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Autore: Sorella_Erba    14/10/2007    5 recensioni
[…] Era suo fratello; nelle sue vene scorreva il suo stesso, maledetto sangue. L’unico ente a tenerli ancora uniti. […]
1° classificata al concorso "Unforgivable Fate" di -Betagemy-.
Genere: Malinconico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Regulus, Black, Regulus, Black, Sirius, Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Title: Legame di sangue – Io e mio fratello.
Author: Sorella Erba/kikka91/Macrì.
Summary: […] Era suo fratello; nelle sue vene scorreva il suo stesso, maledetto sangue.
L’unico ente a tenerli ancora uniti. […]
Characters: Sirius Black, Regulus Black [No yaoi/no incesto].
Rating: PG13
Advises: Fanfiction pensata e scritta prima degli eventi del settimo libro, Harry Potter and The Deathly Hallows.
Categories: Introspettivo, Drammatico, Malinconico.
Desclaimers: I personaggi di questa storia sono © di mrs J. K. Rowling. Il racconto è stato scritto senza alcuno scopo di lucro.
1° posto al concorso “Unforgivable Fate”, di -Betagemy-.
My Thanks to: Alle mie tre beta-readers: a Giulia, a RoSs e a Cla. Grazie di tutto e, soprattutto, del vostro sostegno.
A Giù, perché il suo nome deve presente sempre ed ovunque XD
Ad Alex, che adoro e che ha gentilmente concesso a noi partecipanti di pubblicare prima dell’uscita dei risultati.
A Judy, che deve imparare a credere più in se stessa.



“Il tempo assume una posizione particolare: esso si rivela alleato del mondo e del suo ordine imperscrutabile, e pertanto è anch'esso ingannatore nei confronti dell'uomo. Le profezie, che dovrebbero avverarsi in un tempo definito, in realtà si attuano senza seguire una logica temporale comprensibile; non esiste una continuità tra passato e presente, bensì al contrario, con il passare del tempo, svaniscono tutte le certezze che ci sono in principio…”
(Edipo Re, Sofocle)




Legame di sangue – Io e mio fratello


I Cap.

“Il legame di sangue è stato la nostra rovina.
Sai quante volte ho rimpianto questo mio destino, Regulus?
Forse, se né io e né tu fossimo stati gli eredi di una delle più grandi, celebri e antiche Casate,
adesso avremmo potuto amarci, fratello mio, piuttosto che disprezzarci forzatamente.”

Ogni cosa, per le famiglie appartenenti all’Alta Società della Comunità Magica, ruotava attorno ad un’unica parola: sangue. Vermiglio, caldo e puro sangue.
Cosa può esserci di così rilevante nel sangue che scorre nelle nostre vene?
Per molte, differenti entità popolanti il pianeta, il sangue più pulito assume vari ed importanti significati: per i popoli antichi era l’unica sede della vita; per i vampiri è nutrimento e piacere carnale; per le più prestigiose famiglie magiche invece è onore, rispetto. Il blasone in cui il vero e potente mago può riconoscersi e con il quale può distinguersi dall’insulsa feccia che contamina il mondo della Magia.
Le antiche, estremiste e rispettate Casate del mondo magico erano conosciute con l’altisonante aggettivo di Purosangue. Un epiteto che racchiudeva in sé disprezzo, discriminazione ed efferatezza nei confronti di Mezzosangue e babbani.
I Purosangue erano gli unici, i soli ad avere il diritto di usufruire della Magia che scorreva nelle loro vene, liquefatta nel loro sangue.
Per questo, essi prediligevano matrimoni fra le loro Casate, unioni che estraniassero i Mezzosangue. Non potevano permettere che il loro sangue venisse contaminato, smarrendo in tal modo la propria autenticità.
Eppure, non tutti i maghi idolatravano questi concetti. Sin dal principio, c’era sempre stata una piccola, debole anomalia che spezzava il perfetto equilibrio di conservatori dalle idee macchiate di sangue sporco. Una minoranza che preferiva scendere dall’Olimpo del sangue puro per condividere vita, passione e speranza con i comuni mortali.

§

“Si dice che gli occhi siano lo specchio dell’anima.
A me bastava scrutare l’argento delle tue iridi per comprendere la tua indole, sai?
Intravedevo coraggio e voglia di sacrificarsi per le persone amate.
Nostra madre aveva ragione.
Hai provato a mutare il tuo carattere, il tuo comportamento.
Hai tentato con il massimo impegno, ma…
Tu non sei come noi, Sirius.”

