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Autore: Nausicaa Di Stelle    15/10/2007    4 recensioni
Una storia ambientata in un mondo immaginario in stile settecentesco, dove amore, morte, intrighi e segreti si intrecciano alle vite dei protagonisti, ognuno alla ricerca del proprio destino.
Avevo inserito questa storia in un'altra categoria, ma credo sia più gisto che stia in questa perché, anche se la vicenda e gli altri personaggi non hanno nulla a che fare con l'universo di Capitan Harlock (essendo completamente originali, eccetto Raflesia), il protagonista è il Capitano, pur con qualche piccolo cambiamento. Harlock è infatti un ufficiale dell'esercito regio, di ritorno dopo una sanguinosa guerra.
Genere: Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Harlock, Raflesia
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ritorno a casa
Capitolo I

Ritorno a casa


Era un mattino di pallido autunno e il vento soffiava ancor tiepido fra le chiome brunite dei tigli che fiancheggiavano il viale. A tratti, cadevano volteggiando deboli foglie, corrose dalle albe di nebbia che da qualche tempo si succedevano le une alle altre. Con solerte calma, una carrozza scura percorreva la strada deserta. Sulle fiancate recava l’emblema di un nobile casato: uno scudo attraversato diagonalmente da una banda, nella cui metà sinistra campeggiavano un giglio e due lune a falce, mentre in quella di destra si snodava un ramo d’edera. Il tutto sormontato da una corona di conte.
Nella penombra dell'abitacolo, l’unico passeggero contemplava silenzioso il paesaggio dal finestrino, trattenendo nel cuore una sentimento misto di gioia e impazienza. Solo quando il viale voltò ad una curva, dirigendosi d’un tratto verso est, egli si sporse fuori a guardare, cercando di scorgere ciò che l'attendeva alla fine della strada: un palazzo bianco e snello, circondato da due alte torri e coperto da un tetto blu cobalto si ergeva al di là di un imponente cancello in ferro battuto. Oltre il cancello, si estendeva vasto parco, che si prolungava per ettari dietro l’edificio, prima di giungere al bosco, ai pascoli e ai campi di proprietà della famiglia.
- A casa, finalmente… - mormorò tra sé, sorridendo appena.
Il volto lievemente abbronzato risplendette tutto di quel tenue sorriso e negli occhi castani si diffuse una vivida luce.
Dopo pochi minuti la carrozza oltrepassò il cancello, già spalancato, e s’inoltrò lungo il viale lievemente in salita che conduceva fino al palazzo; non era ancora perfettamente immobile di fronte al colonnato che s’apriva sulla facciata, quando la portiera venne aperta dall’interno, e il giovane passeggero scese con un balzo.
- Ma… colonnello. – protestò il cocchiere, smontando in quel momento da cassetta – Perché non avete atteso: venivo giusto ad aprirvi in quest’istante.
- Non fa niente, Cedric: ho troppa voglia di rimettere piede a casa! – rispose ridendo il giovane ufficiale, dando una pacca sulla spalla al suo servitore, che ammutolì e restò a fissarlo con occhi sbarrati.
Nessuno della casa, né servitù né signori, gli si fece incontro, perché nessuno sapeva del ritorno ed egli avanzò, noncurante di tutto, verso la porta d’entrata. Afferrò il batacchio cesellato e spinse l’imposta verso l’interno. Una tenue luce si diffuse nell’atrio, gettandosi fino ai piedi della scalinata marmorea che conduceva ai piani superiori. Il colonnello si guardò attorno, con aria di soddisfazione, ed abbracciò con lo sguardo tutto ciò che lo circondava. La sua figura si stagliava scura contro il vano della porta, resa ancor più sottile dal diffuso bagliore che l’avvolgeva. Non indossava il mantello né altro indumento sopra la divisa, che mostrava così apertamente tutti i segni delle fatiche a cui era stata sottoposta, assieme al suo proprietario: le maniche erano sdrucite, la stoffa logorata sui gomiti e sui polsi, i risvolti d’oro sbiaditi e consunti. Le spalline erano sfilacciate e sul petto, in più punti, portava i segni della polvere dei campi di battaglia e dei cannoni. Anche la fascia scarlatta che gli cingeva i fianchi era sciupata e stinta ed i pantaloni non avevano più il loro bianco luminoso ma erano d’un grigio smorto, mentre gli stivali, di fattura pregiata e di ottima pelle, erano ormai sdruciti dall’uso prolungato.
