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Autore: Mrs C    30/03/2013    4 recensioni
[Cap1]
John non sa che ore sono. In Afghanistan teneva sempre l'orologio di Harry nel taschino della divisa, sincronizzato sul fuso orario di Londra. Si ripeteva spesso che se avesse continuato a tenerlo lì, guardandolo quando lo riteneva necessario, sarebbe tornato a casa. E l'ha fatto, John è tornato, eppure l'abitudine di sapere sempre che ore sono è rimasta. Ha pensato che non se ne sarebbe mai più liberato, almeno finché non ha conosciuto Sherlock. Con lui, tenere conto dell'ora, è assolutamente impossibile perché non ha un orario e non gli interessa minimamente averne uno. E John non sa che ore sono.
[Crossover: Sherlock/Criminal Minds]
Genere: Azione, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Mycroft Holmes , Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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VI
VI





Non esiste circostanza, né destino, né fato che possa ostacolare la ferma risolutezza di un animo determinato.
 Ella Wheeler Wilcox








- Non è stata colpa di Sherlock se James è morto, Sebastian.


John non sa quanto tempo è passato da quando il Colonnello è arrivato. Forse mezz'ora, forse di più, forse dieci secondi. La musica rimbomba con prepotenza nelle pareti della stanza, in tutto l'edificio, fuori anche, forse. Il suono che sbatte con forza contro gli amplificatori, strisciando per le strade, giungendo alle orecchie di chi è presente, e sperando che giunga a chi deve ancora arrivare. John non è stupido, ha ascoltato il testo di quella canzone che si sta ripetendo in loop da quasi venti minuti.
I own you. Sebastian sta attirando Sherlock come una mosca nella tela del ragno. E la cosa peggiore, è che non può impedirlo.
- Lo so.
Sebastian ha gli occhi chiari - più chiari di quanto li ricordasse - e tranquilli. Come se avesse già preventivato una sua possibile fine in tutta questa faccenda. Sherlock non arriverà da solo, ma sa che anche Sebastian non lo è. E la sua espressione - così pacifica e discreta, quella che non ti aspetteresti mai da un killer - è pacata. Troppo, per non apparire spaventosa.
- Solo che, quando perdi tutto quello che hai, l'unico modo di sopravvivere è avere qualcuno a cui dare la colpa. Non posso farlo con Jim... nemmeno con te, nonostante tutto. Siamo amici. Siamo amici, John?
John vorrebbe dire che no, non è amico di un assassino, amante dello psicopatico che ha spinto il suo migliore amico a far finta di suicidarsi, vorrebbe dirgli che non sa come una persona del suo stampo sia riuscito ad ottenere il grado di colonnello e a uscire dall'inferno dell'Afghanistan senza quasi un graffio. Vorrebbe dirgli, che se Jim si è ucciso, forse è stata in parte anche colpa sua, che non ha saputo proteggerlo, o che è la giusta punizione per tutto il male che ha fatto, anche dopo la sua morte. Ma la verità è che John non dirà nessuna di queste cose, perché Sherlock arriverà presto, e lui deve tenere Sebastian occupato senza farlo incazzare più del dovuto.
- Lo eravamo. 
Sebastian allunga una mano, sfiorando appena la fronte di John che non si ritrae, per quanto senta il disgusto salirgli dalla bocca dello stomaco. 
- Sapevo che Sherlock avrebbe capito il collegamento con i cadaveri... solo che l'ha fatto troppo tardi. È intelligente, il tuo uomo.
- Non è il mio uomo. 
- Siamo io e te, in una situazione che prescinde la normalità, Capitano. Negare, ormai, che senso ha?
John sta in silenzio, cercando di calmare i battiti furiosi del suo cuore. Lancia un'occhiata alle spalle di Sebastian, vedendo Mycroft riverso contro il muro, respirare pesantemente e dalla carnagione più pallida del normale. Sospira. Non c'è più molto tempo.  
- Se nego, ci sarà più possibilità di non farmi male. 
Sebastian ride piano, accarezzando la pistola come se fosse un amante. 
- Questa è una bugia. No, John? Quando si è suicidato non era il tuo ragazzo. Eppure sei morto lo stesso... 
- È diverso. 
- In cosa? - ringhia, il Colonnello - In cosa, è diverso? Sei innamorato di lui! Lo eri prima, lo sei adesso, qual è la differenza?
John apre la bocca per replicare, ma le parole non escono fuori. Rimane in silenzio, con Sebastian che si alza in piedi e si mette a girare in cerchio, più nervoso di lui. Quando sta per dire qualcosa, quando il suo reale pensiero o un altra bugia, sta per uscire dalle sue labbra, la musica smette di suonare, e un rumore concitato di passi arriva al suo orecchio. 
Sherlock è arrivato.



