Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: anqis    28/03/2013    14 recensioni
Appoggiò la fronte alla sua e chiuse gli occhi, inspirò i loro respiri e sorrise.
«Ho atteso troppo a lungo e non voglio più aspettare, voglio solo dire al mondo che tu sei mio, Louis.»
E Louis, abbassò gli occhi sulle loro mani intrecciate. «Sei disposto a perdere tutto ciò, la fama, le fans, i soldi, per me?» chiese sia a lui che a sé stesso.
La sua di risposta la conosceva già.
So I don’t wanna wait any longer, I just wanna tell the world that you're mine boy.
-
La mia vera prima one shot su Larry.
Ringrazio Gaia per la sua preziosa revisione, e Louis e Harry "perchè il dolore, le sofferenze non sono riusciti nel loro intento, spegnere quel piccolo barlume di speranza che riesce a mantenere vivo quel difficile sentimento ormai stremato."
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


A Harry, perchè non ha mai negato nulla.
A Louis, per tutti gli him celati tra un verso e un altro di ogni canzone.

 
___
 
 
But watching you stand alone
All of my doubt suddenly goes away somehow
One step closer

 
- A Thousand Years, Christina Perri.

 
 
 
 
Lo studio era carico di agitazione e movimento: tecnici della luce e delle riprese dalle fronti imperlate di sudore sistemavano complicati macchinari; segretarie dalle camicie sgargianti e i capelli al vento acconciati disordinatamente camminavano in bilico su tacchi vertiginosi; uomini robusti comandavano e gesticolavano con voce decisa ordini precisi. Brusii sommessi, sospiri soffocati, lamentele morte prima ancora di nascere, ordini impartiti con freddezza circondavano quattro ragazzi che, comodamente seduti nel centro della stanza su moderne poltrone, sembravano non sentir particolarmente l’atmosfera pesante e ansiosa che aleggiava tra le mura chiare dell’enorme stanza.
Zayn Malik, con una sottile sigaretta tra le labbra pronta per essere accesa non appena terminato il servizio, e le palpebre dalle lunghe ciglia che donne e donne bramavano da secoli e cercavano inutilmente di imitare, abbassate sulle guance dal colorito perennemente dorato, sonnecchiava tranquillo con una gamba poggiata su un bracciolo e la nuca affondata nei cuscinetti neri, non abbastanza scuri quanto la sua chioma color inchiostro.
Ad un sedile di distanza, Liam Payne tamburellava a ritmo con un piede calzato in un paio di All Star rosso fuoco e raccontava con un’espressione innamorata - quanto quella che assumeva  Zayn quando la sua fidanzata ossigenata finiva la sua preziosa lozione di balsamo per i capelli - all’amico biondo accanto a lui, Niall Horan, le ultime vicende del fine settimana trascorso in compagnia della sua presunta fidanzata, una certa ballerina conosciuta per l’abitudine di spargere x dai significati più oscuri tra una frase e l’altra di un tweet, e per la chioma riccia e ribelle simile al pelo di un barboncino di ritorno da una passeggiata sotto una fitta pioggia.
Niall Horan, nella tuta indossata con finta disinvoltura, si limitava ad annuire ad intervalli precisi preso da un pensiero molto più serio: una mano appoggiata sulla pancia fasciata da una felpa verde chiaro a ricordare le sue purissime origini irlandesi, cercava invano di mettere a tacere i gorgoglii del suo stomaco che reclamava prepotente di essere colmato da ben quindici minuti, un lasso di tempo pericoloso per Niall che era conosciuto per il temperamento nervoso e antipatico che assumeva quando era a stomaco vuoto.
In disparte, un paio di Toms bianche erano appoggiate impertinenti sul prezioso tessuto delle costosissime poltrone di pelle nera. Le gambe strette al petto e il mento ruvido dall’accenno di una leggera barbetta casualmente dimenticata di rasare nel solco tra le ginocchia, Louis Tomlinson fissava un punto preciso di fronte a sé con un cipiglio preoccupato e nervoso: una poltrona era vuota.
Non era il solo ad essersene accorto. Infatti la sua visuale venne improvvisamente sostituita dal cavallo di un paio di pantaloni da uomo scuri e efficientemente stirati. Un ombra calò sulla sua fronte corrugata dal troppo pensare.
«No, non so dove sia» mugugnò storcendo il naso in direzione dell’uomo che lo sovrastava. Si scrollò le spalle nel tentativo di apparire il più tranquillo possibile, gesto fin troppo studiato e realistico per passare inosservato dai suoi compagni che avevano assistito dietro ad un sipario a quello scambio di parole. Il respiro di Zayn divenne più pesante, la risata fragorosa di Niall irruppe invadente.
«Abbiamo perso le sue tracce questa mattina e non risponde al cellulare» disse l’uomo fissando con insistenza il ventenne seduto scomposto di fronte a sé. Louis non osava alzare gli occhi, non era mai stato bravo a mentire. L’uomo non si lasciò abbattere e continuò imperterrito, lo sguardo vigile «Sappiamo che eravate insieme questa mattina, cos’è successo? Sai cosa lo ha indotto a scomparire così tutto ad un tratto?»
Eccome se lo sapeva, Louis. «Non lo so.»
 
