Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: Nausicaa Di Stelle    17/07/2011    4 recensioni
Una storia ambientata in un mondo immaginario in stile settecentesco, dove amore, morte, intrighi e segreti si intrecciano alle vite dei protagonisti, ognuno alla ricerca del proprio destino.
Avevo inserito questa storia in un'altra categoria, ma credo sia più gisto che stia in questa perché, anche se la vicenda e gli altri personaggi non hanno nulla a che fare con l'universo di Capitan Harlock (essendo completamente originali, eccetto Raflesia), il protagonista è il Capitano, pur con qualche piccolo cambiamento. Harlock è infatti un ufficiale dell'esercito regio, di ritorno dopo una sanguinosa guerra.
Genere: Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Harlock, Raflesia
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II


Discussioni 


La contessa di Lorckshire e il suo giovane amico erano già a tavola e conversavano gioiosamente delle vicende accadute negli ultimi giorni, quando Harlock entrò nella sala da pranzo. Indossava un’uniforme molto più in ordine e in buono stato di quella con cui era giunto al mattino.
- Buonasera. – li salutò, avviandosi verso il suo posto a capotavola.
- Buonasera… - gli rispose il conte Anthony, osservandolo.
Harlock s’accorse di quello sguardo prolungato, che indagava indiscretamente ogni parte della sua divisa, ma non fece commenti, volendo evitare un altro alterco con sua madre.
- Vi ho fatto aspettare? – chiese una volta che si fu seduto.
- No, siamo scesi da poco anche noi. – disse Eva, sorridendo amabilmente con i suoi occhi di cerva e guardando soprattutto in direzione del conte di Ayveron, come se una qualche complicità segreta li avesse legati in quelle ore.
Anche Harlock lo guardò: era davvero bello, il suo volto era armonioso e aveva lineamenti delicati e tutta la persona emanava il fascino sottile e seducente della giovinezza sbocciata da poco. Tutto in lui era ancora una perfetta mescolanza di fanciullezza spensierata e virilità nascente e forse questo, si disse il colonnello, aveva tanto attratto sua madre.
- Mi dispiace che questa mattina non abbiamo avuto tempo per le presentazioni. – esordì Anthony, guardando sorridente il suo interlocutore. – Se mi aveste detto chi eravate non sarei stato così scortese da andarmene subito e vi avrei tenuto compagnia fino al ritorno di Eva.
- Possiamo sempre rimediare adesso. – replicò il colonnello.
- Certo: io sono Anthony Michelangelo, conte di Ayveron. - rispose, senza che il suo sfacciato sorriso gli venisse meno sulle labbra
- Harlock di Lorckshire. – rispose semplicemente il colonnello.
Si guardarono negli occhi per un lungo istante ed Harlock ebbe l’impressione che gli fosse lanciata una sfida silenziosa e che con quel sorriso Anthony si beffasse di lui. Ma nonostante ciò ne fu divertito ed in cuor suo si disse: “Sta bene, accetto!”
Durante la cena i due uomini discussero molto, toccando i più disparati argomenti: la guerra, la politica, l’economia, la filosofia, l’arte. Harlock si rese conto di trovarsi di fronte ad un abile conversatore, colto, forbito nel parlare, ma anche molto cinico e pungente. La contessa li ascoltava con piacere, guardando in viso ora l’uno ora l’altro ed in cuor suo era molto soddisfatta della piega che aveva preso la serata e dell'inaspettata sintonia creatasi tra loro. Quand’ebbero finito di mangiare si spostarono nella sala delle Ninfe ed Harlock andò a prendere del buon vino italiano perché Anthony ne assaggiasse. Glielo servì personalmente dicendo:
- Viene dalle colline toscane: sono sicuro che vi piacerà. – poi lo versò anche nel suo bicchiere - Era da un bel po’ che desideravo assaporare di nuovo il suo aroma.
Prese il calice tra le dita, sedendosi su di una poltrona con aria assorta. Le candele del lampadario, riflettendo la loro luce nel vino, gli donavano mille infuocati riflessi ed esso sembrava così un piccolo lago acherontèo murato tra rocce di vetro.
- Davvero speciale. – commentò Anthony, dopo averne bevuto alcuni sorsi.
- Infatti di solito lo teniamo per le occasioni speciali. – commentò la contessa – Ma questa è di certo una serata speciale ed è quindi più che giusto averne stappato una bottiglia: finalmente Harlock è tornato a casa e vi siete conosciuti. Per me è una gioia immensa avervi qui tutt’e due! – prese le mani di Anthony e si avvicinò di più a lui sul divano.
