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Autore: Sennar1927    29/03/2013    1 recensioni
Questa storia racconta della prigione che si crea l'uomo, utilizzando regole e convenzioni sociali non presenti in natura. Solo chi saprà liberarsene rinunciando alle cose più care e soffrendo molto potrà aspirare a una felicità superiore, assoluta.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Uscii dal mio appartamento. Un bel bilocale. Una camera da letto indecente, il letto disfatto e il computer sull'unico comodino urlava vendetta ormai da mesi. Un misero armadio a un'anta, dentro quattro vestiti. Un'elegante, un pigiama, una tuta e una t-shirt abbinata a un paio di jeans vecchi quanto me. Un salone con angolo cottura, divani in pelle nera, televisore 45 pollici. Un tavolino vicino al divano, molto spesso sporco di fango delle mie scarpe da ginnastica, mi fissava, con occhi muti. Era davvero divertente, i giorni che invitavo qualcuno a casa, vedere come un uomo di 45 anni, solo, potesse non avere il controllo. Le sedie sul tavolo erano stracolme di panni sporchi, tutte mutande, canottiere e calzini. Per sbaglio c'era una seconda t-shirt lì in mezzo. Strano, ero sicuro di averne una.
Mi buttai sul divano e accesi la tv su un canale a caso.
Una faccia bianca, con un naso vistoso di colore rosso mi accolse. Girai canale. Un reality. Una ragazzina di circa venti anni stava urlando contro un altro ragazzo. Girai canale. Un cartone animato inizi anni '60. Era tutto sgranato, i colori opachi. Spensi l'apparecchio, mi alzai e aprii un pensile della cucina. Una bella bottiglia trasparente, tendente al bianco, mi salutò. La presi e me ne versai un poco nel bicchiere. Mi risedetti sul divano e cacciai all'indietro la testa, poggiandola in cima allo schienale. Bevvi il liquido, presi la giacca, le chiavi della macchina. Accesi la tv sul canale del reality. Spensi tutte le luci, tenni accesa solo quella del bagno e la lampadina del piano cottura. Presi il computer e lo misi in balcone. Aprii la serranda della finestra. Tutte le altre finestre chiuse. Poggiai le chiavi di casa sul tavolino.
Uscii e chiusi la porta dietro di me. Non avevo più bisogno di quella casa.
Misi in moto la macchina. Sentivo il motore partire lentamente, svegliarsi dal letargo in cui lo lasciavo anche per mesi.
Partii e aumentai la marcia. La seconda.
Mi trovavo su uno stradone illuminato dai lampioni. La notte era buia.
Più aumentavo le marce, più non capivo il motivo dei miei gesti.
Feci una curva stretta, e in un secondo mi ritrovai davanti la palazzina.
Aprii piano il cancello esterno e feci qualche passo. Mi sedetti sul bordo della fontana, al centro del giardino.
E piansi. Oh, se piansi!!! Lacrimoni scendevano lungo il mio viso. E oltre al dolore, quando mi sfogai, venne la rabbia. Più che rabbia, rosicavo. Sì, rosicavo. A 45 anni, piangevo come uno scolaretto a cui avevano rubato la merenda. E da scolaretto avevo pianto, ma mai così. Era troppo che piangevo. Mi doleva la testa, e quindi la ficcai nell'acqua sporca e fredda della fontana.
Riuscii fuori da quel pozzo di melma e mi rimisi in macchina. Ripartii, velocemente. Il vento soffiava, aprii i finestrini, con la manopola. Il freddo della notte d'ottobre mi assalì.
E intanto pensavo. Il freddo mi schiarì i pensieri. Già, guidare mi schiariva i pensieri. C'era chi scriveva su un pezzo di carta, io guidavo.
E in quella serata, avevo quadruplicato i miei problemi. Ora ero senza casa, solo, come sempre, con la mia macchina.
Sorrisi amaramente, mentre ingranavo la quarta.

  
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