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Autore: Margherita Dolcevita    30/03/2013    3 recensioni
I magnifici capolavori della Clare dal punto di vista del misterioso Jonathan Christopher Morgenstern.
Genere: Fantasy, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Clarissa, Jonathan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                            Tale Padre, Tale Figlio

Sono seduto sul tuo letto, accanto al tuo corpo, che ti osservo dormire. Di nuovo. Sono passati tre giorni ormai, ma tu ancora non ti sei svegliata, e tieni coperti quei due smeraldi che hai al posto degli occhi. Ogni tanto contrai le palpebre, come se volessi sollevarle, ma fossero troppo pesanti per riuscirci.

Dalla finestra aperta, da cui sono entrato clandestinamente per ricongiungermi a te, passa la debole luce dell'alba che ti illumina il volto pallido e i capelli, facendoli assomigliare ancor di più, se possibile, a delle fiamme.

Ora le tue lentiggini sono ben visibili e se volessi potrei anche contarle. Le accarezzo delicatamente con la punta delle dita, attento a non graffiarti con le unghie. Tu arricci il naso, come un gatto, infastidita dal solletico che il mio tocco provoca sulla tua pelle sensibile.

Sposto la mia mano dalla guancia, alla tua fronte non più bollente, ma tiepida. La febbre ormai è passata e il veleno di demone a quest'ora dovrebbe essere scomparso del tutto, ma allora perchè ti ostini a tenere i tuoi meravigliosi occhi chiusi, privandomi della loro lucentezza?

I figli dei Lightwood pensano che non ti risveglierai, che non sopravviverai, ma se è per questo pensavano anche che tu fossi una comune e banale Mondana.

Come biasimarli, in fondo nussuno avrebbe mai immaginato che tu appartenessi ad una delle più gloriose e potenti famigli di Shadowhunters. Se devo essere sincero nemmeno io avrei mai pensato che tu fossi come me.

Mai giudicare un libro dalla copertina.

Sembravi così fragile. Uno scriccioli dagli appariscenti capelli rossi ecco cos'eri per gli altri. Ti chiedo scusa, mia adorata Clarissa, di esermi lasciato ingannare dal tuo aspetto, ma quando ho saputo che tu, pur avendo vissuto come
una Mondana e non avendo ricevuto nessun tipo di addestramento, da sola sei riuscita ad uccidere un Divoratore ho dovuto ricredermi sul tuo conto.

I miei occhi neri fissano insistentemente le tue rosee labbra, la mia lingua golosa del tuo dolce sapore. Vorrei posare le mie labbra sulle tue, ma puntualmente dei passi ci interrompono, ed io sono costretto ad uscire dalla finestra, aggrappandomi al cornicione della finestra per non cadere.

Lui entra dalla porta lentamente, richiudendosela piano alle spalle, per non fare rumore.

In tre giorni, non ti è mai venuto a trovare di pomeriggio, troppi testimoni. Preferisce venire quando tutti stanno dormendo, pensando di essere finalmente solo con te. Non immagina nemmeno che qualcuno lo stia osservando.

Si crede il miglior cacciatore di tutti i tempi...Mentre in realtà non si rende nemmeno conto di essere spiato. Potrei attaccarlo alle spalle, affondare la mia spada nella sua schiena, senza che lui se ne accorga.

Godrei immensamente nel vederlo dissanguarsi a terra, ma qualcosa mi ferma. Un'immagine. La stessa che mi perseguita da minuti, ore, giorni. Tu, mia adorata Clarissa, che, al mio posto, trafiggi Jace.

Lascio la presa sul cornicione, lasciandomi cadere a terra. Devo tornare a "casa" adesso, il mio tempo è scaduto, ma ti prometto che tornerò.

Cammino lentamente e con l'immagine di Jace, sanguinante e moribondo, arrivo a Renwick prima di quel che pensassi. Salgo le scale dell'edificio con passo annoiato, ho tutto il tempo del mondo. Gli scalini sembrano infiniti, ma non ho fretta, so già cosa troverò una volta arrivato in cima e la cosa non mi entusiasma affatto.

