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Autore: Annabeth Hazel    29/03/2013    4 recensioni
Quella sera la luna splendeva alta e prepotente, come una signora della notte che vegliava sul loro operato e per El era molto difficile non pensarci.
Sentiva l’incessante desiderio e bisogno di guardarla, osservarla, respirarne il sapore nell’aria ottobrina e anche se la cosa non le tornava, una forza maggiore la spingeva a seguire i suoi bisogni, il suo istinto.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Danza delle streghe'
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“È tutta colpa della luna, quando si avvicina troppo alla terra fa impazzire tutti.“ (William Shakespeare) 
 
Musica commerciale le colpì prepotentemente le tempie e i timpani.
Elouise entrò in casa Darcy in compagnia dei suoi inseparabili amici: Evelyn, James e Edward.
Era una delle tante feste del sabato sera e come sempre loro, anche senza invito si erano imbucati in cerca di puro e semplice divertimento.
Janette Darcy, ragazzina del secondo anno, ricca figlia di papà aveva organizzato nei minimi dettagli la sua piccola, “intima” festa, sicura che la situazione non le sarebbe assolutamente sfuggita di mano: era una festa in maschera (in pieno ottobre), nulla di perverso, nulla di sensuale, assenza di alcolici, assenza di musica ad alto volume, pochi e stretti amici… a quanto pareva la situazione era degenerata nel giro di pochi minuti; l’intero corpo studentesco della Haymitch School era arrivata in un’unica ondata nella tranquilla magione e aveva rovinato la tranquilla festicciola che la tranquilla ragazzina aveva in mente.
Evelyn aveva deciso di indossare un vestito di pelle da gattina sexy, era a caccia di poveri malcapitati quella sera; James aveva optato invece per il travestimento da capitan Jack Sparrow, era un personaggio che gli calzava a pennello, lui era la quintessenza della stranezza mentre Ed indossava semplicemente un paio di jeans e una maglietta, le ragazze gli sarebbero cadute ai piedi comunque non era di certo un problema.
Elouise, bellissima, illuminava la stanza.
Sembrava appena uscita da un racconto greco con indosso un vestito bianco fino alle ginocchia, bloccato in vita da una larga fascia dorata, i capelli erano raccolti in una larga e scoordinata treccia laterale, sulla fronte una piccola fascia come quella alla vita e la sua immancabile catenina d’oro col ciondolo di pietra.
Elouise Evans incantava sempre tutti grazie ai suoi occhi, all’intensità del suo sguardo. 
Occhi scuri come la pece, come liquido e vivo oro nero, dolci e ammiccanti.
Appena entrarono i quattro ragazzi, una decina di loro coetanei li accolsero come se fosse compito loro, Elouise sorrise leggermente.
A tutti sembrò un timido e cortese sorriso, il suo invece era solo un passivo ed annoiato sorriso di circostanza, quella sera non aveva davvero voglia di ballare tra corpi pieni di ormoni a mille.
Si sentiva davvero strana, in macchina Ev le aveva fatto notare il suo silenzio, aveva passato tutto il tempo a fissare il cielo.
Quella sera la luna splendeva alta e prepotente, come una signora della notte che vegliava sul loro operato e per El era molto difficile non pensarci.
Sentiva l’incessante desiderio e bisogno di guardarla, osservarla, respirarne il sapore nell’aria ottobrina e anche se la cosa non le tornava, una forza maggiore la spingeva a seguire i suoi bisogni, il suo istinto.
Qualche ragazzo le fece spudoratamente la corte, ragazzi di sempre, ragazzi sconosciuti.
A quel tipo di feste era normale parlare con chiunque, provarci con chiunque, fare sesso con chiunque, ma come se rinchiusa in una bolla di vetro non li degnò neppure di un semplice sguardo e trovando una porta finestra poco più in là, la puntò ed uscì nell’aria fresca, poggiandosi col busto alla ringhiera e osservando incantata la luna.
Bellissima” pensò estasiata.
 
