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Autore: Elly    29/03/2013    1 recensioni
"Harry si allontanò dalla camera dei figli e si diresse nella propria camera da letto, chiudendosi piano la porta alle spalle. Di tutte le lettere, di tutte le persone del mondo proprio non si sarebbe aspettato…rilesse le prime righe, sempre più incredulo."
Harry Potter riceve una lettera via gufo da una persona totalmente inaspettata e si rende conto, divertito, che i Dursley hanno tutt'altro che chiuso con il mondo della magia.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dudley Dursley, Harry Potter
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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Corrispondenze

***
Se c'era una cosa che il bambino sopravvissuto detestava più di qualsiasi altra era rimanere a casa da solo con i bambini. Adorava i suoi figli, ma trascorrere con loro più di otto ore senza un attimo di pausa era più di quanto potesse sopportare, in quanto erano un'inesauribile -e continua- fonte di guai. James Sirius, in un perfetto mix di coloro da cui aveva ereditato i nomi, ne combinava una più del diavolo e trascinava in mezzo ai guai anche il fratellino più piccolo. Roba che, al decimo vetro rotto ai vicini -babbani- c'era da uscirne matti. Harry stava giusto discutendo con il suddetto vicino che no, neanche lui si spiegava come diavolo fosse possibile che una semplice pallonata avesse fatto saltare il comignolo invadendo il salotto di fuliggine.

 

-Senta, sono molto dispiaciuto di quanto successo e provvederò a mandare qualcuno che sistemi il danno-

 

Disse Harry ad un tratto, interrompendo l'avvincente racconto di come il gatto della zia, terrorizzato dal botto, si fosse rifugiato sotto un centrino dal valore inestimabile, distruggendolo. Risolta la disputa, Harry rientrò in casa sbattendo la porta talmente forte da far tremare le pareti. 

 

-JAMES SIRIUS POTTER!-

 

Urlò dal fondo delle scale, deciso a dare una lavata di capo al più grande dei suoi figli. Un'immagine di suo padre e di Sirius da giovane che correvano per i corridoi di Hogwarts fece capolino nella sua mente, ma lui fece di tutto per scacciarla.

Quando al secondo richiamo suo figlio ancora non si fece vedere, Harry Potter decise che ne aveva abbastanza; salì le scale due gradini alla volta, spalancò la porta della camera di James e per un attimo rimase senza parole: seduto sul letto circondato dai fratellini, il ragazzo aveva in mano una lettera stropicciata e, mano a mano che leggeva, la sua aria si faceva via via più accigliata. 

 

-Cosa state combinando voi tre?-

 

Domandò Harry, dimenticandosi per un attimo il motivo per cui li aveva cercati. La piccola Lily si voltò verso il padre con uno sguardo confuso.

 

-E' arrivata una lettera strana, papà. Sarebbe stata per te, ma James è un curiosone!-

 

-Ehi, non è vero! Solo che a quanto pare viene da un parente di cui papà non ci ha mai parlato e volevo solo saperne di più!-

 

-Si può sapere di cosa state parlando voi due? James, dammi quella lettera!-

 

Disse Harry in tono categorico, tendendo la mano. James osservò l'espressione del padre e sbuffò, ma gli tese i fogli stropicciati senza replicare. Harry scorse le prime righe, ma dopo pochi attimi si costrinse a rileggerle perché la sua mente si era rifiutata di credere che tutto ciò fosse possibile. 

 

-Papà? Tutto bene? Sei un po' pallido…-

 

Domandò Lily, guardandolo con un'espressione talmente simile a quella di Ginny da far quasi ridere. Harry staccò a fatica lo sguardo dai fogli che aveva in mano e portò meccanicamente una mano sulla testolina della figlia.

 

-Tutto ok, tesoro. Ora potete fare un favore a vostro padre? State tranquilli per un po', d'accordo? Niente finestre rotte e comignoli che saltano per aria…-

 

Harry si allontanò dalla camera dei figli e si diresse nella propria camera da letto, chiudendosi piano la porta alle spalle. Di tutte le lettere, di tutte le persone del mondo proprio non si sarebbe aspettato…rilesse le prime righe, sempre più incredulo.

