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Autore: PersephoneNebel_    30/03/2013    2 recensioni
Seconda parte della fafiction Carry me away from my pain, che mi vedo costretta a pubblicare con un altro account.
Nell'ultimo capitolo della precedente, Janika era stata picchiata dal suo ex ragazzo, ora si trova a a combattere contro il suo cuore e contro i suoi nervi; Infatti sia la sua vita sentimentale che quella materiale sono messi a dura prova dal destino.
Genere: Drammatico, Erotico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Children of Bodom fanfic2
Carry me away from my pain
pt. 2

Flickan som lekte med elden¹

I don't care if your world is ending today,
because I wasn't invited to it anyway.
You said I tasted famous, so I drew you a heart
But I'm not an artist I'm a fucking work of art.
-Marilyn Manson, (s)Aint




Janika rimase sbigottita davanti all'espressione incerta ma sorridente del suo interlocutore. Non era una novità, le aveva solo confermato ciò che già sapeva. Ma sicuramente non si aspettava di trovarlo in quel bar, quella mattina, dopo il discorso che le aveva fatto. Eppure era lì, accanto a lei, come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se fosse ovvio; e lo era. Ovviamente la giovane era a conoscenza dei sentimenti di Janne nei suoi confronti e ovviamente era a conoscenza del fatto che il tastierista stava soffrendo più di tutti per questa situazione. Ed era solo colpa sua. Perché proprio non riusciva a capire come un ragazzo potesse amarla e volerla proteggere senza volere nulla in cambio, non riusciva a comprendere il suo amore spassionato e senza pretese; Il suo rispetto per i suoi sentimenti e per la sua fragilità fisica e mentale. Semplicemente aveva sempre pensato che ognuno ha il  partner che si merita, e lei non si meritava la dolcezza di Janne, ma il ruvido amore geloso e bramoso di Trygve. Pensava di essersi sempre meritata la marea di botte che prendeva da lui, la forza che usava per amarla e la violenza, tutta la violenza che le aveva versato addosso.  
Janne aveva abbassato la testa e fissava un punto indistinto sulla tovaglia a quadretti, non stava veramente pensando a quello che aveva appena detto, in realtà non stava pensando affatto. Le parole gli erano scivolate fuori dalla bocca con una naturalezza che quasi l'aveva spaventato. In realtà non temeva le conseguenze ma i suoi sentimenti. L'idea di andarsene, di abbandonare tutto e di lasciare la band erano tornate ad accarezzargli la mente per poi fuggire il più lontano possibile. Janika cercò le parole per rispondere, la sua voce era ancora la dolce melodia vellutata che aveva fatto impazzire il ragazzo:
- Perché? Perché mi ami nonostante tutto quello che ti sto facendo passare? Perché mi ami anche se ti dico che non ti amo? Sei la persona più importante della mia vita, mi hai fatto capire la mia importanza ma, io non ti merito. Non merito il tuo amore. Avevamo detto che non saremmo stati più che amici. E funzionava. Lo sai, io amo Alexi. -