Mentre stava per muovere i primi passi, voltando a sinistra lungo il corridoio, vide qualcuno scendere rapidamente le scale; si fermò di scatto, non riconoscendo quella figura: si trattava d’un giovane vestito da cavallerizzo, che gli lanciò un’occhiata distratta, soppesando con disapprovazione il suo abbigliamento alquanto trasandato. Aveva capelli lunghi, d’un castano chiaro e brillante, mentre gli occhi, azzurri e freddi come il ghiaccio ma molto espressivi spiccavano in un volto lievemente abbronzato, dandogli luce e vitalità. Il naso era sottile e ben fatto e le sopracciglia non folte e leggermente arcuate.
Per alcuni istanti, i due si fissarono in volto, senza profferire parola. Poi il ragazzo vestito da cavallerizzo riprese, con passo rapido, a discendere le scale, esclamando:
- La contessa di Lorckshire non è in casa in questo momento, ritornate più tardi se avete bisogno di parlare con lei.
Si fermò di fronte al colonnello come se attendesse una risposta. Quest’ultimo era rimasto profondamente sorpreso da tali parole e si stava domandando chi mai fosse quel giovane che si prendeva tanta libertà a casa sua. Ma dal suo volto impassibile non trasparve nessuna emozione. Si limitò a rispondere, con voce incolore:
- Quando pensate rientrerà la contessa?
- Nel tardo pomeriggio, verso le cinque, credo. – rispose distrattamente. Si stava già allontanando quando aggiunse:
– Ma… non è il caso che la aspettiate fino ad allora: potrebbe far tardi.
Il colonnello non replicò, rimanendo immobile al suo posto in fondo alle scale. Il giovane gli lanciò un’ultima occhiata, prima di allontanarsi esclamando:
- Fate come volete.
Si diresse verso l’entrata principale e la varcò con passo rapido, come se avesse fretta d’andare a fare la sua cavalcata.
Rimasto solo nell’atrio, l’ufficiale continuò per un po’ a fissare quella porta, immerso nei suoi pensieri.
- Che novità è questa? Non sapevo ci fosse un ospite a casa mia. E a giudicare da come si comporta, dev’essere anche da un po’ che abita qui. Se fosse un nostro parente, dovrebbe almeno sapere chi sono… e forse anch’io lo avrei riconosciuto.
Si mosse e, contrariamente a quello che era stato il suo proponimento iniziale, cominciò a salire i primi gradini della scalinata. Sul suo volto c’era ancora un’espressione particolarmente assorta.
- Signor conte! – lo chiamò una voce alle sue spalle – Oh, signore, siete tornato! Come sono contenta di rivedervi! Cedric è venuto ad avvertirci… oh, ma se ci aveste avvisati per tempo, avreste trovato qualcuno ad accogliervi sulla porta! E anche la signora contessa sarebbe stata certamente a casa.
Il colonnello si volse: era Mabel, la capo cameriera, una donna ormai sulla cinquantina, rubiconda e gioviale ma anche attenta amministratrice delle faccende domestiche di casa Lorckshire. Mentre parlava, aveva salito un paio di gradini, restando però ad una certa distanza dal suo padrone che ora invece ritornava sui suoi passi per andare a salutarla.
- Mabel... Come state? Vi trovo in forma. – chiese con un sorriso.
- Oh, signor Harlock, preoccuparvi per me! Ma certo, io sto bene. E voi, piuttosto? Siete così dimagrito! E avete l’aria stanca2.
