Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Meow    30/03/2013    1 recensioni
"La guerra è una grande distruttrice di uomini e di caratteri. Consuma i valorosi e annienta i meno forti. 
Lev Tolstoj."
Genere: Angst, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alice Paciock
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A




Angolo delle inutili chiacchiere:


Non credo di sapere esattamente come e cosa dire, quindi andrò per il solito e tedioso: "Salve!"
E' la prima volta che scrivo una fanfiction su Harry Potter (e si nota pure, oserei aggiungere), quindi passatemi le mie possibili imperfezioni e io mi prostrerò ai vostri piedi blablabla. 
Sebbene sia terribilmente riluttante a pubblicare questa One-shot (anche se avevo precedentemente optato per la parola 'scempio', ma purtroppo non era nelle opzioni), ho qualcosa da dire. 
Primo, questa cosa non ha senso. Ma proprio nessuno. E' solo frutto di un complicato ma non troppo cocktail di noia, stanchezza e una disperata voglia di fare qualcosa di produttivo per una volta nella vita. Vi consiglio di non provarlo mai. E' terribilmente pericoloso.
Secondo, come apprenderete se deciderete di leggere questa orrenda creatura creata da me (e se ve lo state chiedendo, si, ho un grave complesso narcisistico) dato che la traduzione italiana del cognome di quella povera famiglia mi ha sempre fatto cadere le braccia, ho scelto di lasciare quella originale, che mi garba molto di più. Inoltre, dato che nella storia non viene mai specificato il nome da nubile di Alice Longbottom, e le famiglie di maghi Purosangue sono sempre le stesse, ho immaginato che potesse essere una Prewett, dato che non verrà neanche menzionata nell'albero genealogico dei Black. E poi boh, ce la vedevo come, che ne so, lontana cugina di Molly. Concedetemelo. 
Terzo, chiedo immensamente venia al signor Tolstoj per aver traviato le parole della sua citazione, rendendole più appropriate e consone ai miei scopi.
E ultimo, ma non per importanza, l'immancabile quanto inutile disclaimer.
I personaggi e i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me (magari Londra appartiene al Regno Unito, ma son dettagli) bensì a quella santa donna di J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro (sia mai!) e nessuna violazione del copyright è pertanto intesa. 























Gomme Bolle Bollenti
 
 



“La madre di Neville veniva verso di loro furtiva. Non aveva più il viso tondo e allegro che Harry aveva visto nella vecchia foto del primo Ordine della Fenice che gli aveva mostrato Moody. Era magra e sciupata, gli occhi sembravano enormi e i capelli, che erano diventati bianchi, ricadevano in ciocche stoppose. Non sembrava che volesse parlare, o forse non poteva, ma fece dei timidi gesti verso Neville, porgendogli qualcosa nella mano tesa.
«Ancora?» disse la signora Longbottom, in un tono un po’ stanco. «Molto bene, Alice cara, molto bene…Prendilo Neville, qualunque cosa sia».
Ma Neville aveva già teso la mano, in cui sua madre mise un incarto vuoto di gomma Bolle Bollenti.
«Molto gentile, tesoro» disse la nonna di Neville con finta allegria, battendo appena sulla spalla della nuora.
Ma Neville mormorò: «Grazie mamma».”

{Harry Potter e L’Ordine della Fenice}

 
 



