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Autore: Ale_kiss_    29/03/2013    4 recensioni
La confusione ordinava le mie idee, volevo distruggere tutto quel dolore, tutte quelle sofferenze! Maledetta la mia vita! Era stata sempre un disastro! Dovevo ricominciare! Dovevo dar fuoco al mio passato! Strapparlo! Eliminarlo!
Ecco, tutto era a pezzi! Addio passato, addio ricordi. Fuggii.
Genere: Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Franziska von Karma, Manfred von Karma
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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La mia camera, sì, eccola. È ancora come l’avevo lasciata un anno fa. Nessuno è entrato se non per pulire e tutti gli oggetti, i mobili e le mie cose sono perfettamente al loro posto. Apro ancora un po’ la porta, lentamente, come se temessi di fare rumore. Forse è proprio così: non voglio sentire suoni. I miei pensieri sono sin troppo rumorosi. Entro con un piede, ecco la punta del mio stivale s’è appena appoggiata al pavimento, ora anche il tacco. Faccio un altro passo e un altro ancora. Sono in camera mia: nella mia stanza.
Sospiro profondamente e mi guardo ancora un po’ attorno. È tutto così buio: le imposte sono completamente chiuse e le tende sono tirate davanti ai vetri delle finestre, quindi, anche se ci fosse un solo spiraglio di luce, non entrerebbe. Meglio così, mi sento tranquilla. L’unica illuminazione è quella del corridoio, ed è pure poca poiché la porta è aperta solo per metà.
Mi avvicino al letto, ne accarezzo il piumone morbido e ne sento ancora il profumo di lavanda. Mi sfugge un sorriso. Difficile a dirsi cosa realmente sia quella contrazione delle labbra sul mio volto. Non sono più capace di sorridere. Da molto. Troppo.
Mi siedo sul letto e prendo la testa tra le mani. Se non fossi cosciente di quale fama nutre il mio cognome, nonché di quale perfezione, giuro che potrei iniziare a piangere da un momento all’altro. Se non sapessi di essere in casa mia, dove per una vita ha camminato e vissuto lui, sono sicura che non mi tratterrei. Ma non piango, non mi dispero. No. Non è nella mia indole. Mi hanno strappato i sentimenti da quando ero ancora in fasce. Dalla mia infanzia, sempre che io ne abbia avuta una. Scuoto il capo e mi alzo di scatto, come con un moto irritato. Mi stringo nelle mie stesse braccia e continuo a guardarmi attorno. Guardo la mia scrivania. È così pulita, così ordinata: tutti i manoscritti in ordine, la piuma nel calamaio, le mie lauree, i miei diplomi sul muro, tutto è impeccabile. Allora sposto la sedia e mi ci siedo. Eppure non la ricordavo così dopo l’ultima volta che ero stata lì. No … non era così pulita! Era successo qualcosa! La scrivania era diversa! Ne ero certa! Mi guardo attorno agitata, come se valesse la mia vita ricordare come avevo lasciato la scrivania. Mi alzo ed inizio a correre per la camera lanciando occhiate ovunque per provare a ricordare. Alzandomi, però, urto l’anta di un mobile, che si apre, e una scatola rotola sul tappeto. Mi volto e la noto. Pian piano mi piego e la raccolgo. L’appoggio sulla scrivania e l’apro. Ci sono foto … no … sono foto strappate, alcune pure bruciate in certi punti … sporche di colore rosso. Svuoto la scatola e le fotografie si sparpagliano sullo scrittoio.
Ecco ...
Indietreggio …
Quella era la situazione quando avevo lasciato la mia camera: confusione, disastro, paura e dolore. Ricordi … troppi ricordi … e distruggendo quelle foto, avevo creduto, anche se per un solo attimo, che anche io avrei dimenticato tutto. Ma così, ancora non era.