I larghi tendaggi verdi dell’immenso salone di Casa Black erano stati dischiusi e segregati ai lati delle alte finestre da cordigli d’argento uniti a formare una robusta treccia. Adesso la confortevole stanza era rischiarata dai caldi raggi del sole d’Agosto, mentre dalle imposte spalancate s’intrufolava il tiepido e tenue vento estivo.
Ogni singolo oggetto, nella spaziosa sala, risplendeva come un diamante. Tutto era al proprio posto, sistemato e conservato con cura dalle abili e neglette mani degli elfi domestici al servizio dei signori di quell’illustre Casata.
Ogni cosa doveva essere perfetta, quel giorno.
Era giunto il momento di tramandare l’eredità di famiglia nelle mani di chi ne era degno.
Sirius non si era dimostrato all’altezza. Adesso, l’unica speranza era rappresentata dall’ultimo nato.
Walburga Black, avvolta in un impeccabile abito scollato grigio perla, stava ritta dinanzi all’arazzo della sua famiglia. L’espressione del suo giovane viso era seria, altera ed impassibile, priva di alcuna traccia di eventuali forti emozioni. Gli occhi freddi -come il ghiaccio più consistente- vagavano per lo scuro tessuto dell’arazzo, ricamato dai nomi di eccelse famiglie Purosangue. Qua e là, era possibile riscontrare qualche chiazza bruna ed increspata, segno di bruciature da incantesimi eseguiti sulla morbida tela.
Per quanto potente potesse essere una magia, non era sufficiente per eliminare il ricordo di un’esistenza.
Seguì con due dita perfettamente curate il solco ruvido lasciato dall’incanto sull’arazzo, tracciandone i contorni con greve lentezza.
Le cineree iridi di Walburga si bloccarono su un punto, su un nome ricamato nel tessuto, assiderandosi sempre più.
Il nome Sirius Black avrebbe fatto la stessa fine della minoranza emarginata e diseredata dei Black? Suo figlio, il suo primo bambino, avrebbe seguito le orme di luridi babbanofili, Mezzosangue e Maghinò?
Tremava al solo valutare quel concetto, che sembrava più che mai fattibile, in quell’ultimo periodo.
« La signora può concedermi un momento d’attenzione? »
Walburga si voltò, le labbra vermiglie strette e le palpebre socchiuse. Alzò il mento in segno di supremazia quando incrociò gli occhi acquosi ed iniettati di sangue del piccolo Kreacher.
« Parla » concesse con forza al suo fedele elfo domestico.
« I signori Cygnus e Druella la stanno attendendo nell’ingresso insieme alle figlie, padrona » borbottò Kreacher, curvato in un profondo inchino.
« Bene. »
Tutto, per il momento, stava rasentando la perfezione. Il fratello era arrivato –sicuramente di malavoglia- assieme alla moglie e alle figlie.
Walburga sapeva che Cygnus Black era rimasto inizialmente di stucco e poi irritato quando lei ed il marito Orion, dopo il loro matrimonio, erano venuti in possesso di tutta l’eredità della Casata. Si era aspettato che il patrimonio passasse o a lui o al fratello Alphard, ma la sua speranza era stata disillusa. Walburga adesso possedeva Grimmauld Place n. 12 e tutte le ricchezze di famiglia.
« Con mio figlio il decoro dei Black andrà espandendosi - mormorò rigida la donna, sistemando le pieghe dell’abito mentre i suoi occhi si posavano sulla vasta e tetra piazza, fuori dalla finestra. - Io ho contribuito a portare la Casa all’apice della potenza e della rispettabilità. Con Regulus tutto questo raggiungerà vette illimitate, ambite da ogni membro della famiglia. Deve andare così. »
« Giusto, mia signora » tubò l’elfo domestico, ammirando la magnificente bellezza della padrona a capo chino.
La signora Black si voltò con espressione impenetrabile ad osservare la piccola e devota creatura. Insignificante ai suoi occhi.
« Va’ a chiamare i miei figli, Kreacher. Di’ loro che gli zii sono arrivati per il pranzo e che li attendono in salotto. Avverti anche Orion. Sbrigati. »
« Come desidera, mia padrona – biascicò mellifluo Kreacher, allontanandosi senza darle le spalle. – Come desidera. »
L’ambiguo elfo domestico uscì dalla camera in fretta, correndo in direzione delle scale e lasciando la padrona sola, le cui iridi di ghiaccio contemplavano inespressive la finestra.
Con un profondo sospiro, Walburga ritornò in sé, liberando la mente annebbiata dai foschi pensieri, e si diresse all’ingresso per accogliere gli ospiti, sfoggiando tutta la sua austera bellezza e l’ineccepibile eleganza.