 
«Tu non lo farai. Non ci andrai, con quella.»
Louis chiuse gli occhi e sospirò afflitto. «Sai che devo» rispose con voce tremante, troppo codardo per avere il fegato di alzare lo sguardo e incrociare i suoi occhi. Perché sapeva, Louis,  che non sarebbe riuscito a reggere in quelle iridi verdi e acquose il dispiacere, il dolore che ancora una volta stava suscitando in lui.
Strinse i pugni fino a sentire le nocche delle mani schioccare dalla violenza e dalla rabbia che ribolliva nel suo corpo, represse da fin troppo tempo. Lo stridio di una sedia, il frastuono di vetro rotto e il ritmo di un sospiro affannato. Gli occhi concentrati sui ricami di un tappeto a cui non aveva mai davvero dato troppa attenzione, dei passi strascicati e familiari si facevano strada tra i cocci rotti, verso di lui.
Una mano grande e sudata – chissà quanto se l’era tormentate – si infranse sulla sua spalla rigida, le dita si strinsero sulla stoffa della maglietta fino ad impallidire, in netto contrasto con il colore della manica. Si morse l’interno della guancia, pronto per sentirsi spintonare e strattonare con violenza, pronto per gli schiaffi, i pugni, le grida, così meritate che sembrava quasi che fosse lui a bramarle. Quella punizione fisica sarebbe riuscita a liberarlo un poco – mai abbastanza – dalla consapevolezza dei suoi errori; avrebbe scontato la pena senza emettere suono, senza proteggersi, così come era giusto.
Invece, lui distrusse nuovamente tutte le aspettative che si era costruito, come sempre aveva fatto. Harry chinò il viso sulla spalla di Louis, la schiena inarcata a colmare quella differenza di altezza. E pur essendo più alto di lui di una decina di centimetri, in quella posizione, il viso nascosto dai riccioli scuri che accarezzavano il collo di Louis, un braccio inerte sul fianco ed una mano a stringere la stoffa, Harry appariva davvero piccolo, lo stesso sedicenne che quella notte scura, spaventato dai tuoni e dai fulmini che incombevano all’esterno di quelle mura strette, gli si era rifugiato tra le braccia in cerca di un riparo. E si erano addormentati, uno con il viso affondato nel petto dell’altro, l'altro il naso e i sensi inebriati dal profumo di frutti emanato da quei riccioli disordinati e tanto morbidi. 
Louis non si era mosso, aspettava la sua reazione, qualunque essa fosse stata. Il silenzio incombeva sulle le loro spalle ormai distrutte da pesi che erano stati e tutt’ora erano costretti a reggere; la luce fioca della televisione ad illuminare i loro profili e stagliare le loro ombre sui muri bianchi e freddi. E prima che Louis potesse dire qualcosa o anche muovere un solo muscolo, docili singhiozzi erano sfuggiti dalle labbra del ragazzo stretto a lui. Le braccia inermi sui fianchi, ascoltava quei gemiti così strazianti, mentre la stoffa della maglietta diveniva man mano sempre più umido. Ed ogni lacrima che vedeva percorrere la guancia del suo ragazzo, era una fitta allo stomaco, una stilettata dritta nel cuore ormai sanguinante, distrutto da ferite, da tagli invisibili, eppure così presenti. Il braccio di Harry aveva lasciato il fianco ed ora gli si aggrappava con disperazione alla schiena; graffiava mentre le sue labbra – quelle che lui aveva assaggiato con brama notti e notti senza riuscire a saziarsene, le stesse che avevano percorso ogni singola superficie del suo corpo marchiandola con irruenza e desiderio – si strofinavano sulle spalle e i denti – gli stessi che avevano lasciato tracce in luoghi remoti e solo da lui conosciuti - mordevano con insistenza la carne e Louis non reagiva, in silenzio si lasciava maltrattare. Le lacrime scorrevano imperterrite, il dolore diventava materiale, consistente, tuttavia quello vero, quello che gli torceva le viscere e che non poteva essere visto, rimaneva lì.
 