- Ho fatto un viaggio molto lungo…
- Dirò subito a John di portare di sopra il vostro bagaglio e vi manderò su qualcuno perché metta tutto in ordine. Ah, se l’avessi saputo prima avrei fatto prender aria alla vostra stanza: ci sarà un odore di chiuso, lì dentro! – protestò infine la vecchia cameriera, lamentandosi con se stessa per non averci pensato prima – L’arieggio sempre almeno una volta alla settimana, un paio d’ore, ma non è sufficiente, ci sarà…
- Mabel, Mabel… - Harlock la interruppe con dolcezza – Non angustiatevi: sapevo fin dal principio che tornando così all’improvviso non avrei trovato tutto a posto ed in ordine. Ma ho scelto così e non mi lamento. E poi l’odore della mia camera, chiusa da tanto tempo, non è certo nulla in confronto a ciò che ho sentito e visto durante la guerra, non credete?
- Il mio giovane signore! Quante dovete averne passate! – un moto di tenerezza passò nel volto della donna, che alzò la mano destra quasi volesse accarezzare il volto del conte. Ma fu solo un movimento appena accennato, che dominò con prontezza e senza sforzo, abituata com’era da gran tempo a controllarsi in virtù della carica importante che rivestiva tra la servitù.
Harlock sorrise di quel gesto che aveva colto e si congedò dicendo:
- Ho il vostro permesso per andare nelle mie stanze, signora Mabel?
- Ma certo, signor conte! – rispose questa, stupita di una richiesta tanto formale. Ma si accorse subito che era benevolmente derisa, poiché il giovane colonnello la trattava scherzosamente come uno dei suoi superiori.
Harlock rise lievemente, di quella risata calda e sonora che da tanto non riecheggiava tra le mura del palazzo. Disse qualcosa sottovoce, che la cameriera non intese, e s’avviò verso il piano superiore, quasi di corsa: nel cuore era sorto prepotente un improvviso desiderio di rivedere quei luoghi dove aveva vissuto fino a quattro anni fa, come se così facendo potesse riappropriarsi, tutto in un istante, del se stesso quale era prima della partenza, dei suoi lievi vent’un anni.
Arrivato davanti alla sua stanza, aprì la porta spalancando entrambe le imposte, come per cogliervi, di sorpresa qualcosa che altrimenti temeva potesse nascondersi furtivo, per non farsi trovare mai più. Nella stanza, però, c’era solo buio e silenzio. Avanzò allora piano, per non inciampare nell’arredo diventatogli sconosciuto: procedette a tastoni, riconoscendo via via i mobili che gli appartenevano. Arrivò infine allo scrittoio in noce con la sua poltrona, dal morbido schienale di velluto, poi sfiorò le tende del letto a baldacchino, la coperta di cotone e il morbido materasso di piume.
- Qui dovrebbe esserci il comò e poi, a destra… la finestra – disse, allungando una mano e fatti alcuni passi, toccò finalmente la maniglia. La girò su se stessa e aprì le imposte. Sempre a tastoni, anche se ormai i suoi occhi s’erano abituati a quell’oscurità, aprì i balconi e fece piovere nella stanza una tiepida luce argentea.
Si voltò allora a guardare, sorridendo tra sé. Ma il sorriso gli morì lentamente sulle labbra, assalito da un improvviso e inspiegabile presagio.
- Perché ho l’impressione che presto non sarà più mia? – si chiese, mentre qualcosa gli stringeva il petto.
In quel momento udì bussare timidamente sullo stipite della porta, poiché quest’ultima era rimasta aperta. Era John, vecchio domestico della famiglia che lavorava al loro servizio da quando il padrone di casa era il nonno di Lord Harlock. Aveva visto crescere e diventare uomo il giovane colonnello e nutriva per lui un profondo affetto e un altrettanto incondizionata dedizione.
- Ho portato i vostri bagagli, signore… - balbettò, senza trovare il coraggio di oltrepassare la soglia.
- Mio buon vecchio John. – il colonnello si avvicinò al servitore, posandogli infine una mano sulla spalla – Ma sai che non sei cambiato per nulla?
