Prima di lasciarvi alla lettura, vorrei
pubblicamente scusarmi per aver “abbandonato” la storia per quasi due mesi. Mi
rincresce davvero avervi lasciato tutti all’improvviso, ma fra gite
scolastiche, interrogazioni e settimane bianche proprio non ho avuto tempo.
Mettiamoci anche che mi sono iscritta ad un paio di concorsi (uno fra l’altro
vinto, con la storia “Le tre sorelle” pubblicata su EFP, ma ora la smetto di
divagare >.<”) e il ritardo è bello che fatto! Mi scuso ancora e vi
ringrazio di nuovo per tutte le recensioni che mi lasciate! Spero che anche
questo capitolo vi lasci soddisfatti.
Buona lettura!
-Ragazzi,
allora sabato festeggiamo la fine della scuola al solito, no?- domandò fra una
boccata di fumo e l’altra Flavio, mentre erano tutti riuniti sul piazzale di
fronte al liceo appena prima delle lezioni, con Chiara pigramente mezza distesa
su di Ivan, che cercava di inviare un messaggio col cellulare in quella scomoda
posizione, e Sabrina e Carmen che calcolavano con dita la loro media scolastica
di quell’anno. Michela e Andrea erano appena arrivati e, mano nella mano,
stavano attraversando lo spiazzo soleggiato.
-Ma si,
tutti al mare, come l’anno scorso- confermò Ivan, riponendo con un sorrisino il
cellulare in tasca. Era da quando avevano quindici anni che ogni tre di giugno,
data di fine ufficiosa della scuola, prendevano il treno delle nove che partiva
dalla stazione del paesino per poi arrivare, dopo tre ore, alla località più
vicina al mare, una cittadina affacciata sul mar Adriatico. Organizzavano
sempre un picnic sulla spiaggia, semi deserta anche in quel periodo di calura,
e l’anno precedente erano rimasti fino a sera, per accontentare Chiara che
aveva tanto insistito per guardare le stelle.
-Ah, non
sapete da quanto aspettavo questo momento!- esclamò Sabrina, tirando un sospiro
e facendosi passare il mozzicone di sigaretta da Flavio. Carmen le diede una
pacca sulla spalla come per confermare, per poi accostarsi a Chiara e parlarle
nell’orecchio.
-Oggi a
casa mia. Alle quattro, okay?- mormorò. Chiara annuì, leggermente preoccupata
da quell’atteggiamento circospetto, ma entrambe tornarono a conversare
tranquillamente su come organizzarsi per il sabato successivo, senza destare
sospetti. Chiara sapeva che a Carmen non piaceva mostrarsi tesa con lei, ma
glielo leggeva negli occhi che voleva parlarle di qualcosa e, tremando al solo
pensiero, sperò che non avesse capito qualcosa circa lei e Roberta.
-Nemmeno
quest’anno porti nessuno, eh, Chiara?- le chiese Flavio con uno sguardo
sfacciato, come a sottolineare il fatto che non ci credesse.
-Nemmeno
quest’anno, no- rise, arrossendo. In effetti, avrebbe tanto voluto che Roberta
venisse con lei, ma proprio non se la sentiva di rivelare la loro quasi relazione ai suoi amici, anche
perché erano quasi tutti molto legati anche a Riccardo e avevano appreso a
malincuore la notizia della loro litigata.
-Riccardo non lo chiami?- ecco che chiese
Sabrina, cercando di sembrare il più indifferente e naturale possibile. Chiara
arricciò le labbra infastidita a quell’ennesimo accenno, affermando che no, non
lo avrebbe chiamato e che quelli erano affari privati fra lei e il ragazzo.
- Dai raga’, c’aspetta la Manzi alla prima ora, forza e coraggio-
li esortò Flavio quando, in lontananza, echeggiò il suono metallico e penetrante
della campanella che segnava l’inizio delle lezioni. Si avviarono con calma,
con gli zaini mezzi vuoi che ciondolavano dalle loro spalle e le scarpette da
ginnastica che scalciavano rumorosamente i sassolini ai lati della strada.
