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Autore: LucreziaPo    31/03/2013    3 recensioni
Questa storia inizia alcuni mesi dopo la fine dell'ottava stagione di House M.D. House e Wilson hanno deciso di lasciarsi tutto alle spalle, finché una cura non convince Wilson a partire...
Finirà per rendersi conto di ciò che ha sempre avuto dinanzi ai suoi occhi e che non ha mai avuto il coraggio di ammettere a sè stesso...
Ovviamente Hilson!
Spero vi piaccia!
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Greg House, James Wilson | Coppie: Greg House/James Wilson
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nel futuro
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Lavorare in clinica era molto diverso dal lavorare al Princeton.

House divideva il suo ufficio con altri due dottori, un tale Bier ed una tale Ripert, ma non s'era mai realmente interessato ad interagire con loro.

Non aveva una sua squadra e le persone che andavano lì sapevano già cosa avevano, quindi non c'era nessun tipo di puzzle.

Principalmente era come fare sempre ambulatorio e la cosa lo annoiava terribilmente.

Non c'erano dei veri e propri casi da seguire, ma una truppa di malati da assistere.

Era noioso, ma non aveva altra scelta.

Non aveva intenzione di andare a cercare un lavoro nel momento in cui Wilson stava male un giorno sì ed uno no.

Era difficile prevedere gli attacchi del suo amico.

C'erano momenti in cui Wilson si sentiva in grado di fare tutto e lo trascinava nelle situazioni più folli.

Surf, vedere la barriera corallina, usare droghe.

House aveva visto per la prima volta il suo migliore amico alle prese con gli effetti delle droghe e Wilson non reggeva affatto bene.

House aveva impedito che si gettasse dalla terrazza perché era convinto di volare, l'aveva fermato dal rimorchiare una prostituta e l'aveva chiuso in camera dove Wilson aveva smaltito la droga ridendo come un ossesso.

In altri momenti Wilson era così fragile che non riusciva neanche ad alzarsi dal letto.

Come in quell'istante.

House sedette sul bordo del letto, osservando l'amico.

James Wilson era rintanato sotto le coperte, raggomitolato su un fianco, stringendo le labbra.

La mano di House salì automaticamente ai suoi capelli.

“Rimango qui.”decise.

“N-no. H-hai u-un l-lav...”

“Al diavolo il lavoro! Hai bisogno di aiuto!”

“B-bet...”

House lanciò un'occhiata a Beth, che stava preparando l'occorrente per il ciclo di cura di Wilson.

Era una giovane infermiera che era sempre molto gentile con Wilson.

E che gli faceva gli occhi dolci.

Per quanto questo gli provocasse una bizzarra stretta allo stomaco, capì che era in buone mani.

Ma ancora non se la sentiva di lasciarlo da solo.

“V-vai.”

Wilson gli strinse la mano, abbozzando un piccolo sorriso.

House imprecò mentalmente.

Fu spontaneo chinarsi su di lui e baciarlo sulla fronte.

Poté quasi sentire il calore sulle sue guance e quando lo guardò era arrossito.

“Torno appena posso.”promise.


“Andiamo, Jimmy. Andiamo, non...”

“Non mi va.”

“Sai che non sono il tipo che fa questo tipo di cose, potresti facilitarmi il compito?”

House tese il cucchiaio verso la bocca di Wilson, che, sbuffando, mangiò un po' di yogurt.

“Ti senti meglio?”

“Sa di vomito.”

House alzò gli occhi al cielo.

“Sei tu che hai vomitato tutto il giorno. Devi toglierti il brutto sapore da...”

House non finì la frase che Wilson saltò giù dal letto per correre in bagno a dare di stomaco.

Alzò gli occhi al cielo ed aiutò James a stendersi sul letto.

Lo strinse a sé, piano, carezzandogli i capelli madidi di sudore.

Wilson tremava.

“Oggi è stato brutto.”sussurrò.

“Mi dispiace non esserci stato.”

“Sei qui ora. Non mi devi fare da baby-sitter. So vomitare da solo.”

House ridacchiò.

Erano semi-stesi sul letto di Wilson, che teneva il capo posato sulle ginocchia di House.