 
«Sei sicuro?» chiese quello aggrottando le folte sopracciglia scure che secondo Louis gli conferivano un aria animalesca e stupida. Che poi non era tutta apparenza, visto l’incapacità del soggetto che i management gli avevano scaricato quando Paul –  il loro caro Paul – aveva lasciato il ruolo da bodyguard tutto fare per qualcosa di più concreto e vicino alla sua nuova famiglia. Era un vecchio sfigato che non sapeva neanche tenere a bada cinque ragazzi. Louis storse le labbra in una smorfia infastidita e si affrettò a rispondergli – con qualche commento in più del dovuto, ovviamente.
«Ha detto di sì» intervenne la voce di Liam mettendo a tacere la risposta tagliente che stava per riversarsi dalla bocca dell’amico. Fu così fredda e seria quella risposta, che l’uomo sussultò impercettibilmente. Si voltò verso l’altro membro della band che gestiva, e si trovò a fronteggiare un sorriso gentile ed educato, l’opposto esatto del tono con cui lo aveva interrotto. Liam non si lasciò sfuggire quella sorpresa e riprese, con voce soave e più dolce: «Se Louis è sicuro, perché dubitarne?» senza smettere un attimo di sorridere.
L’uomo si grattò il mento confuso da quel repentino cambio di tono, ma mise fine alle domande e si incamminò verso un gruppo di tecnici, giusto per liberarsi un pochino dal nervosismo.
Louis non si preoccupò neanche di ringraziare Liam, si passò una mano tra le ciocche castane nel tentativo inutile di ravvivare il ciuffo che quella mattina aveva deciso di afflosciarsi con impertinenza sulla sua fronte coprendogli fastidiosamente gli occhi, come i vecchi tempi.
 
 
«Harry, dammi un rasoio, un paio di forbici, un coltello, qualunque cosa di tagliente» sbuffò lasciandosi cadere pesantemente sul divano accanto all’amico che sembrava però troppo occupato a curiosare sui profili di twitter altrui per interessarsi dei problemi esistenziali dell’altro. «Se hai intenzione di tagliarti avvertimi o potresti sporcarmi i pantaloni» commentò con un sorrisino a fior di labbra.
Louis sbuffò e gli lanciò un’occhiataccia. Un ragazzo dai riccioli disordinatamente sparsi sullo schienale del divano rosso acceso, senza più traccia dei fianchi morbidi e del mento ancora rotondo che possedeva a sedici anni, rispose all’occhiata con un sorriso strafottente.
«Fottiti» rispose Louis.
Harry roteò gli occhi al cielo e – finalmente! – si decise a lasciare cadere il cellulare nella tasca dei jeans scuri e – dannazione – troppo stretti. «Cosa succede?» chiese fingendosi interessato.
Louis finse a sua volta di credere di essere ascoltato e prese in modo brusco la frangia che gli tormentava la fronte tra le mani. «Questi capelli. Non ce la faccio. Tagliameli, fammi pelato, ma fai qualcosa» si lamentò con un soffio che sollevò il ciuffo per un istante prima che gli ricadesse nuovamente sugli occhi.
«Tu hai interrotto il momento pomeridiano di facciamoci-i-fatti-degli-altri, per questa frivola banalità?» chiese sgranando gli occhioni verdi in una espressione di pura sorpresa e indignazione. Fece per aggiungere altro, ma venne immediatamente zittito dall’occhiata ammonitrice dell'altro. Poi si alzò in piedi e porse una mano verso di lui, «Andiamo, ora ci penso io» disse esibendo con estrema dolcezza – tanto che Louis avrebbe voluto assalirlo in quel momento stesso, spingerlo contro il muro e sfogare tutta la frustrazione racchiusa in corpo su di lui, con lui – una fossetta. «Ci vuole un cambio di immagine, qui.»
 