Harlock li osservò: sua madre aveva sempre un’espressione così languida e tenera quando stava con il conte di Ayveron, quando poteva incrociare il suo sguardo o ascoltarne la voce. Si vedeva ad occhio nudo che era divorata da un sentimento intenso e bruciante che la rendeva viva e splendida come un’azalea carminia. Del resto Eva era sempre stata una donna passionale, dal temperamento ardito e molte volte, nelle sue azioni, si lasciava trasportare dal cuore e dalle emozioni.
- Sarà bene, Harlock, che presto ti rechi a palazzo per salutare sua Maestà ed informarlo personalmente del tuo ritorno. – esclamò ad un tratto la contessa, volgendosi verso il figlio.
Il colonnello sospirò, come se gli avessero ricordato una fastidiosa incombenza.
- Lo sapete che non andrei mai a corte… ma temo che in questa circostanza non potrò farne a meno.
- Sarebbe una gravissima scortesia non andare a porgere il tuo saluto al Re: tutti gli ufficiali appartenenti ai casati più importanti del regno andranno a rendergli omaggio e tu non puoi certo essere da meno! – lo rimproverò Eva, socchiudendo gli occhi.
- Sì sì, ho capito… - replicò Harlock, alzando lo sguardo verso il soffitto.
- E’ dura essere un uomo abituato a comandare un intero esercito e poi dover subire i rimproveri della madre! – disse Anthony e la sua voce era a metà tra il sarcastico e il divertito.
Harlock lo guardò interdetto per un istante, poi sorrise e constatò:
- Già: questo succede quando, pur essendo molto giovani, si riveste una carica tanto elevata. Ma molti degli ufficiali assieme ai quali ho condiviso questi anni di guerra avevano un’età tale da poter ricevere certi tipi di rimproveri.
- In effetti ultimamente sembra che nell’esercito regio sia stata davvero arruolata il fior fiore della gioventù. – disse Anthony, rivolgendo il pensiero a tutti i nomi che aveva sentito e a tutte le persone che conosceva e che rientravano in questa casistica.
Il colonnello annuì, diventando improvvisamente serio.
- Fortunatamente, però, la maggior parte di essi è ritornata sana e salva a casa e all’affetto dei famigliari. – commentò la contessa.
- Forse perché molti se ne sono stati nelle retrovie… - disse Anthony, voltandosi verso di lei.
- Credete forse che tutti gli ufficiali siano dei codardi? – esclamò Harlock. Per un istante nei suoi occhi brillò una luce di sdegno.
- Non voglio dire questo. E soprattutto non voglio mettere in dubbio il vostro valore militare e l’abnegazione che certamente avete avuto per la causa del nostro paese. – si difese Anthony, ma la sua replica non aveva affatto i toni di una scusa. – Ma credo sia risaputo che, quando c’è da mandare qualcuno a farsi ammazzare, si preferiscono i figli della plebe.
- Non tutti coloro che entrano all’Accademia militare lo fanno perché hanno nell’animo di divenire dei veri soldati, non tutti sono coraggiosi ed intrepidi… ma gettar fango impunemente anche su tutti quelli che hanno sacrificato se stessi durante questo conflitto è una meschinità! – replicò il colonnello, e benché le parole gli venissero dal profondo dell’anima la sua voce rimase calma.
Il conte di Ayveron stava per rimbeccare ulteriormente Harlock, quando Eva intervenne, allungando le sue bianche mani verso il petto di Anthony, frapponendosi così fra i due.
- Sono certa che Anthony non intendesse insultare nessuno, perciò via, non riscaldatevi tanto… in fin dei conti non è una questione di così elevata gravità.
- Non c’è bisogno che rispondiate per lui, credo lo sappia fare benissimo da solo: fin’ora ha sostenuto egregiamente la nostra conversazione. – disse Harlock, lanciando a sua madre un’eloquente occhiata di disapprovazione.
- Andiamo, Harlock: perché devi sempre incominciare delle inutili discussioni appena ritorni? – protestò Eva, volendo evitare che il colloquio degenerasse e che ci fosse subito scontro tra di loro.