Bellissima” pensò estasiato.
Gabriel rimase incantato da tale bellezza.
Non la conosceva di persona, ma aveva sentito parlare di lei: dei suoi occhi ammalianti, della sua intelligenza fuori dal comune e della sua bellezza disarmante.
Ora, una delle ragazze più richieste della sua scuola era su un piccolo balcone, tutta sola ad osservare assorta il cielo.
Gabriel Collins era vestito da moschettiere e non era un segreto il fatto che fosse arrivato alla festa con gli altri tre.
Senza pensarci due volte si avvicinò alla porta-finestra per osservarla meglio, senza farsi notare.
Era davvero una situazione romantica, pensò, sarebbe potuto andarle vicino, cingerle le spalle e baciarla senza preavviso e tutto sarebbe sembrato perfetto.
Il balcone si affacciava su di un grande giardino ai confini di un’oscura foresta. Non era molto alto, un metro e mezzo (al massimo) di altezza dal suolo.
Tutto taceva lì fuori, persino la musica spacca timpani all’interno della casa sembrava portare rispetto per la scena di fronte ai suoi occhi.
Prese un respiro profondo e cercò tutte le forze per uscire sul balcone e mettere in atto il suo piano ben congegnato, ma qualcosa lo bloccò.
Elouise si era appena tolta le scarpe, calandosi giù dal balcone e scendendo a piedi nudi nel giardino ben curato.
Sembrava seguire una strada tutta sua, continuava a fissare il cielo.
Preoccupato Gabriel uscì e richiuse la porta dietro di sé in modo da non destare sospetti, a quel punto prese le scarpe della strana ragazza e si calò agilmente dal balcone.
Ma non è che mi sono invaghito di una spostata?” pensò scherzoso Gabriel, osservando Elouise che lentamente camminava.
Quando finalmente con uno scattò la superò e le si parò davanti, quello che vide lo fece quasi urlare dal terrore.
I peli sulla nuca gli si rizzarono dalla paura, non era pronto a quello che stava vedendo in quel momento.
Tutto quello che Gabriel vedeva era il suo viso estasiato rivolto al cielo e i suoi occhi vuoti, persi e grigi.
Di un grigio glaciale, come quello che la luna rifletteva in quel momento.
Persino le sue iridi erano sopraffatte da quel colore vivo e imponente.
Seguiva un percorso tutto suo.
Stava andando verso la foresta, a piedi nudi, col suo vestito bianc…
BUM.
Il rumore sordo del suo cranio fu attutito dal manto erboso sotto al suo corpo.
Qualcuno, qualcosa di ruvido e forte, gli aveva acchiappato le caviglie e lo stava trasportando di peso, come un carretto dei gelati.
Aveva paura, gli faceva male tutto, la testa gli pulsava all’impazzata e un liquido caldo gli stava impregnando i capelli bronzei.
L’ultima cosa che ricordò prima di perdere i sensi fu la maestosità della luna e la sensazione che un peso morto al suo fianco veniva trascinato, inerme, proprio come il suo.
La luna era un cerchio perfetto stanziato in lontananza.
Evelyn rise sommessa vedendo da dietro una tendina il ragazzo calarsi dal balcone dietro alla sua Elouise.
Si sarebbe finalmente divertita anche lei, si disse decisamente rincuorata tornando sull’improvvisata pista da ballo.
La luna emanava forza, emanava controllo dalla sua posizione imperiosa.
Due corpi venivano trascinati contro la propria volontà verso la foresta, verso le tenebre, verso qualche spazio oscuro all’ombra di qualche fitto albero.
Lontani dalla luna, lontani dal controllo.
 
