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Autore: Lupus    20/10/2007    10 recensioni
Lei ricordava il dolore di Ino, e come questo si manifestava attraverso le sue urla.
Ino urlava.
Urlava a squarciagola il nome del suo compagno morto.
E piangeva, piangeva e piangeva, ancora una volta.
Distrutta e afflitta.
Piegata e, poi, spezzata in tantissime parti.
Continuava ad urlare, senza smettere un momento, senza mai fermarsi.
Sakura ricordava di aver portato le mani sulle orecchie, come per non voler sentire le urla dell’amica.
Attutire il rumore delle risate sadiche dei Diavoli dell’Inferno.
Voleva scappare, fuggire da tutto quel trambusto per ritrovarsi sola con se stessa.
Non era degna di soffrire, di piangere.
Lei lo aveva ucciso.
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ino Yamanaka, Sakura Haruno, Shikamaru Nara
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: Contenuti forti
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#1. Don't be afraid, I promise that she will awake





Lei aveva sempre odiato gli ospedali. Sempre.
Nonostante fosse una delle più brave medic-nin di tutte le cinque terre, non riusciva a stare per molto tempo all’interno di un ospedale.
Troppi ricordi dolorosi, troppe ferite che non erano ancora state chiuse.
“Cicatrizzazione lenta” le aveva detto qualcuno.
E a lei, nonostante il suo lavoro, il sangue faceva ribrezzo, quasi quanto gli ospedali.
Tsunade-sama se ne era accorta quando l’aveva vista con la mano dentro la ferita nel petto del cadavere di Shikamaru.
Tremava, aveva la nausea e la fronte perlata di sudore.


Sangue.
Urla.
Dolore.
E poi sangue.
E ancora sangue.
Schifosissimo e maledettissimo sangue.




Sakura ricordava ancora le parole ed il dolore di Ino, dopo che aveva visto morire Shikamaru.
“Di che colore è la morte, Sa-chan?” - le aveva chiesto l’amica piangendo, mentre si torturava le dita, spezzandosi un’unghia.
Sakura non aveva risposto, troppo ferita, troppo spaventata da tutto quello che era successo in quei pochi attimi.

Lei non ci era riuscita. Non ce l’aveva fatta a salvare Shikamaru. Aveva fallito, un’altra volta.

“Per me la morte è nera, Sa-chan. Ho visto del nero sul volto di Shika” - aveva risposto Ino, sorridendo.
Il sorriso vuoto di chi vorrebbe piangere, di chi vorrebbe solo soffocare la propria disperazione.
Il sorriso falso di chi si è arreso con dolore ai rimpianti della vita.
Sakura non riusciva più a vedere l’amica in queste condizioni.
Ino piangeva e urlava, e lei, in silenzio, sopportava con fatica la consapevolezza di essere inutile.
“Per me la morte è rossa, come il sangue” - rispose, infine, alla domanda dell’amica.
“Rossa?” - chiese l’altra guardandola stranita, iniziando a ridere e, poi, a piangere più intensamente.
“Sì, come il sangue” - sussurrò Sakura, senza che la compagna la sentisse.



Lei ricordava il dolore di Ino, e come questo si manifestava attraverso le sue urla.
Ino urlava.
Urlava a squarciagola il nome del suo compagno morto.
E piangeva, piangeva e piangeva, ancora una volta.
Distrutta e afflitta.
Piegata e, poi, spezzata in tantissime parti.
Continuava ad urlare, senza smettere un momento, senza mai fermarsi.
Sakura ricordava di aver portato le mani sulle orecchie, come per non voler sentire le urla dell’amica.
Attutire il rumore delle risate sadiche dei Diavoli dell’Inferno.
Voleva scappare, fuggire da tutto quel trambusto per ritrovarsi sola con se stessa.
Non era degna di soffrire, di piangere.
Lei lo aveva ucciso.



Sakura ricordava bene di essersi alzata e di aver guardato Ino per l’ultima volta, prima di fuggire fuori dall’ambiente asettico ed insopportabile dell’ospedale.
Gli occhi dell’amica erano carichi di odio nei suoi confronti: era colpa sua, se lui era morto.
Sakura aveva ucciso Shikamaru, ed ora Ino la odiava. E continuava ad urlare, ancora e poi ancora.
La stanza iniziò a vorticare lentamente e, in seguito, sempre più velocemente. Fino a confondere le figure con l’ambiente circostante.
Sakura si teneva la tempia con le mani, e oscillava avanti e indietro ossessivamente, canticchiando una macabra canzone, pur di zittire le urla spasmodiche della compagna che, nel frattempo, aveva ricacciato fuori la sua stessa anima.
Ino urlava.
E Sakura oscillava.
Ino continuava ad urlare più forte, sempre più forte il nome del compagno.
E Sakura continuava ad oscillare avanti e indietro, tappandosi le orecchie con le sue stesse mani, chetando il suono dei gemiti della compagna che le picchiavano dentro la testa.

Sei un’assassina.

Ino urlava, inveiva [ non ] contro [ Sakura ] tutto e tutti.
E Sakura vomitava il suo stesso sangue, la sua stessa anima, venduta all’Oscura Signora.
Continuava a rigurgitare se stessa, come a volersi punire.
Shikamaru era morto per mano sua.