- Siete troppo buono, signore. Io li sento così bene questi anni feroci che mi strappano la pelle e me l’avvizziscono come la buccia di una mela. – replicò, abbassando la testa: non ardiva guardare negli occhi il suo padrone, ora che gli era tanto vicino - E voi, signore, come state? Tutto questo tempo trascorso a combattere lontano… siamo stati tanto in pena per voi. – riprese, levando un poco il capo.
- Io sto bene. Ho solo bisogno di riposare e credo che resterò a casa per un bel po’ di tempo: niente feste, niente teatro, niente soggiorni a Corte.
- Io spero che vi sarà ancora piacevole restare a casa vostra, adesso…
Harlock aggrottò le sopracciglia, fissando l’interlocutore con i suoi occhi penetranti:
- Cosa intendi dire, John?
- Sono successe molte cose da quando siete via… cose di cui non sarete affatto contento… - tacque, abbassando di nuovo lo sguardo come per cercare il coraggio di proseguire una spiegazione tanto spinosa.
Harlock attese che l’uomo ritrovasse il filo del suo discorso e riprendesse a parlare:
- Vedete, signor Harlock, da qualche tempo c’è un giovane che abita in questa casa e che si comporta come se ne fosse il padrone. Vostra madre… - s’interruppe di nuovo, notando che il volto del colonnello si rabbuiava.
- Continua. – lo incitò questi.
- Ecco, signore, vostra madre l’ha preso in casa con sé e gli dà il permesso di fare ciò che vuole: è come se fosse uno di famiglia, adesso.
Harlock restava in silenzio e John capì che doveva essere lui ad avere la costanza di finire la sua narrazione.
- La signora contessa l’ha conosciuto quasi un anno fa e dopo poco tempo che si frequentavano l’ha invitato a trasferirsi qui da lei e a restare qui… io credo per sempre. E’ un amico molto stretto della signora.
- Un amico molto stretto… - pensò Harlock, intuendo cosa quelle parole tanto vaghe lasciassero intendere.
- Per tutto questo tempo, in cui siete stato lontano, signore, è stato lui il signor conte… Ma adesso che siete tornato, farete mettere giudizio a quel giovinastro che crede di essere chissà chi!
- Hai molta fretta che venga fatta giustizia, a quanto pare.
- Signor Harlock, lui non può permettersi certe libertà: io non ho mai dimenticato, mai, in questi quattro anni, che siete voi il padrone di casa, adesso che vostro padre non c’è più. Per me, signore, non c’è nessun altro padrone!
- Mio buon vecchio John… - pensò Harlock – Capisco bene ora perché sei tanto indignato. Non è il giovane ospite in sé che ti disturba, né i suoi ordini o le sue ipotetiche pretese. E’ la tua stessa incondizionata lealtà alla mia famiglia che t’accende tanto d’ira. Ma che cosa faccia effettivamente a casa mia questo ragazzo e perché vi si sia trasferito non è questione che devo discutere con te.
- Se le parlerete voi, la signora contessa capirà… - riprese il servo.
- Basta così. – l’ordine fu pacato ma perentorio e John ammutolì in un istante – Adesso vai: voglio restare un po’ da solo e riposare. Di’ soltanto a Mabel che desidero fare un bagno e che mi faccia preparare tutto l’occorrente.
- Sì signore. – John piegò in avanti il busto in un inchino un po’ maldestro, sistemò nella stanza i pochi bagagli che il colonnello aveva portato con sé e poi si allontanò, in silenzio.
Per tutto il resto della giornata, Harlock restò nelle sue stanze, a riposare e riflettere. Soltanto nel tardo pomeriggio uscì a passeggiare nella Galleria delle Armi, che collegava gli appartamenti della famiglia con quelli destinati agli ospiti. Alle pareti, oltre che scudi, spade antiche e moderne, sciabole e lance, v’erano appesi numerosi quadri. Alcuni ritraevano antenati e predecessori, illustri o quasi sconosciuti. Certuni, invece, erano dipinti da una mano giovane ed abile e si presentavano subito, ad una prima occhiata, profondamente diversi dagli altri in quanto a stile e tecnica. Harlock si soffermò soprattutto su questi ultimi, indugiando ad esaminarne i pregi e i difetti d’esecuzione e di fattura. Sembrava avere un’espressione molto insoddisfatta e più volte lo prese la tentazione di staccarne uno dalla parete per non riappendervelo mai più.