Quando Elouise si destò quella mattina si ritrovò dolcemente cullata dal suono del silenzio, in un angolo remoto della tranquilla foresta, le labbra bagnate dalla pallida luce mattutina.
Sola.
Non capiva come aveva fatto ad arrivare lì, ma non se lo chiese, tutto appariva così naturale e giusto.
Perché chiedere spiegazioni, quando in fondo hai la sensazione di essere dove devi essere?
E soprattutto perché chiedere spiegazioni, quando sai che nessuno, oltre a qualche animaletto, potrebbe dartene?
Si sentiva forte, colma.
Bisognosa di nulla, forse solo di una tazza di latte e cereali zuccherati.
Si sedette con le spalle poggiate ad un tronco e con la testa sulle ginocchia piegate ed ammirò la piccola radura.
Sembrava uscita da una di quei polverosi libri di fiabe della nonna, l’erba verde bagnata di fresca e pura rugiada cominciava già a raccogliere i primi segni di un autunno colorato.
L’aria era ferma, eppure qui e là qualche foglia cadeva dagli alberi tutti intorno.
Una particolare foglia colpì l’attenzione della ragazza.
Ai confini della radura, poco più in là, una foglia giaceva inerme, morta, immobile (anche troppo).
Elouise si alzò e con estrema tranquillità si avvicinò, fino a quando la consapevolezza che qualcosa di sbagliato era accaduto non le vibrò nelle ossa.
Probabilmente lo aveva capito nel momento esatto in cui l’aveva vista, ricordi, sprazzi di memoria di una strana notte arrivarono improvvisi, incontrollati.
La festa.
Il balcone.
I piedi nudi.
Un ragazzo.
Uno strano ragazzo la guardava impaurito.
La luna, alta e prepotente.
L’erba fresca sotto i piedi.
La musica attutita dalla lontananza.
Il disperato bisogno di seguire qualcosa.
La sensazione che qualcosa le stesse sfuggendo di mano.
Un colpo, dolore.
La luna.
Buio.
Un dolore all’altezza della nuca prese vita, come se il vero colpevole fosse il ricordo e non il colpo stesso.
Gomiti e braccia graffiate, capelli pieni di erba e foglie secche, particolari che solo ora aveva notato.
Ma i suoi graffi erano stati medicati, nonostante la fattura grezza il dolore era solo un ricordo.
Fisso, ronzante, sottile.
Ma ora, era importante intervenire.
Il ragazzo sembrava in condizioni pessime; contusioni ovunque.
Qualcuno lo aveva maltrattato pesantemente e senza scrupoli, non c’erano dubbi.
Entrò con circospezione nella penombra. Tastò il territorio come un animale esperto, dettato dall’istinto e si calò sulle ginocchia per aiutare il compagno di avventure.
Era il ragazzo della sera prima, solo conciato peggio.
Gabriel giaceva a terra con le mani piene di sangue raffermo.
Probabilmente aveva cercato di fermare il flusso di sangue proveniente da un punto imprecisato della sua testa.
Aveva subito pugni, calci su tutto il corpo ma non se n’era neppure reso conto, avrebbe sofferto non appena avrebbe ripreso i sensi.
Elouise gli scostò i capelli dal collo, pronta a capire a grandi linee la gravità dei danni: la ferita si era rimarginata.
Avrebbe dovuto fare una doccia bollente per riscaldare i muscoli, avrebbe avuto dolori ovunque, stare per un po’ fermo sotto le coperte, ma tutto sommato stava benone.
La luna era stata clemente con lui.
 