Sakura ricordava il corpo di Ino coperto di sangue, a causa di un tentato (e riuscito) suicidio, dopo la morte del compagno di squadra.
Shizune non voleva permetterle di curare l’amica, sapeva che non poteva riuscirci.
Eppure, Sakura era ancora lì, che teneva la mano ad Ino, come per rassicurarla che presto tutto sarebbe finito.
E, in effetti, sarebbe tutto finito veramente. Non come lei immaginava, però.

Tremava, come quella maledettissima volta.
Era passato un anno preciso dalla morte di Shikamaru e, da allora, Sakura non aveva mai più messo piede in un ospedale.
Quando vi entrò di nuovo, i ricordi tornarono a tempestarle la mente.
Le urla dell’amica e le pareti che, d’un tratto, iniziavano a vorticare velocemente, come se il Diavolo avesse deciso di trasportarla con sé nell’oblio.
Il pavimento le sembrava ancora macchiato dell’umore uscito dalla sua bocca, e, dal lungo corridoio, le pareva vedere la sua figura muoversi verso l’uscita, per poi svenire dalla parte opposta.
Piangeva, come quella maledettissima volta.
Le pareti dell’ospedale tutte rigorosamente bianche, quella dannata ‘puzza di pulito’, di sterilizzato, e i lamenti deboli dei malati, erano diventati i suoi incubi e le sue paure più recondite.
Disprezzava con tutta se stessa gli ospedali.
Erano tutti così maledettamente bianchi, fatti appositamente per nascondere il rosso del sangue e della morte che al loro interno si versava quotidianamente.
Sakura iniziò ad urlare, come quella volta, a chiamare per nome l’amica che a breve sarebbe stata portata in sala rianimazione.
Sotto ordine di Shizune, due medici le bloccarono le braccia e le diedero un calmante.
Sedarono la sua pazzia.
Ma Sakura continuava ad urlare, ancora e poi ancora; sempre più forte, sempre più impetuosamente.
Si fermava solo quando la sua anima, insieme al suo sangue, decideva di uscire fuori.
Le ultime parole che sentì dirsi, prima di addormentarsi, furono quelle di Shizune.
“Non preoccuparti, prometto che si sveglierà.”

Ino non superò la notte. Come pensava, Shizune le aveva mentito.
E lei era stata egoista: non era riuscita a salvare neanche l’amica.
Aveva fallito, l’ennesima volta.



Sakura odiava il sangue.
Il rosso, come colore, non le era mai piaciuto. Mai.
Quel liquido scarlatto che colava sempre troppo in fretta era la causa maggiore della morte dei suoi pazienti.
Era una sfida, la loro.
Peccato che Sakura non riuscisse mai a vincere.
Lei odiava il sangue anche perché le ricordava Shikamaru.
E il suo cadavere.
E il dolore che aveva portato nel cuore dell’amica.
Anche quella volta, la kunoichi si era fatta battere.


Se c’era qualcosa che Sakura odiava più del sangue, erano gli ospedali.
Le pareti bianche erano adibite per nascondere a tutti la vera realtà che si celava all’interno dei vari reparti.
L’odore che emanavano era decisamente disgustoso, ancora più di quello del sangue.
Sapeva di pulito, di sterile. Semplicemente, asettico.
Anche questa era, invero, una mossa malvagia dei medici per camuffare l’olezzo emanato dalla paura dei pazienti, prigionieri sotto quelle quattro mura.
Odiava gli ospedali perché si cibavano di dolore e di disperazione.
Infatti, avevano finanche inghiottito la sua stessa anima.
Inoltre, gli ospedali le ricordavano Ino.
E la sua rabbia.
E le sue urla.
E il suo dolore.



Sakura, nonostante fosse una delle medic-nin più brave di tutte le cinque terre, aveva dei limiti.
Lei odiava il sangue, e più del sangue, odiava gli ospedali.
E, ora che si trovava seduta su di un lettino bianco, attaccata a delle macchine che lentamente le risucchiavano l’anima, completamente in coma, iniziava a capire.
Forse, gli ospedali non erano malvagi, e neanche il sangue lo era.
Era lei ad essere sbagliata.





A/N

Salve a tutti.
Prima di lasciarvi, vorrei mettere in chiaro alcune cose.

Innanzitutto, questa storia è arrivata terza al contest su Naruto indetto da Pé e Melantò. Mi è dispiaciuto molto che non siano rimaste colpite come si aspettavano dalle storie in generale. Però, in fondo, sono abbastanza soddisfatto del mio risultato. ^_^

Vorrei ricordare a tutti che la storia è stata modificata e che essa non è la versione originale che ho inviato alle giudici del concorso.
Questo perché ho seguito i loro consigli, eliminando così tutti i “fronzoli” vari, che avevo utilizzato come artifici stilistici (leggasi: parole enfatizzate da parentesi graffe e corsivo, ecc).

Fatta questa breve premessa, vorrei mettervi al corrente che, probabilmente, ho intenzione di scrivere una raccolta, con i titoli ispirati al tema “Melodies of life”, organizzato dalla writing community True Colors. (Ringrazio Alessia per avermi dato il permesso di utilizzarli.)
“Don’t be afraid, I promise that she will awake” è la prima di trenta tracce.

Tutto questo che vi ho detto, però, non è nulla di ufficiale: è un’idea, quindi non iniziate a sperare invano.
Qualora avessi intenzione di realizzare veramente questa raccolta, inserirò un secondo capitolo e modificherò titoli, avvertimenti ecc ecc.

Detto ciò, vi saluto.

Lupus.

   
 
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