Il colonnello la fissò, allibito e irritato insieme. Ma strinse i denti e tacque. Anche Anthony scelse la via del silenzio, preferendo non contraddire Eva, ma si disse: “Avremo modo di riprendere la nostra discussione, quando saremo soli… e sono certo che verrà molto presto quel momento”.
Rimasero assieme per un’altra ora, parlando con molta tranquillità delle cose più disparate, senza toccare questa volta argomenti delicati, ma entrambi i giovani potevano sentire chiaramente che tra di loro s’era creata come un’onda cupa ed ostile e che solo nel momento in cui avessero finalmente potuto parlarsi chiaramente, senza false gentilezze, il loro rapporto sarebbe stato più limpido e definito. Di qualunque natura potesse diventare.
Contro la sua consuetudine, che tanto spesso l’aveva spinto a lasciarsi avvolgere dal cupo manto delle tenebre, Harlock fu il primo a lasciare la sala. Non fu solo per la compagnia, non completamente gradita. Disse che si sentiva stanco, ed era vero. Tornando a casa aveva deciso che si sarebbe concesso un lungo periodo di riposo perché il suo corpo era realmente sfibrato e gli sembrava quasi che in quei lunghi giorni di sangue e morte qualcosa, con mano fredda e adunca, gli avesse furtivamente strappato piccoli brandelli di se stesso, sparpagliandoli poi al vento di perenne autunno che soffia sulle terre dove infuriano le battaglie.
La contessa e Anthony lasciarono il salotto quasi un’ora dopo che il colonnello se n’era andato. Rimasti soli, avevano scelto di non parlare di lui e di quanto era accaduto in quella giornata, concedendosi invece del tempo solo per loro stessi. S’avviarono poi insieme verso le loro stanze, ma arrivati al piano superiore, davanti alla porta della sua camera Eva congedò il suo amante dicendo:
- Buonanotte, Anthony. Sarà meglio che per questa volta dormiamo separati: non voglio altri battibecchi con Harlock, nel caso dovesse vederci uscire di qui assieme, domattina.
- Ma dopotutto dovreste essere libera di scegliere come gestire la vostra vita, non credete? – replicò Anthony, con volto serio. – Incluso il fatto di dormire da sola oppure no. Vostro figlio non ha alcun diritto d’interferire in cose che non lo riguardano.
- Purtroppo invece lo riguardano, eccome. – sospirò, divenendo per un istante pensierosa. – Ma comunque sia, non gli permetterò di distruggere quest’unione, così faticosamente creata.
Eva si sporse, flessuosa come un giunco, verso le labbra di Anthony e le baciò delicatamente, simile ad una farfalla che si posa sul petalo vermiglio di un fiore. Il conte di Ayveron raccolse quel bacio schiudendo le labbra, per conservarne gelosamente l’umido sapore.
- Buonanotte… - le disse in un soffio, mentre le mani sottili di Eva scivolavano tra le sue e si allontanavano.
Dolcemente, la porta fu chiusa ed Anthony rimase solo nel vasto corridoio, circondato soltanto da una moltitudine di pensieri e dubbi, difficili da districare. D’un tratto fu costretto a interrogarsi seriamente sul futuro di quell’insolito legame che aveva stretto con la bellissima contessa di Lorckshire, oltre che sul senso stesso di una tale unione. Scelse di non darsi risposte: era convinto infatti che non fosse ancora giunto il momento per fare un bilancio di questo legame, nato da troppo poco tempo per dover essere già giudicato.

Il mattino era ancor fresco ed il sole s’era da poco levato più in su dell’orizzonte, quando il colonnello si recò nelle scuderie in tenuta da cavallerizzo. Lo stalliere che lo vide arrivare lo salutò con deferenza, inchinandosi profondamente. Non si stupì di vederlo in piedi già a quell’ora poiché sapeva che era abitudine del suo padrone alzarsi presto e fare lunghe cavalcate solitarie. Piuttosto, fu anzi soddisfatto che il tempo trascorso lontano non lo avesse per nulla cambiato.
- Buongiorno, signor conte. Devo preparare il vostro cavallo? – chiese andandogli incontro.
- Aspetta, prima voglio salutarlo di persona… sono quattro anni che non lo cavalco, forse non si ricorderà nemmeno più di me. – fatti pochi passi, però, si voltò di nuovo verso il servo, ridendo. – Spero almeno che nel frattempo non ne abbiate fatto delle bistecche!
- Bistecche? – balbettò – Ma no, signore: è ancora là e gode di ottima salute!