 
Louis si avvicinò la tazza alle labbra e terminò il terzo caffè che in quelle poche ore – erano solo le 11 di mattina – aveva trangugiato. Sorvolò con gli occhi il salone che si stava man mano svuotando e sorrise sotto i baffi notando il suo amico-sfigato borbottare nervoso al cellulare, probabilmente  con il capo a causa del servizio di quel giorno non andato a fine. E tutto a causa dell’assenza di uno di loro.
Gli occhi azzurri quel giorno contornati da ombre scure si posarono con insistenza sulla poltrona al centro della stanza e sospirò. Ricontrollò nuovamente il cellulare nella speranza di trovarvi un messaggio, una chiamata persa, ma nulla, solo quella stupida foto dello sfondo che ritraeva un banale fotomontaggio di lui – senza una minima traccia di pancia, il che bastava a far capire quanto di vero ci fosse in quella foto – abbracciato alla sua presunta fidanzata sulle spiagge di qualche isola tropicale, dove lui non era mai stato. Con forse troppo forza, si infilò quello stupido aggeggio nella tasca del giubbotto scuro.
Era da quella mattina, quando avevano avuto quella discussione, una delle tante, che Louis cercava di mettersi a contatto con Harry. Dopo lo sfogo, aveva preso le chiavi dell’auto e senza neanche rivolgergli un cenno, una parola, aveva varcato la porta di casa ed era scomparso. E come uno stupido, lui non si era mosso di un passo, in piedi illuminato dalla luce dello schermo aveva ascoltato il rombo del motore partire, fare le fusa e allontanarsi. E si era sentito così stupido e solo, avvolto nel buio.
Ed ora Louis aveva paura. Una sensazione di inquietudine gli attanagliava lo stomaco, un pensiero che cercava in tutti i modi di allontanare dalle mente dissipava tutti i problemi concentrandoli interamente su di sé. Louis doveva trovarlo, prima che.. prima che potesse accadergli qualcosa di sbagliato, o ancora peggio, si facesse del male.
Affondò il viso nelle mani, prima di volgere gli occhi verso i suoi compagni che in disparte, ma sempre accanto a lui, stavano parlando tra di loro sottovoce. Sapeva che non avevano smesso di osservarlo un attimo, come sapeva che anche loro come lui – ma mai quanto lui – erano preoccupati dall'assenza ingiustificata di Harry. Louis si chiese come poteva una assenza essere così presente.
Fu così che di slanciò disse ai ragazzi che doveva andare e che dovevano fare a meno di lui per quel giorno. E loro non si disturbarono neanche a chiedergli dove stesse andando, che annuirono. Liam gli scompigliò i capelli, Niall gli diede una pacca sulla spalla – dove lacrime amare avevano lasciato il loro passaggio – e Zayn si limitò a guardarlo, gli occhi scuri seri e caldi. Louis sorrise, fu un sorriso sforzato ma riconoscente, e scomparve lungo il corridoio.
 

