Buondì!
Eccomi
tornata da voi!
Ho
deciso che gli aggiornamenti regolari non mi piacciono proprio per
niente, che avere una data fissata rovina ogni sorpresa e io adoro le
soprese – non è vero, le odio, ma una scusa dovevo
pur trovarla,
vi pare?
Comunque,
ecco il nuovo aggiornamento.
La
frase che fa da titolo non è tratta da una canzone -come al
solito-
ma è del buon vecchio Goethe.
Buon'anima.
Ultima cosa: l'immagine è stata eseguita da Graphic
Emotions, una pagina su FB che crea timeline e annessi e connessi
meravigliosi, come potete vedere.
Bo',
vi lascio alla storia.
Buona
lettura ^^
Le difficoltà aumentano più ci si avvicina alla meta
La
nostra meta non è mai un luogo, ma piuttosto un nuovo modo
di vedere
le cose.
Henry
Miller, Big
Sur e le arance di Hyeronymus Bosch
“Era
davvero indispensabile svegliarsi così presto? E dove stiamo
andando?”
Julya
alzò gli occhi al cielo e lo fulminò con
l'ennesima occhiataccia.
Erano svegli da nemmeno un'ora e quella non era certo la prima con
cui lo aveva raggelato, ma Stefan sembrava non aver ancora recepito
il messaggio.
“Stiamo
andando in biblioteca”
“A
fare cosa?”
“Te
lo dirò quando arriveremo”
Scese
gli ultimi gradini con un salto e si ritrovarono davanti a una piazza
e un grande edificio bianco. Era chiaramente una costruzione antica
che sembrava tutto meno che una biblioteca.
“Non
sembra una biblioteca” confessò Stefan mentre lo
conduceva dentro
“Era una chiesa, per caso?”
“In
realtà sì”
Lo
condusse tra gli scaffali, in fondo alla costruzione dove faceva
bella mostra di sé un enorme vetrata colorata, prima di
continuare a
parlare.
“Poggia
su un suolo sacro. Molte delle colonne e dei tesori che un tempo
erano contenuti in questa chiesa sono stati portati dall'Oriente,
dopo la prima crociata. Trofei di guerra” aggiunse con un
sorriso
che Stefan non riuscì a decifrare.
Conoscendola,
poteva immaginare che più che per la guerra in
sé, le dispiacesse
immaginare quanti tesori inestimabili e chiese e templi e
meravigliosi edifici fossero stati abbattuti nel corso dei secoli.
A
volte lo stupiva la capacità di Julya si essere
così indifferente
alla vita umana ed essere allo stesso tempo così umana.
“E
noi cosa stiamo cercando?” le domandò mentre si
sedevano a un
tavolo in disparte, dove nessuno poteva sentirli parlare e avrebbero
avuto la loro privacy.
“Ieri
sono andata da un amico che mi ha dato questo quadernino. Dentro
c'era un foglio con dei numeri romani e voglio capire cosa
significhino”
“E
come pensi di fare? Nel corso della storia i numeri hanno avuto
migliaia di significati diversi. Pensa ai pitagorici, ai riti
esoterici, alla sequenza di Fibonacci...”
“Grazie
per la lezione di numerologia, Stefan. E' per questo che siamo in
biblioteca”
“Aspetta,
aspetta: tu vuoi che io e te, due vampiri, due!, ci
mettiamo a
spulciare ogni libro contenuto qui che riguardi questo
argomento”
“Non
ogni libro” si imbronciò lei “solo
quelli che parlano della
numerologia all'epoca dei crociati”
Stefan
aprì la bocca per dire qualcosa e farle notare che questo
non
cambiava niente, ma quando vide il sorriso di Julya e la sua
espressione caparbia capì che non sarebbe cambiato niente
perciò si
rassegnò a una lunga giornata di letture.
Otto
ore, una ventina di libri e chissà quante pagine dopo,
Stefan e
Julya non avevano ancora trovato niente.