Quando
Chiara entrò in classe, tenendosi dietro al resto del gruppo, rivolse un
sorriso a Roberta, che già aveva preso posto nel suo banco, e le soffiò un
bacio con un gesto della mano, ridacchiando. Si chiese di nuovo quando fosse
diventata così stupida e melensa e, scuotendo la testa, si abbandonò con un
sospiro felice sulla sua sedia. Le cinque ore di lezione passarono subito,
alleviate dal pensiero del sole di maggio che la aspettava lì fuori e scandite
dalle continue occhiate, ora maliziose ora piene di silenzioso affetto, che
Roberta le lanciava di tanto in tanto.
-Ci
vediamo fuori?- chiese a Chiara, mimando con le labbra per non farsi sentire da
Angela che le stava seduta accanto. La rossa annuì, facendole un occhiolino.
-Ma che
fai? Hai qualcosa nell’occhio? Sono dieci minuti che lo strizzi- borbottò
Sabrina interdetta, toccandole un braccio con la punta della penna.
-Ma no,
va tutto bene- rispose Chiara, tornando a copiare l’esercizio di algebra sul
quaderno, con la sua solita calligrafia appuntita. All’angolo della pagina, non
poté impedirselo, disegnò un piccolo cuoricino rosso. Ivan, dall’altro lato,
ridacchiò sommessamente.
-Voi
tre! Finitela di far baccano!- li riprese la prof di
matematica e, contemporaneamente, tutti e tre abbassarono la testa sul banco
con un broncio. L’ultima campanella suonò dopo un quarto d’ora e, raccattando
in fretta le sue cose, Chiara si catapultò giù dalle scale, quasi scivolando
sui gradini di marmo rovinato e investendo un paio di ragazzini di prima.
-Ma è
impazzita?- rise Sabrina, dando una gomitata a Flavio. Quello alzò le spalle,
tirando fuori dalla tasca l’accendino e ficcandosi una sigaretta fra le labbra.
-Te l’ho
detto io che ha qualcuno- mormorò, non senza una punta di gelosia.
-Andiamo,
non dirmi che ti piace davvero- lo prese in giro la ragazza dai capelli
colorati. Quando quello non parlò, anzi continuò imperterrito a camminare verso
l’uscita, Sabrina continuò con un sospiro.
-Chiara
non è una persona di cui innamorarsi, lo sai. Troppo complicata per voi
maschietti pieni di ormoni- disse, a metà fra lo scherzo e la serietà. Intanto
Chiara, che aveva rischiato per giunta di essere investita dalla macchina della
professoressa di filosofia nell’intento di evitare Carmen, era riuscita a
sgattaiolare fino al parcheggio indisturbata. Roberta, appoggiata alla sua
macchina, si beava del calore del sole sulla pelle chiara, ma di sigarette
nemmeno l’ombra. Aveva provato a chiederglielo di nuovo, perché avesse
improvvisamente deciso di far a meno del fumo, ma Roberta le aveva risposto
solo che faceva parte della vecchia sé, di una fase della sua vita che non
voleva assolutamente ricordare.
-Madame,
posso scortarla a casa?- le chiese la riccia, con un sorriso sereno e
seducente.
-Lo
vorrei tanto, ma ci sono i miei e… non so se gli farebbe piacere. Vedermi con
te, intendo- disse mogia, schioccandole un bacio sulla guancia.
-Hai
ragione, scusa- mormorò Roberta, tirandosi indietro i ricci neri e fermandoli
sulla testa col suo paio di occhiali da sole griffati. I suoi occhi, azzurri e
vivi, trafissero ancora una volta Chiara con la loro intensità, costringendola
ad abbassare lo sguardo.
-Che
c’è?-
-Nulla,
solo quando mi guardi con quegli occhi… giuro, mi sento tutta molle- rise la
rossa, poggiando il capo sulla sua spalla. Roberta la guardò divertita, passandole
una mano dietro la schiena.
- Rob, da quant’è che ci frequentiamo?- chiese, stringendole
una mano. La riccia aggrottò le sopracciglia a quella domanda.
-Circa
due settimane. Due settimane fantastiche, devo dire- affermò, poggiando a sua
volta la sua testa vicino a quella di Chiara. Gli studenti erano tutti sciamati
in mezzo alla strada e nessuno si curava di loro due, ben nascoste dietro un
paio di altre auto.