 

Com’è possibile dimmi

Com’è possibile
 

Dimmi come va dimmi come va
 

Dimmi se muori in questi giorni


- Amore … togliti dalla finestra. È appena partito! Tornerà fra un mese. Vieni- la mamma mi prese in braccio e mi portò in salotto. Si sedette sul divano con me sulle ginocchia e mi accarezzò i capelli. Avevo quattro anni, quasi cinque. Non capivo nulla del mondo, di ciò che mi circondava, nonostante fossi già molto perspicace. Ma capivo una cosa meglio delle altre …
- Non tornerà tra un mese … è una bugia …- congiunsi le braccia al petto, imbronciata. La mamma abbassò lo sguardo e mi accarezzò il viso. La ferivo più io con quelle frasi che mio padre con i suoi viaggi improvvisi. Ma ero solo una bimba … cosa potevo saperne?
- Amore … - provò a parlare, sempre tenendo la mano sulla mia guancia. Improvvisamente mi strinse al suo petto e cominciò a cullarmi. Sembrava quasi che avesse più bisogno lei d’affetto, che me. Ma io tenevo il broncio, continuavo a fare la testarda. Volevo mio padre, accidenti! Era partito e s’era portato dietro il mio fratellastro Miles. Io e mamma eravamo di nuovo sole. Sole in quella casa troppo grande solo per noi.
Mi staccai pian piano da lei. Mi davano fastidio tutte quelle coccole. Da lei ne ricevevo troppe! Non ne avevo bisogno! La mamma accennò un sorriso dolce e mi prese una manina.
- Come sta la spalla, piccola mia?- domandò cercando di non essere triste. Sfiorò il punto dove avevo ancora il livido. Provò ad alzarmi la manica ma mi rifiutai di lasciarglielo fare, schiaffandole via la mano in malo modo.
- Bene! Non fa male! Papà cerca solo di educarmi, madre! È quello che dovresti fare anche tu! Sei troppo buona!- cercai di motivare le violenze di mio padre su di me.
Avevo rovesciato un bicchiere di latte e mi aveva picchiata con il suo bastone da passeggio. Non capivo perché lo facesse, ma non sarei mai andata contro le sue ragioni. Lo temevo troppo.
- Tesoro … non devi giustificarlo! Lui ha torto! Tu sei piccola, non hai fatto nulla di male!- ma io le tirai uno schiaffo. Sì, tirai uno schiaffo a mia madre. Quanto me ne vergogno ora. Io, infante, osai toccare mia madre. Lei mi guardò piena di dolore e sofferenza. Le traboccava dal cuore. Non volevo vedere l’evidenza. Era lei ad aver ragione, non papà. Eppure idolatravo lui.
- F … Franziska …- era senza parole. I suoi occhi erano vuoti.
- NON PARLARE COSÌ DI MIO PADRE! LUI È PERFETTO! È LUI AD AVERE RAGIONE! NON TU! NON IO!- gridai dopo essere saltata giù dalle sue gambe. Iniziai a correre verso le scale e le percorsi di fretta. Desideravo arrivare in camera mia. Ed infatti aprii velocemente la porta e mi buttai sul letto, stringendomi nelle coperte. Infilai la testa sotto al cuscino e chiusi gli occhi.
Cosa dovevo fare? Non avevo potere di far nulla, né di scegliere e nemmeno di parlare, a volte.
Ma nemmeno mia madre poteva. Avevamo timore di fare una mossa qualsiasi. Ecco, scese il silenzio finalmente. Il mio fiato era più calmo. Ma quando udii mia madre scoppiare a piangere, desiderai ardentemente che iniziassero i rumori e la confusione, per coprire quel suono straziante.

 