“Be'”
tentò la vampira abbandonandosi contro lo schienale della
poltroncina “il tre è facile. Potrebbe rappresenta
la Trinità, la
perfezione divina. Il sette... be', è il numero dei cicli
lunari,
connesso con l'idea di equilibrio e il dieci... il dieci...”
tentennò un po' e Stefan la guardò inarcando le
sopracciglia,
seriamente affascinato da come Julya stesse cercando di dare una
dignità a quella teoria campata per aria.
Alla
fine, anche lei si arrese “Va bene, non so neanche io cosa
sto
dicendo”
“Dovremo
continuare ancora per molto?” domandò allora
Stefan appoggiando le
braccia sul tavolo e il mento su di esse nella perfetta imitazione di
uno sguardo da cucciolo che fece sussultare il cuore
-metaforicamente, si intende- di Julya.
“Fino
a quando non troveremo qualcosa. E non provare a fare quella faccia,
non mi impietosisco. Occhi fissi sul premio, Salvatore” lo
richiamò, ma la verità era che stava
incoraggiando se stessa.
L'idea
di fallire ora che era così vicina la annichiliva
più di qualunque
altra cosa.
“Stanno
per chiudere. Sistemiamo i libri e nascondiamoci da qualche parte. Ci
troviamo quando sarà tutto chiuso proprio qui”
Raccolsero
i volumi e li infilarono di nuovo nei loro scaffali, poi si
dileguarono e rimasero nascosti fino a quando il ragazzo del bancone
non ebbe spento ogni luce ed ebbe serrato la porta.
Anche
allora rimase per un veloce inventario e a Julya non restò
che
sistemarsi meglio sulla trave su cui si era appollaiata e attendere
con pazienza.
In
realtà fu grata all'uomo per quella pausa. Al buio, nel
silenzio
della biblioteca scandito solo dalle pagine sfogliate, ebbe modo di
riorganizzare i propri pensieri e di controllare di nuovo il
libretto.
Con
la coda dell'occhio, notò che la luce era impercettibilmente
mutata
e pensò che fuori dovesse essere sorta la luna
perché la vetrata,
con i suoi colori e il disegno, era più luminosa.
Solo
allora la osservò con più attenzione, mettendo da
parte l'occhio
dell'esteta per lasciare spazio a quello dell'archeologa.
Le
ricordava qualcosa che aveva già visto da qualche parte, ma
non in
un'altra chiesa o in un posto che avesse visitato.
Era
qualcosa di più recente e meno vivido, come se in
realtà lo avesse
scorto appena mentre scartabellava alcune pagine.
La
comprensione la colse proprio quando il bibliotecario spense tutte le
luci e la vetrata fu l'unico strumento di illuminazione.
Non
aveva potuto vederli dal tavolo dove erano seduti perché
erano
esattamente sotto la finestra, ma da quella posizione non ebbe
problemi a scorgere tre numeri romani, uno per ognuna delle tra parti
in cui era scandita la vetrata: un tre a sinistra, un sette al centro
e un dieci a destra.
Troppo
eccitata per rimanere ferma, abbassò lo sguardo alla ricerca
di
Stefan, ma di lui neanche l'ombra.
Come
aveva fatto a non pensarci? Quei numeri erano coordinate, niente di
più semplice. Nessun significato allegorico, nessuna
simbologia: a
volte la soluzione più scontata era anche quella vera.
Scrutò
nell'ombra alla ricerca di Stefan, ma il suo sguardo si posò
solo
sul pavimento, una distesa di marmo bianco, verde e rosso posto in
modo da formare un quadrato con un'enorme X nel mezzo.
E
allora si chiese come diavolo avesse fatto a non accorgersene
perché
la tomba era lì, esattamente sotto i suoi piedi e lo era
sempre
stata.
Così
vicina che davvero le sarebbe bastato allungare una mano per
toccarla.
Scese
con un balzò e Stefan le fu accanto in un battito di ciglia.
Lo
guardò con gli occhi brillanti di emozione e la voce
tremante, quasi
stesse per scoppiare a piangere.
“E'
qui. La tomba è sempre stata qui e questa X non è
che un dieci...
il dieci che cercavano, Stefan!”
Lui
ci mise un attimo a capire, ma Julya era già piegata sul
pavimento e
lo toccava con la devozione di un fedele, quasi gli stesse chiedendo
scusa per quello che stava per fare.
