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Autore: La Mutaforma    29/03/2013    2 recensioni
Quanta tristezza hai dovuto affrontare, amico mio? Quanto valgono adesso le tue fughe, il tuo imbarazzo?
Dov’è l’amore?

Feliciano pianse più forte, perché tanto Ludwig era dietro di lui e non poteva vederlo.
O forse perché era solo un bambino, e per i bambini non c’è vergogna a piangere.  
Qualcuno ha creato il mondo, bello come niente. Ci ha regalato il cielo, le stelle, il sole, il mare, la musica. Abbiamo inventato l’amore.
Eppure ci facciamo la guerra. 
Genere: Guerra, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Chibitalia, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Ungheria entrò nella stanza con una tinozza d’acqua e delle bende.

“Ho già provveduto io” rispose la voce graffiante di Gilbert che le dava le spalle, mentre guardava oltre la finestra.

“Non sai fasciarti le ferite, Gilbert. Non hai mai saputo farlo”

Lui si voltò; la camicia coi lacci allentati mostra solo in parte una stretta fasciatura che gli attraversava il petto, e un’altra che gli stringeva un braccio.

Era pallido e smagrito, e sembrava aver perso molto sangue.

“Non siamo più bambini, Eliza”

“Sì, lo so. Ormai nessuno più gioca”

“Qui la guerra si fa. La guerra è vera”

“La guerra è finita” lo corresse lei, fiduciosa. L’albino annuì lentamente, e si adagiò con cautela su una poltrona, non senza una smorfia di dolore.

Lei gli si avvicinò e gli porse la mano e un sorriso, inginocchiandosi di fronte a lui per guardarlo negli occhi. Aveva lo stesso sguardo materno che avrebbe avuto con Feliciano.

“Ti porto qualcosa da mangiare, sei stanco”

“So provvedere a me stesso”

Lei sorrise e gli prese la mano. “Non è vero Gilbert. Sai solo difenderti. Sei sempre stato bravo con la spada, fin da bambino. Adesso lascia che sia io a prendermi cura di te”

Lui perseverò con ostinazione nel suo silenzio.

Eliza sospirò, sollevandosi da terra.

“Non c’è vergogna nel farsi aiutare, di tanto in tanto”

Prussia sorrise solo quando sentì chiudere la porta.

Di tanto in tanto.

Di tanto in tanto, lei c’era sempre stata.  

 

Feliciano era inquieto. Ci aveva pensato per giorni, prima che la guerra finisse. Adesso, i suoi dubbi riaffioravano con violenza e chiedevano risposta.

La carta nascosta sotto la camicia sembrava bruciare come una sottile lingua di fuoco e di perfidia.

Ma non c’era cattiveria nei suoi intenti.

Solo una gran confusione che non riusciva ad ordinare.

Ma Prussia… lui l’avrebbe chiarito.

Si avvicinò silenziosamente, stringendo la mappa tra le mani e mostrandola a Gilbert.

“Ebbene?”

“So cosa stai facendo. So cosa farai”

Prussia fece un sorriso sgangherato. “No, non me ne andrò se è quello che pensi”

“So che non te ne andrai” L’espressione del ragazzino era dura, enigmatica “Tu vuoi fare del male al padrone Austria”

Gilbert tacque, indeciso su cosa dire. Se rinnegare oppure confessare.

Si sedette sul muretto accanto al porticato, e invitò il bambino a fare lo stesso.

“Ho fatto un grave errore, Feliciano. Tanti anni fa”

Il bambino lo guardò con i suoi grandi occhi marroni sgranati “Intendi quando Sacro Romano Impero….”

“No. I miei errori non sono finiti quel terribile giorno”

Feliciano gli si sedette sulle ginocchia e gli sorrise. Il tedesco non lo spostò, anzi, lo strinse a sé. Sotto quell’ottica, Gilbert non sembrava una cattiva persona.

Qualcosa lo tormentava. Era quel dolore che si portava dietro, come una pesante catena.

“E’ successo meno di venti anni fa. Ho…rifiutato aiuto a qualcuno che ne aveva bisogno”

“Chi ne aveva bisogno?” chiese il bambino, inclinando la testa sulla spalla.

“Il mio fratellino”

Italia rifletté, confuso. “Ma vent’anni fa… Sacro Romano Impero era già caduto…”

Spalancò gli occhi e trattenne un urlo che Gilbert gli spezzò premendogli una mano sulla bocca.

“Ora sta zitto, e ti racconterò tutto”

 

Quella notte Feliciano continuò a rigirarsi incredulo nel letto, premendo il viso sul cuscino. Gli sembrava di sentire ancora quelle parole.

Devi aiutarmi.

Aiuta mio fratello.

Salva il mio piccolo Ludwig.

Il bambino si girò sulla schiena e mandò uno sguardo a Ungheria, che gli dava le spalle, i lunghi boccoli castani distesi morbidamente sul cuscino e il lenzuolo.

Guardò il soffitto.

In che guaio mi sono cacciato?

 

“Successe per un litigio stupido. Era l’inverno del 1847. Ero andato per trascorrere il Natale con il più piccolo dei miei fratelli, Ludwig. In famiglia non parlavamo molto, e la morte di Sacro Romano Impero ci aveva resi tutti più nervosi. Ludwig era il suo gemello, sai?

