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Autore: Stella_Styles    30/03/2013    5 recensioni
Le macchine fotografiche possono far male.
Possono mostrare solo la finzione di certe persone.
Non le persone stesso.
Spero vi piaccia. Aprite e recensite! Vi amo xx
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 -Dai, forza, un’altra sessione e vedi di impegnarti questa volta- disse ancora il mio capo.
Sbuffai per l’ennesima volta quel giorno mentre mi ritoccavano trucco, capelli e vestito.
Stavo impazzendo, letteralmente, in quella sala.
Troppe luci su di me, troppi scatti intorno a me.
-Cazzo, Lucy, impegnati, non ho tutto il giorno, bisogna fare le foto con l’altro modello ancora, vai a cambiarti che è meglio- disse di nuovo George, il mio capo, dall’alto della sua sedia.
-Vado, vado- risposi scocciata di essere lì.
Mi chiamo Lucinda Joy Parker. Il mio nome intero fa abbastanza schifo ed è per questo che preferisco  essere chiamata Lucy.
Faccio la fotomodella grazie a mia madre.
Quell’insulsa donna era capace solo di comandarmi e io ero stufa.
Molto stufa.
E ero stanca, stanca di quel trucco addosso, quei vestiti fin troppo corti e di me.
Ma ritornando alla mia vita, lavoravo per una cavolo ditta di moda in cui neanche ricordo il nome.
Ero praticamente esclusa dalla vita di Londra, il massimo che avevo visto al di fuori era un parco che di sera era quasi deserto, mi ero scordata anche di cosa era internet e come funzionava.
Non avevo nessun collegamento con l’esterno e avevo solo 18 anni.
La mia carriera.
È stata scelta da mia madre quando avevo 15 anni per il semplice fatto che lei faceva lo stesso lavoro.
Appena ha capito che avevo delle belle curve al posto giusto e dei potenziali in me, mi aveva iscritto a dei provini per giovani talenti dove, appunto, lavorava lei.
Forse voleva solo vendicarsi regalandomi una vita d’inferno visto che le ho rovinato la carriera nascendo quando lei aveva solo 17 anni.
Un po’ precoce mammina è?
Sono sempre stata una ragazza scontrosa perché non ho mai potuto scegliere la mia strada, il mio futuro.
-Puoi stare ferma, tesoro?- mi chiese cortesemente la mia truccatrice personale, Mary, la mia unica amica.
-Vorrei scappare, altro che stare ferma- risposi mentre guardavo il mio riflesso.
Lei mi guardo con sguardo comprensivo e io mi girai verso di lei.
-Chi mi costringe a fare questo? Perché non posso scappare e andare via da questo incubo?- chiesi ormai sapendo già la risposta.
-Tua madre. Sai che ci tiene al tuo lavoro..- Rispose saggiamente Mary.
-E se io non ci tenessi al mio lavoro?-
-Tutti tengono a un lavoro come questo, tutti vorrebbero essere al tuo posto- mi disse ricordandomi il film ‘il Diavolo veste Prada’ ma io ero come la protagonista, anzi peggio, lei almeno dopo un anno se ne poteva andare dal lavoro che non voleva fare e poteva benissimo ottenere quello che voleva.
Io invece ero rilegata qui. In mezzo a mille altre ragazze che, però, volevano veramente questo lavoro.
Ogni mattina mi chiedevo perché dovevo farlo. Mi sentivo un pesce fuor d’acqua. Senza obiettivi per la mia vita e senza futuro.
Mi girai verso lo specchio e continuai a guardarmi, ero coperta da chili e chili di trucco e non mi sentivo a mio agio.
Quella non ero io.
Quella era una triste modella senza anima, svuotata del più bel dono possibile, la vita.
La libertà.
-Pronta?- mi chiese affettuosamente Mary dandomi una mano per incoraggiarmi.