Dimmi come va
 

se te la sbrighi da solo pa’,
 

se hai imparato dai tuoi sbagli
 

se nelle braccia hai ancora i tagli
 

non sono quelli a farti male
 

ma i ricordi

dimmi dov’eri quando mia madre piangeva


Ero seduta in divano che pettinavo Pelo-Pelo, il mio gatto persiano. In realtà era di papà, ma era partito una settimana prima poiché doveva tenere una causa in America, così mi aveva detto. La mamma era uscita un attimo a fare la spesa. Mi lasciava spesso a casa da sola, in realtà non ero sola. C’erano il maggiordomo e la cuoca. E comunque … non avevo paura di rimanere sola, lo ero sempre, anche quando era pieno di gente.
Improvvisamente la porta si aprì. Balzai giù dal divano per correre verso la mamma che doveva essere tornata, ma sull’uscio invece, c’era mio padre. Divenni di ghiaccio, rigida, ferma immobile nel vederlo. Stavo per inchinarmi per fare il mio solito saluto di rispetto ma notai che si teneva una spalla e la sua mano era tutta insanguinata. Il cuore mi balzò in gola.
- Padre!- esclamai e corsi verso di lui. Gli presi una mano e provai a trascinarlo verso il divano, ma cosa può fare una bambina di tre anni? Il cuore mi batteva fortissimo. Ero spaventata, cosa succedeva a mio padre? Perché sanguinava?
- Franziska! Muoviti! Prendi un asciugamano! Muoviti! Muoviti sciocca!- m’ordinò ed io, dopo aver compreso le sue parole, gli lasciai la mano e corsi a prendere l’asciugamano. Lo immersi nell’acqua e tornai da lui. Era steso in divano che ancora si stringeva la spalla. Era a petto nudo e il sangue gli colava anche per il braccio. Senza esitare mi precipitai da lui e gli porsi l’asciugamano. Lo prese e se lo strinse attorno alla ferita, senza aprire bocca.
***
Mi dirigevo in tribunale stringendo una mano guantata attorno alla frusta. Passai davanti all’entrata di un’edicola e un giornale attirò la mia attenzione. Mi fermai e lo presi in mano. Procuratore Manfred von Karma arrestato: da re della legge a criminale. Miles Edgeworth rilasciato: tutta colpa di un malinteso.
Il giornale mi cadde dalle mani. M … mio padre … a … arrestato? Mio fratello rilasciato …? Non era lui l’autore dell’omicidio? Era mio padre? No! Impossibile! Era alla magione von Karma l’ora che l’omicidio fu commesso. Perché era stato accusato? Di cosa? Perché? Perché?
Le mani mi tremavano. Non ci capivo nulla! Nulla!
Mi coprii la bocca con una mano e appoggiai la schiena alla vetrata dell’edicola. Respiravo affannosamente e non riuscivo a capire cosa mi circondasse. Papà era in galera! Papà era dietro le sbarre! Mio padre! MIO padre!
E ora? Ora cos’avrei fatto? Dovevo raggiungerlo … dovevo capire cos’era accaduto! Ma … lanciai un occhiata al tribunale, poco distante. Avevo una causa. Una causa che dovevo vincere. Non potevo lasciarla in sospeso. Nulla era più importante del lavoro, me lo ripeteva sempre. Ma avrei perso sicuramente se fossi andata lì in quello stato!
Quindi? Qual era la soluzione? Esitante estrassi il cellulare dalla borsa, composi il numero e premetti il tasto verde, mentre riprendevo a camminare.
- Signorina von Karma?-
- Posticipate la causa …- ordinai con voce languida, quasi senza fiato per i mille pensieri che mi giravano in testa. Il mio assistente doveva essere rimasto spiazzato dalla mia dichiarazione … insomma … non avevo mai detto una cosa del genere, non ero mai mancata dall’aula del tribunale. Ma quella era un’emergenza.
- S … sì … c … certo … È accaduto qualcosa, signorina?-
- Posticipate la causa! Questo è tutto! Parto per l’America-
- M … ma! Lady von Karma! Cosa direbbe vostro padre?- non stavo andando in America per divertirmi, sciocco, cosa capiva? Ma non risposi, non avevo tempo. Riattaccai ed iniziai a correre. Il primo volo, a qualunque ora. Volevo vedere mio padre, volevo capire, no, dovevo capire!

 