 

-Si può sapere cosa diceva quella lettera?-

 

Domandò Albus, guardando il fratello con le sopracciglia inarcate.

 

-Papà aveva una faccia da paura e non gli capita spesso di sconvolgersi in questo modo-

 

James si passò una mano tra i capelli corvini, perennemente arruffati come quelli del padre.

 

-Ti giuro che non ne ho idea. Mai sentito che avessimo un parente chiamato Dursley...-

 

***

 

"Harry, non so davvero da dove cominciare questa lettera; non amo scrivere e non so neppure se ti arriverà, non mi ha mai convinto questa cosa dei gufi, ma Penny mi assicura che funziona, quindi le credo e ci provo. Sicuramente non saprai chi è Penny e non me ne stupisco, dato che ci siamo persi di vista da quell'ultimo saluto nel salotto di casa mia, con papà che sbraitava e mamma che nascondeva le lacrime nel suo fazzoletto. Non ho mai sentito la necessità di cercarti in questi anni perché non c'è mai stato questo grande affetto tra noi, però a volte ti ho pensato e mi sono chiesto se, superata quella che è stata la più grande battaglia della tua vita, tu sia poi riuscito ad andare avanti. Se oggi mi sono deciso a scriverti è stato perché qualche mattina fa, di buon'ora, un grosso gufo marrone ha lasciato cadere nella tazza del porridge di mia figlia una lettera. E' stata ammessa ad Hogwarts. Mia moglie non stava più nella pelle dalla gioia, ma la mia reazione è stata un po' diversa. Forse è meglio procedere con ordine. Dopo la partenza da casa nostra ed un periodo di trambusto in cui maghi sconosciuti erano con noi ad ogni ora del giorno per proteggerci, papà ha deciso che ne aveva abbastanza e, senza dire nulla a nessuno, ha acquistato a buon prezzo una villetta nella periferia di Londra, facendoci trasferire in gran segreto. La scena ancora la ricordo, era notte fonda e ci ha fatto andare via dalla  casa scelta per noi dai maghi in silenzio, con le scarpe in mano, come se fossimo ladri. Con il tempo ho poi capito che in realtà ci avevano lasciato trasferire perché avevano già reso la nuova casa scelta da mio padre "sicura", ma al tempo ero ingenuo e anche un po' spaventato da questo andirivieni di persone che, con il tempo trascorso con i miei genitori, avevo imparato a temere. La nuova casa era carina e non ci misi molto a crearmi la mia banda di amici, con i quali tentai di continuare la mia solita vita da bullo (perché questo ero, e ora lo riconosco). Sigarette, nottate fuori a distruggere tutto ciò che ci capitava a tiro, qualche tirata d'orecchie dalla polizia e poi tutto ricominciava. Eravamo temuti e malvisti, ma questo ovviamente non tangeva i miei genitori, che continuavano a vedermi sotto la luce dorata dell'infanzia. Ci attaccavamo a tutto e tutti e non esitavamo a prendercela anche con i bambini, quando eravamo particolarmente annoiati. Successe proprio in uno di quei pomeriggi di noia; eravamo appoggiati al cancello di un vecchio parco giochi, ormai in rovina, quando due bambini ci passarono accanto, lanciandoci un'occhiata spaventata. Bastò quello per far scattare Steve, il più vecchio del gruppo, che tese la gamba e fece inciampare il più piccolo, facendolo rovinare a terra. All'epoca mi sembrava un divertimento innocente, ora riguardo a quei momenti con un misto di orrore e ribrezzo per me stesso. In ogni caso, passammo qualche minuto a dar fastidio ai bambini, finchè una voce non ci distrasse. Una ragazza che non avevo mai visto veniva verso di noi, con l'aria piuttosto arrabbiata. Era cicciotta, con i lineamenti duri e una massa incolta di capelli rossi. Non mi piaceva; tutto in lei era sgraziato e non mancammo di farglielo notare, piuttosto crudelmente, non appena si avvicinò un po' di più. A lei però parve non interessare; quello che voleva era che lasciassimo in pace i bambini e lo disse con una tale determinazione che per un attimo mi lasciò spiazzato. Le ragazze che avevo incontrato fino a quel momento, alla prima parola sgarbata, cominciavano ad ignorarci o a scappare in lacrime. Non avevamo mai alzato un dito su una ragazza, non era nel nostro stile, ma Steve quella volta era talmente irritato che temetti che potesse davvero picchiarla, per questo quando le si avvicinò troppo mi misi in mezzo. Non ero ancora sceso così in basso. Ne seguì un breve diverbio che si risolse con una scazzottata in piena regola, ma io ero più allenato e abile di lui, quindi lo stesi in poco tempo. Nel frattempo la ragazza se n'era andata con i bambini. Non pensai più a quell'episodio, ma piano piano mi allontanai da Steve ed il gruppo. Qualcosa in quell'incontro mi aveva turbato, anche se non riuscivo bene a mettere a fuoco la causa. Presi a girovagare sempre più spesso da solo, finchè un giorno non mi imbattei nuovamente nella ragazza. La osservai da lontano per un po', cosa che non avrebbe portato a nulla se lei non mi avesse notato. Attraversò la strada come una furia, mi puntò un dito