1 Novembre, 1981.
 
In quella giornata di fine autunno, a Londra, regnava un’atmosfera alquanto insolita. Pareva quasi inspiegabile, agli occhi degli uomini mattinieri che si affrettavano a recarsi al posto di lavoro, con gli occhi ancora pieni di sonno e la cravatta di traverso.
E forse era per l’atipico e quasi comico drappello di uomini vestiti con lunghi mantelli colorati e cappelli a punta e dai loro volti estatici che davano l’impressione di aver appena vinto alla lotteria. O dai possenti gufi che cantando ed emettendo i loro monosillabici versi, volavano da una parte all’altra, frenetici. Fatto sta, che vi era un inconsueto trambusto per le strade e i viottoli della città, seppur il motivo rimanesse ignoto a chi incappava nel festoso capannello di persone.
Era impossibile non notarli, vistosi e rumorosi com’erano, esultando con parole biascicate e attutite da boccali di vetro e risate gioiose. Si avvicinavano anche, se percepivano qualcuno che li aveva fissati troppo a lungo, e affermavano con sorrisi che andavano da un orecchio all’altro: «Questo è un giorno glorioso, figliolo, davvero memorabile!».
Se non fossero stati sicuri che non ce ne fosse una in corso, avrebbero pensato che questi davano l’impressione di aver appena vinto una guerra. Una anche parecchio importante, tra l’altro, scorgendo non solo l’eccitazione ma anche sollievo e liberazione nei loro volti, come qualcuno che era stato in apnea troppo a lungo e finalmente era tornato a respirare.
Ma dietro le espressioni rincuorate, dietro i sorrisi ed esclamazioni entusiastiche di quelli che erano rimasti al loro posto e avevano aspettato che fosse qualcun altro a combatterla, la guerra, c’erano uomini e donne, adolescenti costretti a crescere troppo in fretta, bambini troppo grandi che portavano un peso sulle spalle molto più pesante della loro capacità, che reggevano bacchette con mani tremanti ma chiari obiettivi.
C’era chi, per esempio, non festeggiava per niente, occupato a pensare a ciò che avevano perso, piuttosto che vinto.
C’era chi, allontanatosi dal clima di festa, si chiedeva quanto tempo sarebbe durata la tregua, perché, oh si, era impossibile che fosse finita così, che lui fosse stato fatto fuori così facilmente.
E c’era chi, in quella giornata di Novembre, invece, non sarebbe ritornato mai più.



 
                                                                                                                        ✖
 
 
31 Ottobre, 1981.
 
La notizia non ci aveva messo molto a spargersi, tra i membri dell’Ordine. 
Inizialmente, troppo sconvolti persino per muovere un muscolo, non erano riusciti a capacitarsi del fatto che una cosa simile fosse realmente accaduta.
L’Incanto Fidelius avrebbe dovuto proteggere Lily e James dall’arrivo del Signore Oscuro, e il Custode Segreto, rimasto ignoto perfino ai membri dell’Ordine stesso in caso qualche Mangiamorte avesse tentato di estorcere loro informazioni, sarebbe stato disposto a dare la sua vita per prevenire qualsiasi accaduto che sarebbe potuto sfociare in tragedia.
Ma qualsiasi precauzione presa era risultata vana, e lui, alla fine, aveva raggiunto il suo obiettivo ed era arrivato alla famiglia Potter. Il primo, fugace pensiero, era andato a chi fosse stato capace di tradirli, di rivelare a Lord Voldemort la localizzazione di due dei loro più cari amici, esponendoli non ad un pericolo immane, ma alla morte stessa. Sapere che almeno il piccolo Harry era non solo sopravvissuto, ma in qualche modo riuscito a sconfiggerlo, provocando la sua improvvisa quanto misteriosa scomparsa, aveva lenito per qualche secondo quella ferita appena spalancatasi, che minacciava di risucchiarli e di trascinarli in un oceano di dolore.

Non sapevano esattamente a cosa andavano incontro, quando avevano accettato di partecipare a quella che sembrava a tutti gli effetti una missione suicida.
Erano giovani e sconsiderati, guidati dalla tenacia e la voglia di mettersi alla prova, e nessuno si era fatto remore di avvertirli dei pericoli in cui stavano per imbattersi. Nessuno aveva spiegato loro cosa comportava, lanciarsi in un campo di battaglia e combattere per qualcosa che non era ancora del tutto chiara. Che fosse la libertà, o la sopravvivenza, o perché alla fine ficcarsi in una guerra che non aveva né capo né coda era una prerogativa dell’essere umano, non lo sapevano.
Era stato insegnato loro, con storielle dall’esito ambiguo e inutili proverbi e frasi fatte che venivano dette solo per il gusto di farlo, che il bene sarebbe stato costantemente capace di prevalere sul male, e che tutte le storie si concludono con un lieto fine, e ognuno di loro, guidato da questa bizzarra quanto stupida convinzione, aveva deciso di mettersi in gioco. Ma quella che stavano vivendo era una guerra, non una delle favole di Beda il Bardo, e non era una cosa da niente, ma quando l’avevano realmente compreso non potevano più tirarsi indietro, perché c’erano già dentro fino al collo. Perché nessuno avrebbe potuto dire loro come sarebbe andata a finire e così l’avevano sottovalutata, avevano dato la vittoria per scontato e Dio solo sapeva quanto si erano sbagliati.
Ma erano rimasti lo stesso, ascoltando i consigli di Silente e i quasi ossessivi avvertimenti di Malocchio (“Vigilanza costante!”), e avevano combattuto.

E piano piano, avevano visto tutti i loro compagni andarsene via.

