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Autore: Shiniii    28/03/2013    1 recensioni
Sherlock era vivo.
Le rivelazioni, Le concessioni, La scoperta, La tristezza e la felicità, La cura...La Minaccia.
Tutto è cambiato e sta per cambiare ancora,
E non finirà mai.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Lestrade , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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John quella mattina si svegliò ritrovandosi con gli stessi vestiti che indossava la sera precedente. Si era addormentato sul letto semplicemente poggiato, dopo ore di preoccupazione, ragionamento e pensieri. Si svegliò dolorante e stanco come se non avesse dormito affatto, e con il viso secco che si ha dopo aver lasciato che le lacrime si asciughino da sole. Era giorno, e un pizzico di convinzione dentro di lui lo spinse a pensare ad agire. Si alzò di scatto, forse troppo velocemente. Non aveva fame, e dopo essersi sciacquato la faccia si diresse in salotto.
Il suo computer era in una strana posizione. Era del tutto probabile che lo avesse lasciato sul divano, ma era strano che si trovasse in verticale.

Sherlock.

Quella situazione era strana, John si ritrovava a dover pensare a tutto ciò che faceva senza che sembrasse sospetto. Aprì il pc con nonchalance e fissò lo sfondo per qualche secondo, giusto il tempo di capire ciò che Sherlock gli aveva lasciato. Era la foto di una tasca. John ci mise un po' a capire che si trattava della tasca del suo cappotto. Finse di stare al pc, mentre gli balenò in mente un idea per prendere quello che molto probabilmente doveva essere un biglietto senza che qualcuno si incoriusisse troppo.
Dopo circa 5 minuti, si diresse in cucina con carta e penna e controllò la dispensa ed il frigorifero, scrivendo ciò che mancava. Infilò il foglio nella tasca della giacca e sgusciò fuori dall'appartamento , destinazione supermercato.
John ebbe la conferma che qualcuno lo seguiva. A debita distanza, ma in quanto ex militare John capiva all'istante certe cose.
Fu un gioco da ragazzi aprire il foglio lasciato da Sherlock, una volta dentro il supermercato.

John, non preoccuparti, è tutto sotto controllo. Ti chiamerà una persona che ti dirà che c'è stato un delitto e che è richiesta la tua presenza. Ti darà l'indirizzo di un'area militare strettamente sorvegliata, quindi nessuno potrà seguirti al suo interno e verrai perquisito perciò se avai delle cimici saranno tolte e nessuno ti farà domande. Più tardi ti spiegherò perchè.

Giusto il tempo che serviva a John di alzare gli occhi e dire a se stesso qualche considerazione sul “solito” Sherlock, ed il suo telefono squillò da dentro la tasca.

John cercò di comportarsi il più naturalmente possibile, durante tutto il tragitto verso la destinazione e il controllo all'entrata della piccola base militare, che si trovava in periferia. Una volta all'interno scattò in lui una serie di paranoie sul se quel posto fosse davvero una protezione o poteva essere controllato anche lì.
Non disse praticamente nulla, fino al momento in cui è stato scortato all'interno di quella che sembrava una stanza abbandonata, nei meandri dell'edificio. Una di quelle stanze in cui si può arrivare solo se portati da qualcuno che ne conosce l'esistenza.
Fu quasi spinto all'interno e chiuso dentro.

Insieme a Sherlock.

Appena lo vide John ebbe una specie di cedimento al cuore. Sapeva benissimo che lo avrebbe incontrato e che con tutte le probabilità era al sicuro, però guardarlo, lì davanti a lui, con la sua espressione da “Oh, sei qui, non mi ero accorto di te perchè stavo pensando a cose più importanti” gli faceva quell'effetto.
John cominciò a vomitare parole, tutte quelle che dorante la scorsa penosa notte avrebbe voluto dire, o almeno una buona parte. Raccontò velocemente tutto l'accaduto. Tutta la tensione accumulata lo faceva reagire così, nervosamente. Non era più abituato al ritmo da campo nella quale la tensione fa parte integrante delle giornate.
Sherlock lo fissava, sembrando isolato da quell'onda di parole, mentre oltrepassava ogni cosa per arrivare dentro John, il quale se ne stava accorgendo, cominciando a perdere qualche parola.
Sherlock si avvicinò a lui senza alcuna esitazione e lo baciò. Inizialmente sembrava essere un'azione con lo scopo di tappargli la bocca. Poi sembrò un tentativo di calmarlo. Più il bacio si dilungava più era chiaro che in realtà Sherlock ne aveva semplicemente bisogno. In quel momento la mente di John era divisa in due. Da una parte era felice, sarebbe rimasto lì con Sherlock per ore senza problemi, assaporando i suoi baci senza mai stancarsi. L'altra parte aveva paura che entrasse qualcuno, che qualcuno li guardasse, che il tempo era prezioso. La seconda parte si offuscava sempre più rapidamente, fino a scomparire quasi del tutto.
Qualche minuto più tardi si trovarono seduti sul pavimento con la schiena al muro, in quella stanza bianca e vuota.
“Dimmi, come hai fatto ad ottenere il permesso di startene in una base militare senza un apparente motivo valido?” Chiese John.

“Ho un fratello simpatico.”

“Hai chiesto a Mycroft?” chiese John sorpreso.

Sherlock rispose con un espressione che voleva dire “non me lo ricordare”

“E dimmi, qual'è il piano?”

“Ancora una volta ce ne dobbiamo stare fermi mentre qualcuno ci mette il doppio del tempo a risolvere le cose. Sto pensando seriamente di cambiare identità.”