Soltanto su due di essi il suo sguardo si fermò con piacere e rimase a lungo a contemplarli. Erano due dipinti, posti ai due lati del grande camino al centro della sala e rappresentavano due sirene: una era seduta sulla riva del mare, i lunghi capelli corvini sciolti sul petto morbido e dalla pelle luminosa, e contemplava alcuni oggetti rinvenuti sulla spiaggia, resti di un recente naufragio. L’altra s’era invece issata su di uno scoglio e stava cantando con gli occhi alle stelle, ma il suo corpo, tutto in controluce perché illuminato alle spalle dai raggi della luna, era poco visibile. Avevano entrambe pinne lunghe e flessuose, dai riflessi argentati che ora, sotto l’ultima luce del sole che andava tramontando, brillavano intensamente, quasi fossero vere.
Mentre si trovava nella galleria, un folto rumore di passi e il cigolare della porta d’entrata giunse fino a lui, attraverso la volta del soffitto e lo scalone che conduceva al piano inferiore e che distava da lì solo pochi metri. Fra tutte le altre, udì una voce femminile, sonora e squillante, che gli era famigliare. Allora si mosse, dirigendosi verso le scale, in cima alle quali si fermò, attendendo. Una donna bionda, bella e ancor giovane, saliva verso di lui, sollevando con delicatezza un lembo della gonna. Non l’aveva ancora visto, poiché teneva gli occhi abbassati verso i gradini
- Bentornata. – la salutò Harlock, scendendo un paio di scalini.
- Harlock! – esclamò sollevando il volto, che s’illuminò di gioia – Oh Harlock, sei tornato! – affrettò il passo e raggiunto il giovane colonnello lo abbracciò con trasporto.
- Da quanto tempo desideravo rivederti! – riprese la donna, scostandosi da lui e guardandolo in viso – Mi sembri più alto, chissà perché.
Harlock sorrise.
- Quattro lunghi anni… - mormorò lei, sfiorandogli il viso con la punta delle dita - Mi sembrano secoli, tanto sono stati lenti a trascorrere. Ma per una madre costretta lontana dal figlio anche un giorno diventa un’eternità.
- Siete bella e fresca come il giorno che vi ho lasciata. – replicò Harlock, fissando lo sguardo con dolcezza nelle pupille cerule della madre.
Rimasero a guardarsi l’un l’altra ancora per un poco, immobili sui gradini, lei con il volto alzato verso quello del figlio, immersi in un colloquio silenzioso. Poi la contessa esclamò:
- Ah, vieni, andiamo nella Sala delle Ninfe: sarai stanco e anch’io ho proprio bisogno di riposarmi, dopo una giornata passata fuori di casa.
- Da chi siete stata, oggi? – chiese il colonnello, incamminandosi sottobraccio con sua madre.
- La contessa de Lussac mi ha invitata ad un piccolo party pomeridiano, assieme ad altre dame.
- Vi siete divertita?
- Per niente: è stato terribilmente noioso! – rispose la contessa Eva ridendo.
Entrarono in un vasto salotto, luminoso e accogliente, arredato con poltrone e divanetti dal tessuto chiaro e riscaldato da un grande camino in marmo, sopra il quale stava appeso un alto specchio dalla cornice dorata. Alcuni busti di figure mitologiche femminili ornavano gli angoli della stanza, mentre il soffitto era mirabilmente affrescato con scene raffiguranti giochi di ninfe e amori d’antichi dèi.
Harlock si sedette su di un divano, di fronte a sua madre, ed accavallò le gambe, poggiando un braccio sullo schienale. Era vestito in modo molto informale, poiché indossava solo una camicia di seta bianca, con il primo bottone lasciato slacciato, ed un paio di pantaloni neri, senza fascia in vita.
Sua madre lo guardò, disapprovando tanta trascuratezza, ma non disse nulla, dando la colpa di tutto al lungo periodo trascorso in guerra e all’inevitabile rozzezza di quell’ambiente.