Il primo era Edgar, che era sempre stato il migliore tra tutti, ed era stato un duro colpo per loro. Non avevano ancora sperimentato la sensazione della perdita non solo di un membro dell’Ordine, ma di un amico e fratello, ed erano assolutamente sicuri che non avevano intenzione di riprovarla.
Ma le loro speranze si erano rivelate vane, perché dopo c’era stato Caradoc, e sebbene fosse letteralmente svanito nel nulla e non avessero mai ritrovato il suo corpo, non era stato un gioco da ragazzi superare anche quella. Ma forse il peggio era arrivato quando Benjy era caduto sotto le mani dei Mangiamorte, e nessuno di loro sarebbe mai riuscito a dimenticare la sua espressione vuota, gli occhi fuori dalle orbite e la bocca spalancata in una perpetua espressione sorpresa, la testa recisa di netto. E soprattutto, nessuno di loro voleva realmente sapere cosa fosse stato fatto del resto del suo corpo.
E poi c’erano stati i McKinnon, Meadows, Gideon e Fabian e tutti loro avevano lentamente iniziato a perdere la speranza. Che si era totalmente sfumata con la morte di Lily e James, l’unica fiammella di fede che era rimasta a tutti loro. 
Ma oh, per quanto sapessero che Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato era sparito –mica morto, perché non credevano nemmeno che ci fosse ancora qualcosa di umano, in quel corpo-, erano sicuri che non fosse finita, perché i suoi scagnozzi erano ancora a piede libero. Ma non sarebbero andati a cercare Silente, perché forse il solo pensare di scontrarsi con lui spaventava anche loro, o Moody, le cui cicatrici dimostravano che non era digiuno di scontri, e non avrebbe ceduto tanto facilmente.
No, loro cercavano una vittima facile, qualcuno con cui divertirsi, che avrebbero distrutto cosi irreparabilmente da rendere vane le loro difese.
E quando Alice e Frank si guardarono, seppero che sarebbe toccato a loro.
 


                                                                       
                                                                                                                   ✖


 
Il volto di Bellatrix Lestrange era pallido e smunto, e i capelli neri erano molto più fulvi e pomposi e meno crespi di quanto lo sarebbero stati negli anni successivi, dopo aver passato più di una decade ad Azkaban, ma lo sguardo di pura follia e compiacimento sarebbe rimasto lo stesso. Era una vera Black, sia nell’aspetto che nella postura dritta, come se fosse stata addestrata fin da piccola a posare come una principessa.
Era quasi un peccato che il sorriso sadico e insano stonasse tanto con la sua compostezza.
Ma, per quanto spaventosa potesse sembrare, avrebbe preferito trovarsi in una stanza sola con uno Schipodo Sparacoda privata di bacchetta, piuttosto che con lei nelle medesime condizioni.
La sua unica arma giaceva a qualche metro da lei, scagliata lontano dalla sua avversaria, proprio accanto al piede del marito, che si difendeva dai prepotenti colpi di Barty Crouch Jr., soccombendo lentamente, suo malgrado, al potere delle Magie Oscure usate dal Mangiamorte.
Un dolore lancinante alla nuca riportò il suo sguardo sulla figura di Bellatrix che incombeva su di lei, mentre con una mano le tirava i corti capelli e sorrideva maligna.

«Dimmi dov’è, stupida ragazzina» aveva sibilato, il naso aquilino ad un centimetro dal suo.
«N-non» aveva mugugnato a malapena, tentando di prendere tempo «so di cosa parli».
L’espressione di Bellatrix era velocemente mutata da una ricca di stupita follia ad una di incredula ira.
«Non ti credo, schifosa poppante» ringhiava, gli occhi ridotti a due fessure, i denti che stridevano l’uno contro l’altro.
Poi, lentamente, come se avesse appena avuto un’illuminazione, il suo volto si era rasserenato, quasi avesse trovato una soluzione a tutti i suoi problemi e le aveva puntato la bacchetta contro la gola.

«Se non hai intenzione di rispondermi» aveva annunciato, la voce acuta che esprimeva una gentilezza che non le apparteneva «non mi resta altra scelta».
Nell’istante successivo a quel momento, nel quale Bellatrix stava per pronunciare l’incantesimo e oh, Alice sapeva che non l’avrebbe risparmiata per nessuna ragione al mondo, si ritrovò a pensare a tutti gli avvenimenti dell’ultimo anno, e si riscoprì sorpresa nel costatare che non era pentita di nulla, malgrado tutto. La guerra li aveva colpiti tutti, era vero, ed uno ad uno, li aveva massacrati e distrutti, ma ogni tanto, in quell’oceano di dolore e confusione, riusciva a scorgere uno spiraglio di luce, una flebile fiamma di speranza, quella che li aveva condotti fino a quel punto e non sarebbe mai scomparsa. Era quella che ritrovavano in quelle rare sere spese assieme, passate a raccontarsi divertenti aneddoti e barzellette sconce sorseggiando Whisky Incendiario.
Quella fiamma che era diventata più potente, più calda, che aveva preso un nome, due occhi grandi e scuri e due guance paffute, che aveva vissuto dentro di lei per nove mesi e diventata parte stessa del suo essere.
Quell’unica fiamma che nessun Mangiamorte, tantomeno Bellatrix Lestrange, poteva spegnere.