- Speravo ci avresti messo meno tempo, Holmes. I tuoi riflessi sono lenti, rispetto all'ultima volta.
John vede Sherlock entrare nella stanza con la grazia predatrice di un falco. Lo guarda, assottiglia gli occhi e tira un imperccettibile sospiro alla constatazione che sta bene. John irriggidisce le spalle, e fa un cenno. Sherlock si volta, e vede suo fratello a terra, che ormai ha praticamente perso coscienza. Moran lo lascia avvicinare, beandosi del suo viso impassibile che nasconde la paura e la rabbia. Sherlock sfiora appena i vestiti di Mycroft, macchiati di sangue, e osserva la sua mano imbrattata di rosso. Suo fratello riesce ad aprire gli occhi per qualche secondo, un mezzo sorriso a increspargli le labbra, un pensa a John, e poi cade di nuovo nell'incoscienza. Sherlock sente le viscere contorcersi, e per un secondo vorrebbe avere a portata di mano una qualibro 9 da piantare in testa all'uomo che ha davanti.
- Sappiamo bene entrambi che non uscirai vivo da qui, Moran. Risolviamo la questione: che diavolo vuoi?
- Ucciderti. Mi piacerebbe tanto, Holmes, lo confesso. Per molto tempo ho pregato di averne la possibilità. 
Sherlock assottiglia lo sguardo, stringendo appena il braccio di suo fratello. I soccorsi stanno arrivando, resisti.
-
Adesso siamo qui. Fallo. 
- No!
John cerca di tirarsi in piedi, ma Moran gli punta la pistola ad altezza del viso ed è costretto a stare immobile contro il muro. Sherlock allunga una mano verso di lui, poi la lascia cadere mollemente lungo il fianco. Un respiro, uno sguardo. John cerca di non farsi prendere dal panico. Lontano, le sirene dell'FBI stanno arrivando. 
Sta per finire, sta per finire.
- Tutto questo è accaduto per colpa tua.
Sherlock alza un sopracciglio. 
- Mia? Non sono io che tengo una pistola in mano. 
- No, è vero - sorride, Sebastian - ma in questo momento, sono io che reggo il gioco. Sai perché? Perché forse hai ragione. Io morirò. Ma prima di farlo, Holmes, voglio farti provare la stessa paura che ho provato io. Lo stesso dolore. Un dolore che John conosce bene... 
Sebastian punta la pistola verso Sherlock e spara. Strizza gli occhi, Sherlock, più per la sorpresa che per il reale terrore di stare per morire. Non sente niente, a parte il rimbombo sordo dello sparo nelle orecchie. Il profumo della polvere da sparo e della carne lacerata gli arriva alle narici, e un conato di vomito sale spontaneamente in gola quando si accorge che lui non ha nemmeno un graffio. John è a terra, lamentoso, e per un secondo Sherlock sente la stanza girargli attorno.
- John! 
Il dottore mugugna qualcosa, ma il dolore è forte e non riesce a parlare. Sebastian ride, mentre Sherlock lo libera dalle corde, e lo volta, con il terrore a colorargli gli occhi azzurri. La ferità è chirurgica, niente organi interni lesi, la pallottola è rimbalzata fuori. Non è in pericolo, quanto meno, non ora. Sherlock tira un sospiro di sollievo così forte che John ridacchia, allungando una mano verso i suoi zigomi e Sherlock abbandona il capo sulle sue dita gentili e impacciate. Una carezza leggera, che non si sono mai permessi di scambiarsi dal ritorno del Detective.
C'è una luce tiepida, oltre la vetrata della stanza, e la paura di non uscirne illesi ormai presente, come tante altre volte, ma lo spettro degli errori e dei rimpianti, grava su di loro come se fossero già morti.
- Hai visto, John? Siamo ancora amici.
La voce di Moran è intrisa di una dolcezza gelida che non gli appartiene, e un secondo dopo, il colpo di un altro sparo li fa trasalire entrambi, finché il corpo del loro comune nemico non cade a terra e l'FBI non sfonda la porta quando ormai è già tutto finito.