§

Affacciato ad una delle finestre più alte di Casa Black, stava un bambino.
Dalla statura, non dimostrava più di dodici anni. L’espressione del suo marmoreo viso era assorta; i lisci capelli corvini venivano continuamente lambiti dal mite venticello, odoroso d’estate, che li conduceva a sfiorargli le soffici guance. Aveva degli occhi bellissimi, dalle iridi argentee screziate d’azzurro, in quell’istante totalmente rapiti dal volo delle rondini.
Com’erano belli, quegli uccelli. Per lui, raffiguravano la libertà.
Libertà di pensiero, di parola… libertà per poter fare qualunque cosa. Una libertà che accettava senza problemi le difformità, abbracciandole priva di rancore.
Dopotutto, era o no libertà?
Una condizione che a lui non era concessa. Doveva necessariamente attenersi a determinati atteggiamenti e a concetti che non riusciva a fare suoi. Il suo destino era stato segnato sin dalla sua venuta al mondo, fra le braccia di una madre Purosangue. Ma non una Purosangue qualunque: era nato dal ventre di una Black.
Dopo aver ascoltato il verso stridulo di una rondine che scendeva in picchiata fra le pareti esterne di due case, si voltò verso un secondo fanciullo.
Un altro bambino, più minuto e pallido, sedeva nei pressi dell’unico letto della stanza. Era del tutto immerso nei propri giochi, incurante di chi e cosa gli stava attorno. Fra le paffute e candide mani stringeva una lucida locomotiva in miniatura, che a volte posava con delicatezza sulle sottili rotaie nere disposte a cerchio, vicine alla sua piccola figura inginocchiata sul tappeto della camera. Per certi versi del suo aspetto, somigliava tanto al ragazzino che lo osservava dal davanzale della finestra ogivale. Stessi lineamenti regali, stessa forma del naso, stesse labbra carnose e vermiglie, stessa carnagione. Ma non gli stessi occhi.
« Sirius? »
Il bambino seduto per terra alzò le iridi scure, incrociandole con quelle dell’altro, che sussultò a sentir pronunciare il suo nome con così tanta serenità e pacatezza. Ormai si era quasi del tutto abituato ad udirlo articolare con biasimo…
« Dimmi, Regulus. »
« Sai, abbiamo differente colore degli occhi. »
Sirius alzò un sopracciglio scuro; era rimasto perplesso da quella curiosa affermazione.
« E dunque? » domandò con una nota canzonatoria nella voce.
Il piccolo Regulus abbassò il suo sguardo, adesso carico di soggezione ed innocente pudore.
« Be’, a volte mi chiedo il perché… La mamma ha il tuo stesso colore degli occhi. E anche papà…»
« Non è rilevante il colore degli occhi, Regulus » sospirò stancamente Sirius, ritornando a contemplare il cielo spento.

“Se fosse rilevante la sfumatura delle iridi,
sarei ancora l’erede dei Black, fratello, non pensi?
Finalmente qualcosa di mio che richiami la nostra Casata…
I tuoi occhi, però, detengono il colore dell’anima della nostra famiglia,
simili ai vessilli di una nobile e potente nazione,
agitati dall’impetuoso vento.
Neri, crudeli, impenetrabili, come un pozzo senza fondo.
Bisognosi di luce,
ma eccessivamente alteri ed intransigenti
per supplicarne anche solo un raggio.
Black fino in fondo, Regulus.
Tua madre dice che devi andarne fiero. Fallo.”