- Non hai nulla da raccontarmi, dopo tutto questo tempo che non ci vediamo? – esordì lei d’un tratto, sporgendosi verso Harlock.
- Non mi sembra il caso di farvi la cronaca delle battaglie e delle varie campagne militari. – rispose questi.
- Ci sarà pur qualcos’altro di cui mi puoi parlare senza scendere in racconti truci o spaventosi, non credi? – si lamentò la contessa, ritirandosi.
- Adesso non mi sovvengono momenti migliori di cui valga la pena raccontarvi.
- Sono certa che se tuo padre fosse ancora vivo avreste molte cose da dirvi.
- Forse sarebbe stato accanto a me… o se non altro, avrebbe affrontato la guerra su di un altro campo di battaglia, su di un altro fronte. – ipotizzò Harlock, immergendosi per un solo istante in quest’impossibile eventualità.
- E io sarei stata qui ogni giorno a tremare d’angoscia per entrambi. Mio Dio, no… Mi è bastato avere te a combattere. – disse sua madre, scuotendo la testa come per scacciare un tale pensiero.
- E voi, dovreste avere molte cose da narrarmi, vista tutta la vita mondana che conducete. So che, nonostante fossero tempi duri, le feste e i divertimenti a corte non sono certo diminuiti.
- Sì, invece: dello splendore e della ricchezza di quattro anni fa queste ultime feste ne avevano conservato solo pallide tracce. – protestò, fingendo d’indispettirsi. Ma poi riprese, sorridendo felice - Ma adesso che la guerra è finita e che molti giovani valorosi ritornano finalmente alle loro case potremo riprendere a divertirci con il cuore leggero e potremo anche festeggiare tutti i vostri successi bellici!
- Siamo stati molto vicini alla disfatta, invece… - mormorò Harlock ed il suo volto si fece serio. – Abbiamo resistito fino all’ultimo sul fronte nord nel quale ero impegnato e le ultime battaglie sono state cruente e feroci… ho perso molti uomini, in quei difficili giorni.
- Ma tu sei ritornato sano e salvo. – lo interruppe sua madre, allungando una mano verso di lui e posandogliela sulle ginocchia.
Harlock non disse nulla e non la guardò in viso, continuando a fissare nel vuoto davanti a sé. Eva capì di non poter penetrare in quei pensieri e di non poter nemmeno pretendere che suo figlio le parlasse di ciò che ora riempiva la sua mente: era di fronte ad un uomo che aveva attraversato l’ombra oscura della guerra e che aveva calpestato il sangue di nemici e compagni. Nessuna parola umana può narrare tanto orrore.
- Però, in mia assenza, devono essere avvenuti molti cambiamenti… - esordì ad un tratto il colonnello, fissando gli occhi in quelli della madre. – Anche in questa casa, probabilmente.
- Oh, no: qui cambiamenti sostanziali non ce ne sono stati. Avremo tutt’al più spostato qualche mobile o acquistato qualche dipinto. Questa casa, lo sai, è uguale da generazioni. – rispose tranquillamente lei, ridendo.
Harlock rimase in silenzio, ma non smise di guardarla in volto con i suoi occhi penetranti, che sembravano possedere il dono di sondare gli abissi più oscuri dell’animo umano. Come se avesse compreso che con quello sguardo suo figlio la invitava a parlare, la contessa Eva riprese la parola e disse:
- C’è piuttosto un’altra cosa di cui vorrei parlarti: una cosa molto più importante. – fece una breve pausa ed abbassò gli occhi in grembo, per rialzarli poco dopo. – Negli ultimi mesi ho conosciuto una persona, un giovane, che è divenuto un mio carissimo amico… mi è stato molto vicino quando tu non eri a casa e mi ha aiutata a sopportare l’angoscia della lontananza e della guerra. Per ringraziarlo… ed anche per averlo sempre accanto, l’ho invitato a vivere qui, per qualche tempo. Adesso so che non è in casa, ma dovrebbe ritornare tra poco, così potrò finalmente presentartelo: sono certa che ti piacerà! E’ intelligente, abile cavallerizzo e ottimo conversatore. – concluse con un sorriso che esprimeva gioia ed orgoglio insieme.