La camera di Jocelyn ha la porta aperta, che lascia vedere mio padre e lo stregone all'interno della stanza. Mi avvicino con cautela, non facendo alcun rumore. Mi appoggio allo stipide della porta, tendendo l'orecchio.

-Pensi di riuscirci?- La voce di mio padre è tesa, con una nota di speranza nella voce. Lo stregone inizia a muovere le mani sul corpo di Jocelyn, senza però mai toccarla davvero. Valentine non distoglie mai gli occhi dalle mani dello stregone, pronto ad intervenire nel caso ce ne fosse bisogno.

-Non lo so ancora. L'incantesimo è molto potente, controllerò sui miei libri- Risponde con voce leggermente tremolante.

-Quindi puoi o non puoi svegliarla?- Gli chiede Valentine, quasi ringhiando, stanco di aspettare. Lo stregone indietreggia lentamente fino ad arrivare alla porta, dandomi le spalle.

-Io...Sì, se non è troppo tardi-

-Cosa intendi dire con "troppo tardi"?- Dice con lo stesso tono astioso di prima.

Vedo lo stregone irrigidirsi di colpo, sento il rumore della suo bocca che si apre e si chiude senza sapere cosa dire. Intimoriti dalla reazione di mio padre quando gli dirà la verità. E cioè che non può svegliarla, che nessuno può svegliarla. Sorrido, mentre decido di mettere fine alle pene dello stregone.

-Calmati papà- Ho posato la mia mano sulla spalla dello stregone, che non aspettandoselo è sobbalzato visibilmente.

-Il nostro...- Inizio a dire, poi però mi fermo cercando di ricordare il nome del Nascosto. In effetti non sono molto sicuro di averglielo chiesto. Mi volto verso di lui invitandolo silenziosamente a rivelarmi il suo nome.

-Adrien- Sussurra appena, cercando di recuparare il fiato perso a causa dello spavento che pochi attimi prima gli ho fatto prendere.

-Adrien...Il nostro Adrien, sta solo dicendo che, come ogni altra cosa a questo mondo, ci possono essere dei rischi. Il nostro rischio è che sia passato troppo tempo da quando Jocelyn ha ingerito la pozione, e che quindi non ci sia più possibilità di svegliarla- Gli spiego al posto di Adrien.

-Non è così?- Gli chiedo conferma. Quest'ultimo riesce solo ad annuire con forza.
 
 
 





-Chi osa invocare me, Abbadon, il demone degli abissi?- Chiede con una voce fastidiosa e roca. Vedo lo stregone deglutire rumorosamente ed aprire e chiudere la bocca, troppo spaventato per parlare.

-Io. Johnathan Christopher Morgenstern- Dico prendendo in mano la situazione. Le orbite vuote di Abbadon, si muovono, fermandosi nella mia direzione, squadrandomi da capo a piedi. Il demone prova ad avanzare, ma appena prova a mettere piede fuori dal pentagramma, la sua pelle iniza a bruciare, lasciando nell'aria uno sgradevole odore di bruciato.

-Johnathan Christopher Morgenstern. Il tuo nome non mi è nuovo ragazzo...- Dice pronunciando le lettere lentamente, cercando di capire dove possa già aver sentito il retrogusto amaro del mio nome. 

-Il Rinnegato. Valentine Morgenstern è tuo padre- Dice dopo qualche secondo, riconoscendomi.

-Sì- Gli rispondo senza lasciarmi influenzare. Prova di nuovo con una mano ad attraversare la sua prigione invisibile, nonostante il bruciore che gli provoca, continua ad allungare il braccio, finchè la sua mano non sfiora quasi la mia faccia.

Lo stregone indietregia impaurito pronto a scappare, ma io non mi sposto, resto fermo, i miei occhi fissi sulle sue cavità vuote. Quando la distanza fra la sua mano ed il mio viso è pari ad un soffio, lui ritira il braccio di scatto non sopportando più il dolore causato dalle bruciature.
Sento lo stregone sussurrare dietro di me delle parole  straniere, e il pentagramma illuminarsi di scatto.Anche se non ha gli occhi riesco a capire che l'occhiato che lancia allo stregone, per aver creato la sua gabbia, è di puro odio.