-Io…
pensavo di dirlo a Carmen. Non so quando, ma prima o poi dovrò dirglielo- disse
Chiara, mostrandosi il più tranquilla possibile, nonostante nella sua testa
infuriasse una marea di immagini di Carmen che la fissava disgustata, che la
additava come anormale e che la scherniva, dicendole di aver sempre saputo che
qualcosa in lei non andava.
-
Sicura? Nel senso… lo so che siete amiche da tanto tempo, ma… ci hai pensato
bene?- domandò Roberta, carezzandole i capelli con calma, come se avesse
intuito che la sua risolutezza era solo apparente.
- Dici
che è presto?-
-No,
dico solo che… Chiara, insomma. Le persone possono reagire male, lo sai. Carmen
è molto importante per te, per questo non voglio che tu soffra. Non per colpa
mia- le spiegò, con un velo di amarezza. Chiara la guardò, sorridendole e
dandole un altro bacio sulla guancia.
- Ma in
qualunque caso, io sono qui, ricordatelo- continuò poco dopo Roberta,
affondando poi il viso nel suo collo e avvolgendola fra le sue braccia.
-Lo so,
ci ho fatto l’abitudine ad averti sempre intorno- ridacchiò, lasciandosi
cullare alla luce accecante del sole. Il parcheggio oramai si era svuotato, gli
ultimi professori ritardatari rombavano via con le loro piccole utilitarie e
scorsero il professore di chimica, il vecchio
pazzo, come amava definirlo Sabrina, sgommare via con la sua Ford dai
paraurti semi staccati. Chiara lo mandò a quel paese a bassa voce e tutt’e due
si aprirono in una risata liberatoria.
-Ora che
finisce la scuola voglio portarti al mare, un giorno- disse Roberta, in preda
ad un’euforia inspiegabile, abbassandosi gli occhiali da sole e fissando dritta
il sole, come a sfidarlo. Allargò le braccia e fece un giro su se stessa.
Chiara si rabbuiò di colpo, pensando a quanto l’avrebbe resa felice portarla
con sé al mare il sabato successivo, ma cercò di non sembrare in alcun modo
delusa. In fondo, quella che si sarebbe dovuta sentire messa da parte era
Roberta, ma sapeva che quella non l’avrebbe costretta a nulla, nessuna delle
due era pronta ad un passo del genere, non dopo due settimane.
-Non ti
sembra che anche il clima si sia fatto più sereno da quando ti ho incontrato?
Prima pioveva sempre ed era sempre tutto così triste! Poi mi hai baciata e,
guarda un po’, il sole ha deciso che era ora di riscaldare anche me- spiegò,
volgendo il viso al cielo con un enorme sorriso.
-Ma sei
impazzita?- rise Chiara, seguendola e fissando anche lei le nuvole bianche ce
fluttuavano come batuffoli di cotone e attorniavano il sole come i petali di un
bellissimo fiore.
-Probabile,
ma anche in quel caso sarebbe colpa tua. Colpa tua e dei tuoi baci- scherzò la
riccia, traendola a sé mettendole un braccio attorno alle spalle. Piaceva ad
entrambe tenersi strette, ancora di più che tenersi per mano. Nascondersi l’una
nella piega del collo dell’altra e camminare addossate, coi visi a sfiorarsi e
le gambe così vicine che quasi sempre rischiavano di inciampare e cadere in
terra.
-Allora
dovrò astenermi, per il tuo bene. Non voglio che tu impazzisca, ti voglio
vigile e concentrata- sogghignò, passandole le dita fra i capelli per
provocarla.
-Te l’ho
detto che ti odio, si?- mugugnò,dandole uno spintone. Si scambiarono un ultimo
bacio, con le mani dell’una incrociate dietro la schiena dell’altra, poi Chiara
si incamminò verso la strada, visto che i suoi avrebbero fatto storie se fosse
tornata a casa tardi per il pranzo.
-Ti
chiamo!- urlò Roberta, quando l’altra fu già al limitare del marciapiede
opposto.