- L’ho già incontrato. – disse freddamente Harlock. Il viso di Eva cambiò subito espressione, mostrando evidenti segni di preoccupazione.
- Quando l’hai incontrato? So che è fuori da questa mattina… - chiese.
- Infatti: stava proprio uscendo, quando ci siamo incrociati. Abbiamo scambiato solo qualche parola.
- Davvero? Spero ti abbia fatto una buona impressione. – Eva sorrise, ma ciò nonostante non riuscì a celare la sua apprensione.
- Per la verità, non molto. – confessò tranquillamente il colonnello. – Ma probabilmente la colpa non è nemmeno sua: è stata la sorpresa di trovare in casa mia, dopo lunghi anni di assenza, un estraneo che non mi conosce e che, in tutta evidenza, si comporta come se ne fosse il padrone.
- Gli ho dato io il permesso di fare come se fosse a casa sua. – lo difese subito la contessa, portandosi una mano al petto.
- Non lo metto in dubbio… e anzi, vorrei ben vedere il contrario! Ciò non toglie che, forse, avreste dovuto informarmi prima della sua presenza, non credete?
- Ma quando avrei potuto farlo? Per diversi mesi la nostra corrispondenza è stata interrotta, a causa della violenza degli ultimi scontri. E poi… e poi comunque preferivo parlartene di persona: è una cosa molto importante per me e non mi sembrava il caso di dartene una spiegazione sommaria per via epistolare.
- Così vi è sembrato più adatto non dirmi niente fino alla fine e farmi una sorpresa? – la rimbeccò suo figlio, nella cui voce vibrava una nota d’asprezza.
- Sei stato tu a rientrare all’improvviso, senza dare il benché minimo avvertimento, né a tua madre, né alla servitù, perché ti ricevessero come si doveva!
Harlock aggrottò le sopracciglia, infastidito da quelle parole.
- Sta bene. – disse. – Accetto l’accusa. Quantunque non creda necessario fare tante cerimonie solo per ritornare a casa propria.
- Cerimonie? Ti chiedevo solo di avvertire per tempo del tuo ritorno, così che ti si potesse accogliere. – replicò Eva, stizzita.
- Ciò non toglie che l’avrei comunque trovato a casa mia, senza averlo mai neppure sentito nominare, senza che mi diceste nemmeno: “Ho conosciuto un amico che ti vorrei presentare quando torni”.
- Ma infine, qual è il problema? – sbottò la contessa, fissando gelidamente in volto suo figlio.
- Il problema, madre, è che avete condotto a casa un giovane, verso il quale provate un interesse ben superiore all’amicizia e avete aspettato che io tornassi per mettermene al corrente. – la voce di Harlock era fredda, ma vi traspariva ugualmente con sufficiente evidenza il suo disappunto.
- Chi ti ha detto queste cose? Chi si è permesso di parlarti del tipo di rapporto che dovrebbe esserci tra me ed Anthony? – la contessa di Lorckshire serrò i pugni in grembo e la sua voce si alterò.
- Nessuno, l’ho capito dal modo in cui si è comportato lui questa mattina e da come me ne avete parlato poco fa. – mentì il colonnello, volendo evitare che il nome di John entrasse nella vicenda.
- E t’infastidisce così tanto che io sia felice, che abbia un amico?
- Non è un amico, lo sapete meglio di me. E comunque… - riprese, senza lasciare ad Eva il tempo di replicare – Comunque non è questo che mi dà fastidio, anzi: mi fa piacere che ci sia stato qualcosa, qualcuno, che vi ha distratta dal pensiero della guerra, che vi ha impedito di preoccuparvi di continuo per me. Quello che non accetto è il tipo di legame che avete con questa persona e anche il modo in cui ne sono venuto a conoscenza.
- Ma è proprio questo tipo di legame che mi rende felice: è il suo amore, dopo tanta solitudine, dopo tanti anni trascorsi dalla morte di tuo padre! – si difese la contessa, portando entrambe le mani al petto in un gesto accorato.