***

 
Aveva controllato dappertutto.
A casa di entrambi, nello studio di registrazione dove spesso si rintanava da solo, la musica diffusa dalle enormi cassi; aveva chiamato anche Anne che gli aveva giurato sull’amore per il figlio che non si trovava lì e che non lo aveva sentito dalla notte scorsa. Era stato difficile per Louis chiudere la chiamata, infatti l’apprensiva signora Styles si era da subito allarmata e solo con la promessa di richiamare non appena avrebbe avuto notizie era riuscito a calmarla per il momento; da starbucks sotto casa sua dove avevano fatto l’amore nel bagno, l’odore di sapone nelle narici, gli ansimi soffocati sulla pelle nel cercare di non farsi scoprire; il negozio preferito di cd; il tatuatore dietro la strada. Aveva addirittura chiamato Nick Grimshaw, quell’odioso avvoltoio che ormai da mesi aveva messo gli occhi su Harry, il suo Harry, il quale aveva affermato di trovarsi fuori da Londra. Con un respiro di sollievo gli aveva attaccato il telefono in faccia senza tanti problemi. Aveva provato ovunque, e con il fiatone e le gambe molli ora se ne stava appoggiato alla ringhiera sul Tamigi, avvolto da una coltre di nebbia che gli entrava nella stoffa dei vestiti, gli congelava la pelle e si diramava tra le vene, pungente e crudele. Era stremato, senza forze, la speranza ormai ridotta al minimo e la bocca asciutta che inspirava a fatica. Dov’era?
Si afflosciò a terra, esausto. Poi il cellulare squillò e Louis con le mani tremanti lo tirò fuori dall’apertura delle tasche. Le guance accese di rosso si spensero non appena la scritta “Zayn” lampeggiò sullo schermo.
«Zayn».
«Louis. Dove sei?»
Si guardò intorno. «Tamigi» rispose semplicemente.
Silenzio. Con la testa che scoppiava, il fiato accelerato e il battito cardiaco che aveva raggiunto ritmi impossibili, Louis emise un ringhio. Non aveva tempo da perdere, ogni minuto era prezioso e non poteva assolutamente rimanere lì in attesa che Zayn sputasse qualche stupida parola di conforto. «Senti Zayn, non ho tempo per..»
Ma lo interruppe. «La vostra casa. Prova a vedere là se non hai controllato»
Louis sbatté le palpebre, confuso. «Non posso mica fare irruzione nella villa, che penserà la famiglia che ci vive? ..» non finì la frase che boccheggiò sconcertato, «La storia della famiglia era una tutta una balla. Harry non ha mai dato via la nostra casa» balbettò con gli occhi sgranati. Percepì perfettamente il gorgoglio nato dalla gola quando aveva pronunciato “nostra”.
Zayn non rispose. Ma a Louis bastava, conosceva il suo amico, sapeva quanto lui e le parole avessero un rapporto difficile e quanto fosse riservato; chissà la fatica a cui si era sottoposto per svelargli quel segreto che non apparteneva neanche a lui, ma che gli era stato affidato, una parte di quel grande fardello che Harry si era costruito e aveva deciso di custodire per sé, rovinandosi e bruciandosi da solo. Sorrise, pur sapendo che Zayn non lo avrebbe visto e sussurrò un debole «Grazie, Zayn, grazie» e chiuse la chiamata. Un attimo dopo aveva cominciato a correre di nuovo, questa volta sicuro della meta e di chi avrebbe trovato.
 