« Signorini? »
L’attenzione dei due giovani ragazzi fu catturata da un secco richiamo, proveniente da dietro alla porta della loro camera.
« È Kreacher. »
Il sordo colpo contro il robusto legno della porta rimbombò per tutta la pallida stanza, interrompendo l’idillio di pace e silenzio.
« Aprigli – bofonchiò Sirius, spostandosi dalla finestra ed accomodandosi sulle coperte in disordine del letto. – O non la finirà. »
Regulus si alzò dal tappeto, aiutandosi con i palmi delle mani. Dopo aver sistemato il retro dei pantaloni scuri, afferrò il pomello della porta e aprì il battente.
Alla vista dei due fratelli Black si presentò l’esile elfo domestico, dal rosso naso schiacciato simile ad un pomodoro maturo. Gli stretti occhi iniettati di sangue vagarono velocemente per tutta la camera, soffermandosi infine sul letto su cui Sirius era accomodato a gambe accavallate. Non appena incrociò lo sguardo indifferente del ragazzino, subito le sue iridi si abbassarono al pavimento, cariche non solo di forzata riverenza.
« La padrona desidera che i signorini scendano in sala da pranzo per accogliere gli zii » mugugnò Kreacher, inchinandosi al cospetto di Regulus, statico al fianco della porta spalancata.
« Sono già arrivati? » domandò il minore.
« Attendono con la signora, impazienti di salutare il nuovo erede dei Black. »
Detto ciò, Kreacher guardò immediatamente di sottecchi Sirius, i cui lineamenti improvvisamente assunsero un’espressione più dura.
Nulla lo avrebbe più scampato dall’umiliazione che lo attendeva, fremente, insieme ai parenti al piano di sotto. Sua madre voleva fare le cose in grande stile. Nell’impeccabile stile dei Black.
« Scendiamo, allora! » esclamò Regulus, non percependo la cattiva atmosfera creatasi nella stanza.
« Giusto – appoggiò atono Sirius, alzandosi dal giaciglio. – Non vorremmo fare aspettare gli zii. »
Insieme ed in totale silenzio, i due fratelli varcarono l’uscio della camera da letto, immettendosi nel lungo e lugubre corridoio, con Kreacher che li scortava furtivo.
La calma prima della tempesta.

§

« Oh, ecco i miei due nipoti. »
La spaziosa sala da pranzo di Grimmauld Place n. 12 accoglieva in tutta la sua sontuosità la famiglia Black quasi al completo.
Sui comodi divani in nera pelle di drago erano accomodati Walburga e Orion, l’una di fianco all’altro, gli zii Cygnus e Druella e tre delle più invidiate ed incantevoli Purosangue dell’Alta Società. Le tre sorelle Black sedevano insieme in uno dei due agevoli canapè, ognuna rilucente nella propria beltà.
« Salutate – ordinò in tono delicato Walburga, facendo un elegante gesto della mano in direzione dei parenti. – Gli zii non vedevano l’ora di incontrarvi, dopo tutto questo tempo. »
Sirius e Regulus avevano da poco fatto il loro ingresso nell’accurata camera, eleganti nei loro abiti da cerimonia. Gli occhi del maggiore fra i due fratelli saettarono subitamente ad osservare i parenti, ricambiando le loro occhiate, sia benevoli, sia aspre e sia distaccate.