contro e mi accusò di essere un codardo che se la prendeva con i più deboli. Continuò dicendo che se ero venuto a cercarla per "sistemare i conti" lei non aveva paura. Parlò ininterrottamente di vendette e ritorsioni per cinque minuti buoni, finchè io non la guardai e pronunciai la frase fatidica: "Guarda che non me ne frega niente di te, è stato un incontro casuale". Si arrabbiò ancora di più, mi diede del codardo e se ne andò a passo di carica. Le diedi mentalmente della squilibrata e me ne andai, ma nei giorni successivi mi ritrovai a passare per il vecchio parco giochi sempre più spesso e, inevitabilmente, incontrai anche lei. All'inizio fu solo un'incrociarsi per caso, uno sguardo distratto che presto si trasformò in un rito rassicurante e, in qualche modo, iniziai a pensarla più spesso del dovuto. Non sapevo neppure il suo nome e sostava nei miei pensieri più spesso di chiunque altro. Un giorno di pioggia lei non passò per quella strada, e neppure i giorni a seguire. Io continuavo a passare per quelle strade alla stessa ora, caparbio, ma lei non si presentò più per due settimane, quando la vidi seduta sulla vecchia altalena arrugginita. Ad ogni spinta le catene cigolavano pericolosamente, ma lei sembrava non farci caso. C'era rabbia nel suo sguardo, delusione e una punta di paura. Quando mi vide frenò bruscamente, schizzando ghiaia dappertutto. Eravamo soli, io con le mani infilate nelle tasche del giaccone di pelle, lei seduta sull'altalena, con il fondo dei jeans strappati e i capelli sconvolti dal vento e dalla pioggia. Mi chiese se avessi fatto quella strada tutti i giorni e risposi di sì, senza neanche stare a pensare. Lei annuì, mi guardò dritto negli occhi e mi disse il suo nome, senza chiedere il mio; poi, semplicemente, se ne andò, ma questa volta ero sicuro che l'avrei rivista l'indomani. Iniziammo a conoscerci a poco a poco, grazie a parole scambiate per caso, incontri non programmati che si trasformarono in passeggiate di pomeriggi, ma solo perché "dovevamo andare nella stessa direzione". Io continuavo a non piacerle, mi diceva ogni tanto, però ero meglio di quel che credeva all'inizio. Non so come riuscii a prendere coraggio e baciarla; non avevo mai baciato una ragazza e probabilmente fu quanto di più goffo e ridicolo potessi fare, ma lei parve apprezzare lo stesso, dato che ricambiò. Continuammo a vederci, ormai non più per caso, finchè un giorno non si decise a raccontarmi la storia della sua vita. Era nata in un paesino lontano da Londra, ma si era trasferita dalla zia perché "c'erano dei problemi". Ricordo che tentennò un po' in questo punto, ma alla fine mi svelò che c'erano due mondi, anche se io ne conoscevo solo uno: uno era abitato da babbani, gente senza magia, e poi c'erano loro, i maghi. Fu come un fulmine a ciel sereno e lei scambiò il mio stupore per incredulità, temeva che la prendessi per una sciroccata. Le dissi che non mi raccontava nulla di nuovo, perché un tempo avevo avuto un cugino che faceva parte del mondo dei maghi e qualcosa sapevo già.  E' inutile che ti racconti il suo stupore nel venire a scoprire che ero il cugino del "celebre Harry Potter", vero? Mi ha raccontato che nel vostro mondo sei una specie di celebrità e questo mi ha lasciato non poco stranito. Nella mia mente sei sempre rimasto il bambino gracile e occhialuto che aveva passato l'infanzia nel sottoscala di Privet Drive. In ogni caso, il mio primo pensiero quando venni a scoprire che era una dei vostri fu che i miei mi avrebbero ucciso. Non ho mai temuto i miei genitori perché sono sempre stati spudoratamente dalla mia parte, anche quando non me lo meritavo, ma conoscevo il ribrezzo che provavano per i maghi e sapevo -dannazione se lo sapevo- che non avrebbero mai accettato la mia relazione con una strega. Mentre la mia mente si arrovellava su questi pensieri, lei aveva preso a raccontare la sua storia: mi disse che si era rifugiata lì dalla zia perché Voldemort dava la caccia a tutti i nati babbani, ai maghinò e ai mezzosangue. Lei, mi disse, era un insieme delle ultime due cose: suo padre era un babbano e sua mamma una strega ma lei, purtroppo, non aveva ereditato i poteri della madre. Non aveva avuto il permesso di frequentare Hogwarts e si era dovuta accontentare delle scuole babbane, convivendo con il dolore nel vedere il proprio fratello maggiore frequentare la scuola che lei tanto desiderava.  Non si era arresa, tutt'altro; studiando a più non posso aveva completato con successo i suoi studi e, prima che Voldemort iniziasse la sua ascesa al potere, aveva coltivato l'idea di diventare insegnante ed aiutare tutti i bambini nati nel mondo magico ma privi di poteri a trovare la loro strada. Il suo sogno aveva subito una brusca frenata con l'arrivo di Voldemort e della guerra ma, mi disse, sarebbe ripreso il prima possibile, quando il bambino che era sopravvissuto avrebbe riportato la pace. 