-Sì, certo, prontissima..- ribattei sarcastica mentre litigavo con il lungo vestito per scendere dall’alto sgabello e lentamente, su quei tacchi vertiginosi che torturavano i miei poveri piedi da anni, andai nell’altra stanza.
-Amore mio, ma sei bellissima!- Altre facce finte, altri sorrisi tirati. Altra finzione.
-Grazie mamma-
-Sei uno splendore, sono così fiera di te..-
Peccato che io non lo ero, non ero fiera di me stessa.
Mi sembrava di impazzire lì dentro.
-Sul divano, muoviti- disse seccamente George prendendo posizione sullo sgabello.
Mi sistemai svogliatamente su quell’affare per niente morbido e assunsi una posa da ‘modella’.
-Muoviamoci che è già tardi, dobbiamo allestire lo studio per il servizio fotografico di quella band, One Direction-
‘Perfetto, mi devo pure muovere. Che meraviglia’ pensai.
-Occhi espressivi, occhi espressivi- mi continuava a ripetere il fotografo. Che cazzo vuol dire occhi espressivi? Era un modo di mettere gli occhi?  Grazie ancora che ero lì a torturarmi, ci mancava soltanto gli occhi espressivi.
-Ci siamo, così, perfetto-
-Metti il braccio dietro, sì così-
-Continua così, sì, ci siamo- continuò elogiandomi George..
Troppi flash.
Troppe persone.
Troppa finzione.
Troppo dolore.
Mi alzai di scatto dal divano cercando di non cadere e tirai dritto velocemente verso di camerini.
-Dove cazzo stai andando?- George.
-Lucy! Torna subito qui!- Mamma.
-Ehi, ehi, dove vai piccola? Non hai finito- mi chiese Mary.
-Vado dove mi porta il cuore, voglio essere libera e qua dentro non lo sono- risposi seccata.
-Ma tu non puoi!- disse in preda al panico Mary con dietro tutti i collaboratori.
Non risposi neanche e andai dritta in camerino dove mi tolsi tutto quel trucco e quel vestito esagerato che non mi apparteneva. Mi misi una tuta che portavo nascosta dentro un armadio inutilizzato.
Mi sciacquai la faccia ormai libera da ciglia finte, mascara, fondotinta, matita e tutto quello che cazzo avevo sopra il mio viso, ormai, irriconoscibile.
Struccata mi guardavo solo alla mattina presto appena sveglia ma ero troppo addormentata per capire come ero veramente perché poi, dopo pochi attimi, cancellavo tutte quelle imperfezioni.
Mi guardai allo specchio.
Ero io. Ero libera, non ci sarebbe più nessuno dietro di me, a comandarmi, a impormi cose che io non volevo.
Volevo quelle imperfezioni.
Volevo vedere qualche piccolo brufolo sul mio viso e quelle occhiaie un po’ definite che rappresentavano la mia vita inutile.
Volevo vedere me stessa e non la modella.
Mi pettinai i capelli e raccolsi tutto in una coda alta che non lasciava neanche una ciocca di capelli sul mio viso.
Ero irriconoscibile.
Almeno, per me.
-Adesso mi spieghi che cazzo stai facendo- chiese mia madre prendendomi per un braccio e stringendo in un modo assurdo. -Come ti sei conciata? Ah Ah bello scherzo, molto divertente, adesso rientra in quello vestito e torna sul set-
Non volevo più questa vita. Non volevo neanche mia madre, era troppo falsa, coperta da una patina di ricchezza sugli occhi che non voleva vedere la figlia, che non voleva vedere quanto cazzo soffrivo, non gli importava niente di me e finalmente l’avevo capito.
Rimasi zitta e la guardai negli occhi sperando che capisse ma non ottenni il risultato sperato.
-Spiegami- sibilò a denti stretti.
-Posso spiegartelo benissimo- tolsi il braccio dalla presa ferrea di mia madre e andai verso l’uscita spingendo con forza la porta antipanico.