-Ti
aspetto- sussurrò la rossa, salutandola con la mano. E l’avrebbe aspettata,
davvero, a costo di vedersi di nascosto per tutta l’estate nel parcheggio del
liceo.
***
L’orologio
da polso che le aveva regalato nonna Agnes segnava le quattro in punto e
Chiara, in piedi di fronte alla porta d’ingresso di casa Santacroce, sentiva lo
stomaco attorcigliarsi per la tensione. Qualcosa negli occhi di Carmen l’aveva
messa in guardia, quella mattina. Che avesse capito qualcosa? Scosse la testa,
cercando di scacciare quel terribile pensiero. Carmen le voleva bene, loro due
erano come due sorelle. Probabilmente le era sembrata tesa perché era un po’ di
tempo che non si vedevano più come una volta e l’allontanamento da lei e da
Riccardo l’aveva dovuta insospettire non poco. Suonò al campanello,
accarezzando con una mano il coniglietto da giardino dell’amica, Roger, che le
era saltellato curioso alle ginocchia non appena aveva varcato il cancello.
-Chiara!
Entra, Carmen è di sopra, ti sta aspettando- sorrise calorosamente sua madre,
una donna sulla cinquantina dai capelli ricci tinti di biondo e la battuta
sempre pronta. Quella frase a Chiara suonò quasi come un ulteriore avvertimento
e salì le scale a passo lento, quasi trascinando le scarpe da ginnastica sulla
moquette morbida. Prese un profondo respiro prima di bussare alla porta della
cameretta di Carmen, che si distingueva da quella del fratello minore per una
placca argentea con su inciso il suo nome. Chiara aveva spesso riso di quelle
piccole manie da diva dell’amica, ma ora come mai quella porta le incuteva terrore,
come se stesse per inghiottirla.
“Non
essere ridicola, su” si intimò, per poi entrare senza nemmeno bussare. Carmen
l’aspettava distesa a pancia in giù sul suo letto pieno di cuscini rosa e
bianchi, pelosi e dall’aspetto soffice. Stava leggendo una rivista di quelle
che Chiara vedeva sempre ammucchiate sui tavolini nei saloni di bellezza,
quelli con gli oroscopi e tutti quegli articoli di gossip che lei tanto odiava.
-Chiara,
su, siediti- la salutò quella, indicandole con la mano la parte del letto libera.
-Ciao-
quasi gracchiò Chiara, tanto era nervosa. Si sedette, col busto rigido e le
mani giunte in grembo.
- Tutto
bene? Sembri così tesa, anche stamattina mi sei sembrata un po’ strana- disse
Carmen, con un sorriso che poco rassicurò Chiara, ammiccante e malizioso.
-Io? Si,
sto bene. Benissimo- le tenne testa, sfidandola quasi con lo sguardo.
-Riccardo?-
-Spero
stia meglio, in fondo non ne vale la pena avere il cuore spezzato per una come
me- sospirò, giocherellando con le dita sul tessuto morbido dei cuscini.
-Roberta Della Corte?-
Chiara
quasi si strozzò con la sua stessa saliva, tossì più volte e dopo due colpetti
sulla schiena riacquistò la capacità di parlare, rossa come un peperone e con
le mani che le tremavano. Carmen era davvero troppo, troppo perspicace.
-Roberta Della Corte cosa?- chiese,
fingendo innocenza. Peccato che le sue guancie fossero in combustione e non
riuscisse a guardare l’amica negli occhi.
-Nulla,
vi ho viste parlare oggi nel parcheggio, mi chiedevo solo se foste diventate
amiche. Non mi piace che la gente prenda il mio posto, sono gelosa, lo sai-
mormorò, facendo sospirare di sollievo Chiara.
-Credi
davvero che potrebbe prendere il tuo posto?- domandò, oramai decisamente più
rilassata. Carmen annuì, sempre con lo sguardo fisso sulla copertina della
rivista.
-Non lo
so, è che ultimamente non ci vediamo più come prima, dici sempre che sei
impegnata. E poi la guardi in un modo che… oddio Chiara, sembra che tu le penda
dalle labbra- mise il broncio, ora guardandola negli occhi e allungandosi per
poggiare la testa sulle sue gambe.