A volte mi chiedo cosa sarebbe successo se non ci fossi stato tu, se non fossi riuscito a sconfiggere questo nemico che io non ho mai visto; probabilmente non ci sarebbero state né Helen né Penny e io sarei finito chissà dove, probabilmente vittima del mio stile di vita. In ogni caso dopo quell'incontro vedersi divenne necessario come respirare e iniziai anche io a provare sulla mia pelle un po' di quella paura che probabilmente voi del mondo magico sentivate da anni. Non c'era giorno che l'ansia non mi mangiasse vivo, passavo il tempo nel terrore che le succedesse qualcosa; quando l'appartamento di sua zia si accese come un fuoco d'artificio nella notte e lei mi chiamò in lacrime da un telefono pubblico, saltai giù dal letto alla velocità della luce e mi precipitai nel luogo dove sapevo abitasse. Non mi ero neanche cambiato, arrivai da lei in pigiama e giubbotto, facendomi largo tra vigili del fuoco, infermieri e polizia. Era sporca di fuliggine, con un brutto taglio sulla fronte e aveva gli occhi enormi, illuminati dagli ultimi bagliori delle fiamme che uscivano dall'appartamento. Non ci dicemmo nulla, non ce n'era bisogno, semplicemente la presi e la portai a casa con me. I giorni successivi passarono in un lampo, così come le settimane. Ti risparmio i dettagli su come i miei genitori presero le notizie che un'estranea sarebbe rimasta a casa loro per un tempo indefinito, che in realtà no, non era un'estranea ma la mia ragazza e che veniva direttamente dal mondo magico. Per un attimo ho temuto restassero secchi, ma si sono ripresi più in fretta di quel che credessi. Mia madre più velocemente, lo ammetto; il fatto che il suo figlio adorato avesse trovato il modo di essere felice era ciò che più le importava, nonostante lo avesse fatto con una ragazza "dell'altro" mondo. Mio padre ci mise mesi ad accettarlo e fu un periodo di tensioni, dissapori e litigate, cosa mai successa nella mia infanzia. Il fatto che Helen non possedesse poteri magici e non usasse code di rospo nelle minestre aiutò molto, lo ammetto. La guerra passò e il giorno in cui lei venne ad annunciarmi che era finita, che il bambino che era sopravvissuto aveva vinto, che Tu avevi vinto…le chiesi di sposarmi. Ero pronto; mio padre mi aveva aiutato ad entrare a lavorare nella sua azienda, Helen avrebbe potuto ricominciare a coltivare il suo sogno e l'amore c'era. Ce l'avremmo fatta. Ed è stato così; pochi anni più tardi è arrivata Petunia Helen Dursley, soprannominata Penny, che fortunatamente assomiglia alla mamma. Quando ho incontrato per la prima volta i suoi occhi in ospedale ho capito che sarebbe stata una bambina speciale e ne ho avuto la prova quando, a due anni, è riuscita a far atterrare il barattolo della marmellata tra le sue manine, nonostante fosse sul ripiano più alto della credenza. Credo che Helen non abbia mai pianto come quel giorno; sua figlia aveva ereditato i poteri magici, sarebbe andata ad Hogwarts, sarebbe riuscita in ciò che la madre aveva fallito. Non lo dissi ai miei genitori, ma col tempo lo capirono da soli; il bene che volevano a Penny non venne scalfito, ma le insegnarono a non fare magie quando erano presenti i vicini. In questo, in effetti, sono cambiati pochissimo. 

