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Of
storms, shells and shattered dreams
"Is
this the real life?
Is this just fantasy?
Caught in a
landslide,
No escape from reality"
[Bohemian
Rapsody – Queen]
"Darkness
Imprisoning
me
All that I see
Absolute horror
I cannot live
I cannot
die
Trapped in myself
Body my holding cell"
[One
– Metallica]
4 Aprile, 11:20, Helicarrier
Le
nuvole scorrevano placidamente sotto al ventre dell'Helicarrier,
candide e vaporose.
Fury non avrebbe potuto trovare antitesi più
perfetta per il suo umore cupo e tempestoso, tanto che poteva
considerarsi un
miracolo che dal suo occhio buono non scaturissero fuoco e fulmini
pronti a incenerire chiunque nel raggio di cinque metri. Non
sapeva con quale residuo di pazienza si stava trattenendo dal fare
uso di tutta la potenza balistica dell'Helicarrier per distruggere
una certa villa a Malibu...
«Signor Direttore, ha sentito?»
La voce di
Coulson gli suonò stranamente allarmata. L'agente si era
prudentemente tenuto fuori tiro, a circa una decina di passi di
distanza, sul ponte inferiore.
«Sì, purtroppo.» ringhiò,
voltandosi infine con più
foga di quanto avesse voluto.
Phil ammutolì, forse intimorito dal
suo sguardo omicida. Fury continuò a rimanere in silenzio,
rimuginando su vari e fantasiosi metodi di tortura da applicare a
quella calamità ambulante che passava sotto il nome di "Iron
Man".
Coulson si arrischiò a interrompere quella serie di
immagini quasi piacevoli:
«La squadra medica è già sul posto,
ma dovremmo inviare...»
«Qualcuno? Abbiamo già inviato
qualcuno!»
esplose infine il direttore a voce leggermente più alta, e
tutti gli
agenti sul
ponte di comando si voltarono verso di lui, paralizzati,
interrompendo qualunque cosa stessero facendo.
Era normale che
Fury si arrabbiasse, inveisse contro il mondo intero, minacciasse
punizioni a destra e a
manca, si agitasse oltre l'immaginabile e facesse uso improprio dei
dispositivi dell'Helicarrier sfruttandoli come armi da lancio verso
gli agenti che gli facevano perdere le staffe. Ma non era
assolutamente normale che rimanesse immobile, glaciale, con
un'espressione mortalmente seria stampata in faccia e uno sguardo che
avrebbe fatto sembrare Loki un moccioso vestito da Carnevale.
Un
silenzio totale era piombato sulla plancia. Silenzio che Coulson
ruppe appellandosi a un coraggio che non sapeva di avere:
«Forse
quel qualcuno non era il più adatto a...»
«Banner era la
persona più affidabile che avremmo potuto mandare a far
ragionare
Stark,» lo interruppe Fury. «E dico "affidabile",
perché
anche nell'eventualità che si fosse trasformato in un mostro
verde
rabbioso, come in effetti ha fatto, avrebbe forse potuto inculcare un
po' di buonsenso a quell'idiota! E così non è
stato!» continuò in
tono crescente, schiumante e sul punto di farsi saltare la benda per la
rabbia.
Coulson quasi indietreggiò, ma mantenne un'espressione cupa
che stonava col suo portamento di solito
così
rilassato.
«Direttore, è la signorina Potts ad aver bisogno
d'aiuto, non Stark,» precisò, sempre senza perdere
la sua abituale
compostezza, ma tradendo una traccia di preoccupazione nella
voce.
Fury lasciò trapelare una vaga sorpresa, mentre dentro di
lui si malediceva per non averla fatta portare allo SHIELD da Banner,
volente o nolente.
«Vai e risolvi questo inconveniente,»
ordinò, riconquistando la calma, almeno apparentemente.
«Ti autorizzo a
usare qualunque mezzo riterrai necessario per trascinare qui Stark, e
stavolta non accetterò scuse o attenuanti,»
sentenziò seccamente,
voltandogli le spalle.
Coulson, ripresosi da quell'improvviso cambio
di atteggiamento, fece un rapido cenno di congedo prima di
avviarsi a passo rapido verso il laboratorio.
«Vado a cercare
Banner,» annunciò, prima di lasciare il ponte di
comando.
«Porta
Rogers,» replicò Fury, con una vena beffarda nella
voce.
«Cerco
Banner,» ribadì testardamente Phil, non osando
immaginare quali
conseguenze nefaste avrebbe potuto avere la presenza di Steve in un
frangente delicato come quello.