L'altro annuì quasi impercettibilmente, voleva ribattere. Le disse che non l'avrebbe lasciata andare, che non gli importava di essere solo una seconda scelta. Avrebbe aspettato del tempo e sapeva che prima o poi lei e Alexi si sarebbero lasciati. Perché la ragazza aveva bisogno di sicurezza e stabilità sentimentale e fisica, cosa che il vocalist non sarebbe mai riuscito a darle.
In un primo momento lei pensò che si sarebbe dovuta arrabbiare, e urlargli di non dire queste cose perché era solo geloso di tutto questo ma, probabilmente più di chiunque altro, sapeva che Janne aveva ragione. E continuava a non capire perché non si arrabbiasse con lei, perché volesse proteggerla a tutti i costi e evitare di farla soffrire. Si limitò a dirgli "vederemo" e a uscire dal locale dopo aver pagato la consumazione che non aveva neanche toccato.
Il tastierista la seguì, la prese per un braccio e la fermò chiedendole se avesse voglia di andare a casa sua. No, non ne aveva voglia. Doveva andare a casa a fare una telefonata importante.
In meno di venti minuti Janika era di nuovo nel suo salotto, accese il portatile e aspettò che la connessione internet desse segni di vita. Era ormai diventata un'abitudine da quando sua madre era via quella di controllare le sue e-mail tutti i giorni, come se si aspettasse che qualcuno le scrivesse qualcosa di davvero importante. Aprì la casella delle mail e trovò una lettera da Trygve:
"Cara Janika,
No, in realtà non mi sei affatto cara ma, in un modo o nell'altro, dovevo aprire questa mail e ho scelto il metodo più usato.
Il nostro ultimo incontro è stato alquanto violento, non per mia scelta. Stupida ragazzina, secondo te come si sente un padre quando gli viene detto che suo figlio è morto per un capriccio di una bambina insolente? Male, molto male. Tu sai di esserti meritato ciò che ti ho fatto e sai che non è finita. Sì, penso che ti denuncerò in tribunale per ciò che hai fatto. O forse non ce n'è affatto bisogno, forse il tribunale peggiore è quello che sta nella tua testolina vuota. Io davvero mi sto sforzando ma non riesco a capire come possa una madre uccidere suo figlio. Insomma, se ti ritenevi abbastanza grande per venire a letto con me lo eri anche per assumerti le tue responsabilità. Sapevi che sarei tornato e sapevi che avrei preteso mio figlio. Eppure ti sei sbarazzata di lui, come se fosse un inutile peso per la tua vita. Già, con un figlio a carico non ci si può divertire, vero? Perché un bambino richiede responsabilità e competenza. Povero piccolo ... Possibile che tu non abbia pensato neanche un secondo alle conseguenze? Non ti sei fatta troppi scrupoli a sentirti Dio. In ogni caso questa e-mail te l'ho inviata solo per farti sapere che fra di noi non ci sarà mai più nulla. Hai infranto tutto l'amore che provavo per te. L'hai gettato via. Non cercarmi, non ti risponderò. Ormai è inutile. E' Finita. Per sempre.