No, non sarebbero stati i soli a prendere parte alla cerimonia della successione dell’eredità.
« Quanto sei cresciuto, Regulus » sorrise melliflua Druella, quando il nipote le poggiò le labbra sul dorso della mano con disinvoltura e privo di imbarazzo.
« Non ci vediamo da molto tempo, zia » replicò con educazione il ragazzino. La zia abbozzò un sorriso per la seconda volta, dedicandosi poi all’altro nipote. Sirius, eretto al fianco del fratello, si appressò e portò la mano tesa di Druella a farla sfiorare dalle sue labbra chiuse, senza lasciare trapelare alcuna emozione.
« Sirius… In quest’ultimo periodo sei sulla bocca di tutta la famiglia, lo sai? Sei diventato famoso. »
Una strana tensione aleggiò per pochi secondi fra i membri della Casata.
Sirius si immobilizzò, chino nella sua opera di baciamano. Walburga s’irrigidì: le labbra e i pugni serrati, alla disperata ricerca della serenità che si era imposta di ostentare dinanzi alla sua famiglia. Il marito le strinse una mano, quasi come a farle coraggio.
Druella sorrise di straforo e con cattiveria, seguita da Cygnus e dalla figlia maggiore, Bellatrix.
La vendetta era così dolce…
Ad interrompere l’opprimente silenzio creatosi fu un secondo cupo tintinnio del campanello, proveniente dal pianterreno.
« Kreacher, va’ ad aprire – ordinò Orion all’elfo domestico, isolatosi in un angolino del salone. – Sarà il resto della famiglia. »
« Oh, verranno tutti i Black, allora? » domandò a occhi stretti Cygnus, bevendo in seguito un sorso dal bicchiere in cristallo che stringeva in una mano.
« Naturale – rispose lentamente Orion, soppesando ogni parola. –È tradizione che tutta la Casata assista alla cerimonia, no? Tutti dovranno vedere mio figlio entrare in possesso di ogni bene dei Black per portare in futuro maggior lustro e gloria alla dinastia. »
Cygnus rise sommessamente, ruotando quasi con noncuranza il bicchiere, mentre tutti i presenti indirizzavano i loro sguardi sulla sua figura.
« Certo, facendoci infine cadere nella vergogna. »
Mancò poco che Orion Black non si alzasse dal proprio posto per lanciargli una fattura. La moglie aveva notato la mano del marito saettare verso una tasca della veste e la trattenne, stringendola nella sua.
Non fu l’unica a notare quel gesto repentino e sprovveduto.
« Vuoi usare la forza, Orion? » sibilò Cygnus, sporgendosi in avanti, fermato però da Druella.
« Smettila, Cygnus. Non essere sconsiderato. »
« Sicuro! – esclamò lui, infervorandosi. - Oramai non serve più a nulla. La Casata dei Black si spezzerà con lui! Druella, questo è un segno. Sirius è finito fra i Grifondoro! »
Regulus, che era rimasto insieme al fratello e alle cugine nel più assoluto silenzio, posò le nere iridi sulla figura di Sirius. Il ragazzino teneva il capo chino, le mani chiuse in pugni e tremava lievemente. A Regulus si strinse il cuore nel vederlo così sconfortato ed umiliato.
« Chi ha detto che l’eredità passerà a Sirius? »
Walburga rimase indifferente agli sguardi colpiti e stupefatti che le furono rivolti.