-Lucy, ti avverto, se esci di qui non aspettarti la porta aperta a casa- mi intimidì mia madre.
-Ma vaffanculo- chiusi la porta sbattendola e scuotendo la testa, era sempre la stessa e non sarebbe cambiata.
Mi incamminai verso il solito parco che frequentavo sempre all’oscuro di mia madre e con l’aiuto di Mary.
Non avevo una casa.
Non avevo soldi.
Non avevo vestiti.
Non avevo niente ma mi sentivo bene, libera, respiravo finalmente.
Trovai il cancello del parco semichiuso e entrai facendolo scricchiolare.
Era illuminato da lampioni posizionati ogni cinque metri da entrambi le parti del sentiero in mezzo al parco.
Mi ero innamorata della luce sfocata di quella piccola stradina e stare da sola era quello che mi serviva.
Una vecchietta che portava spesso il suo cane per la passeggiata notturna, una sera, mi aveva detto che di pomeriggio era pieno di bambini che giocavano sulle giostre e io spesso mi ritrovavo a immaginare quel posto pieno di bambini.
Ma spesso il parco a mezzanotte era vuoto.
Come me..
O meglio, come era la mia vita, vuota e senza un obiettivo.
Mi guardai intorno alla ricerca di qualche anima viva ma non c’era neanche la simpatica vecchietta, ripresi a camminare con la testa bassa calciando un povero sassolino finito sotto le mie grinfie.
Continuavo a pensare che ero una delusione, per mia madre, per il mio capo, per me, per tutti. Ero libera ma non avevo più niente e non sapevo neanche dove andare a dormire. Forse avevo fatto la scelta sbagliata, non dovevo scappare da lì, in fondo avevano scelto quella vita per me e dovevo accettarla, che mi piaceva o no.
-Ehi! Tu! Non puoi stare qua- una voce da uomo mi riportò alla realtà, mi girai e vidi un gruppo di ragazzi vestiti con delle strane divise da calcio che mi guardavano incuriositi, dietro avevano minimo una decina di uomini con una telecamera e con qualche luci, quelle che di solito si usano per girare film o fare servizi fotografici. Le conoscevo bene io.
-Io posso stare benissimo qua. Ci vengo ogni sera e voi non avete diritto di cacciarmi, è pubblico- ecco che il mio carattere scorbutico veniva fuori senza che io lo comandassi. Ero comunque infastidita da quei tizi.
Guardai uno a uno i ragazzi che fino adesso non avevano parlato. Sembravano o arrabbiati o confusi, non riuscivo a vedere molto bene per colpa della distanza e della poca luce di quei fari.
-Stiamo girando un video, se ne vada- replicò di nuovo l’alto uomo.
-Io non me ne vado. Come ho detto non avete diritto di cacciarmi- un po’ di paura nei confronti di quell’uomo enorme l’avevo, insomma, non avevo niente ed ero indifesa, ci avrebbe messo poco a prendermi in braccio e a scaraventarmi fuori da quell’unico posto che conoscevo.
L’uomo posò il cellulare che avevo in mano e con tutta la sua grandezza mi venne incontro mentre io indietreggiavo sempre di più dalla paura.
-Paul, aspetta- un ragazzo alto rasato gli bloccò, fortunatamente, una spalla e gli disse qualcosa all’orecchio. Sperai con tutto il mio cuore che dicesse qualcosa del tipo ‘lasciala perdere’ ‘falla sedere in un angolo’
Paul, a quanto avevo capito si chiamava così l’uomo enorme, sbuffò e disse qualcosa a quel ragazzo e se ne andò dal suo cellulare.
Un altro ragazzo si avvicinò a me, era biondo e alto tanto quanto il precedente. Aveva un sorriso fantastico anche se aveva l’apparecchio, stupendo comunque.
