne sono andata. E ora me ne
sto
pentendo e mi sento stupida. Perché sono qui a parlare con
l'unica persona di
cui ho davvero bisogno e non lo capisco, probabilmente
continuerò a non capirlo
e a tornare da Alexi. Perché poi Alexi? Non ha fatto molto
per me, tu mi hai
aiutata molto di più. E poi davvero, mi sento la troietta di
Twilight, sono qui
che sto male perché non riesco a scegliere fra due ragazzi,
mentre mia sorella
sta morendo lontano da casa e da tutti i luoghi che ama. Dovrei essere
io al
posto suo, lei è troppo giovane. Non si merita di morire -
Janne si limitò a sospirare e dire che nessuno merita di
morire e che trovava
stupido sentirsi dire che era la persona più importante
della sua vita quando
era appena stato scaricato semplicemente perché lei si era
stufata, no, non
c'era stata una vera motivazione. Ma solo un semplice capriccio. E ora,
dopo
aver litigato col suo migliore amico, dopo che lui aveva provato a
suicidarsi,
si sentiva abbastanza preso per il culo. Ma non gli importava,
perché preferiva
continuare a starle accanto come amico che non starle vicino. Anche se,
ovviamente, tutto questo lo faceva star male e tutte le volte che
vedeva lei e
Alexi baciarsi gli si contorcevano le budella. Aveva imparato il suo
ruolo,
sapeva che sarebbe sempre stato eclissato dal nanetto biondo e, ormai,
ci aveva
fatto il callo.
Janika ammutolì. Mentre con una mano accarezzava la
superficie liscia del letto,
si era persa fra le parole di Janne. Sapeva che aveva ragione lui
eppure queste
parole per lei tagliavano come un coltello affilato, si conficcavano
nella sua
anima e cercavano di annientarla con tutta la violenza possibile, con
la violenza
dell'impassibilità che, com’era già
stato dimostrato, era l'arma migliore del
tastierista:
- Janne ... tu mi amavi? -
L'altro emise una risata amara. Era semplicemente pronto a fare tutto
per lei
ma, ormai, tutto questo non aveva più importanza. Detto
ciò la salutò
frettolosamente e chiuse la chiamata. La giovane si trovava di nuovo
sola. Sola
con i suoi pensieri, che era la cosa che più la spaventava.
Si rigirò per qualche secondo fra le coperte prima di
constatare che tanto non
si sarebbe riaddormentata, così si alzò e scese
le scale. Appena fu fuori dalla
sua stanza si accorse che in realtà il sole pallido filtrava
già dalle persiane
accostate, era stata al telefono con Janne quasi un'ora. Si
ritrovò in cucina,
spalancò le finestre in modo che la luce invadesse la stanza
e si ritrovò a
fissare la neve che scendeva candida e soffice dal cielo ovattato,
pensò che
era una stupidissima convenzione il fatto che il giorno di Natale
nevicasse e
più di ogni altra cosa desiderò che spuntasse il
sole. Era una cosa così
stupida, lo riconosceva, eppure sembrava irritarla più della
situazione di
merda che stava passando. Ma la neve continuava a cadere, ignorando le
inutili
richieste di una ragazzetta capricciosa che dopo una vita passata fra
le
penisole Scandinave non riusciva a provare altro che disgusto per il
pantano
fangoso che si creava nelle strade. Dopo qualche minuto il telefono
prese a
squillare. Janika cercò di ignorarlo il più a
lungo possibile prima che il
rumore ritmato le diventasse insopportabile e dovette scagliarsi con
tutta la
forza possibile contro il telefono, sollevare la cornetta come se
tentasse di
strapparla via e chiedere chi parlasse con voce dura che nemmeno lei
sembrava
riconoscere. Era sua madre che le augurava buon Natale. Come stava?
Abbastanza
bene, e la sorellina? Non male, era visibilmente migliorata; la
conversazione
continuò con domande di routine prima che la giovane
salutasse sua mamma e
riagganciasse la cornetta. Dopo di che decise di vestirsi e di uscire
per fare
una passeggiata. In pochi secondi fu pronta e scese per strada; L'aria
gelida
mista alla neve le sferzava il viso rendendole quasi impossibile vedere
a pochi
metri dal suo naso, mosse qualche passo e iniziò a camminare
verso l'unico
posto in cui si sarebbe sentita come a casa, il bar in cui aveva
conosciuto
Janne. In realtà per lei quello era sempre stata come una
seconda casa,
quell'edificio c'era fin da quando lei aveva pochi anni e, ricordava
che in
quel periodo ci andava quasi tutti i giorni insieme a sua madre, prima
di
andare all'asilo. L'odore di caffè e di brioche appena
sfornate le metteva
allegria, senza contare il fatto che già di prima mattina il
locale era aperto
ed era uno dei pochi in cui non rischiavi di trovare qualche ubriaco
accasciato
davanti all'entrata.
Arrivo completamente fradicia, dalla testa ai piedi, si tolse il
cappotto e si
sedette al suo solito posto dove ordinò il solito
cappuccino. Stava per
iniziare a bere quando avvertì una presenza familiare.
Janne. Si avvicinò a lei
e si sedette di fianco. Janika rimase qualche secondo interdetta a
fissare la
figura del ragazzo che si sedeva impassibile lì, proprio
nella sedia vicino
alla sua. Senza salutarla, come se fosse una cosa ovvia:
- Cosa ci fai qui? -
Il tastierista si voltò di scatto, come risvegliato dallo
stato catatonico in
cui si trovava, la fissò negli occhi, come se cercasse la
sua anima:
- Ti amo. -
****
No,
ok. No. Non posso
metterci tre mesi per scrivere un capitolo così. No. Liberi
di falcidiarmi. xD
Va bien, sono tornata ... Con un altro profilo e con la seconda parte
della
storia - ho preferito creare un'altra sezione con l'altra parte della
storia
sperando che la vediate D: - Spero di riuscire a scrivere
più spesso durante le
vacanze di Pasqua ç-ç Va beh, la smetto di
tediarvi.
Alla prossima :3