tu eri troppo impegnato

e sei finito anche in galera

parlo di te i ricordi sono vividi


Entrai in classe e mi sedetti al mio posto. Tutti facevano confusione e si divertivano nei pochi minuti prima che entrasse l’insegnante. Che sciocchi. Come potevano perdere tutto quel tempo invece che ripassare o tirare fuori i libri e prepararsi alla lezione? Non li capivo, davvero non li capivo. Sospirai e cominciai a rileggere le pagine studiate il giorno prima. Qualcuno mi si avvicinò. Non ne feci caso, sin che non mi spostò i capelli dal viso. Volsi lo sguardo a quella presenza. Era una mia compagna di classe, Angelika,  l’unica con la quale ogni tanto scambiavo due parole. Forse perché era la più tranquilla e non era sciocca quanto gli altri.
- Emh … hai bisogno …?- domandai guardandola con sguardo interrogatorio. Lei mi scrutava sgranando gli occhi, poi mi accarezzò il contorno delle guance. Abbassai lo sguardo e voltai la testa. –lasciami stare … per favore …- sussurrai stringendo i pugni e iniziando a sudare freddo.
- Frannie … cosa ti succede?- domandò con la sua vocina sottile e dolce. Mi alzai di scatto, e m’avvicinai alla finestra dell’aula, stringendomi nelle braccia. Cosa mi succedeva? Succedeva che da quando la mamma era morta, mio padre mi picchiava più di prima. Non aveva pietà. Se parlavo senza il suo consenso, mi picchiava. Se facevo rumore mentre studiavamo, mi picchiava. Se arrivavo a tavola in ritardo di un secondo, mi picchiava. Così, mi stava istruendo alla perfezione. Ed io? Ero d’accordo con lui! Lo sarei stata per sempre. Era per il mio bene! Angelika mi si avvicinò e appoggiò una mano sulla mia spalla. Mi scostai di scatto a causa della ferita che avevo anche su quel punto e che lei, involontariamente, aveva toccato.
- Non succede nulla!- esclamai guardandola fissa negli occhi. Lei però non ci credeva, era ovvio che non vi credesse. Insomma … se una ragazza arriva a scuola piena di lividi … non si poteva credere che non fosse successo nulla. Mi prese una mano ed iniziò a tirarmi verso la porta della classe.
- Vieni … andiamo in bagno- disse senza chiedermi se volessi andare con lei o no. Provai ad oppormi ma non ne avevo né la voglia né la forza, così la seguii. Percorremmo il lungo corridoio che conduceva ai servizi. Per tutto il tragitto lei continuò a guardarmi con sguardo languido, pieno di compassione. Non volevo la sua sciocca compassione! Cosa mene facevo? Non mi serviva la compassione e l’aiuto di nessuno!
Arrivate ai bagni lei mi mise spalle al muro ed iniziò a fissarmi stringendomi le mani.
- Franziska! Frannie! Ti prego! Dimmi cosa ti succede! Cosa sono tutti questi segni sul tuo corpo? Chi è stato? Tuo padre, vero? Oh Frannie, non puoi farti sottomettere così! Devi chiedere aiuto! Tuo padre è un pazz …-
- NON OSARE TOCCARE IL NOME DI MIO PADRE, SCIOCCA!- le gridai spingendola dalla parte opposta. – Tu non hai il diritto di dire nulla su di lui! Mio padre è la perfezione! Ogni cosa che fa, è perfetta! C’è un motivo a tutto! Lo fa solo per il mio bene!- Angelika si appiattì contro la parete, tremante. Quella sciocca! Se avessi potuto l’avrei picchiata! Ma ne sarebbe valsa la mia reputazione! La fulminai con lo sguardo e poi, dopo essermi sistemata il vestito che si era un po’ sgualcito, girai i tacchi e tornai in classe.
***
Rientrai in casa e mi tolsi i guanti di pelle.
- Eccoti, finalmente. Sei in ritardo-
- Perdonatemi, padre. Sono stata trattenuta dalla preside-. Improvvisamente si alzò dalla sua poltrona e mi venne contro. M’irrigidii e lo guardai negli occhi, in segno di rispetto. Si fermò a pochi passi da me e cominciò a fissarmi corrugando la fronte.
- Cos’hai combinato, sciocca?- domandò con un tono rigido, quasi ringhiando. Il mio cuore perse un battito e deglutii.
- Nulla padre. La scuola parlava di consegnarmi una borsa di studio per i miei voti- non vidi nemmeno un lieve sorriso sul suo volto, continuava a mantenere la sua espressione truce.
- Sai che la perfezione è tutto Franziska e …-
- … e il mio cognome è la perfezione stessa. Non dovrò mai disonorarlo e non dovrà mai esistere l’insuccesso nella mia vita poiché la vita di un von Karma dev’essere rappresentata solo dalla perfezione del successo, altrimenti, non sarei mai degna … di essere tua figlia- abbassai lo sguardo.