-Puoi andare un po’ più in là? Se no quello rompe- disse sempre sorridendo, guardai alle sue spalle e vidi che il ragazzo rasato di prima stava dando una pacca sulla spalla a un ragazzo con un buffo cappellino verde il quale, però, mi continuava a fissare.
-Ok, scusatemi se vi ho disturbato- me ne andai e mi sedetti su una panchina più in là in modo che le telecamere non mi riprendessero.
Come se volessi, dopo tutto quello che era successo, essere ripresa da altre telecamere e sentire altri scatti provenienti da altre insulse macchine fotografiche.
Mi guardai intorno. Dovevo restare lì, non sapevo dove andare e non conoscevo Londra tanto da sapere dove fosse un albergo.
Misi le scarpe da ginnastica sulla panchina e mi strinsi le ginocchia al petto.
Cosa avevo fatto di male per meritarmi una madre assente? Che non si era neanche presa cura della mia felicità?
Pensavo che mi volesse bene, in quei tre anni avevo sperato con tutto il cuore che capisse che quella non era vita per me. Ma niente. Era troppo accecata dalla mia fama.
Che poi non era neanche la sua.
Ero io a fare tutto, a massacrarmi e lei prendeva solo il merito reputandomi una stupida che non fosse capace di reagire.
In fondo. Era proprio così.
Sentii degli urli provenienti da quei ragazzi e capii che una delle due squadre aveva segnato.
Sentii delle risate e altri urli  e mi rattristii ancora di più.
Non avevo neanche amici a cui rivolgermi.
‘La carriera è più importante’ diceva mia madre e questo mi costringeva a non frequentare nessuno al di fuori dello studio.
L’unica che avevo trovato era Mary ma anche lei patteggiava con mia madre e l’unica cosa che faceva era concedermi quella mezz’ora in quel parco abbandonato.
Mi buttai con la testa fra le gambe. Avevo anche fame.
-Perfetto- sbuffai.
-Disturbo?- non mi ero accorta che un ragazzo mi stava creando ombra dalla luce del lampione. Ascoltai meglio e notai che anche le risata e le urla erano sparite e che eravamo solo io e quel ragazzo nel parco.
-No, no, vuoi sederti?- chiesi cortesemente, lui annuì a mala pena e io scesi dalla scomoda posizione che non mi faceva sentire freddo e gli feci spazio su quella gelata e piccola panchina.
Lui si sedette vicino a me e subito non sentii più freddo, il caldo corpo del ragazzo sudato per aver corso mi faceva come da stufa.
Sorrisi appena per il paragone che aveva appena fatto la mia mente e mi girai per guardarlo meglio.
Guarda le mani e notai la loro enorme grandezza e le confrontai con le mie che invece erano piccolissime.
Saltarono all’attenzione quei piccoli tatuaggi sul polso e mi chiesi solo che significassero avessero per lui.
Portai il mio sguardo direttamente al viso e notai che stava sorridendo, forse si era accorto che lo stavo fissando cercando di capire che persona era.
Aveva delle adorabili fossette e un colore degli occhi che non riuscivo a decifrare, era stupendo. Un verde smeraldo con una miriade di striature di verdi di tonalità completamente diverse tra di loro.
Ma la cosa più buffa era il cappellino di lana che però non riusciva a coprire alcune ciocche di capelli ai lati del volto ricce.
Era un bellissimo ragazzo comprese le sue occhiaie e alcuni difetti, che però non riuscivo a non trovare estremamente stupendi.
-Tu eri quello che mi fissava?- dissi spezzando il silenzio che si era creato.
-Sì, ma almeno non ti ho ispezionato da cima a fondo come hai fatto te- sorrise, aveva una risata fantastica, cristallina e melodiosa.
Arrossii appena e abbassai lo sguardo.
-Non mi conosci?-
-Perché ti dovrei conoscere?- risposi confusa. Non mi sembrava avesse un aspetto familiare. -Tu mi conosci?- chiesi.
-No ma ti ho già visto da qualche parte- rispose sempre con il sorriso stampato in faccia.