A mai più rivederci,
Trygve"

Janika rimase qualche secondo a fissare lo schermo. Poi, come a scoppio ritardato, scoppiò a ridere. Cliccò sull'icona "rispondi" e scrisse solo due parole:

"Ma davvero?"

Si alzò dalla sedia e prese il telefono. Come se dovesse davvero chiamare qualcuno. Sapeva benissimo che era stata solo una scusa per allontanare Janne. Per stare da sola con i suoi pensieri. La solitudine che aveva sempre temuto era ora l'unica cosa che desiderasse davvero. Chiuse gli occhi e rimase ad ascoltare i rumori che la circondavano: gli alberi che si scrollavano di dosso la neve e i mobili che scricchiolavano. Sarebbe volentieri rimasta lì, nel più totale silenzio, aspettando che la vita le scivolasse dalle mani e facesse il suo corso senza di lei. Avrebbe voluto guardare tutto come dagli spalti di un campo da calcio, essere solo uno spettatore impassibile davanti a tanto scempio. Probabilmente non le sarebbe piaciuto quello che vedeva, avrebbe voluto chiudere gli occhi e sforzarsi di non piangere, ma poi si sarebbe fatta coraggio, perché quella non era la sua storia. La ragazza bionda che inscenava la tragedia non era lei. Ma avrebbe comunque pianto, sarebbe comunque stata triste: Ma essendo consapevole che quelli non erano fatti che la riguardavano. Sarebbe stata male solo durante la catarsi poi, tutto sarebbe andato meglio. Ma forse lei non avrebbe avuto tutta questa fortuna. Forse la sua vita era destinata a essere una tragedia senza catarsi. Come quelle di Euripide che aveva studiato quando era un'adolescente e quando la vita le sembrava tanto semplice e bella, senza pretese e senza problemi che non si potessero risolvere. Ovviamente prima della malattia di sua sorella, del casino col suo ex ragazzo e prima che rimanesse incinta e conoscesse Janne ed Alexi.
I suoi pensieri vennero interrotti dallo squillo del campanello. Lei si gelò il sangue nelle vene. Sapeva esattamente cosa sarebbe successo, sapeva esattamente chi avrebbe trovato dall'altro lato della porta. Perse qualsiasi capacità di ragionare, si diresse velocemente in cucina dove prese un coltello per il sushi, uno degli arnesi più affilati che si potesse trovare in una cucina e corse verso la porta d'ingresso; Guardò attraverso lo spioncino e i suoi timori vennero confermati. Trygve. Era lì. Con la faccia più strafottente che avesse mai visto. Come se stesse ritornando a casa dopo una lunga giornata di lavoro e si aspettasse di trovare la cena preparata e la moglie pronta a dargliela. Janika nascose il coltello dietro la schiena, aprì la porta e, sorridendogli, lo invitò a entrare. Ovviamente era stupito di tutta quella gentilezza, non se la sarebbe mai aspettata. Inarcò un sopracciglio e la squadrò. Non era cambiata di una virgola. Era sempre la solita nanetta bionda e troppo infantile. Ricambiò il sorriso e le chiese se avesse letto la lettera. Certo che l'aveva letta. E le dispiaceva tanto ... avrebbe voluto rimediare. Riuscì quasi a farsi uscire una lacrima dagli occhi. Gli disse che non era stata colpa sua, anzi lei avrebbe voluto avere questo bambino e poterlo crescere insieme a lui una volta che fosse tornato. Trygve la squadrò di nuovo. Quasi non riusciva a credere alle sue orecchie. Poi Janika riprese a parlare:
- Ascolta, so di averti ferito e so che tu tenevi davvero a questo bambino poichè era tuo figlio. Ma, come ho detto se avessi potuto scegliere l'avrei tenuto e l'avrei cresciuto con te ma.. se davvero vuoi che finisca così, non mi opporrò. Lascia solo che ti dia l'ultimo abbraccio poi ognuno andrà per la propria strada. -
Il ragazzo sembrava incerto sul da farsi. Ma era convinto delle parole di Janika e compiaciuto del fatto che stesse  tornando da lui strisciando come un verme, esattamente come aveva sempre desiderato. Si avvicinò a lei e le tese le braccia, lasciando che la giovane le venisse in contro, le cinse le spalle con le braccia e Janika prese il coltello che aveva infilato nei pantaloni, allargò le braccia e si strinse a lui, conficcandogli la lama nella schiena. Lui gemette e strinse più forte la ragazza, come se tentasse di soffocarla, inconscio del fatto che così facendo l'arnese andava più a fondo scavando nella ferita. Janika estrasse il coltello e diede un calcio a Trygve che cadde a terra, macchiando il tappeto di sangue, era completamente privo di forze. Finalmente la giovane riusciva a sentire la forza nelle sue mani, la vista le si annebbiò e in pochi secondi si ritrovò sopra il corpo del ragazzo sferrandogli colpi al petto prima col coltello poi a mani nude. Lui sputò un fiotto di sangue misto a saliva e esalò il suo ultimo respiro. Janika si alzò e si guardò le mani intrise del liquido scarlatto, sentì le lacrime rigarle il volto e cadde sulle ginocchia, come se qualcuno le avesse tirato un colpo alla schiena, vide la sua faccia riflessa nel sangue sul pavimento e inorridì. Cercò di alzarsi senza successo e si ritrovò sdraiata a terra piangendo e fissando il cadavere di fianco a lei.

****
Come promesso in poco tempo sono riuscita ad aggiornare. Penso che tutto questo si commenti da solo.
Alla prossima e grazie a tutti.

N.d.a.: ¹= "La ragazza che giocava con il fuoco". Anche questo è svedese ed è il titolo originale dell'omonimo libro di Stieg Larsson.
  
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