 

A scuola mi chiedevano “perché hai tutti quei lividi?”

“mi sono fatta male col pallone”
 

e l’ho imparato a memoria il tuo cazzo di copione


Corsi velocemente giù dalle scale e raggiunsi Miles che stava uscendo di casa con le valige pronte.
- Miles! Miles!- gridai con la mia vocina infantile e lui si voltò. Nel suo sguardo si dipinse un’espressione nostalgica e lasciò le valige correndomi ad abbracciare.
- Oh Franny … non volevo che vedessi la mia partenza!- mi sussurrò prendendomi in braccio e stringendomi forte. Chiusi i pugni attorno al colletto del suo kway. Ormai era cresciuto … aveva sedici anni … sarebbe diventato procuratore nel suo paese natale: l’America. E mio padre l’avrebbe accompagnato, lasciandomi sola … completamente sola. Avevo solo dieci anni e mia madre era morta da ormai quattro anni. Sarei rimasta con la servitù, con nessun altro. Avrei voluto picchiare Miles! Era il preferito di mio padre! E non era nemmeno uno della famiglia! Perché? Perché?
- Torna a dormire, Franziska!- una nuova voce apparve alle mie spalle. Subito Miles mi rimise a terra ed io mi voltai. Mio padre incombeva minaccioso su di me e mi fissava con sdegno. Abbassai lo sguardo e m’inchinai.
- Buon viaggio, padre …- poi corsi verso le scale e, dato un ultimo sorriso a Miles, mi diressi nella mia camera.
Arrivata, tornai sotto le coperte e chiusi gli occhi. Avevo paura, non ci sarebbe stato nessuno con me, al mio risveglio. Il mio fratellastro non avrebbe dormito con me quella notte e mio padre non mi avrebbe controllata mentre studiavo, il giorno seguente. Ma ce l’avrei fatta! Avrei continuato la mia vita normalmente, avrei continuato a studiare duramente, anche se non avevo tutori! Se solo mia madre m’avesse vista in quel momento! E nei mesi a venire, quando continuai a gestirmi perfettamente. Sarebbe stata fiera di me, della sua Franziska.
Eppure, anche se fosse stata lì, e m’avesse detto di essere fiera, non mi sarebbe bastato. Non era lei quella che volevo rendere fiera! Non era il mio obiettivo!

 

tu non c’eri

io non ti ho ancora perdonato
 

voglio leggere negl’occhi di mia mamma
 

l’orgoglio di avere una figlia come me
 

e anche se sbaglia lei mi dice “papà tornerà presto!”
 