§

I tintinnii delle posate e dei bicchieri echeggiavano nella sala da pranzo, unendosi al suono delle chiacchiere che tutti gli appartenenti alla grandiosa Casata dei Black si scambiavano, chi con spensieratezza e chi con nervosismo, come nel caso di Orion e Cygnus Black, entrambi seduti ai lati di un Alphard Black alquanto divertito.
« Suvvia, signori – continuava a ribadire, ridendo con leggerezza mentre puliva gli angoli della bocca con un candido tovagliolo in seta. – Questo dovrebbe essere un giorno felice, per noi Black! »
« Smettila, Alphard – contestava puntualmente la sorella Walburga, dopo aver compostamente tagliato e trangugiato il contenuto del suo piatto. – La mancanza di tatto e contegno è sempre stata una delle tue peggiori caratteristiche. »
Intanto, dall’altra parte della tavola perfettamente apparecchiata dagli elfi domestici, Sirius mangiava con malavoglia, strascicando la forchetta lucente sul piatto ancora colmo di cibo.
« Non c’è bisogno di mettere il broncio, caro cugino… »
Sirius sollevò le iridi plumbee dalla sua portata per osservare la bella Narcissa, attenta ad adoperare le proprie posate con il massimo decoro.
« Sarebbe un bene se chiudessi la bocca, Cissy » la zittì la sorella Andromeda, che aveva preso posto di fianco al cugino.
« Perché, Andromeda? – ribatté sorridendo affettata Bellatrix, il viso coperto in parte dal calice in cristallo, contenente del vino rosso. – Cissy sta soltanto dicendo una cosa giusta. » Poi si rivolse completamente a Sirius, che la fissava truce. « Sirius, Sirius… Dovevi immaginarti una simile fine, dopo il tuo Smistamento. Oddio, Grifondoro… Mi chiedo cos’è peggio, l’essere scelti come discepoli di Grifondoro o di Corvonero… Secondo te, Andromeda? »
« Chiudi il becco anche tu, Bella – minacciò sottovoce la menzionata. – Non è stata colpa né di Sirius né mia se siamo stati Smistati in altre Case. Abbiamo virtù che voi Serpi potete solo immaginare ed invidiare. »
« Invidiare? – rise Narcissa, portandosi una mano a coprire le belle labbra vermiglie. – Senti un po’ cosa sono costretta ad ascoltare, Bella… »
Bellatrix si unì alle sommesse e composte risate della sorella minore, scambiando con Cissy delle occhiate complici.
« Andromeda, ciò che ti spinge ad articolare simili scempiaggini è solo il cruccio di non essere una Serpeverde. »
Il tintinnio cristallino di un cucchiaino portato a battere debolmente contro il vetro di un bicchiere destò l’attenzione e il silenzio in tutti i convitati, impedendo ad Andromeda di esprimere il suo parere. Alphard Black si era alzato dalla sua comoda sedia per poter cominciare il suo discorso.
« Signori miei – iniziò, spostando lo sguardo sull’intera tavolata, mentre in una mano stringeva un calice in cristallo. – Nuovamente riuniti allo stesso tavolo, dopo anni e anni. Se non fosse per occasioni importanti, potrei benissimo dimenticarmi di avere una così ampia famiglia. E a proposito di avvenimenti rilevanti… Oggi ci siamo raccolti per poter assistere ancora una volta alla solenne celebrazione del passaggio dell’eredità ad un nuovo, degno membro. Alziamo i calici al nostro futuro, signori. Che la Casata dei Black non si spezzi mai. »
Tutti i commensali sollevarono i loro bicchieri, splendenti alla luce del sole d’Agosto, e bevvero alla salute della loro speranza.
A mai più babbanofili, Mezzosangue, Maghinò. Alla stirpe di casa Black, Toujours pur.
« Adesso, Orion, ultima guida di questa famiglia, alzati e mostra alla tua Casa il nuovo erede dei Black. »
Orion, con il calice ancora nella mano destra, bevve un ultimo sorso di vino rosso; percepiva gli sguardi di tutti i famigliari puntati su di sé come un marchio a fuoco: brucianti, incandescenti. Uno strano tepore gli invase il corpo, mentre il liquido amaranto gli scendeva giù per la gola. Voleva prendere del tempo, ma richiederne dell’altro appariva come uno strazio per la sua anima.
Scegliere, doveva solo scegliere. Per la famiglia, per la moglie, per sé. Scegliere fra i suoi due figli quale fosse il più idoneo per prendere le redini della Casata.
Di norma, il patrimonio sarebbe dovuto andare nelle mani del maggiore, nelle mani di Sirius Orion Black. Ma il suo primogenito aveva arrecato una delle peggiori umiliazioni ai Black. Non poteva dare tutto ad un Grifondoro.
Sirius non era più Sirius Black, figlio di Orion Black… Era solo uno stolto Grifondoro babbanofilo, agli occhi della famiglia.
Scegliere fra due figli, sangue del suo sangue. Anteporre l’onore all’affetto paterno o viceversa?
« Orion? »
Orion rinsavì, scambiando un’occhiata fugace con suo cognato. Il cuore gli martellava in petto.
Finalmente si sollevò dalla sedia e si portò lentamente, quasi trascinando i piedi, a capotavola, cosicché tutti lo potessero osservare. Alzò la mano sinistra al livello del viso, esibendo il simbolo del Casato dei Black. Un anello d’oro avvolgeva -come le spira di un serpente- il dito medio, ostentando tutto il suo splendore. Al centro del prezioso, era incastonata una pietra nera con sopra ritratta una B in argento. Orion mostrò in tal modo l’anello alla famiglia; infine guardò la moglie.
Walburga ricambiò lo sguardo, autorevole in tutta la sua rigida beltà. Non proferì nulla, non labializzò nulla. Ogni cosa era nelle mani di Orion. A lui l’ardua sentenza.
« Figlio mio, alzati. »
Puntò le iridi argentee su entrambi i suoi figli, seduti in fondo alla tavola, ma non riuscì a proferire il nome del prescelto. Nessuno dei due fratelli Black si levò su né domandò alcunché, così gli occhi dei presenti saettarono in direzione del maggiore.
« Sirius, cos’aspetti? Vai, su! » esclamò Alphard concitato, facendo segno al ragazzino di sbrigarsi.
« No, non Sirius. » La voce di Orion tremava debolmente, anche se lui cercava di tenerla salda e sicura. « Regulus Arcturus Black, fatti avanti. »

   
 
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