Mia madre mi aveva avvisato di tutti i cartelloni sparsi per la città con la mia faccia e ne avevo notato qualcuno nel viaggio mattutino da casa allo studio.
-Ah, beh, non ho trucco, giusto- dissi a bassa voce sperando che non mi sentisse.
-Come ti chiami?- non sapevo se dirgli il mio vero nome. Avevo paura che mi conoscesse.
-Joy- dissi non arrivando ad altra soluzione. -Tu?-
-Veramente non mi conosci?- scossi il capo mentre sorridevo imbarazzata, veramente, non lo conoscevo.
-Meglio così, sono Harry- disse porgendomi la mano che strinsi calorosamente.
-È un piacere conoscerti Harry-
-Piacere tutto mio Joy-
Altro silenzio. Mi staccai dalla sua mano e continuai a fissare un punto impreciso del parco.
-Aspetta- disse saltando sul posto e guardandomi attentamente -Tu sei quella che fa un sacco di pubblicità per profumi e cose varie, tu sei Lucinda Joy Parker giusto? La fotomodella diciottenne, non è così?-
Sbuffai, ecco, non volevo farmi riconoscere e trovo l’unico che fa attenzione alle pubblicità per la strada.
-Ecco, perfetto, ora sai chi sono, contento? Ciao- feci per alzarmi ma lui mi trattenne e mio portò giù sulla panchina.
-No, non così in fretta, ho letto un sacco di articoli su di te, non esci mai, cosa ci fai qui.. Vestita.. Così?- disse alludendo al mio perfetto look da barbona.
-Credo di aver fatto un casino-
-Vuoi parlarne?-
Non sapevo chi era, cosa mi parlava a fare e il suo vero carattere ma i suoi occhi e il suo sorriso mi infondevano un calore e una affidabilità mai trovata in nessun essere umano che avevo incontrato fin ora.
Scossi la testa, forse era meglio non parlare ancora. Cercai di cambiare argomento e Harry notò subito il mio imbarazzo e mi assecondò.
-Tu stavi girando un video?- chiesi curiosa.
-Ti va di andare a fare un giro? Sto morendo di freddo e se mi muovo mi riscaldo..- disse mentre scherzosamente si passava le mani sulle braccia per riscaldarle, sorrisi e mi alzai.
-Certo-
Camminammo verso l’uscita e mi fermai, lui continuò per un po’ ma appena si accorse della mia assenza si girò
-Tutto bene?-
-Non proprio.. Non potremmo restare all’interno del parco?- chiesi titubante giocando nervosamente con il lembo della mia maglietta.
-Certo..-
-Allora- continuai appena riprendemmo il passo nella direzione opposta più tranquillamente -non hai risposto alla mia domanda-
-Ah, sì, beh io e i miei compagni stavamo girando un pezzo del nostro nuovo film-
-Aspetta, un film?- chiesi confusa, perché stava girando un film?
-Ah, ehm.. Faccio parte di una famosa band chiamata One Direction- disse sorridendo a malapena, forse non mi voleva dire che era un cantante.
-Avete un servizio fotografico domani?-
-Sì, come fai a saperlo?- disse fermandosi.
-È nel mio stesso studio, ma non importa.. Non ci lavoro più-
-Mi chiamo Harry Edward Styles, sono nato il primo febbraio del 1994, ho 19 anni e ho avuto un sacco di storie con un sacco di ragazze che però non significavano molto. Sono componente, appunto, dei One Direction, siamo in cinque: Zayn, Niall, Louis, Liam e io, facciamo musica e siamo tutti e cinque cantanti, abbiamo prodotto 2 album che sono andati primi in classifica in ben 37 paesi ma non me ne vanto- disse sorridendo -loro quattro sono i miei migliori amici e non li scambierei per nulla al mondo, ho una sorella di nome Gemma e i miei genitori si sono separati quando ero piccolo, ci sono rimasto male perché non riuscivo a fare niente ma alla fine ho capito che non era colpa mia, per colpa del tour che sto affrontando in tutto il mondo non riesco a vedere Gemma, mia madre e il  suo compagno e mi mancano terribilmente-
Disse quasi senza fiato. Aveva detto tutto così velocemente che mi era stato difficile stare attenta soprattutto vedendo quelle sensuali labbra che si muovevano.