Come previsto da John, la ferita di Mycroft non era grave, e così nemmeno la sua. Entrambi ricoverati all'ospedale di Quantico - area riservata -, ci rimangono il tempo di tre o quattro giorni, Mycroft per riprendersi dall'operazione subita per estrarre il proiettile e John da... beh, da tutto. I colleghi del BAU sono passati a salutarli, lasciando fiori e biglietti da visita, se mai dovreste aver bisogno di qualcosa, chiamateci, ha detto Rossi, nonostante è palese che sarà la prima e ultima indagine a cui prenderanno parte oltre oceano. John crede di aver sentito anche Reid parlare delle ferite infette del diciottesimo secolo dovute a batteri di 'cellosiqualcosa, ma era troppo intontito dai medicinali per aver capito correttamente. Quando riapre gli occhi, il bianco e azzurro della stanza lo acceca per un secondo. Sherlock gli stringe piano la mano, e il suo viso è la prima cosa che John vede quando riesce a mettere a fuoco l'ambiente. 
- Questa è stata brutta, eh. - Ridacchia piano, John.
- Ce l'eravamo già vista brutta. 
- Questa è stata peggio. [1]
Ridono entrambi, un po' più forte. Poi Sherlock tace di nuovo, e John lo guarda in silenzio. Sa cosa sta pensando, il suo piccolo genio, ma preferisce che glielo dica lui.
- Ti ho coinvolto in una cosa che comprendeva solo me, John... 
- Noi. 
Sherlock alza la testa, sorpreso. 
- Sto sempre dietro la tua schiena perché voglio proteggerti, Sherlock. [2] Se coinvolge te, coinvolge anche me. 
Gli lascia una leggera carezza fra i capelli ricci, e si sforza di tirarsi su con il busto. Sherlock cerca di fermarlo, ma John lo sorprende di nuovo, attirandolo più vicino. È un primo bacio ruvido, e John non aspetta che il suo migliore amico si riprenda dallo shock prima di infiltrarsi nella sua bocca e sentire il sapore della sua lingua. Ma sono stati, di nuovo, a tanto così dal morire. E John non vuole più tirarsi indietro rispetto a ciò che prova. Sebastian aveva ragione, in un certo senso, e si sente quasi grato a quell'uomo che per poco non li impallinava tutti e tre. Sherlock si aggrappa alle braccia di John, cercando di non cadere dal letto, almeno finché John non si allontana, respirandogli addosso. 
- John...
- Non chiederò scusa, - lo anticipa - sono stanco di far finta di niente, Sherlock. So che non vuoi parlare di lui, ma Sebastian aveva ragione... sono innamorato di te. Lo sono da sempre. E non smetterò, è giusto che tu ne sia consapevole. 
Lo dice con un tono di scherno, eppure dentro, John, sta tremando forte. Il Detective ringhia qualcosa, socchiudendo gli occhi. Non è né un sì, né un no, ma l'abbraccio che gli regala dopo, fa ben sperare John per un proseguo. E per adesso, va bene così ad entrambi.


Click




- La mamma sarà molto felice di vedere queste foto, Sherlock. 
- La mamma si ritroverà con un figlio maschio in meno, se non torni immediatamente a letto e la smetti di spiarmi come un voyeur di quarta quategoria!
- Sei così suscettibile, Sherly. Sono sicuro che John saprà come farti tacere. Vero, Dottore?
- ... avrei dovuto pregare Moran di prendere una buona mira per tuo fratello, Sherlock.




Ps. I'm a Serial Addicted


[1] Una semi-citazione del film "la mummia 2".
[2] Ed eccoci alla spiegazione del titolo. Direi che la frase di John è piuttosto esplicativa, no?

Ci ho messo una vita, ma l'ho finita. In questo capitolo non ho dato molto spazio agli agenti del BAU, ma oh, a questo punto - dopo tutto questo tempo - sento tutto molto distaccato e non l'ho finita come vorrei (nonostante ovviamente, le piccole comparse di Rossi e Reid). Ci sono ancora molti punti in sospeso, e forse la parte thriller non l'ho sfruttata al meglio, per cui non ne sono molto soddisfatta. Comunque, è assolutamente colpa mia, perché è passato troppo tempo. Vi chiedo scusa, e vi ringrazio come sempre per essermi stati attaccati come manguste, in questa specie di esperimento. Vi amo tutti immensamente!

Jess

   
 
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