-E cosa posso fare io, per te?- Mi chiede con finta cortesia, tenendosi con l'altra mano il braccio ferito e senza staccare gli occhi dallo stregone, che intanto abbassa gli occhi cercando di scappare allo sguardo assassino di Abbadon che gli sta perforando l'anima. 

Delle gocce di sangue nero iniziano a scendere lentamente dal braccio del demone, cadendo in fine a terra. L'asfalto a contatto con il sangue corrosivo di Abbadon inzia a scricchiolare e a sciogliersi.

-Aiutarmi nel mio intento- Rispondo sicuro di me, senza esitazione.

-E quale sarebbe?- Mi chiede, questa volta la curiosità nella sua voce è sincera, o almeno così sembra.

-Distruggere i Nephilim- Finalmente il suo sguardo si rivolge a me.

-E come farete? Voi siete solo in due, mentre i Nephilim sono molti, molti di più- Dice. Il sangue dalle sue ferite ha smesso di scorrere e le bruciature si stanno rimarginando a vista d'occhio. Solo un demone Superiore e molto forte, potrebbe far guarire le sue ferite ad una tale velocità.

-Evocheremo quanti più demone possibili e dopo che avremo trovato la Coppa Mortale, li costringeremo ad obbedirci!- Mi avvicino al pentagramma, fermandomi solo quando la punta delle mie scarpe non sfiora la linea bianca. 
Nonstante stia dedicando quasi tutta la mia attenzione ad Abbadon, non ho mai smesso di osservare le mosse dello stregone.Lo vedo tremare, anche se cerca di non farlo notarre stringendosi nella giacca, come se fosse una protezione.

La rivelazione del mio piano deve averlo scombussolato, ma ormai l'accordo è fatto e non si può più tornare indietro. Se lo stregone scappasse proprio ora... Sia lui, sia io sappiamo cosa gli accadrà.

-E cosa dovrei fare io di preciso?- Sorrido, sapendo che, anche se non esplicitamente, ha accettato di collaborare con noi.

-Rompi il sigillo- Ordino allo stregone, che non aspettandosi che io mi rivolgessi a lui, sobbalza dallo spavento. Lui resta fermo a guardarmi, sbattendo più volte gli occhi, esterrefatto e confuso allo stesso tempo.

Avverto in Abbadon un sentimento di sorpresa, ma cerca di nasconderlo, sorridendo soddisfatto per la sua libertà.

-Ma senza quello, Abbadon...- Prova a dissuadermi.

-Rompi il sigillo. Ora- Gli ripeto sibilando e interrompendolo. Odio che le persone non mi obbediscano. Lo stregone sobbalza per il tono autoritario che ho usato e senza aggiungere altro pronuncia una breve formula, accompagnandola da dei gesti con le mani.

Il gesso bianco sull'asfaldo inizia a sbiadire. Dopo pochi secondi il sigillo è scomparso del tutto. Il demone ,con cautela, allunga un piede, superando il punto dove prima c'era il sigillo. 

Ora la sua pelle non brucia più e il demone esce totalmente dalla sua gabbia, avvicinandosi a me, fermandomisi davanti. La mia mano scatta verso la mia spada, stringendo con forza l'impugnatura, aspettandomi un attacco dal demone. Abbadon mi supera di qualche decina di centimetri, ma questo non è importante. 

-Abbiamo un accordo?- Gli chiedo allungando la mano destra, quella che non sta stringendo l'elsa della spada, verso di lui. Abbadon non fa passare nemmeno un secondo, prima di stringere la mia mano con forza, sorprendendomi.

-Io aiuto sempre i miei simili, ragazzo demone-
 
 
 





Sono tornato a casa da poco più di un'ora e già me ne sto andando di nuovo, non sopporto di avere in casa mia madre, anche se incosciente. Cammino veloce, voglio allontanarmi il più possibile da lei. Mi disgusta profondamente. Lei e mio padre che si sta fottendo il cervello. 