Harlock raggiunse il box dove uno stallone nero, fiero e nobile, sbuffava e scalpitava, fissandolo con occhi fiammeggianti. La lunga criniera selvaggia fluttuava ad ogni colpo della testa, ondeggiando come una nube di tempesta.
- Hai riconosciuto la mia voce, non è vero Tenebra? – bisbigliò il colonnello, allungando una mano verso la testa dell’animale e iniziando ad accarezzarlo. – Sei davvero in forma, sai? Ho fatto bene a non portarti con me in guerra: mi saresti senz’altro stato d’aiuto, con la tua intelligenza e l’intesa che c’è tra di noi, però a questo punto saresti morto… e non una sola volta.
Il cavallo si sottrasse bruscamente alle carezze di Harlock ed allungò il muso verso il suo volto, accostandolo delicatamente ad una guancia. Il colonnello ne fu sorpreso e sorrise, riprendendo ad accarezzare l’animale.
- Mi vuoi dire che ti sono mancato? Ma adesso sono a casa e credo ci resterò per un lungo periodo: avremo tempo per fare tutte le corse che vuoi. – il destriero scrollò la testa, sbuffando e sollevando ritmicamente le zampe anteriori – Ehy, come sei impaziente! Non sono davvero riuscito ad insegnarti neanche un po’ di disciplina, in questi anni? - Tenebra scrollò ancora una volta la criniera - No, eh? Probabilmente me la cavo meglio con i miei soldati: con te è sempre stato difficile trattare... siamo troppo simili, noi due. Troppo ribelli. Vieni…
Così dicendo aprì lo sportello e fece uscire Tenebra, conducendolo poi verso l’entrata delle scuderie, dove, accanto ad una parete, erano sistemate le selle dei vari cavalli. Lo scudiero gli si fece incontro per occuparsi lui di tutto ma Harlock lo invitò a farsi da parte e sellò personalmente il suo destriero.
Poco lontano dalle stalle vi montò in groppa e si allontanò con lui, al passo. Attraversò il viale, dirigendosi verso il piccolo cancello secondario ad ovest della casa che conduceva alle terre di proprietà della famiglia.
Qualcuno però lo aveva visto allontanarsi: dall’alto della finestra della sua stanza, il conte di Ayveron aveva infatti seguito tutta la scena.
- Si alza presto, il colonnello. – pensò – Bene, vorrà dire che fra breve avremo modo di parlarci a tu per tu.
Anche Anthony, in verità, benché assieme ad Eva frequentasse assiduamente feste e rappresentazioni teatrali che si protraevano fino all’alba, non disdegnava mai, quando se ne presentava l’occasione, di alzarsi di buon ora per fare una passeggiata, per cavalcare in solitudine o semplicemente per respirare l’aria fresca del mattino. Tuttavia erano ben pochi a conoscere queste sue abitudini.
Il conte di Lorckshire restò fuori fino all’ora di pranzo, galoppando a briglie sciolte lungo i sentieri che attraversavano i campi già seminati, percorrendo i vigneti distesi sui pendii ai piedi del bosco e ritornando poi costeggiando il fiume che a nord si snodava lungo le loro terre. Tenebra sembrava felice di quella cavalcata e non risentiva per nulla dei tanti chilometri percorsi: quando il suo padrone lo lasciò alle cure dello stalliere scalpitava e fremeva come chi ha ancora tante energie da spendere.
Il colonnello rientrò in casa di corsa, salendo rapidamente la scalinata che conduceva alle sue stanze, sapendo di dover far presto a cambiarsi, se non voleva arrivare in ritardo a tavola. Mentre saliva gli ultimi gradini, però, sentì una fitta al centro del petto e per un solo, brevissimo istante, gli sembrò che il suo cuore smettesse di battere. Si sentì avvolto dal nulla e tutto attorno a lui si fece vago ed incerto. Fu questione di un attimo: poi il mondo riacquistò forma e nitidezza ed Harlock si ritrovò appoggiato alla balaustra, con il respiro affannoso ed una mano premuta sul petto. Un’onda di pensieri confusi si agitava nella sua mente, ma nessuno di essi riusciva a raggiungere la coscienza e a divenire concreto. Si costrinse a rimettersi in piedi, stringendo i denti per la fatica che ciò gli provocava, e si avviò di nuovo verso la sua camera. Entrò e si fermò di fronte al letto, immobile. Sciolse lentamente il foulard che portava attorno al collo e lo gettò con un moto di collera sulle coperte.