Probabilmente avrebbe di nuovo
avuto l'onore di testare la potenza della protesi di Stark sulla
propria
pelle. Allungò il passo scacciando quel pensiero e diede
un'occhiata
al cellulare, notando con un misto di preoccupazione e sollievo di
non avere chiamate perse. Non sapeva se fosse un buono o un cattivo
segno.
Entrò nel laboratorio a passo di carica, già
pronto a
strappare lo scienziato al suo lavoro, ma vide che Bruce, per una
volta, non era indaffarato tra strumenti e calcoli. Era appoggiato al
bancone invaso di provette e alambicchi vari, con il mento puntato
sulla mano e lo sguardo perso in chissà quali pensieri. Phil
decise di ignorare la stranezza della cosa, riservando le domande a
un momento più tranquillo, se mai ci sarebbe stato nei
giorni a
venire.
«Vieni, ci servi a Villa Stark,» gli
comunicò senza
giri di parole.
Bruce alzò lo sguardo trasalendo, come se non si
fosse neanche accorto del suo arrivo, e l'agente si tenne cautamente a
distanza, temendo di aver scatenato qualche
reazione poco piacevole. Invece Banner si limitò ad
aggrottare le
folte sopracciglia e a staccarsi dal bancone.
«Di nuovo? E perché?»
chiese, già aspettandosi il peggio.
Ed era convinto di
averlo già visto, il peggio.
«Non lo vuoi veramente sapere.
Meglio che ti arrabbi lì, sarebbe più
utile,» disse l'altro, senza
perdersi in dettagli e sentendo l'esigenza immediata di saltare in
una delle navette supersoniche e sfrecciare al più presto
fino a
Malibu.
Lo scienziato esitò un attimo, poi parlò, sempre
incerto, ma apparentemente più preoccupato che stupito:
«Cosa ha
fatto?» sospirò con rassegnazione. «Ieri
era un po' sopra le righe, ma...»
«Un
po'
sopra le righe?» ripeté basito Coulson,
rivolgendogli un'occhiata scettica.
«Era ingestibile,» si
corresse allora l'altro, ora più a disagio.
«Ma...» tentò
nuovamente.
«È totalmente
fuori
controllo,» lo interruppe Phil. «Non avresti dovuto
lasciarlo lì,
ubriaco, soprattutto non
con Virginia da sola. Perché non
l'hai portata qui?» aggiunse, stizzito.
«Ha rifiutato, non potevo obbligarla,» si difese
lui, togliendosi gli occhiali con fare imbarazzato. «E poi
è
l'unica che riesca a far ragionare Tony,» aggiunse, un po'
debolmente.
Coulson non replicò per evitare di scaldarsi,
perché
“scaldarsi” con Bruce poteva concludersi con
l'essere ridotti in
poltiglia.
«Lasciamo perdere,» sbuffò, riprendendo
il suo
abituale controllo. «E muoviamoci, adesso, prima
che...»
«Tu
vai,» lo interruppe Bruce, perfettamente tranquillo e non
accennando a
muovere un passo.
Coulson rimase interdetto, rendendosi conto che il dottore non aveva
pienamente colto la gravità della situazione. Si
schiarì appena la gola, rinunciando però ad
edulcorare più di tanto ciò che stava per dire:
non c'era un modo delicato per informarlo.
«Banner,
Stark ha cercato di...»
«Posso
immaginare cosa abbia fatto, dopotutto ci sono passato
anch'io,» lo interruppe cupamente lui. «Pensavo di
averlo dissuaso... ho già fatto tutto quel che
potevo,» aggiunse, e Coulson
colse una profonda tristezza nelle sue parole, non sapeva se dettata
dalla delusione per ciò che aveva fatto Stark, per il senso
di colpa nel non essere riuscito ad aiutarlo o dal dispiacere
nell'immaginare i possibili esiti di tutta quella situazione.
«E come lo porto
qui?» sbottò debolmente e con un po' di forzato
ottimismo, agitandosi nel sentire il cellulare che
vibrava nella tasca.
Fece appena in tempo a leggere il nome di Pepper
sul display che la chiamata s'interruppe. Bruce lo notò ed
esitò,
prima di parlare:
«Porta qui lei. Lui la seguirà, prima o
poi,»
affermò, con una smorfia un po' colpevole ma tirata, dando a
sua volta per scontato che Tony sarebbe stato ancora in grado di
seguirla.