Quando arrivo davanti alla casa di Clarissa, inizio a calmarmi. Solo pensare il nome di mia sorella mi placa profondamente, come se il mio sangue di demone si assopisse temporaneamente, e con lui la mia sete di sangue e di vendetta.

La runa dell'invisibilità è scomparsa ed ora sono visibile perfettamente hai Mondani, ma non mi preoccupo. Loro mi vedono solo come un normale ragazzo dai capelli argentei e gli occhi neri, vestito con dei jeans scuri ed una maglietta dello stesso colore. Non immaginano neppure che io possa essere uno spietato assassino proveniente da un'altro mondo.

Busso un paio di volte alla porta prima che una anziana signora mi apra. Non è molto alta e devo iclinare un bel po il collo in basso per guardarla negli occhi. I capelli sono raccolti in una crocchia disordinata e alcuni ciuffi le sfuggono, ricadendole sul viso. Indossa una lunga tunica bianca, simile a quelle dei romani.

-Posso fare qualcosa per te, ragazzo?- Mi chiede cortese, con una voce troppo stridula, senza però nessun accenno di sorriso sul volto.

-Non sono di queste parti e mi sono perso. Il mio telefono si è scaricato e mi chiedevo se lei fosse così gentile, da permettermi di telefonare ai miei amici per farmi venire a prendere- Le spiego cercando di essere credibile, dipingendomi in faccio un sorriso.

-Passano molti taxi qui- Mi risponde sospettosa, sorprendendomi. Cerco di non dare a vedere la mia sorpresa, continuando la recita.

-Come le ho già detto non sono di qui, e non saprei quale via indicare al tassista. I miei amici, al contrario di me, sono di New York e non faticheranno di certo a trovare questa via- Dico continuando a sorridere esageratamente.

-Entra- Dice infine sbuffando, spostandosi di lato per farmi passare. Io faccio qualche passo avanti entrando nell'ingresso, colmo di poster astromonici e tendine con le perline. Accanto alla porta gli scaffali, sembrano rigettare i
troppi libri che la proprietaria ci ha gettato sopra.

-Allora ragazzo, vuoi ficcare il naso da qualche altra parte o preferisci venire nel salone dei ricevimenti?- Mi chiede con voce sarcastica, prima di sparire dietro ad una tendina. Senza aggiungere altro la segue, cercando di mascherare la mie espressione infastidita. 

Il "salone dei ricevimenti" è molto più illuminato di quel che pensassi. Questo potrebbe essere un problema per Abbadon, ma fortunatamente, accanto alla parete, fatta quasi interamente da finestre, ci sono delle tende di velluto nero. Dal soffitto penzolano degli uccelli, alcuni finti altri imbalsamati, con dei brillantini al posto degli occhi. Storgo il naso disgustato dal pessimo arredamento.

Il rumore dei miei passi ora viene attutito da dei tappeti persiani, e delle ridicole e paffute poltrone rosa fanno occupano lo spazio tutto intorno ad un tavolino. La superficie di esso è stracolmo di tarocchi di ogni tipo.

-Il telefono è accanto al tavoli. Fai la tua telefonata, così potrai levarti dai piedi. Ho cose ben più importanti da fare che fare la bebisitter ad un bambino troppo cresciuto.- Mi dice indicandomi il telefono, in tinta con le poltrone.

-Io vado a fare del tè. Ne porto anche a te?- Mi chiede, diventando all'improvviso cordiale.

-Sì, molto gentile- Gli rispondo io, camminando verso il telefono. Aspetto che il tintinnio delle tendine mi dia il segnale ,che Madame Dorothea è uscita dalla stanza, prima che cambiare direzione, andando verso le finestre, oscurandole con le tende.

Nella stanza cala il buio, e dubito fortemente che una Mondana qualsiasi saprebbe orientarsi in questa oscurità. Per sua sfortuna io ci riesco benissimo. Fra le finestre a bovindo, c'è un'altra tendina. Con una mano la sposto di lato rivelando una porta di metallo lucido, con la maniglia fatta a forma di occhio.

Una Porta Pentadimensionale. Perfetto.