-Piccola,
lo sai che io e te siamo inseparabili- le diede un colpetto sulla fronte per
farla alzare, così da abbracciarla meglio.
-Eppure,
non so, quando ti ho vista con Roberta… c’era qualcosa nei tuoi occhi, qualcosa
che non ho mai visto- continuò quella, quasi preoccupata. Chiara sapeva che non
avrebbe demorso.
-Qualcosa
tipo?-
Carmen
sembrò rifletterci un po’, stretta com’era fra le braccia di Chiara.
-Non so
spiegarti. Era come se tutta la tua frenesia, la tua ansia, fosse sparita. Eri
serena, come se tutti i problemi che ti fai in quella testolina si fossero
dissolti- spiegò con difficoltà. Chiara annuì, affermando che capiva
perfettamente, non senza arrossire sulle orecchie.
-Roberta mi sta molto simpatica, si. Con
lei mi trovo bene- cominciò, decidendo che quello era il momento giusto per
confessarle il suo grande segreto.
- Lo
vedo-
-Ma non
siamo amiche- concluse, prendendo un respiro profondo.
-Ah, no?
Ma se vi siete avvicinate così tanto-
-Io e
Roberta usciamo insieme. Intendo, non come amiche. Come ragazze che si
piacciono. Lei mi piace… in quel senso-
-Ah…- si
lasciò scappare Carmen, leggermente interdetta. Poi saltò su all’improvviso,
dopo un minuto buono di riflessioni, con una grande risata.
-Io lo
sapevo! Ancora una volta sono riuscita a leggerti nella mente! Chiara Torri,
per me sei carta conosciuta- rise prorompente, abbracciandola di nuovo. Ora fu
il turno di Chiara di rimanere sorpresa.
-Tu lo
sapevi?- domandò, con gli occhi sgranati.
-Non
esattamente, ma lo intuivo. Otto anni passati a stretto contatto con te mi sono
stati utili per capire che la guardavi in modo troppo… interessato- ridacchiò,
facendola arrossire di nuovo per l’imbarazzo.
-Oddio,
come la guardo?-
-Come se
volessi saltarle addosso. Ed io non ho problemi a riguardo, davvero. Certo, lei
è un po’ stronza e le persone che le ronzano attorno proprio non mi convincono,
ma se a te piace- alzò le spalle Carmen, dando un buffetto sul naso di Chiara
quando vide che si era irrigidita impercettibilmente, timorosa di un suo
giudizio negativo.
- Se mi
piace? Mi fa impazzire!- finalmente anche Chiara si lasciò andare ad una
risata.
-Quindi
il fatto che sia una ragazza non è un problema?- chiese di nuovo, per essere
sicura di aver capito bene. Carmen scosse la testa, rivolgendole un sorriso
materno.
-Sei la
mia migliore amica, la mia piccola sorella tutta lentiggini. Posso sembrare un
po’ snob e magari lo sono, ma non posso disapprovare qualcosa che ti rende
felice. All’inizio ero un po’ arrabbiata solo per il fatto che non volessi
parlarne… puoi fidarti di me, lo sai. Per qualunque cosa- la rassicurò. Chiara
annuì grata, poggiando il capo sulla sua spalla. Passò qualche minuto senza che
nessuna delle due proferisse parola, cullate dalla reciproca vicinanza nel
corpo e nello spirito.
-Ma ora
dimmi… come bacia?- domandò maliziosa Carmen. Chiara fece un verso strozzato,
dandole uno spintone.
-Ma ti
sembra il caso?- urlò rossa in viso, nascondendosi dietro la sua schiena per il
disagio.
Si punzecchiarono ancora per un po’ e alla fine Chiara dovette cedere e raccontare nei minimi dettagli tutti gli incontri con Roberta,con Carmen che di tanto in tanto sospirava intenerita o faceva battutine provocanti riguardo un certo potere che aveva Roberta su di lei. Poi, col sole ancora alto, decisero di cenare con una pizza davanti all’onnipresente “Across the universe”, come ai vecchi tempi, addormentandosi l’una sull’altra verso la fine, col cellulare di Chiara che di tanto in tanto ancora vibrava per i messaggi di Roberta e le note di “All you need is love” che echeggiavano nella stanza.