Lo scienziato incrociò le braccia,
stringendo nervosamente la stoffa della camicia.
«Massacrarlo di
nuovo di pugni non servirà a convincerlo,
soprattutto non nello stato in cui sarà... dopo. E se volete
davvero trascinarlo su questa prigione volante e rinchiuderlo, non
aspettatevi dei cambiamenti: è inutile confinarlo
fisicamente se lui
non è in grado di farlo emotivamente,»
commentò, senza celare il
suo aperto dissenso.
«Lo SHIELD non si occupa di riabilitazione
mentale, ma della sicurezza mondiale. Se Stark non è in
grado di
controllarsi, dovremo costringerlo a farlo.»
Bruce fece un
sorrisetto accomodante, annuendo con fare derisorio:
«Sì, ho
capito fin troppo bene come funzionano le cose, qui allo
SHIELD»
disse, pronunciando il nome quasi con disprezzo. «Le ferite
che ha
Tony non si chiudono con la porta di una cella,» aggiunse,
stringendo appena i pugni.
«A noi serve Iron Man, non Tony Stark,»
sbottò a disagio Coulson, distogliendo lo sguardo da quello
accusatorio di Bruce, ed uscì rapido dal laboratorio.
Un po'
scosso, recuperò il cellulare e si diresse quasi di corsa
alla pista
di decollo, afferrando per la collottola un Clint piuttosto perplesso
durante il
tragitto e facendogli capire che, sì, voleva che "pilotasse
uno
di quegli aggeggi meravigliosi a velocità supersonica"; in
tutto ciò rimase col dispositivo incollato
all'orecchio, contando con
apprensione gli squilli a vuoto. Lasciò
andare il fiato solo quando sentì finalmente la voce di
Pepper all'altro capo del
telefono.
«Phil?»
«Stiamo arrivando,» la rassicurò subito
lui, mentre saliva goffamente nell'abitacolo del
mini-jet.
«Sbrigati,» riuscì solo a dire lei,
innaturalmente calma ma
con voce rotta.
«Sbrigati,» riferì lui a Barton, che
si era
già seduto con fare baldanzoso sul sedile del pilota.
Il
sogghigno che aveva stampato in volto evaporò nell'istante
stesso in
cui vide gli occhi cupi e terribilmente seri di Coulson, che gli
fecero cogliere la gravità della situazione.
«Sissignore,»
borbottò, avviando con un gesto secco i motori.
***
Due ore prima, Villa Stark
Pepper
era ferma in
cima alle scale del laboratorio, appoggiata al muro con le braccia
incrociate.
Fissava con sguardo assente la cascata artificiale che
scorreva accanto a lei, come sperando che i suoi pensieri facessero
lo stesso. Era lì da un tempo indefinito, intenta a
chiedersi se
fosse o
meno il caso di scendere al piano di sotto. Là c'era Tony,
c'erano il suo sguardo spento, il viso stanco e la voce triste. Non
era ancora riuscita a costringersi ad affrontarli. La
spaventavano terribilmente, perché quello non era
Tony: era
solo una sua immagine sbiadita e flebile, pronta a evaporare.
Erano ormai
mesi che continuava a considerare il suo comportamento instabile come
una "fase", ma si rendeva conto solo ora che era una
facciata dietro la quale lei si ostinava a nascondere la
realtà,
permettendo a lui di fare lo stesso. Adesso
riusciva a capire il perché del suo atteggiamento spavaldo e
quasi
superficiale, di tutte le ostentazioni di sicurezza e
normalità che
sfoggiava giorno dopo giorno: era molto più facile ridere e
chiudere
gli occhi di fronte alla verità, piuttosto che guardarla in
faccia
e affrontarla. Si nascondeva dietro un sorriso, mentre il suo sguardo
gridava in cerca d'aiuto. E lei non aveva colto quel grido in
tempo.
Non lo aveva mai capito fino in fondo, tutto quel dolore
che Tony continuava a portarsi dentro e che si rifiutava di mostrare.
Solo ora, dopo molto tempo, aveva intuito cosa lo distruggesse
così nel
profondo, e la consapevolezza le procurava un senso di colpa che non
riusciva a reprimere, assieme a quello che si trascinava dietro dal
giorno dell'incidente.