so che è una bugia, mamy, dico, fa lo stesso


- SEI LA DELUSIONE DELLA MIA VITA! SCIOCCA FEMMINA!- un altro colpo di bastone mi arrivò sul fianco destro. Caddi a terra sputando sangue e stringendo le braccia attorno alla vita. Mio padre mi prese per i capelli e mi sbatté sul muro, senza lasciare la presa e un’altra bastonata arrivò sotto il ginocchio sinistro.
Trattenevo le lacrime a stento. Se avessi pianto, mi avrebbe quasi uccisa. Avevo tenuto un esame importantissimo ed ero riuscita a prendere quasi il massimo. Appunto … quasi. Quando l’avevo detto a lui, inizialmente mi aveva solo guardata con la peggior occhiata che avessi mai visto sul suo viso. Improvvisamente aveva preso una bottiglia di vino e, senza nemmeno versarlo nel bicchiere, aveva iniziato a bere. Ero rimasta a guardarlo, attendendo una parola, una qualsiasi parola, ma nulla. E poi, dopo pochi attimi, si era alzato buttando a terra la sedia. Aveva preso il tavolo e l’aveva spinto contro il muro. Poi mi aveva lanciato dietro la bottiglia. Ero riuscita a schivarla, ma lui era già davanti a me e mi tirò uno schiaffo che mi fece sanguinare naso e labbro inferiore.
Ed ora eccomi, spalle al muro e corpo che ormai non mi regge più.
- PERCHÉ SEI MIA FIGLIA? SCIAGURATO ME! MALEDETTA!- la sua mano sferrò un nuovo schiaffo sulla mia guancia. Poi mi scaraventò a terra e mi lanciò dietro il suo bastone.
- RIPETERAI QUELL’ESAME IN ETERNO! FIN CHE NON PRENDERAI IL MASSIMO! ALTRIMENTI NON METTERE MAI PIÙ PIEDE IN CASA MIA! DANNATA!- s’accucciò e mi prese per una spalla, facendomi alzare con violenza e tirandomi un altro schiaffo.
- Cos’ho sbagliato con te? Cosa? Perché non apprendi tutto ciò che ti dico? Sono io a sbagliare? Sei una rovina, Franziska!- biascicò guardandomi come avrebbe guardato un cane e poi mi lasciò andare. Aprì la porta di casa ed uscì sbattendola.
Il sangue mi colava ancora dal naso e dalle labbra e anche da sotto il ginocchio. Provai ad alzarmi ma il dolore era troppo e non ci riuscii. Così iniziai a trascinarmi verso le scale e m’attaccai al corrimano. Riuscii così, pian piano e traballando, a reggermi in piedi.
Quando arrivai in bagno, non ebbi il coraggio di guardarmi allo specchio ed aprii l’armadietto dei medicinali. Presi il barattolo del sonnifero e lo aprii. Ne svuotai il contenuto sulla mia mano. Cinque, sei, sette, dieci pillole. Gettai il barattolo a terra e inghiottii tutte le pillole in un colpo solo. Aprii l’acqua, misi le mani a coppa e bevetti lunghe sorsate. In quel momento, la mia lingua non sentì più la freschezza dell’acqua, quasi come se non avesse più sensibilità. Le gambe mi tremarono e la vista s’appannò.

 

ho nascosto gli errori e il trauma di avere un padre alcolizzato

che mi ha picchiato fino alla nausea
 

tu non eri un padre tu eri una bestia
 

ma tua figlia credimi oggi non ti detesta
 

certe cose se non le provi non si possono capire
 

la vita non lo sai come andrà a finire
 

Stringo i pugni
 

ho imparato a tenere stretti i denti
 

ho incassato così tanto che non sento più i colpi


Uscii dall’ospedale e salii in macchina con mia sorella Erika. Mio padre s’era rifiutato di venire a vedere le mie condizioni … aveva detto testuale che preferiva sapere che ero morta piuttosto che viva dopo ciò che “avevo fatto”. E non parlava dell’esame … ma del fatto che avevo disonorato il mio cognome. Rimasi zitta per tutto il viaggio e anche Erika fece lo stesso. Papà odiava anche lei, poiché non era voluta diventare procuratore. Era corsa non appena aveva saputo che ero a rischio di andare in coma a causa del troppo sonnifero ingerito. Com’ero stata sciocca. I medici avevano fatto un sacco di domande per tutti i miei lividi e le mie ferite e non so nemmeno quali scuse avesse inventato per coprire papà.
Arrivate alla magione, scesi dalla macchina e velocemente entrai in casa. Mio padre era davanti alla porta e quando mi vide, mi prese per il colletto della camicia e mi buttò in casa. Quando arrivò anche mia sorella, la guardò con odio e le tirò uno schiaffo.
- PADRE!- gridai andando verso Erika ma lei mi guardò con gli occhi che dicevano di star ferma.
- TU STAI ZITTA!- urlò mio padre e mi puntò un dito contro. –Vai in camera tua, ora! Subito! MUOVITI!- terrorizzata, feci come m’ordinava e corsi verso la scalinata, ma rimasi ancora qualche secondo a guardare, nascosta.
- Potevi lasciarla morire!- esclamò prendendo Erika per le spalle. Lei abbassò lo sguardo.
- Non sono come te!-
- Ed è questo che t’ha rovinata, sciocca! Tu saresti stata perfetta! Avresti tenuta alta la fama della tua famiglia! E invece? Guardati!- le tirò un altro schiaffo ed io strinsi gli occhi quando la sua mano arrivò alla guancia di mia sorella. Non resistetti e corsi in camera mia.
***
Nella notte udii dei rumori provenire dal bagno e m’alzai. Lentamente mi diressi verso la porta. Vidi la luce accesa e decisi di entrare. La porta però era chiusa a chiave. Bussai.
- Erika …?- sussurrai. Sapevo che avrebbe dormito lì per quella notte. Sarebbe stato troppo pericoloso per lei tornare a casa in piena notte. Nessuno rispose.
- Erika …?- chiamai di nuovo, un po’ più forte. Guardai ai miei piedi e da sotto la porta iniziò ad uscire del liquido rosso. Iniziai a tremare e il cuore mi salì in gola. Lanciai un grido.
- PADRE!- urlai attaccandomi al muro, per non cadere a terra. Lui arrivò dopo circa un minuto e, quando vide il sangue mi spinse lontano dalla porta del bagno e, dopo vari calci, riuscì ad aprirla. Erika era stesa a terra, svenuta, con una lametta in una mano e il polso opposto che sgorgava sangue.