Il risveglio di Gabriel fu nettamente diverso da quello di Elouise.
Un brivido gli percorse la nuca, “che freddo, mamma avrà di nuovo aperto tutte le finestre” pensò ancora ad occhi chiusi. 
Cercò distrattamente il lembo del piumone per salirlo fin sopra ai capelli e continuare a dormire, ma quel movimento fu l’indizio preciso che gli fece prendere atto dei fatti.
Dolori in tutto il corpo si risvegliarono, un sussulto arrivò al suo orecchio, la brina fredda impregnava i suoi vestiti e mani delicate lo tastavano timorose di peggiorare la situazione.
Il ragazzo aprì gli occhi, impaziente di capire la verità.
Davanti a sé il sottobosco vivo e pulsante riempiva la sua visuale, il bosco tenebroso e oscuro era solo un incubo, un ricordo da dimenticare.
Con netta difficoltà girò la testa, fino ad incontrare un gran paio di occhioni.
- Elouise Evans incantava sempre tutti grazie ai suoi occhi, all’intensità del suo sguardo. 
Occhi scuri come la pece, come liquido e vivo oro nero, dolci e ammiccanti. -
Per un instante interminabile la sua mente si riempì di quel colore insolito e colmo. Come un balsamo tutta la sua inquietudine sparì, c’era solo voglia di sapere nel suo animo, voglia di capire..
- Tutto bene? - chiese titubante Elouise, avvicinandosi al viso del ragazzo - Io sono Elouise. - continuò sorridendo.
- Io.. - rispose scoprendo di avere la gola secca e la voce roca - sono Gabriel e sinceramente non lo so come sto. - disse facendo una smorfia.
Elouise lo aiutò a sedersi e ad appoggiarsi con la schiena su un tronco, provocando gemiti e sospiri mozzati di Gabriel, che faceva di tutto per trattenere il dolore e non far preoccupare ulteriormente la ragazza.
Per un po’ stettero così, uno poggiato ad un tronco scomodo ad osservare i numerosi ematomi su tutto il corpo, ricordando il terrore provato la sera prima e l’altra seduta a lato con le gambe incrociate a tentare di ripulirsi le mani dal sangue.
- Hai qualche ricordo di ieri sera? - chiese Gabriel destando in Elouise un senso di inquietudine.
- In verità il mio ultimo ricordo risale a quando sono uscita di casa.
- El, ieri sera, quando ti ho rincorso per portarti le scarpe.. - cominciò il ragazzo ancora turbato dalla scena della sera precedente - tu.. I tuoi occhi erano strani.
- In che senso “erano strani”? - chiese enfatizzando le ultime due parole.
- Ecco erano grigi, non si vedevano neppure le pupille! - terminò guardandosi le mani, incredulo che quello fosse successo davvero.
La ragazza sembrò crederci in un primo momento, come se non le fosse nuova una situazione del genere, come se in un posto nascosto della sua mente qualcuno le suggerisse di credere a quello che aveva detto Gabriel, ma osservando il ragazzo al suo cospetto addolcì lo sguardo e passandogli una mano sulla fronte disse - Gabriel non sei nello stato adatto per affermare il vero. Mettiamo da parte quello che è successo ieri per ora, troviamo il modo per tornare in città.
Collins rimase deluso dalla sua reazione.
In quel momento non era sicuro di niente, neppure del suo vero nome, tranne del dolore che provava e degli occhi di Elouise della sera prima, ma decise comunque di rivedere le sue priorità - Ho il cellulare negli stivali - disse stanco - potresti prenderlo?
Elouise chiamò i soccorsi e solo dopo essersi assicurata il loro arrivo, avvisò i genitori di entrambi di raggiungerli all’ospedale, senza preoccuparsi più di tanto.
- Ora ci tocca solo aspettare - disse in un soffio Gabriel, il quale si sentiva più debole ogni secondo che passava.
Più in là, in piedi, in mezzo alla radura, Elouise Evans fissava il cielo.
La luna di giorno non era poi così potente, ma in un aspetto non era mai carente: la sua presenza era costante, incombente.
Elouise sorrise soddisfatta.
Figlia della luna, figlia di nessuno.


*Annie's corner
Ok, in pratica questo dovevo presentarlo ad un concorso ma poi non se n'è fatto più niente, perchè non mi avrebbero dato i diritti d'autore (e scusate il francesismo) ma STI CAZZI IMPANATI E FRITTI se davo a qualcuno il mio mini-racconto senza diritti d'autore.
Ci sono stata dietro per un po', a differenza delle altre "storie" quindi ci tengo particolarmente.

Ps. Dè spero ti piaccia *^* *attende anche lei*
   
 
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