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Autore: nals    28/03/2013    2 recensioni
Glub ha disimparato a nascondersi tra le fronde fitte della Cabomba Caroliniana; ha perso anche l’appetito. Alla brà
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Glub
 
 
 

Alla brà,
che ha ancora la pazienza di aspettarmi.
E alle candeline bruciate da un pezzo.
 

 
 
 
 
 
 
 
 
Glub ha disimparato a nascondersi tra le fronde fitte della Cabomba Caroliniana; ha perso anche l’appetito. Forse.
Fuori è buio.
La mezza noce di cocco spolpata rotola sulle piastrelle umide del balconcino in cucina. Asseconda il vento, schiantandosi contro la ringhiera arruginita; ci fumavamo dentro. Prima.
Marzo sta scadendo assieme ai giorni scuri segnati sul calendario e non si è ancora capito se preferisca il sole alle nuvole, o le nuvole al sole. Un po’ sorride, un po’ piove.
G. sussurra nelle cuffie tutto il suo malessere, che è il mio malessere. Un giorno gliel’ho scritto per mail.
“Mi rubi le parole. Però ti amo. Ladro.”
Non mi ha risposto, ma non sono mai riuscita a mandarlo a fanculo. È G.
Sono salita su una di quelle navette urbane, oggi. Quelle arancioni e borbottanti. Non c’è bisogno di dire “buongiorno” lì sopra. Nessuno ti risponde.
La ragazza seduta di fronte a me aveva il naso all’insù e due occhi scuri – tutta matita e mascara; un po’ di qualcos’altro, ma forse son io che non vedo bene o vedo troppo.
L’asfalto era macchiato dei nostri riflessi; il mio però non lo distinguevo.
Ho ricordato la tizia della vita passata osservando i suoi capelli scuri. Quella che continuava ad abbracciarmi e sorridermi – come se fossi pazza – e a ripetere e ripetere e ripetere quanto fosse bello il mio sorriso.
 
Chissà quanto fumava.
Chissà.
Quanto fumava.
 
Io volevo le sue labbra. Lui pure. Compreso il resto. E forse se l’è preso.
Lui prende, prende e... basta.
 
 
 
Odio i gatti. Me ne sono trovata uno in camera due notti fa, ma prima era un cane nero e grosso. Aveva gli occhi belli d’un lupo. “Sei tu,” mi ha detto.  “Sei tu.”
Odio i gatti e vorrei che qualcuno me lo dicesse davvero, “sei tu.”
Glub ha smesso di boccheggiare. Sarà stanco.
La mezza noce di cocco spolpata rotola sulle piastrelle umide del balconcino in cucina.
Ci fumavamo dentro. Prima.
Io fumavo perché fumavi tu. L’hai capito, no? L’hai capito che fumavo perché fumavi tu?
Come Marco.*
No. Tu non capisci mai nulla, sei me.
È per questo che non andiamo bene. Siamo troppo simili e respiriamo la stessa aria e quella non basta mai. Non sappiamo ballare, noi. Ci pestiamo i piedi a vicenda. Gli alluci del mio cuore non li sento più, e tu?
Tu.
 
 
Fingo d’esser forte quanto un’araucaria, e che la mia vita sia simmetrica e definita quanto i suoi rami pieni e spessi. Poi ricordo la mia scoliosi e la sensibilità della mia pelle o dei miei sogni.
Parlo troppo e in fretta, da un po’, voglio tenere i pensieri fuori. Ma poi, poi loro ritornano. Pulsano nelle tempie all’improvviso, vengono fuori come i calzini aggrovigliati tra le lenzuola a righe bianche e blu, in fondo al letto.
Sono stanca, sai?
E vorrei abbracciarti. Prima. E vorrei odiarti. Dopo.
Com’è che sei finito nella mia vita, eh?
Sono stanca di trovarli ovunque, i tuoi pezzi colorati.
Glub nuota a pancia in su.
E io vorrei le sue labbra. Tu pure.
E poi vorrei che qualcuno me lo dicesse sul serio: “Sei tu, Cècile.”
“Sei tu.”
 
 
 
Chissà quanto fumava.
Chissà.
Quanto fumava
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*Lui è il Marco di Teffa. Io, il Marco di Teffa,  non l’ho mai scordato.
 
 
 
Writ, tesoro, questa è una roba triste e assurda. Avrei voluto dedicarti la Jily che non son riuscita a concludere, ma non credo di saperne scrivere più. Perdonami. <3
E poi grazie. A tutti voi. Anche se non ci avete capito un tubo.
 
 
nals
   
 
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