Con
uno scatto e un rumore assordante, tirò su una lastra e la
posò di
lato con tutta la delicatezza che riuscì a mettere insieme.
“Come
hai fatto?”
“Ho
guardato le cose da un'altra prospettiva, letteralmente. Dai, aiutami
a scendere”
Stefan
afferrò le mani che lei gli porse e la fece scivolare
giù. La sua
vista da vampiro ci mise un secondo ad abituarsi al buio, il tempo
che Stefan impiegò a lasciarsi scivolare accanto a lei.
Stefan
si guardò intorno dubbioso, ma il volto di Julya era radioso
e gli
diede la forza di fidarsi di lei e di fare ciò che diceva.
Dopotutto,
aveva cercato il Graal per duecento anni, studiato e fatto ricerche:
se c'era qualcuno che sapeva cosa stava facendo, quella era lei.
Julya
trafficò nelle tasche e ne estrasse un accendino. Ne portava
sempre
uno con sé, per ogni evenienza e anche se non aveva bisogno
di luce
per illuminare i luoghi più bui grazie alla sua super vista.
Si
avviò con una mano posata sul muro, guardando i pittogrammi
dipinti
sulla nuda pietra e sfiorando le incisioni.
Julya
sapeva che quello era solo un passo avanti e che per trovare il Graal
ne avrebbe dovuti fare ancora molti altri, ma non riuscì a
impedirsi
di sospirare e non poté impedire al proprio cuore di
gonfiarsi di
commozione e orgoglio.
Non
era solo una scoperta. Aveva combattuto, faticato, sacrificato un
discreto numero di cose per quella ricerca e ora si stava avvicinando
sempre di più.
Spazzò
la polvere con la mano libera e comparve un'altra X.
“A
quanto pare” mormorò con la voce rotta
dall'emozione “la X
indica proprio il punto dove scavare”
“Spostati,
la butto giù”
Julya
annuì e lasciò che Stefan si facesse largo tra le
pietre e i
detriti prima di seguirlo. Non le servì annusare l'aria per
accorgersi che era petrolio quello in cui avevano immerso i piedi. I
cadaveri erano ammucchiati in nicchie lungo le pareti e di loro non
restavano che ossa e qualche brandello di vestito lambito dal
combustibile.
Afferrò
malamente un perone – o una tibia, non era sicura di che
parte
della gamba fosse- e lo avvolse con un pezzo di stoffa prima di
dargli fuoco con l'accendino.
Stefan
la guardò con un'espressione a metà tra il
sorpreso e il divertito
alla quale lei rispose solo facendosi largo tra i resti dei cadaveri
con un'alzata di spalle.
Attraversò
il lungo corridoio incurante dell'acqua che si alzava sempre di
più
e lentamente le lambiva i polpacci, sempre più in alto.
Non
si sarebbe fermata e sentiva che Stefan era dietro di lei, silenzioso
e pronto a scattare in caso di pericolo.
Si
bloccò con un gemito di sorpresa solo quando il corridoio
svoltò in
una specie di anticamera in cui montagne di topi squittivano
impauriti, consci della presenza di due predatori come Julya e
Stefan.
“Disgustosi”
sibilò.
Eppure
non sarebbero certo bastati due topini di troppo a fermarla. Lei era
nata in una casupola nella campagna intorno a San Pietroburgo e i
topi erano all'ordine del giorno nelle case piene di spifferi e
malandate.
Se
forse stata umana avrebbe tentennato, ma era un vampiro – la
razza
di predatori per eccellenza- e sapeva che i topi sarebbero scappati
lontano non appena avessero sentito la sua presenza incombere.
E
così fu: la strada si liberava man mano che lei procedeva.
“Ma
come” le domandò Stefan con l'espressione
scontenta di un bambino
a cui è stato negato un pezzo di dolce “niente
grida stridule o
convulsi tentativi di saltarmi in braccio?”
Julya
ridacchiò e gli dedicò un mezzo sorriso senza
smettere di camminare
e guardare avanti.
Occhi
fissi sul premio.