Wilson gli strinse una mano, gli occhi chiusi.

“Johnson ha detto che la cura sta facendo peggiorare il mio fegato.”

“Era qualcosa che già sapevamo.”

“Ha detto che dovrebbe mancare pochissimo al collasso.”

“E ti ha detto anche il giorno? Così evitiamo di programmare qualcosa.”sbottò acido.

“Non prendertela con lui.”

House sospirò, appoggiandosi alla testata del letto.

“Sono arrabbiato, Wilson, cosa dovrei fare?”

Wilson chiuse gli occhi e strinse più forte la sua mano.

“Mi dispiace averti coinvolto in questo casino.”

House sbuffò.

“Se è l'ora di piagnistei inutili, dimmelo che vado a prendere una birra al bar accanto alla clinica.”


Successe all'improvviso, quando meno se l'aspettavano.

Wilson aveva passato il pomeriggio insieme ai bambini della clinica, aiutando le infermiere a gestirli e trascinando anche House nel giocare con loro.

“Ti sei fatto battere da una bambina di cinque anni, sai?”

Wilson rise.

“Stavo bluffando.”

“House, non stai bluffando.”

“Era un gioco stupido.”

“Era nascondino.”rise di nuovo.

Wilson gli passò un braccio attorno alla vita, camminando in corridoio.

Era novembre inoltrato e faceva parecchio freddo.

Si strinse ancora di più nel maglione e House se ne rese conto.

“Tutto bene?”

“Ho solo freddo.”

House lo guardò, malizioso e lo tirò a sé, appoggiandosi al muro.

Posò le labbra contro le sue, baciandolo piano ed affondando le mani nei suoi capelli.

Wilson sentì il respiro farsi corto e ricambiò il bacio, stuzzicando il suo collo e...

“Ah...”

Wilson gemette all'improvviso, artigliandogli il braccio.

House sussultò.

“Wilson...cos...

Si chinò su di lui, stringendogli le spalle, mentre Wilson digrignava i denti, sgranando gli occhi per la sorpresa.

Era...non...non ora...non...

“Ehi! Ehi...sta' calmo...è...”

House s'interruppe quando Wilson s'accasciò in avanti, vomitando sangue.


“Allora? Come sta?”

Il bastone di House bloccò il passaggio di Johnson, che sussultò, colto di sorpresa.

“House...”

“Wilson. Come sta?”disse scandendo le parole.

Era da oltre un'ora che aspettava fuori dalla sua stanza e l'attesa l'aveva fatto impazzire.

Johnson aveva l'aria esausta, ma House non gli badò.

“Allora?”incalzò.

“Purtroppo ha una grave insufficienza epatica, House. Lo dobbiamo ricoverare ed inserirlo nella lista trapianti.”

House annuì, sentendo il cuore battere forte.

“Posso entrare?”

Johnson lo lasciò passare.

Wilson giaceva sul letto, circondato ancora una volta da macchinari e tubi.

Era cereo.

Aveva gli occhi socchiusi.

House sedette sul bordo del letto.

“Sei sveglio?”

Wilson aprì piano gli occhi.

Erano leggermente giallognoli.

Wilson abbozzò un sorriso.

“C-ciao.”

“Ciao. Come ti senti? Senti dolore?”

“N-no. S-sono...s-stanco.”

“Riposati.”

House posò una mano sulla sua e strinse piano.

Wilson la strinse di rimando.

“R-resta.”

House annuì.

Si stese su un fianco accanto a lui e gli cinse la vita, lasciando che Wilson si stringesse a lui, sotto le coperte.

“G-grazie.”

House non rispose e lo baciò sulla fronte, abbracciandolo più stretto.


“Scommetto che mi stai facendo vincere di proposito.”

“Non stai così male da farmi fare questo.”

Wilson rise piano.

“Sono giallo.”

“Non ovunque. E poi ti dona.”

“Idiota.”

Stavolta toccò ad House ridere, prendendogli di mano le carte e sdraiandosi accanto a lui.

Wilson sentì le mani iniziare a tremargli e le strinse forte per cessare il tremore.

House non disse nulla, osservandolo di sottecchi, ma tese la mano e la posò sulle sue, stringendole.