- Che mi succede? – si chiese – Perché questo dolore continua a perseguitarmi?
Si sedette sulla sponda del letto, emettendo un profondo sospiro, lasciandosi subito dopo ricadere disteso sulla schiena. Rimase a lungo così assorto, finché non udì la voce di sua madre provenire dal corridoio: doveva aver appena lasciato la sua stanza e si stava dirigendo verso il piano inferiore, verso la sala da pranzo. Il conte di Ayveron era con lei. Harlock allora si ridestò e finì di cambiarsi, indossando i suoi abiti da casa.
Quando li raggiunse, Eva e il suo amico erano già seduti a tavola.
Sua madre lo accolse con un’espressione di disapprovazione e di sollievo insieme:
- Finalmente… pensavamo non volessi unirti a noi, quest’oggi.
- Scusate. – rispose soltanto, sedendosi al suo posto.
- Hai fatto una lunga cavalcata, immagino. – riprese Eva.
- Abbastanza. Ma ne ho fatte di più lunghe: infatti Tenebra non era ancora stanco.
- Quel cavallo ti ha aspettato così a lungo che dovrai faticare un bel po’ prima che si stanchi di galoppare assieme a te. – osservò lei, sorridendo con i suoi denti bianchissimi.
- Temo anch’io.
Il conte di Ayveron non poté fare a meno di notare come le risposte di Harlock fossero sbrigative, come se il suo unico desiderio fosse quello di essere lasciato tranquillo, in silenzio.
- Fin dove siete stato? – gli chiese allora, desiderando verificare i suoi sospetti.
- Ho fatto il giro delle nostre terre: al limitare del bosco mi sono fermato e sono ritornato verso sud, costeggiando un tratto del fiume.
- Capisco… allora non siete andato davvero molto lontano. Io mi sono spinto spesso molto più in là.
Harlock non rispose. Su invito di Eva, alcune cameriere iniziarono a servire in tavola. Per un po’ il pranzo si svolse silenzioso, finché la contessa non riprese la parola esclamando:
- Harlock, ascolta: pensavo sarebbe meglio che già domani tu ti recassi a palazzo, dal Re. Presto la notizia del tuo ritorno si diffonderà e giungerà rapidamente anche ai suoi orecchi. Io però non vorrei davvero che sua Maestà venisse a conoscenza del tuo rientro da qualcun altro. Devi essere tu ad informarlo personalmente, com’è giusto.
- Perché vi preoccupate tanto? – rispose il colonnello – Il Re sarà già a conoscenza dei nomi di tutti coloro che sono ritornati dalla guerra, chi sono gli scampati, chi i dispersi e chi i morti. Il ministro della guerra l’avrà già informato di tutto e così saprà anche che sono vivo e ben oltre i confini del regno.
- Oh, che razza di ragioni! – ribatté sua madre, lanciandogli un’occhiata di rimprovero – Anche se sa benissimo che sei tornato ai tuoi possedimenti, sano e salvo, l’etichetta e il decoro prevedono che sii tu ad andare a salutare il sovrano.
- Questo lo so. Ma non vedo il motivo di doverci andare di corsa, domani.
- E’ una cosa che va fatta: è inutile aspettare, dopotutto. – sentenziò Eva.
Harlock sospirò. Da molto tempo, forse da sempre, sua madre aveva preteso da lui una grande deferenza nei confronti del Re, invitandolo spesso a recarsi a corte, alle feste o alle celebrazioni solenni appositamente per compiacere sua Maestà. Proprio lui, che schivava il potere e gli onori, la compagnia dei potenti, le lodi e le onorificenze ufficiali. Eppure, nonostante tutto, c’era chi mormorava che il conte di Lorckshire avesse ottenuto così giovane il grado di colonnello solo grazie ai favori reali.
- Comunque sia, madre, non vi crucciate tanto: ho già deciso di andare a corte giovedì prossimo. E così intendo fare.
- Giovedì? Fra una settimana? – protestò vivacemente Eva.
- Sono cinque giorni. – precisò Harlock.
- Sono troppi.
- Non ho intenzione di discutere oltre! – le disse secco suo figlio, squadrandola con un’occhiata severa e autoritaria.
- Sappi però che non approvo la tua scelta. – concluse la contessa, palesemente infastidita.
- Questo non ha importanza. – mormorò Harlock, riprendendo a mangiare.
   
 
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