Camminarono
per qualche metro fino a quando non si aprì di fronte a loro
una
specie di stanza dove era custodita una tomba.
Era
impossibile sbagliarsi: era l'unica che avessero incontrato nel loro
viaggio e non poteva che essere lei, la tomba del
cavaliere.
Con
poche falcate, la vampira attraversò lo spazio che la
divideva dal
sepolcro e lo carezzò con dita esitanti, come se fosse stato
il
volto di un amante disperso e finalmente ritrovato.
Poi
gettò di lato il coperchio e rivelò le ossa,
ancora perfettamente
composte nella posa in cui erano state sistemate alla sepoltura, del
cavaliere che stringeva tra le mani una spada e lo scudo.
Con
un gemito di sorpresa, Stefan riconobbe in quello scudo lo stesso
simbolo che aveva visto nelle foto che Julya gli aveva mostrato.
“Ce
l'abbiamo fatta” sospirò, ma Julya non lo
ascoltava più: aveva
già tirato fuori il proprio cellulare e scattato le foto che
le
servivano.
Quando
rimise in tasca il cellulare, si prese un minuto per contemplare lo
scudo. Anche nell'oscurità, Stefan si accorse che aveva gli
occhi
lucidi di orgoglio e commozione nel leggere le parole incise nel
metallo.
Dal
canto suo, Julya sentiva di avere gli occhi gonfi di lacrime e il
cuore pieno di gioia. Era lì, scritto sullo scudo: il nome
della
città da cui partire.
Alessandretta.
Alla
fine, ce l'aveva fatta. E sì, non aveva ancora il Graal tra
le mani,
ma adesso era davvero a un passo da lui, così vicino che
quasi
poteva stringerlo tra le dita.
Stefan la sentì singhiozzare, ma sul suo viso non c'erano
lacrime. La
passò un braccio intorno alle spalle e la strinse a
sé.
“Dovremmo
andare” le sussurrò all'orecchio, ma Julya si
ricompose e scosse
il capo.
“Ancora
un momento. Ho atteso così tanto di sapere dove fosse il
Graal...
lasciami assaporare l'attimo, prima che se ne vada”
Stefan
annuì, ma non la lasciò andare come se temesse
che se l'avesse
fatto sarebbe andata in frantumi.
“Per
secoli ho cercato questo nome... e ora ce l'ho fatta”
sussurrò
alzando lo sguardo su di lui e fissandolo con gli occhi lucidi.
Le
sue parole scemarono e all'improvviso tutto si fece silenzio. Non ci
fu più rumore che riuscisse a penetrare la bolla che si
erano creati
intorno.
Le
iridi scure di Julya si spostarono dagli occhi di Stefan alle sue
labbra, come attratte da una calamita, incapace di pensare ad altro
che non fosse la loro consistenza e la loro bellezza.
Avrebbe
voluto poterla assaggiare in quel momento, dimenticando il posto e la
situazione non esattamente adatti. Era certa che un bacio di Stefan
potesse cancellare ogni sensazioni e trasportarla in un'altra
realtà.
E
lei lo desiderava così tanto!
Si
alzò in punta di piedi e si avvicinò alle sue
labbra, ma il ragazzo
voltò appena la testa e si trovò a sfiorare la
guancia.
“Mi
dispiace Julya, non posso”
“Non
puoi o non vuoi?” gli domandò con una punta di
amarezza nella
voce.
“Entrambe,
credo. Amo Elena, la amo davvero, ma non voglio negare di sentire
qualcosa per te che va oltre all'amicizia. Nonostante questo”
si
affrettò ad aggiungere quando la vide pronta a ribattere
“voglio
Elena perché la amo come non ho mai
amato nessun altro. E per
te farei di tutto, ma...”
Tentennò
prima di concludere la frase perché sapeva cosa si provava a
essere
allontanati per qualcun altro.
Per
lei era più semplice, si disse: l'altra non era sua sorella
né
un'amica. Eppure, nei suoi occhi c'era la stessa sofferenza che aveva
visto sul proprio viso quando aveva capito che Elena provava qualcosa
anche per Damon.