Harlock si levò in piedi ed andò verso la finestra, fermandosi poi a guardare fuori dai vetri: il giardino s’andava sempre più dipingendo di toni ocra e scarlatti e un tappeto di foglie ricopriva il prato e le aiuole, che si preparavano ormai a dormire il lungo sonno invernale.
- E’ un giovane gentile, intelligente e premuroso. – la voce di Eva riempiva ancora la stanza. – Se tu non avessi dei pregiudizi nei suoi confronti, sono certa che ti piacerebbe e che potreste diventare ottimi amici. E quel che più conta, mi vuole bene. E gliene voglio anch’io! Non hai il diritto d’impedirmi di amarlo!
- Amarlo? – replicò Harlock, voltandosi di nuovo e sforzandosi di dominare l’impeto con cui stava per pronunciare le sue parole. – Madre, quel giovane avrà sì e no la mia età! Come potete dire di amare qualcuno che potrebbe essere vostro figlio?
- Ma tutto questo non ha alcuna importanza! L’amore, Harlock, non si misura facendo un computo anagrafico. Allora che dovresti dire di tutte le fanciulle che vanno in spose a uomini molto più maturi di loro? Perché non ti scandalizzi anche di questo?
- Lo sapete benissimo che non approvo certe unioni. – rispose il colonnello.
- Non le approvi perché sai benissimo che questi matrimoni sono celebrati su ben altra base che non l’amore. Ma io ed Anthony ci amiamo davvero, siamo entrambi abbastanza maturi per gestire i nostri sentimenti e la nostra vita! E di questo mio legame non voglio rendere conto a nessuno.
- Rendere conto? – esclamò Harlock, avvicinandosi – Io non vi chiedo di rendermene conto, so benissimo che non potrei e che comunque non servirebbe a nulla: conosco la vostra cocciutaggine.
Il bel volto di Eva si oscurò e i suoi occhi brillarono, come il cielo lavato dalla pioggia.
- Stai denigrando i miei sentimenti… - disse in un soffio.
Harlock la guardò e tacque. Comprese in un istante che questa penosa discussione era perfettamente inutile e che alla fine del loro colloquio, comunque, nulla sarebbe cambiato. Gli restava solo, nel petto, una spina dolorosa che sembrava trafiggerlo da parte a parte e anche il ritmo del suo respiro era mutato.
- Dannazione… - pensò, portandosi fugacemente la mano al centro del petto – Non mi era mai accaduto di sentire queste fitte per un banale diverbio.
- Questa sera a cena lo vedrai. – riprese Eva, palesemente offesa – Così potrai conoscerlo e fartene un’idea più obiettiva: almeno dopo parlerai con cognizione di causa.
Si alzò, scostandosi dal divanetto sul quale era seduta.
- Adesso scusami, vado a cambiarmi: ci vediamo più tardi. – uscì dalla stanza senza aggiungere altro. Harlock udì ancora il frusciare della sua veste lungo il corridoio, poi anche quel suono si spense.
Rimase a lungo solo nella stanza a riflettere, in piedi accanto alla finestra. Il giorno moriva silenzioso davanti ai suoi occhi, oltre i vetri che si dipingevano dei cangianti riflessi del sole. Un soffio di tenebra s’andava distendendo nella stanza, illuminata solo dai caldi barbagli del fuoco che ardeva nel camino.
- Forse sono io che sbaglio. – pensò – Mia madre sembrava tanto felice e anche oggi, appena l’ho rivista, il suo volto mi era apparso così luminoso… Per lei questo sentimento dev’essere stato molto importante e probabilmente l’ha aiutata più di quello che posso immaginare a superare i cupi anni della guerra. Però… - la mano che teneva appoggiata contro l’infisso della finestra si chiuse a pugno e le sopracciglia si corrugarono. – Però come posso credere che anche per quel giovane le cose stiano allo stesso modo? Come posso pensare seriamente che ricambi i sentimenti di mia madre con la stessa intensità, con la stessa dedizione? E come può crederlo lei stessa?
   
 
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