***

 
Solo quando giunse di fronte al portone si rese conto di non possedere più le chiavi di casa. Il respiro mozzato che si condensava nell’aria sotto forma di nuvolette chiare. Sbuffò afflitto, di fronte all’insormontabile cancello scuro che gli ostacolava la meta. Poi, preso da un improvviso e incontrollabile scatto di rabbia tirò un potente calcio, senza curarsi delle scarpe leggere che indossava, contro quella stupida ferraglia nera. Dannazione, come poteva un fottuto ed inutile pezzo di ferro mettersi sulla sua strada?
Fece per gridare, ma la voce gli si bloccò in gola quando il cancello emise un debole cigolio, prima di aprirsi di qualche centimetro. Louis, con ancora gli occhi spalancati, ricoprì quella piccola distanza e mosse il cancello con mano tremante. Si tirò uno schiaffo in fronte e ancora più certo di trovarlo lì dentro – lo stava aspettando, lo sentiva – penetrò all’interno.
Percorse il giardino trovandolo devastato: i cespugli non più potati toccavano terra, gli alberi più robusti e alti gli coprivano la visuale del cielo chiaro, l’erba alta gli graffiava le caviglie ad ogni passo. Così diverso dalla visione verde e calda che nei suoi ricordi un tempo poteva scorgere dallo spiraglio delle tende, la mattina dopo aver trascorso una notte tra le coperte, annientato da un amore vivo e difficile da controllare.
 
 
Gli scostò un ricciolo dietro l’orecchio e si abbassò per lasciargli un dolce bacio sul naso, poi senza scomodarsi di coprirsi lasciò quelle coperte calde e ancora profumate di sudore, di sentimenti, di loro. La sensazione del pavimento fresco sotto i piedi gli provocò un debole brivido lungo la schiena. Raggiunse la finestra, e scostò le tende che avevano nascosto ad occhi indiscreti quello scambio di baci rubati, frasi sussurrate, qualcosa di così intimo e profondo che neanche un pittore sarebbe riuscito a rappresentare con il più bello dei dipinti.
Lasciò vagare gli occhi color mare sulla loro proprietà, quando un fruscio debole attirò la sua attenzione. Non si voltò neanche quando della mani delicate e grandi strinsero i suoi fianchi costringendolo a far aderire la schiena contro il petto dell’altro. Stava sorridendo, lo percepiva dal leggero alzarsi della guancia che ora gli accarezzava la tempia.
«Stavo pensando che potrei cominciare a dipingere» disse ad alta voce mentre le labbra del suo amante avevano appena cominciato a tracciargli scie di baci lungo il collo. «Abbiamo un giardino così bello, sarebbe un peccato non approfittarne». Harry si bloccò e allontanò le labbra – non smettere, lo pregò – sgomento, come bruciato da quella notizia. Louis si irrigidì preso contropiede da quella reazione, ma si sciolse non appena lo sentì ridacchiare al suo fianco.
«Certo» rispose Harry accondiscendente scuotendo leggermente la testa. Conosceva fin troppo bene quel lato curioso del suo partner – oh dannazione, del suo fidanzato – che lo spingeva spesso alla ricerca di cose nuove che alla fine non arrivavano mai a niente. Curioso, ma tremendamente pigro, Louis aveva l’abitudine di stancarsi in fretta e Harry sapeva perfettamente che la tela e gli acquarelli sarebbero stati presto accantonati nella cantina, la loro cantina, insieme a tutta quella inutile roba. E la cosa peggiore di Louis, era che trattava nello stesso modo anche le persone, e l’idea che un giorno lui si potesse stancare di Harry, lo spaventava, lo terrorizzava a tal punto da costringerlo a pianificare una soluzione – che partiva dal semplice ricatto, ad una pozione d’amore – nel caso in cui quell’orribile atrocità fosse accaduta.
Lo sentì sciogliersi sotto il suo tocco, le spalle rilassarsi e la testa prendere ad oscillare senza controllo sulla sua spalla. Avvicinò la bocca all’orecchio e con un sorriso dipinto sulle labbra gli sussurrò: «Posso sacrificarmi come modello, sempre che tu voglia. Poso anche nudo, se mi pagano bene» e neanche il tempo di scoppiare a ridere che le loro bocche si erano scontrate, fameliche e disinibite.
 