 

Dalla corsia dell’ospedale le mie grida

e mia sorella in bagno che vuole togliersi la vita
 

che vuoi che ti dica?
 

Questa sorte non è mai stata mia amica
 

la mia infanzia l’ho passata fra farmaci e calmanti
 

ne ho presi così tanti da azzerare i sentimenti


È sera … tarda. Il funerale di papà era appena finito. Processato per omicidio … non posso ancora crederci. Rientrai in casa e mi diressi senza una parola, in camera mia. Mi sedetti sul letto e aprii il cassetto del comodino, tirando fuori un vecchio album di fotografie. Sì … quello di mamma e papà e del loro matrimonio. Lo aprii e le guardai, tutte. Non provavo nulla. Non ero triste e nemmeno nostalgica. Non provavo dolore, nulla. Come se il mio cuore avesse smesso di battere, come se fossi solo un corpo senz’anima. Ma d’improvviso una foto passa davanti ai miei occhi: mio padre che tiene in braccio una me, piccola, appena nata.
Guardo quella foto con sdegno e la presi. La strappai in mille pezzi. Con fare nervoso, presi la borsa e ne estrassi un accendino. Staccai un’altra foto e le diedi fuoco. M’alzai e misi l’album sulla scrivania e cominciai a staccare tutte le foto. Le bruciai e le strappai, ma nel farlo, mi procurai un taglio sull’indice e alcune foto si macchiarono. L’immagine del sangue mi fece bruciare gli occhi e cominciai a gridare. Ero pazza! Stavo impazzendo!
Continuai a strappare le foto! Sì! Se le avessi distrutte tutti quei ricordi sarebbero scomparsi! Sì! Sarebbe andata così!
La confusione ordinava le mie idee, volevo distruggere tutto quel dolore, tutte quelle sofferenze! Maledetta la mia vita! Era stata sempre un disastro! Dovevo ricominciare!  Dovevo dar fuoco al mio passato! Strapparlo! Eliminarlo!
Ecco, tutto era a pezzi! Addio passato, addio ricordi. Fuggii.

 

Pa’ ti scrivo oggi

il giorno del tuo funerale
 

comincio oggi ho molto da doverti raccontare
 

ho una foto davanti che mi fa star male
 

mille fogli bianchi a cui non so spiegare che devo andare avanti
 

ma non so reagire.


Cos’avevo combinato? Cosa mi era accaduto? Perché m’ero comportata così?
Distrutto i ricordi? Guardando quelle foto ho ricordato tutto il mio passato.
Le ripongo tutte nella scatola e stingo i denti. Nessuno deve venire a sapere cos’ho combinato, nessuno. Questo mio anno di assenza dal lavoro e dalla mia vita non mi ha aiutata a sistemare le idee ma solo a crearmi un vuoto. Un anno di pazzia. Ecco cos’è stato.
Ma ora basta. Franziska von Karma è tornata e ciò che è stato è stato. Sospiro e mi alzo. Vado in corridoio e guardo il ritratto di mio padre. Gli accarezzo il viso. Ho capito solo ora che se n’è andato.

“Addio padre, brucia all’inferno”. 

 

Ti dico quello che non ti ho mai detto

“Pa’ ti voglio bene” 












 

   
 
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