Mi sono informato molto sul conto della finta strega Madame Dorothea, ho avuto la fortuna di trovare uno stregone che la conoscesse di persona. La figlia adottiva di una Guardiana, chissà quanti trucchetti deve avergli insegnato. Adrien, non aveva mentito. 

Sto seriamente iniziando a pensare che quel Nascosto potrebbe essere più utile di quello che pensassi. Potrebbe addirittura riuscire a trovare una cura, per risvegliare mia madre. Se così fosse, scamperebbe alla morte per mano di
Valentine, ma non per mano mia. Non posso permettere che la risvegli.

-Tua madre non ti ha insegnato che non si tocca niente in casa di estranei?- Mi chiede con voce aspra e indispettita, Madame Dorothea.

-No, dovrebbe saperlo. Lei ha conosciuto personalmente mia madre- Le rispondo, voltandomi verso di lei. Anche al buio riesco a vedere il suo sguardo confuso.

-Non mi dica che non si ricorda di una certa Jocelyn Fairchild, o mi scusi lei la conosce come Fray, probabilmente- Dalla sorpresa la falsa strega lascia cadere al terra il vassoio con il tè, mettendo la mani davanti a sè, in modo evitare di andare a sbattere contro qualcosa.

-Chi sei tu?- Mi chiede con voce falsamente calma.

-Non mi dica che in tutti questi anni non le ha mai raccontato di me. Il figlio che ha abbandonato, senza alcun rimorso- Gli dico con voce dura e tagliente. 

-Cosa vuoi da me, figlio di Valentine- Mi chiede calcando con disprezzo l'ultimo appellativo.

-Voglio la Coppa Mortale-

-Non so dove sia- I suoi occhi ormai si sono abituati al buio, ma non abbastanza da individuarmi. Abbadon. Penso, mentre con una mano apro la porta del Portale. Una nube nera, esce fuori, portando odere di zolfo nella stanza. La falsa strega non riesce nemmeno a capire cosa stia succedendo, che si ritrova gettata a terra, mentre Abbadon, ancora sottoforma di nube, si impossessa del suo corpo.

Dorothea inizia a tremare violentamente, i suoi occhi rivolti all'indietro, dalla bocca semiaperta, inizia a scendere un filo di densa e schiumusa saliva, come se fosse un cane con la rabbia.

Passano alcuni minuti prima, che il corpo della donna, smetta di tremare. Io continuo a guardarla immobile, quando improvvisamente lei si alza, girandosi verso di me. I suoi occhi diventano per qualche secondo neri, prima di tornare al loro colorito naturale.

Cammino verso l'interruttore della luce, accendendo le lampadine. Madame Dorothea, o almeno quello che ne resta di lei, si porta una mano sugli occhi per proteggersi dalla luce.

-Allora?- Dico interrompendo il silenzio.

-Impossessarmi di questo corpo è stato più facile di quel che pensassi- Risponde con la voce della donna, Abbadon. Il demone sta esaminando il suo nuovo corpo che, a giudicare dalle smorfie che fa, non credo gli piaccia poi molto. A mio parere è molto meglio di quello che aveva prima.

-Quindi come funziona, ora tu sei in grado di vedere i suoi ricordi?-

-E ho anche tutti i suoi poteri, sempre che ne abbia- 

-Dov'è la Coppa?- Gli chiedo, cercando di calmarmi per non perdere la pazienza.

-Non stava mentendo poco fa, non sa davvero dove si trova- Non è possibile!

-Era una Guardiana! Jocelyn dovrà pur avergli dato qualcosa, o perlomeno detto qualcosa!- Urlo fuori controllo.

-No, l'unica cosa che gli ha dato è quel mazzo di carte dipinto da lei- Io fulmino il demone con lo sguardo, facendogli intendere che non m'importa niente dei regali che ha fatto mia madre ad una falsa strega.

-Ne sei assolutamente certo?-

-Sì- 

-D'accordo, allora tu resterai qui. Forse i Nephilim verranno per avere delle informazioni da Madame Dorothea, e se questo succedesse voglio essere avvisato subito, sono stato chiaro?- Gli dico, dopo qualche secondo, passato a cercare di guardarmi.