 
La porta era stata dimenticata aperta. Con un orribile presentimento varcò l’ingresso. Non era cambiato nulla, i mobili erano sempre gli stessi – li aveva venduti, certo come no – i muri tappezzati da copertine degli album preferiti di Harry incorniciati come quadri, tutto era rimasto tale quale all’ultima volta, prima che la loro convivenza venisse bollata come problema e possibile fraintendimento dei rapporti tra i componenti della band One Direction. Si guardò freneticamente intorno, poi lo vide.
But watching you stand alone
Ai piedi delle scale, un groviglio di riccioli scuri tra le mani, il viso nascosto tra le braccia che stringevano a sé le gambe, nell’intento di proteggersi. Il pensiero che stesse cercando di proteggersi da lui lo colpì con un tale impatto, che a stento resistette dall’arretrare di un passo di fronte a quella cruda consapevolezza. Tuttavia non lo fece, con il fiato sospeso ed una mano a mezz’aria, guardava quel ragazzo così grande e allo stesso tempo piccolo, le spalle larghe strette tra le mani apparivano così deboli e fragili, scosse da terribili singhiozzi che, non più trattenuti, colmavano quell’assordante silenzio che incombeva su di loro, insieme alla polvere.
Louis si morse il labbro. Cosa doveva fare? Aveva paura di sbagliare, aveva paura di commettere un altro errore, e aveva paura, la più grande, che tutto potesse finire, che tutto il dolore, le sofferenze fossero riusciti nel loro intento, spegnere quel piccolo barlume di speranza che riusciva a mantenere vivo quel difficile sentimento ormai stremato. Perché era chiaro a quel punto che non sarebbero più riusciti a sopportare tutto questo, le interviste sulle sua finta-ragazza, le foto di Harry in compagnia delle cantanti del momento, le fitte di gelosia, doversi nascondere dietro sguardi e sorrisi, piangere in silenzio la notte e svegliarsi con gli occhi stanchi e la voglia di mettere fine a tutto, di sfuggire da quella maledetta realtà che non li accettava. Louis non voleva arrendersi, ma forse sarebbe stato tutto più facile per entrambi dimenticare, forse sarebbero riusciti ad andare avanti, se solo uno dei due avesse avuto il coraggio di dire “basta”. Perché alla seconda possibilità, quella in cui lui aveva smesso di credere, non intendeva neanche pensarci.
Due occhi chiari comparvero da quello strato contorto di ciuffi scuri, rossi e circondati da ombre nere lo fissavano spalancati e atterriti. Aveva paura di lui, pensò addolorato. E preso da quel pensiero si era dimenticato di quanto Harry fosse capace di sorprenderlo, di mandare all’aria le sue aspettative con uno stupido gesto. Gli porse una mano.
All of my doubt suddenly goes away somehow.
E Louis si accorse solo in quell’istante della sua mano a mezz’aria. Non ci furono più domande, ogni dubbio venne cancellato da quel contatto senza che Louis si spiegasse il perchè, le dita si allacciarono, combaciarono in una stretta, come se fossero state create insieme e solo in seguito divise, i pezzi mancanti di un puzzle, una serratura e la sua chiave.
One step closer.
Un passo, più vicino.
Una mano tra i capelli.
Un altro passo.
Occhi negli occhi.
Passo.
I nasi si sfiorarono.
Passo.
Si baciarono.
Irruenza scaturiva da ogni gesto. Una mano strinse le ciocche arruffate della nuca attirandolo a sé, l’altra strattonò il bordo della maglietta e poi scivolò sul collo fino ad arrivare alla mascella dove con rabbia strinse quella pelle costringendolo ad aprire la bocca. Si insinuò in lui, non lo lasciò respirare, mordeva le labbra rosee ed invitanti, le lingue giocavano tra di loro. Gli si era sdraiato addosso senza neanche farlo apposta, incontrollati brividi gli percorsero la schiena quando sentì le mani di Harry aggrapparsi con violenza alle sue spalle. Si appoggiò con una mano sulla scala, mentre l’altra lo teneva fermo sotto di sé. Ansimi, gemiti, si diffusero nel salotto.
«L-Louis.»