Fu
Julya a completare la frase “Ma questo sentimento non
è
altrettanto intenso”
Stefan
fece per parlare, ma Julya alzò una mano per zittirlo
“Fa come se
niente di tutto questo fosse mai accaduto, ok? Restiamo amici”
Gli
rivolse un sorriso radioso e Stefan avrebbe quasi creduto che andasse
davvero tutto bene se non fosse stato per ciò che vedeva nei
suoi
occhi.
“Julya...”
Si
fermò quando sentì un rumore e anche Julya si
voltò in quella
direzione scrutando nell'ombra con gli occhi socchiusi.
Quando
capirono che c'era davvero qualcuno, era troppo tardi per nascondersi
e li trovarono lì, in piedi di fronte alla tomba
scoperchiata, tesi
come corde di violino e pronti ad attaccare.
La
velocità con cui si mossero per accerchiarli fece subito
capire che
non erano umani, non tutti almeno.
Su
sei persone, tre erano vampiri, ma guardandoli Julya non avrebbe
saputo dire se fossero o meno più forti di loro.
“Uhm,
qualcosa mi dice che non siete qui per una visita di piacere”
scherzò Julya mentre cercava di capire come cavarsi
d'impiccio.
“Infatti.
Il mio nome è Werner e vorrei ringraziarvi per averci
condotto fino
a qui. Probabilmente non ce l'avremmo fatta se voi non aveste trovato
l'ingresso”
Il
vampiro che aveva parlato aveva un forte accento tedesco e
sull'avambraccio, dove la camicia era stata arrotolata, faceva bella
mostra di sé una svastica.
Julya
alzò gli occhi al cielo “Perfetto. Ci mancava
proprio il vampiro
filonazista con la mania per i tatuaggi da Mangiamorte”
Stefan
la guardò come se fosse impazzita e lei spalancò
la bocca in
un'espressione di sentita sorpresa.
“Ti
sembra il momento?”
“Be',
potrebbe non esserci un dopo perciò perché
tenersi le cose per sé?”
“Certo,
meglio fare dell'ironia piuttosto che cercare una via di
fuga” la
prese in giro, ma cogliendo le occhiate di Julya che gli faceva cenno
indicando il varco nella parete alle loro spalle.
Dovevano
solo trovare il momento per saltarvi dentro: a quel punto, avrebbero
corso fin in superficie e si sarebbero nascosti fino all'arrivo del
sole.
A
quel punto, i vampiri avrebbero dovuto nascondersi e loro avrebbero
avuto tutto il tempo di fuggire via.
“La
ragazza è saggia” si intromise il tedesco
apparentemente divertito
“tra poco sarete morti perciò dite pure
ciò che volete”
“Uhm,
un veloce chiarimento. E' il classico piano da cattivo per la
dominazione del mondo?”
“Già.
I classici funzionano sempre”
Julya
gli restituì il sorriso e ringraziò il cielo del
sangue freddo che
erano riusciti a mantenere. Andare nel panico avrebbe segnato la loro
fine.
Ma
per fuggire dovevano prima assicurarsi un minimo vantaggio
perciò
Julya si preparò a buttarsi alle spalle tutto l'istinto di
autoconservazione e ad avvicinarsi al tedesco.
Ad
ogni passo in avanti sentiva tutto il suo corpo cercare di ritrarsi e
urlarle di scappare; fu uno strazio dover sopprimere ogni ragionevole
voce che le dicesse di tenersi alla larga, una delle quali aveva
anche la voce di Stefan.
“Sono
d'accordo” confermò oramai a pochi passi
“ma mi chiedevo: voi
avete la certezza che non tenteremo la fuga? Insomma, guardiamo le
statistiche: abbiamo discrete possibilità di mettervi al
tappeto e
quell'apertura nel muro sembra fare proprio al caso nostro”
Indicò
con l'indice lo squarcio che poco prima lei e Stefan avevano
osservato con attenzione. Quasi riusciva a immaginare la faccia
stupita di Stefan e, se faceva un po' di attenzione, quasi riusciva a
sentire il suo cervello lavorare a pieno regime per capire che cosa
diavolo stesse progettando di fare.