E sperò vivamente che, in un prossimo futuro, il suo bambino potesse vivere in un mondo dove la guerra non si prende gli anni migliori della tua vita, dove la vita veniva goduta e assaporata perché era semplicemente così che doveva essere, non perché era troppo breve e troppo sfuggente, e affrettarsi a compiere gesti impulsivi era l’unico modo per riprendersi una parte di quell’esistenza che gli era stata strappata via così tempestivamente.
Sperò che riuscisse ad essere felice e sereno, cresciuto con amore e circondato di affetto, nella speranza che, in una parte di lui, conservasse il ricordo della donna che gli aveva dato la vita e dell’uomo che, con gli occhi stanchi dalle ronde notturne e il corpo infreddolito, si era preso cura di lui come se fosse il più importante tesoro al mondo.
E pensò al volto sereno di suo marito e quello placidamente addormentato di Neville, quando, disarmata, stesa sul pavimento della sua dimora con Bellatrix che le premeva sulle costole, questa si preparava a pronunciare le fatidiche parole.
«Crucio!» urlò, il volto distorto in un sorriso felino.

E dopo, fu solo dolore.



                                                                                                                        ✖
 


 
Alice Prewett era stata una bambina tenera e giocherellona, la preferita di tutti i suoi fratelli, che la coccolavano e viziavano, guardandola deliziati e divertiti far esplodere piccoli oggetti o levitare posate, le piccole manine che battevano nell’osservare ciò che era inconsapevolmente in grado di fare.
Alice Prewett era stata una studentessa diligente e appassionata, che guardava ammirata l’insegnante di Trasfigurazione, desiderando di compiere gesti con una bacchetta che a stento credeva possibili, camminando per le stradine perennemente scivolose e spesso innevate di Hogsmeade con le sue compagne di scuola, anelando un caldo e risanante boccale di Burrobirra per liberarsi dall’opprimente pensiero degli imminenti compiti di Pozioni che l’attendevano nella Sala Comune dei Tassorosso.
Alice Prewett era stata una combattente fiera e coraggiosa, con un sangue freddo degno dei più valorosi soldati, attaccando instancabilmente e strenuamente e difendendosi allo stesso modo, vincendo tanti scontri quanti ne perdeva, permettendo poi a Frank Longbottom, il ragazzino di Grifondoro dal sorriso cordiale e le mani morbide che spesso aveva incontrato nei corridoi della scuola, di lenire le sue profonde ferite con dolci parole di conforto e caldi abbracci.
Alice Longbottom era stata una moglie affettuosa e affezionata, generosa di premure e tenere carezze, capace di conciliare la preoccupazione per la sua famiglia, per quella guerra che li stava annientando con quella di un pancione sempre più grande e di un bambino che sarebbe nato in un mondo che puzzava di morte e distruzione.
Alice Longbottom era stata una madre premurosa, gentile e delicata, regalando a suo figlio dolci effusioni e sorrisi stentati, promettendogli invano un futuro in un mondo più bello e più felice, dove l’amore e la pace sarebbero regnati sovrani.


Di Alice Longbottom, quindici anni più tardi, era rimasta solo la pallida ombra, che si rifletteva sul viso scarno, sugli occhi spenti e lo sguardo vacuo. Era il ritratto di una donna che non si era arresa di fronte al nemico, ma l’aveva fronteggiato e combattuto e aveva perso tutto ciò che aveva, compreso il ricordo di quel pargoletto esile e tenero che era stato il suo ultimo appiglio per aggrapparsi alla vita, o a tutto ciò che ne rimaneva.
Di Alice Longbottom, prima sorella, poi soldato, e infine moglie e madre, non era rimasto altro che un involucro, stracciato e calpestato, fatto a pezzi e distrutto da mani più forti di lei.
Un guscio vuoto che assomigliava fin troppo a quello delle gomme Bolle Bollenti.
 





 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Meow