“E' una brutta sensazione.”mormorò Wilson, appoggiando il capo sulla sua spalla.

L'altro annuì piano.

Detestava vederlo stare male...

“Aspetta...avevo preso una cosa per te.”

House rovistò nel suo zaino, tirando fuori un pacco di...Oreo.

Wilson rise.

“Li ho comprati durante la pausa pranzo, mentre dormivi.”

Glieli tese.

“Grazie, House.”

Wilson s'appoggiò meglio a lui, mangiucchiando, gli occhi chiusi.

Il dolore lo investiva ad ondate, stavolta localizzato nel ventre, in corrispondenza del fegato.

Era ricoverato da tre giorni, giorni in cui non aveva fatto altro che urlare dal dolore e vomitare sangue.

Ora era così intontito dagli antidolorifici che non sentiva assolutamente nulla.


Il dolore era così forte da impedirgli di respirare.

Ansimò, artigliando il lenzuolo, ma non servì a nulla.

Sentiva House gridare qualcosa, avvertiva le sue mani sulla fronte, tra i capelli, spronandolo a calmarsi, ma non ci riusciva.

Riusciva solo a stare male.

Vomitò oltre il bordo del letto, sentendo in bocca il sapore del sangue.

House gli posò una mano sulla fronte, sorreggendolo.

Era fresca, mentre Wilson si sentiva bruciare.

Il diagnosta gli asciugò le labbra, avvolgendolo nella coperta, mentre Wilson si accasciava tra le sue braccia, con un gemito, tremando.

“Wilson...ehi...”

Non sapeva cosa dire.

Rimase a stringerlo forte, impotente, sentendolo gemere dal dolore.


“Non possiamo fare nulla? Niente?”

“House, lo stiamo riempiendo di antidolorifici. Non possiamo fare altro. Dobbiamo solo sperare di trovare il fegato compatibile in tempo. Il problema è che il suo gruppo sanguigno è 0 positivo ed è raro.”

“Morirà se non lo troviamo in tempo?”

Johnson osservò il dottore.

House era visibilmente esausto.

La barba cresciuta, le occhiaie, lo sguardo stanco e le mani strette a pugno.

“Mi dispiace.”si sentì dire, mentre House andava via furioso, sbattendo la porta alle sue spalle.


Quando House entrò nella stanza, Wilson giaceva su un fianco, gli occhi socchiusi.

“Mi resta poco, non è vero?”

House sentì il cuore serrato in una morsa.

Avrebbe voluto crollare, ma non poteva.

Non davanti a Wilson.

Si distese accanto a lui, cingendogli il corpo con un braccio.

“Starai bene. Tu sei forte.”mormorò contro il suo orecchio.

Wilson non rispose alla stretta.

“So cosa accade quando si arriva al punto in cui sono io.”

“Non sei in nessun punto.”

“Morirò, House. Il problema è quando...”

House rafforzò la stretta attorno al suo corpo.

“No. Troveranno un fegato.”

“Non abbastanza in tempo...”

La voce di Wilson s'incrinò e lui appoggiò il volto contro la spalla di House, tremando.

“Mi dispiace...”

“Di cosa? Non è colpa tua.”

House posò una mano tra i suoi capelli.

Erano molto più radi di prima.

Wilson deglutì a vuoto, mentre sentiva le lacrime inondargli gli occhi.

“Stava andando tutto bene...tra noi.”

“Ssh...”

House non voleva che parlasse.

Suonava molto come un addio.

E sarebbe bastato pochissimo per farlo crollare.

“Devi lasciarmi parlare.”

Wilson posò una mano sulla sua bocca, occhi nei suoi.

Il diagnosta annuì, piano.

“Io non voglio...non voglio morire. Ma qualunque cosa accada ti sarò sempre grato per essermi stato accanto e per esserti preso cura di me. Non ce l'avrei fatta altrimenti. Credo che sarei crollato subito senza il tuo aiuto.”

House posò la fronte contro la sua.

Sentiva il respiro di Wilson contro il suo viso e lo strinse a sé, stringendolo per il camice.

Wilson si raggomitolò contro il suo petto, gli occhi pieni di lacrime.