-Bene, adesso sai un po’ della mia vita- continuò riprendendo fiato.
-E con questo?- risposi ridendo.
-Ti va di parlare del perché sei qua conciata come una barbona quando mi aspettavo il tuo incontro con te davanti a delle telecamere che ritraevano il nostro profilo migliore?- scoppiai a ridere per la sua domanda, in effetti tutti i ‘famosi’ che avevo incontrato erano proprio davanti a decine di macchine fotografiche.
-Aspetta, torniamo indietro- dissi ritrovandomi il cancello del parco davanti.
Lui silenziosamente aprì il cancello e mi porse la mano.
-Ti fidi di me?- mi chiese con un enorme sorriso. Lui mi aveva detto praticamente la sua vita senza curare il fatto che io fossi una snob fotomodella, si fidava di me e io mi fidavo di lui. Annuii e presi la sua mano stringendola.
-Continua- disse lasciando la mia mano ora che eravamo fuori dal parco.
-Allora, inizio col dire che ho sempre odiato il mio lavoro- fece uscire una magnifica risata dalle sue labbra e riprese la mia mano intrecciando le sue dita alle mie iniziando a dondolare le nostre mani avanti e indietro.
-Beh, ho 18 anni e faccio la fotomodella in un prestigioso studio. Faccio, ok, facevo questo lavoro da tre anni solo perché ero costretta da mia madre, ero sempre coperta da chili di trucco e vestiti che sembravano di almeno 4 taglie più piccole guardando la pelle che mi lasciavano scoperta, comunque non c’è nient’altro da dire. Ah, sì.. Non ho una casa, non ho un lavoro, non ho soldi e non ho vestiti. Non so dove andare-
Abbassai la testa pensando alla mia situazione disperata ma ero contenta che ero vicino a una persona in grado di ascoltarmi.
-Non hai tua madre?- chiese confuso.
Scoppiai a ridere e risposi scuotendo la testa -Lei non mi ha mai voluto bene, da quando gli ho rovinato la vita a 17 anni, vedrai che troverà qualcun’altra da mettere sotto le sue grinfie a costo di andare a letto con il primo che passa e rimanere incinta-
-Amici?-
-Nessuno-
-Perché avevi così paura di uscire da quel parco?-
-Perché è l’unico posto dove mi sento me stessa-
Mentii.. Con lui mi sentivo bene, con lui mi sentivo me stessa ed era meglio di qualunque parco.
-E l’unico posto che conosco di Londra-
-L’unico posto?- disse sconcertato -No, no, mia cara donzella, qui dobbiamo rimediare, salta in groppa, mi sembri stanca e dobbiamo vedere molto..-
-Io non credo che sia..-  Non finì neanche la frase che lui mi prese in braccio e mi posò in piedi su un muretto, si girò e mi disse di salire sulla sua schiena. Ormai sconfitta salii sulle sue palle lasciando che le sue forti mani legassero al suo corpo le mie gambe.
Mi fece fare il giro di tutta Londra, o almeno, di una parte.. Credo.
Non conoscevo Londra e girare con lui era la cosa più bella che mi fosse successa in tutta la mia vita.
Ormai lo conoscevo, avevo imparato molto di lui e guai a toccargli la sua adorata mamma o i suoi compagni di band.. Era così dolce e premuroso che mi faceva tenerezza. Mi aveva fatto vedere le foto che si erano fatti durante i concerti e le pazzie che facevano ogni giorno. Mi aveva fatto, persino, ascoltare qualche canzone e che mi ero innamorata di quelle canzoni era dire poco.