“Non lo faresti mai.”

“Perchè?”

“Perchè non potresti vantarti di essere Sherlock holmes.”

“Sono sicuro che troverei un nome altrettanto attraente. Come Alexander Knight”

John rise.

Mycroft aprì la porta come se volesse sorprenderli, senza riuscirci.

“A casa ragazzi, li abbiamo presi.”

“Dilettanti eh?”

“Diciamo che non erano di altissimo livello. La mandante è stata uccisa.”

“Non era lei la mandante. “ disse Sherlock, guardando nel vuoto.

“Come?”

“E' solo l'inizio, c'è qualcuno in alto. Un altra volta.”

Sherlock si alzò e John subito dopo di lui.

“Allora, andiamo a vedere?”

Sherlock sembrava un bambino che stava per aprire i regali di Natale.

“No, tu non veni a vedere niente. Vai a casa. Non siamo sicuri di aver preso tutti.”

 

John e Sherlock furono costretti, un po' per paura e un po' per minacce, a rimanere in casa a fare una normalissima e noiosissima vita. Senza poter avere alcun tipo di comportamento compromettente. Era passata una settimana. Sherlock si sentiva come un uomo che muore di fame con davanti una torta a 6 strati che non poteva nemmeno annusare.
La mattina del settimo giorno, Sherlock si diresse annoiato in cucina. John era lì, che aveva appena finito di preparare il tè e stava per berne una tazza, appoggiato con la schiena al bancone. Sherlock lo fissò, mentre andava per prenderne una anche lui. La vestaglia slacciata. Versò la bevanda e si diresse verso John, che beveva e lo fissava. Sherlock in modo molto invadente, gli si poggiò addosso per prendere lo zucchero nella credenza alta dietro di lui. John non potè fare a meno di sentire il suo profumo, la pressione su di se, la vicinanza, il respiro. Urlò nella sua mente, sbraitò, per non poter avventarsi sull'altro come se non ci fosse un domani. Sherlock sorrideva maliziosamente. Quel dannatissimo sorriso. Ogni volta che lo faceva otteneva ciò che voleva. Sherlock zuccherò il tè che aveva poggiato accanto a John, senza spostarsi dal suo corpo. John guardava in alto, cercando di nascondere ogni espressione di “esasperazione” dalla sua faccia. Senza grandi risultati, Ovviamente. Sherlock bevve qualche sorso, senza distogliere gli occhi da lui.
Il loro rapporto era strano. A volte ci mettevano ore a riavvicinarsi, altre due secondi. Non si allontanavano mai in realtà ma nessuno dei due sapeva bene come comportarsi quando voleva l'altro. Inoltre, una cosa che John amava e odiava di Sherlock, era la sua totale imprevidibilità.
Quell'imprevidibilità che stava per manifestarsi in quel momento.
Sherlock cominciò a stuzzicarlo, dandogli piccoli baci e sfiorando le labbra con le sue. Gli occhi socchiusi, la bocca umida. John non ebbe la forza di opporsi in alcun modo. Al diavolo tutto, erano giorni che non aveva modo di avvicinarlo. Sherlock insinuò la sua mano, lentamente, nei pantaloni di John, che in quel preciso momento ebbe degli impulsi fortissimi e nel suo cervello stava per rimanere davvero poco sangue. Strinse la mano su di lui e gli morse le labbra. Nella testa di entrambe passò l'idea che quel momento era estremamente divertente.
Cominciarono a baciarsi sempre con più passione, mentre i movimenti aumentavano.
Suonò il campanello.
Se i pensieri di John si fossero potuti sentire, dall'altra parte di Londra l'avrebbero sentito urlare di rabbia.
Sherlock si diresse in modo molto veloce verso la porta, mentre John cercò di ricomporsi e si diresse nella camera da letto.
La signora Hudson.
Sherlock amò il fatto che era lei, che avrebbe potuto liquidarla in pochi secondi e che poteva tornare da John. A fargli del male. Nel senso buono. Riuscì a dire una frase abbastanza convincente in modo veloce, lasciando la signora Hudson fuori l'appartamento in 5 secondi.
Si tolse la vestaglia in modo avido, mentre camminava a passi larghi verso la camera, mordendosi le labbra. Si avventò contro John, facendolo sbattere sull'armadio, baciandolo ardentemente e togliendogli i vestiti. John non riuscì a pensare a niente, mentre i suoi battiti correvano all'impazzata e desiderava più di ogni altra cosa togliersi velocemente quei jeans che stavano diventando così stretti sul cavallo. John ebbe il sopravvento, spingendo l'altro sul letto, spogliandolo completamente e toccando ogni parte del suo corpo. Esitò qualche secondo. Lo guardò. La sua pelle bianca, il suo collo teso, i suoi occhi socchiusi e le labbra che si mordeva. Si sentì come si sarebbe dovuto sentire un lupo mannaro durante una trasformazione. Non stava capendo più nulla. Nessun altro pensiero all'infuori di Sherlock in quel momento. Spostò la sua mano sul petto, sugli addominali, sempre più giù, mentre gli baciava il collo con ampi respiri.

“John..”

Dio, quanto amava essere chiamato così. In quel modo. Da quella voce ansimante, vicino al suo orecchio. John sentì il bisogno di dire qualcosa che si accorse di dire quasi sempre. Non sapeva perchè, ma amava non sentire alcuna obbiezione.

“Sei mio”

Nessuno dei due avrebbe più pensato il contrario. Mai.

  
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