“Cerca di resistere.”mormorò House.

Wilson annuì contro il suo petto, mentre il dolore veniva lenito da massicce dosi di calmanti.

“Ti amo, lo sai, vero?”

House sussultò.

Ti amo?

Era la prima volta che Wilson glielo diceva.

L'amava? Davvero?

Gli carezzò i capelli.

“Voglio dirtelo prima che sia troppo tardi. Credo davvero di amarti, House. E non lo dico perché sto morendo, ma perché...hai fatto tanto per me. Sei sempre stato la mia roccia.”

House scosse il capo.

“Eri tu che mi aiutavi, non io. Io ero quello che causava problemi, Jimmy. Credo che la nostra amicizia ti abbia fatto più male che bene. In questo momento avresti dovuto essere con la tua famiglia, circondato dalle persone che ami, non in Giamaica, lontano da tutti e con un drogato accanto.”

“Non dire sciocchezze. Se tu non mi avessi spronato ad affrontare la cura, sarei morto due mesi fa.”

“Questa stessa cura che ora ti ucciderà.”

Wilson non rispose subito.

Respirò profondamente.

“La nostra amicizia è stata la cosa più faticosa, impossibile e difficile della mia vita, House. Mi sono cacciato nei guai, ti ho visto rischiare la vita un sacco di volte, andare in terapia, poi in carcere, combinare tutti quei guai e trascinare anche me, qualche volta. Sei un egoista, cinico e bastardo.

Ma non rinuncerei ad un solo giorno. Tu ami profondamente le persone che ti stanno a cuore e le proteggi sempre.

Con te la vita è una follia, divertente, imprevedibile e mi piace stare con te. Mi piace sapere che ci sei quando ho bisogno di te. E...so che starai male quando morirò. Non voglio che tu soffra, House.”

“Non pensare a me.”

Wilson scosse il capo.

“Io mi prendo sempre cura di te. Non posso smettere di pensarci.”

Posò le labbra contro le sue, baciandolo piano e lentamente.

Sciolse un secondo l'abbraccio per prendere un pacchettino dal comodino e lo tese ad House.

“Cosa c'è?”

“Le ho prese qualche tempo fa, temendo di morire tra atroci sofferenze. Ma non sono per me.”

House fece piovere sul palmo della mano delle pillole gialle.

Fece per assaggiarne una, ma Wilson scosse la testa.

“E' un veleno. Tyrol. È estratto da un fiore che cresce qui. Me l'ha dato Beth..”

“L'infermiera? Ti ha dato un veleno per suicidarti?”esclamò House, alzando la voce, incredulo.

Wilson gli tappò la bocca.

“Non gridare.”

Wilson chiuse il sacchetto.

“Wilson...”

“Non voglio farlo. So che quando arriverà la mia ora sarò così imbottito di farmaci che mi addormenterò e basta. Johnson me l'ha promesso.”

“E questo per chi è?”

“Per te.”

House sgranò gli occhi.

“C-cosa...”

Wilson deglutì a vuoto e lo guardò.

“Mi hai detto che non volevi vivere senza di me. Me l'hai detto più di una volta.”

House prese il sacchetto che Wilson gli tendeva.

“Vuoi davvero che muoia?”

“No! No! Assolutamente no!”

Wilson gli prese il viso tra le mani e lo strinse a sé.

“No...no. No. No. No. No.”continuò a ripetere, sfiorandogli le guance.

House notò come le sue mani fossero scheletriche.

“Allora perché?”

House era confuso.

“Perché so che ti faresti del male. So che finiresti per farti davvero del male, che finiresti per ucciderti se...”

“Senza di te?”

“Io...”

Wilson stava piangendo.

“Jimmy...non...non piangere...non mi farò del male. Te lo...”

“No, non prometterlo. House, ti ho visto passare dei momenti terribili in questi anni. Ed io c'ero sempre. Non voglio che tu resti solo. Non voglio pensare a cosa ti potrebbe accadere senza di me. So che hai bisogno di me. E va bene. Va benissimo. Perché anche io ho bisogno di te. Ma se proprio devi ucciderti, se non ce la fai a continuare...non voglio che tu soffra.”