-Voglio andare là- dissi mentre mi metteva giù lentamente e guardava incantato il London Eye.
-Sono le tre.. Credo proprio che sia chiuso- rispose scoppiando a ridere.. Ma era veramente così tardi?
-Ma tu sarai stanco.. Le tre?- dissi quasi scandalizzata dalla notizia.
-Stai tranquilla, non ti preoccupare, ci sono abituato- rispose sempre sorridente, quando amavo il suo sorriso.
Ci sedemmo su un muretto e Harry mi disse di aspettare lì.
Tornò dopo dieci minuti con delle bottiglie di birra in mano.
-Ok, adesso non mi dire di non aver mai assaggiato una birra- chiese scandalizzato prima di prendere un lungo sorso dalla sua bottiglia.
-L’unica volta che mi sono veramente sbronzata è stata all’età di 5 anni, avevo visto qualche bottiglia di birra posata sul tavolo e pensavo fosse qualcosa di buono così le presi e le bevvi tutte in un solo fiato-
-Com’è andata a finire?-
-Io a vomitare anima e corpo in cucina mentre mia madre chiamava l’ospedale-
Scoppiò a ridere con la sua risata cristallina e io presi un sorso di birra pregando di non rovinare quella serata.
-Cosa significano?- dissi indicando i numerosi piccoli tatuaggi presenti sul polso.
-Tante cose diverse, tu non ti sei mai fatta un tatuaggio?
-Sì, qui- dissi mentre scoprivo la mia spalla destra -È la data di quando ho ricevuto il mio lavoro, da lì in poi la mia vita è cambiata-
-Meglio o in peggio?-
-Peggio. È la finzione che mi uccideva. La finzione che mi piacesse quel lavoro, che volessi bene a una madre che mi aveva costretto-
-Ti capisco benissimo, amo il mio lavoro ma i sorrisi dietro alla macchina fotografica sono assolutamente falsi-
-Promettimi una cosa, quando saremo in grado uccideremo tutte le macchine fotografiche del mondo, promesso?-
-Promesso-
Facemmo tintinnare le bottiglie e riprendemmo a bere.
Avevo un amico. Uno che mi capiva veramente finalmente.
-Ok, dove vuole andare signorina, adesso?- si alzò e si posizionò davanti a me lanciando la bottiglia e facendo canestro in un cestino poco lontano. Nel silenzio di Londra sentii degli scatti di fotografia.
-Ho sentito degli scatti di una macchina fotografica.. Sono due le cose: o gli spiriti del mio lavoro mi stanno inseguendo per farmi pentire o qualcuno si è nascosto a fotografarci perché siamo belli-
-Merda, i paparazzi- disse sbuffando, mi riprese sulla schiena senza dirmi niente e iniziò a correre per poi lasciarmi dove ci eravamo incontrati. Dentro il parco.
-Che ci facciamo qua?- chiesi curiosa di sapere la sua scelta di portarmi qua.
Lui non rispose e posò le sue labbra sulle mie, non era il mio primo bacio, avevo avuto qualche storia tra modelli ma lui era qualcosa di speciale e il suo tocco mi fece provare cose mai provate in vita mia..
-Vieni- disse staccandosi da me, mi prese in braccio facendo combaciare le altezze, strinsi le gambe sui suoi fianchi -Andiamo a casa nostra- mi sussurrò in un orecchio mentre mi portava verso una macchina nera che prima non avevo notato.
È stato il mio giorno più bello della mia vita.
 
Adesso sulla mia spalla c’è un’altra data tatuata.
La nostra data.



 
 
Altra One Shot… Ok, questa è veramente lunga, lo so..
Com’è??
Spero che non vi abbia annoiato!! Mi è venuta in mente durante italiano e ci ho lavorato per ben 5 giorni!
Un bacioo xx
_Stella

 

  
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