-Trasparente- Mi risponde e dal suo tono di voce riesco a capire prendere ordini da me non sia molto di suo gradimento. Esco dalla casa, senza dirgli altro, evitando così uno spiacevole scontro fra me e il demone. Cammino velocemente per la città, cercando di sbollire la rabbia, causata dall'ennesimo buco nell'acqua.

Arrivo a Renwick che sto correndo, salgo velocemente le scale, saltado i gradini a due a due. Arrivo fin incima e un pungente odore di sangue mi invade le narici. Non che mi dia fastidio, ovvio. Mi sembra che l'odore provenga dalla camera di Jocelyn, così inizio a caminare verso di essa.

Come sempre vicino al letto di mia madre, c'è Valentine, ma, diversamente dalle altre volte, il corpo di Adrien è steso a terra, proprio dietro a mio padre. Sul suo petto è stato fatto uno scuarcio lungo parecchie centimetri, da cui fuoriesce ancora una quantità eccessiva di sangue. Negli occhi aperti, ma senza vita, si può ancora vedere il suo terrore. 

Qualcuno, non è stato all'altezza delle aspettative a quanto pare. Penso ghignando.

-Bentornato Johnathan- Mi saluta mio padre, girando appena la testa nella mia direzione.

-Buongiorno padre- Resto fermo all'entrata, ma il mio ghigno di poco prima è scomparso.

-Si può sapere dove scappi tutte le mattine?- Girandosi completamente, in modo che la sua attenzione sia focalizzata totalmente su di me.

-Mi sto solo preoccupando di ritrovare la Coppa Mortale-

-E in che modo un demone Superiore, può aiutarti in questa tua onorevole ricerca? Sono curioso di saperlo- Spalanco impercettibilmente gli occhi dalla sorpresa, non riuscendomi a trattenere. Maledetto bastardo, così prima di morire hai deciso di spifferare tutto è?

-Il nostro Adrien, mi ha detto tutto sul tuo piano. Piano molto astuto devo ammettere, non so come non abbia fatto ad arrivarci anche io- 

-Forse perchè eri troppo concentrato su altro- Dico volgendo una breve, ma intensa, occhiata al corpo di mia madre.

-Forse. Comunque, per sicurezza, domani manderò un paio di Dimenticati a controllare e sorvegliare, se servisse, l'appartamento di Joceyn-

-Non pensavo avessimo dei Dimenticati dalla nostra- Rispondo con tono leggermente irritato.

-Non sei l'unico in grado di nascondere le cose, Johnathan- Dice, prima di scontrarmi con una spallata, per uscire dalla stanza, lasciandomi da solo, mentre la mia rabbia di poco prima ritorna. Con le unghie mi lacero la pelle dei palmi della mani, per evitare di fare cose di cui sicuramente mi pentirei subito dopo, come per esempio aggredire mio padre.

-Voglio che domani, tu, Pangborn e Blackwell andiate da Lucian. Anche lui potrebbe sapere qualcosa. Naturalmente tu non potrai farti vedere da lui, potrebbe riconoscerti. Pangborn e Blackwell lo terranno occupato mentre tu cercherai la Coppa Mortale o qualsiasi altro indizio, nel suo appartamente o in qualunque altro posto lui viva- Cerco di inspirare profondamente, richiamando a me tutto il mio autocontrollo.

-Certo padre, come preferisci- 







NOTE DELL'AUTRICE:
Per non aver recensito il mio precedente capitolo, ho deciso di punirvi ritardando la pubblicazione di questo! Sto diventando più perfida di Johnathan !
No, dai sto scherzando, mi dispiace non aver pubblicato prima, ma l'ispirazione è tardada ad arrivare.
E sinceramente non è che questo capitolo mi convinca totalmente...Vabbè.
Comunque siete stati/e cattivi/e un piccolo commentino potevate lasciarmelo!
Vabbè, vi perdono solo se recensite questo capitolo, però. :))
Un bacione a tutti/e,
Margherita
   
 
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