“Per questo hai preso il veleno.”

House deglutì a vuoto.

Era un pensiero...assurdo, ma capiva la logica di Wilson.

Ce l'avrebbe fatta senza di lui? Sarebbe sopravvissuto? A che pro?

Non aveva nessuno e niente cui tornare.

Non aveva niente se non lui.

“Ho solo te.”si rese conto e Wilson annuì, piangendo.

House gli prese il viso tra le mani e lo baciò sugli occhi, avvertendo il sapore salato delle lacrime.

“Grazie.”sussurrò.

“Io voglio che tu stia bene. Che tu sia felice. Ma se non ce la fai, io...”

“Lo so. Ho capito.”

House lo abbracciò stretto, facendolo stendere sul letto ed accarezzandogli il capelli.

Wilson crollò tra le sue braccia, le dita intrecciate con le sue.


Gregory House gli carezzava i capelli, un braccio attorno alla sua vita.

Sentiva il respiro lieve del compagno sul suo collo.

James lottava per non chiudere gli occhi.

“Non voglio...”gemette.

House serrò gli occhi, stringendolo un po'.

“Starai bene.”

“House, non voglio. Ti prego...non voglio andare via...”

Wilson sentì il panico invaderlo ed aprì gli occhi per incrociare quelli di House.

Gli avevano dato sempre conforto e sicurezza, ma stavolta vi lesse la paura e la rassegnazione.

House non avrebbe potuto salvarlo quella volta.

Quando gli avevano detto che per il suo amico non c'era nulla da fare, se non aspettare e pregare in un miracolo, House aveva urlato e spaccato ogni cosa gli capitasse a tiro.

Wilson non era presente, perché ricoverato, ma gliel'aveva raccontato Beth con un sorriso triste sul volto.

Gli aveva detto che House aveva iniziato a devastare l'ufficio di Johnson, resistendo ai suoi tentativi di calmarlo.

“Era sconvolto, caro. Non l'ho mai visto così.”gli aveva detto Beth.

Wilson non l'aveva mai visto in quel modo.

Quando House gli aveva spiegato la situazione, la voce era leggermente incrinata, ma aveva tenuto duro per lui.

Solo per lui.

Wilson s'era poi accorto delle sue lacrime, mentre s'erano addormentati abbracciati.

Ed ora lo teneva stretto a sé, cercando di calmarlo.

“Credi che ci sia qualcosa?”

House guardò Wilson.

“Che cosa?”

“Non lo so...so che non credi nella vita dopo la morte, ma...”

“Non è detto che tutto ciò in cui credo sia vero.”

No, House non credeva in cose come il Paradiso o l'Inferno...ma Wilson stava male.

Aveva bisogno di sapere che sarebbe andato tutto bene.

Gli cinse la vita e posò le labbra contro le sue per un attimo.

“Scommetto che esiste un posto dove andrai, in cui potrai avere ciò che vuoi, fare ciò che vuoi e stare bene.”

Wilson rise, piano.

“Lo stai dicendo solo perché sto morendo.”

House sentì qualcosa artigliargli il cuore.

Rafforzò la stretta e Wilson lo lasciò fare, raggomitolandosi contro il suo petto e sentendo il cuore di House battere forte.

“HOUSE!”

House sussultò quando sentì la voce di Johnson chiamarlo.

Il medico irruppe nella sala, col fiatone.

“Ma cosa...”

“Fegato. Abbiamo...”ansimò. “trovato il fegato compatibile.”

House gli lanciò una rapida occhiata, poi posò lo sguardo su Wilson.

Era ancora stretto a lui, gli occhi chiusi.

“Non supererà l'intervento e lo sai.”disse, cercando di mantenere la voce ferma.

Era una flebile speranza, ma Wilson era debolissimo e sarebbe morto, molto probabilmente.

“Potrebbe.”

“Non ho intenzione di lasciarlo morire sotto...”

“Fatelo.”

La voce di Wilson era fioca, ma determinata.

House lo guardò, incrociando i suoi occhi marroni.

Erano stanchi, esausti e velati di lacrime.

House deglutì a vuoto.

“James...”

“Fatelo.”

  
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