«L-Louis, basta» strinse il suo labbro inferiore tra i denti, «Louis, smettila..»
Lo zittì famelico, e una sua mano scivolò sull’orlo dei pantaloni.
«LOUIS!»
Si bloccò. Con gli occhi sbarrati, il petto che si alzava furiosamente si allontanò da quelle labbra con il fiato mozzo. E si sentì mancare il respiro quando vide gli occhi verdi colme di lacrime che straripavano e corrodevano quelle morbide e rosee guance. E si sentì un mostro, quando capì che lo stava chiamando per fermarlo, perché lui, Louis, gli stava facendo male. Stava distruggendo quell’unica cosa che gli era rimasto con le sue stesse mani.
Harry spalancò gli occhi. «Louis» balbettò, «Non piangere».
Piangere? Si rese conto solo in quel momento che le guance di Harry erano bagnate dalle sue lacrime. Ammutolito, cadde all’indietro finendo seduto sul pavimento freddo. Su coprì il volto con le mani e tentò di cancellarsi con la manica del giubbotto quelle stupide lacrime che non accennavano a smettere. Non doveva piangere, non doveva.. non.
«Scusa» provò a ridere, «Ora la smetto, io..»
Le braccia di Harry gli circondarono il viso e si ritrovò con il naso affondato nel maglione caldo e bianco dell’altro. Provò a liberarsi facendo pressione, ma ad ogni tentativo si sentiva sempre più debole, stanco. Il dolore prese sopravvento e vinse di nuovo su di lui.
Rimasero così, stretti in quell’abbraccio caldo. Louis fece quasi un sorriso, il destino si era preso beffa di lui. Ora le posizioni si erano invertite, lo stesso ragazzo che un tempo gli si aggrappava al pigiama in lacrime terrorizzato dai tuoni, ora gli cingeva le spalle e con tenui sussurri gli diceva di calmarsi. Harry gli sollevò il viso e poi con delicatezza gli asciugò le ultime lacrime con i pollici, e racchiuse l’ultima con un bacio.
Poi deciso lo guardò. «Sono stanco, Louis.»
Louis sussultò. Era arrivata la fine. Si costrinse a non distogliere gli occhi, quella poteva essere anche l’ultima volta che si sarebbero guardati senza difese, occhi negli occhi, nudo uno di fronte all’altro.
«Coming out» disse invece Harry. Louis per poco non morì, «Sono stanco di dover fingere, di rinnegare noi. Non mi interessa più niente di ciò che penseranno la fans, di quanto calerà il nostro successo, di tutti i pettegolezzi che faranno su di noi, possono dire tutto ciò che vogliono, perché loro non sanno nulla di noi, non sanno ciò che tu sei per me, cosa hai fatto, e spesso me lo chiedo anche io, al mio cuore per ridurlo così. » disse senza fermarsi per respirare. Appoggiò la fronte alla sua e chiuse gli occhi, inspirò i loro respiri e sorrise, «Ho atteso troppo a lungo e non voglio più aspettare, voglio solo dire al mondo che tu sei mio, Louis.»
E Louis, abbassò gli occhi sulle loro mani intrecciate. «Sei disposto a perdere tutto ciò, la fama, le fans, i soldi, per me?» chiese sia a lui che a sé stesso. La sua di risposta la conosceva già.
Harry alzò le palpebre, le ciglia sfiorarono le guance di Louis che a sua volta lo guardò, in attesa «La domanda è: sono disposto a perdere te, per tutto ciò?»
 

Cause this love is only getting stronger
So I don’t wanna wait any longer
I just wanna tell the world that you're mine girl
 
They don’t know how special you are
They don’t know what you’ve done to my heart
They can say anything they want
Cause they don’t know about us.

 
- They don’t know about us, One Direction.



 





 




Ringrazio la milionesima volta Gaia per la revisione e la correzione, grazie.
Un grazie ancora a Louis e Harry che dopotutto non si sono ancora arresi.
Un grazie ai Trading Yesterday per Shattered che mi ha accompagnato durante la stesura.
Un grazie a Christina Perri e Steve Kazee per A Thousand Years che mi ha ispirato.
E un grazie a voi che mi avete regalato un attimo del vostro tempo per leggere questa one shot.

Alice.

   
 
Leggi le 14 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: anqis