Quattro mattine fa è arrivata la lettera e né Penny né Helen stavano più nella pelle. Dalla mia, non so assolutamente cosa dovrò fare affinché mia figlia possa arrivare a scuola preparata, ma fortunatamente ha uno zio che ha frequentato Hogwarts diventando un medico, dunque sarà lui a spiegarci tutto. Sono emozionato e fiero ed orgoglioso come non mai. Se sei arrivato fino qui, probabilmente ti starai chiedendo perché ho deciso di scriverti dopo tutti questi anni…la verità è che volevo chiederti scusa. Scusa per come ti ho trattato, per non aver capito -o aver capito troppo tardi-, per essere stato un borioso codardo. E, soprattutto, GRAZIE. Grazie perché senza di te non ci sarebbe stata nessuna Helen, nessuna Penny e chissà io che fine avrei fatto. Spero che mia figlia possa conoscere la tua storia ed andare orgogliosa di esserti imparentata alla lontana. Ha più ragioni di essere orgogliosa di te che di me. 


Con la speranza che questa missiva ti arrivi,


tuo cugino Dudley."

 

***

 

Harry terminò di leggere la lettera e rimase imbambolato a guardarle per quelle che gli parvero ore. Rilesse i passi più importanti, la girò più di una volta cercando un continuo, finchè non si convinse che sì, quella lettera era stata scritta proprio da Dudley, l'ingombrante cugino che aveva reso la sua infanzia un'inferno. E ora aveva una moglie magonò e una figlia prossima ad Hogwarts. Harry si immaginò la faccia degli zii quando avevano capito che con il mondo della magia avevano tutt'altro che chiuso e gli dispiacque vedere che Dudley non aveva approfondito la parte sulla reazione dei genitori. A pensarci finì per scappargli un sorriso. 

Petunia Helen Dursley, ammessa al primo anno alla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts. Sperò che la bambina non scegliesse i fornelli della nonna Petunia per esercitarsi in pozioni. O forse sì. Sarebbe stata una bella vendetta postuma.

 

***

 

"Petunia Helen Dursley!"

 

Esclamò Neville Paciock, leggendo la lunga lista di nomi dei bambini iscritti al primo anno che, tremanti nei loro mantelli troppo grandi, si guardavano intorno meravigliati ed impauriti al tempo stesso. Dalla fila venne avanti una bambina cicciottella con una massa informe di capelli rossi, che si calò in testa il cappello tutta felice. Lo strappo si aprì e il cappello esclamò...

 

FINE

   
 
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