Ma
stavolta avrebbe potuto solo affidarsi a lei e all'innato senso senso
di Julya che le diceva che non era la direzione giusta, che se
volevano salvarsi dovevano gettarsi in acqua.
Come
previsto, il resto del gruppo fece fronte comune di fronte
all'apertura e lasciò scoperto tutto il resto della cripta.
Continuò
a camminare e guardò Stefan, sperando che capisse cosa
doveva fare.
Per fortuna, sembrava che la loro antica empatia non fosse scomparsa,
anche a dispetto degli anni e di tutte le vicissitudini che avevano
affrontato.
“Bene,
direi che è meglio muoversi prima che sorga il sole. Qualche
ultima
parola?”
Julya
ammiccò e si aprì in un sorriso luminoso, poi
sussurrò a pochi
passi da lui in russo “Do svidaniya”
Con
uno scatto, tentò di colpire il vampiro, ma lui la
bloccò. Doveva
essere più giovane di lei perché la sua forza era
notevolmente
minore, ma non era importante.
Con
la stessa velocità, Stefan gli afferrò il collo
di sorpresa e
glielo ruppe con un suono secco che fece venire i brividi a Julya.
Poi, mentre gli altri due vampiri scattavano per fermare la loro
fuga, Julya si tuffò e Stefan la seguì.
Quando
finalmente poterono uscire dal loro nascondiglio erano le nove di
mattina e il sole era pallido in cielo, ma almeno c'era.
“Dobbiamo
fare i bagagli e andarcene il più in fretta
possibile”
Julya
anuì. La fortuna di essere un vampiro si vedeva proprio in
momenti
come quelli, quando si trovava ad aspettare al freddo e al buio,
completamente fradicia.
“Andiamo
in albergo. Intanto io prenoto l'aereo”
“Dove
stiamo andando?”
“Alessandretta
corrisponde all'attuale Iskenderun, in Turchia. Se pensò che
due
settimane fa ero a un passo dal Graal e non lo sapevo...”
Stefan
non fece domande, troppo spossato -nonostante la sua natura di
vampiro- per chiedere spiegazioni.
Julya
se ne accorse e il suo sguardo si addolcì “Poco
più avanti c'è
una banca del sangue. Va a nutrirti, Stefan, ne hai bisogno”
“E
tu no?”
Julya fece spallucce. Lei era abituata a stare senza
nutrimento per periodi di tempo più lunghi e non aveva alle
spalle i
rapporti burrascosi con il sangue di Stefan perciò poteva
resistere
ancora un po', il tempo di arrivare a Iskenderun.
Inoltre,
aveva imparato da umana a sopportare la fame, quando i lunghi e
rigidi inverni russi rendevano difficile la vita di chi si sostentava
solo con il lavoro delle proprie braccia.
C'erano
volte in cui non mangiavano per giorni, quando suo padre non riusciva
a trovare cibo nei campi o un lavoro per guadagnare abbastanza da
permettersi una pagnotta di pane.
“Dobbiamo
muoverci”
Stefan
mugugnò qualcosa poi la bloccò. La gente li
guardava, ma Julya non
se ne curò. Nel momento in cui gli occhi di Stefan cercarono
i suoi
perse la cognizione dello spazio e ci furono solo più loro
due.
Ma
doveva ricordare che lui l'aveva rifiutata, che aveva scelto Elena -e
il suo orgoglio ferito e il suo cuore spezzato questo non l'avrebbero
scordato tanto in fretta- e che sarebbero sempre stati solo amici.
“Sicura
che tra noi vada tutto bene?”
“Certo, certo. E poi non abbiamo
tempo di preoccuparci di questo. Non so quanto vantaggio abbiamo e se
sono tornati indietro sapranno anche loro dove andare,
perciò
dobbiamo sbrigarci”
“Ehi,
se tu puoi fare battute su Harry Potter in procinto di morte, io
potrò...” si fermò quando
notò l'occhiataccia che Julya gli
lanciò da dietro una ciocca di capelli.
“No,
eh?”
“No”
“Va
bene, va bene. Muoviamoci e via dalle scatole questa Venezia”
Continua
**