Non so se il mio errore fu presentarmi a Francoforte quel giorno, oppure non essere stato con lui abbastanza a lungo. Mi disse che voleva diventare una nazione. Voleva essere libero, indipendente dall’Austria. Voleva restare con me. E poi prendere il posto di Sacro Romano Impero. Esplosi. Forse non fu nemmeno colpa sua. A distanza di vent’anni penso che la sua richiesta fosse più che giustificabile… ma il modo in cui la porse mi fece infuriare. Gli dissi che lo avrei mai appoggiato, e che per me non avrebbe mai preso il posto di Sacro Romano Impero. 

Partii quel giorno stesso, prima della fine dell’anno. Il 27 Marzo scoppiò la rivoluzione a Francoforte. Mio fratello mi mandò una lettera. Non ce l’ho con me perché la bruciai. In quella lettera, da regno indipendente, mi offriva la corona di re di Germania”

“E tu che facesti?”

“La rifiutai. Vent’anni fa ero ancora contrario alle rivoluzioni… avevo un modo di vedere le cose… diverso. Mi rendo conto di aver sbagliato. Ma il mio errore non fu questo”

“Cosa accadde?”

“Andai a Francoforte. Mi dissero che mio fratello era fuggito. La sua fuga non durò a lungo. Lo raggiunsi a Stoccarda. Lì si arrese. Tornai a casa, a Berlino, e ripensai quello che avevo fatto. Ricordo che nel pieno della notte saltai a cavallo e tornai a Francoforte. Mio fratello era sparito. E da allora sono vent’anni che non lo vedo. Tutto ciò che so è che Austria sa dov’è. Lo sa di certo. Ma non mi ha mai detto dove”

 

Ti prego. Salva mio fratello.

Feliciano chiuse gli occhi, e cercò un pensiero tranquillizzante che gli conciliasse il sonno.

 

“Ti aiuterò. Sono pronto ad assisterti. Ma voglio che anche tu aiuti me”

“Cosa vuoi in cambio?”

Glielo sussurrò all’orecchio, anche se non era un segreto, né per lui né per nessun’altro.

“Ah, già. È comprensibile. So cosa vuol dire sentire la mancanza di un fratello”

 

Si addormentò, sognando il suono tranquillo della laguna sotto i ponti di Venezia.

 

In quei giorni tutta la reggia si vestì di una falsa quiete, di un silenzio spoglio di tranquillità e ansioso come un respiro estraneo.

Che ci fosse o no il padrone Austria non faceva molta differenza. Erano liberi in una casa non loro, eppure nessuno dei due poteva andare via.

Quel giorno Ungheria stava preparando la pasta sfoglia per preparare il rétes. Sul tavolo, tra la farina e il burro, la ragazza aveva lasciato un vassoio di mele, prugne e amarene, e un piattino di ricotta.

Feliciano allungò una mano a rubare una ciliegia, la più tonda e la più scura.

Guardando dalla finestra aperta appurò che anche l’estate era trascorsa velocemente, per lasciar spazio ad un lento autunno e un vento fresco e piacevole.

“Che stai disegnando di bello, Ita-chan?” chiese Eliza, pulendosi le mani sul grembiule.

Lui alzò il foglio. “Questi sono i ponti di Venezia. Sono belli, vero, Eliza? Sì?”

La ragazza gli sorrise con comprensione. Anche a lei mancava molto la sua casa. “Sì, sono molto belli. E tu sei molto bravo a disegnare”

“Dov’è andato Gilbert?”

La ragazza si sorprese che ormai lo chiamasse per nome così liberamente.

“E’ a Berlino, credo. La guerra è finita, Ita-chan”

Lui la guardò, stringendo gli occhi. Poi rise leggermente.

“Ah, che sciocco, l’avevo scordato”

 

Feliciano trascorreva il suo tempo disegnando, magari canticchiando.

Sembrava completamente esule da quell’ansia soffocante che avvolgeva il palazzo reale.

La sua vocetta risuonava tra i corridoi del palazzo.

Talvolta era lugubre.

Ma Feliciano cantava e passeggiava per i corridoi, fingendo che tutto gli interessasse, o che nulla gli piacesse particolarmente.

Era un ragazzino strano.

Ma nessuno, tranne lei, poteva avvertire la stranezza di quel sorriso incrinato.

 

“Cosa sono quelle scale, Eliza?”

Lei si voltò. Era le scale buie delle segrete. A volte ci passava vicino quando entrava nella porta di servizio alle spalle della reggia.

“Uhm, non lo so, Ita-chan”

“Sono le prigioni?”

Lei finse di ridere. “Prigioni qui, a palazzo, Ita-chan? Non è un po’ assurda come cosa?”

Il bambino si imbronciò.

“A Venezia c’erano dei palazzi con delle segrete”

“E anche se fosse, chi potrebbero rinchiuderci?” fece lei, scherzosa, posando in un angolo la scopa.

“Qualcosa che nessuno deve vedere!” disse Feliciano, con un ampio sorriso. Eliza si unì alla sua risata, allegramente.

“Sarebbe una storia molto avvincente, Feli. Adesso andiamo però. Ho lasciato l’impasto a crescere, se ci sbrighiamo prima di sera il rétes sarà pronto!”

Il bambino si fece parte del suo entusiasmo, saltellando e sorridendo.

Mentre uscivano rivolse un ultimo, timido sguardo alle scale, ma nessuno se ne accorse.  

   
 
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