Semplicemente, la mente di Tony era troppo
per un corpo normale. La sua genialità, le sue ambizioni
sconfinate
e la sua indefessa volontà di scoprire sempre
più, di
superare
qualsiasi confine, erano concentrate in un corpo di per sé
limitato. Era sicura che fosse anche per quel motivo che aveva creato
proprio Iron
Man: per superare quel limite che gli era stato imposto e fare di
più, per spaziare su orizzonti più vasti e
appagare la sua
inesauribile curiosità e voglia di vivere. Se prima era
irritante
essere costretto ad affidarsi alla tecnologia per compiere qualcosa
che lo soddisfacesse, adesso doveva essere una tortura trovarsi
rinchiuso in un corpo mutilato che non riconosceva come suo.
Ma
ciò che più la spaventava era la sua improvvisa
fragilità. Non
sapeva come confrontarsi con essa. Tony non si era mai, mai,
mostrato debole – e forse nemmeno si era mai sentito tale.
Vederlo
così distrutto e prostrato ogni giorno di più le
aveva fatto capire
che
aveva ancora molta strada da fare, ancora molto dolore da sopportare,
prima di poter guarire. O crollare.
Quello che era successo il giorno
prima era solo la riconferma del fatto che qualcosa, ormai, si era
irrimediabilmente rotto. Solo adesso riusciva a capire esattamente
cosa: Tony.
E lei continuava a non sapere se avesse
dovuto far finta che nulla fosse accaduto, ignorare le crepe che
ormai solcavano la facciata dell'uomo, o se fosse stato meglio
lasciarlo lì per evitare di farlo soffrire ancora,
condannandolo
forse a crollare definitivamente. Poteva andarsene, come gli aveva
promesso. Come aveva deciso di fare qualche ora prima, guardando il
cratere nel muro del salone, e aveva rinunciato definitivamente a
fare poco dopo, nel vedere il quadro appeso alle sue spalle.
Si
stropicciò il viso, nervosa, frustrata, cercando di muoversi
mentre la
decisione si faceva strada in lei, spazzando via tutte le sue
incertezze e lasciando che la donna determinata che era sempre stata
riprendesse il controllo.
Non poteva andarsene così. C'era una
terza opzione, oltre a rimanere e fingere o andarsene e ignorare. Era
la più difficile e anche la più impegnativa, ma
non si sarebbe
tirata indietro adesso. Per l'ultima volta, o forse per la prima,
voleva prendere la decisione giusta: rimanere e riparare
ciò
che si
era rotto.
Anche se sarebbe stato meglio, molto, molto meglio non
dover incrociare di nuovo il suo sguardo scuro acceso solo da una
luce di incredulità e non fornire spiegazioni che non era in
grado
di dare e rispondere alle sue domande incerte e dare voce ai propri
pensieri e rischiare di finire
abbracciata a lui e...
Era arrivata ai piedi delle scale, e fu con
pensieri rivolti altrove che inserì il codice d'accesso con
un gesto
ormai automatico. Entrò nel laboratorio, non accorgendosi
subito
dell'insolita penombra che vi regnava. Si fermò perplessa,
notando
che l'unica luce accesa era quella del banco di lavoro, davanti al
quale
intravedeva la sagoma di Tony, rilassata all'indietro sulla sedia
mentre dormiva profondamente. La seconda cosa che notò fu
l'assenza dei familiari ologrammi e proiezioni digitali che
fluttuavano perennemente in quella sala. Aveva di nuovo disattivato
JARVIS?
Gli altri dettagli le si rovesciarono addosso in una
sequenza frenetica: la parete delle armature schermata, la posizione
leggermente scomposta dell'uomo, la cavità impressa sul
piano
metallico del bancone, il fatto che questo fosse vuoto, eccetto che
per un oggetto che si rifiutava di identificare, ma che emanava un
inconfondibile bagliore azzurrino che–no,
non poteva
essere...
Pochi istanti dopo era accanto all'uomo e fissava il suo
viso pallido e privo d'espressione, per poi soffermarsi sul congegno
che gli illuminava il volto in maniera spettrale.
I suoi occhi
sgranati oscillavano increduli tra quei due elementi che la sua mente
non
riusciva a far coincidere.
Il reattore di Tony. E la cavità vuota
in mezzo al suo petto.
***
Il
sole gli scaldava dolcemente il viso mentre una lieve brezza pregna
di salsedine iniziava a solleticargli il naso.
Le onde si
infragevano calme e placide sulla riva in un mormorio continuo; le
più coraggiose si staccavano dalla massa d'acqua per
allungarsi sul
bagnasciuga, come per tentare di inghiottire più sabbia nel
loro
riscivolare indietro. Una di queste lambì i piedi di Tony,
che
si mosse appena, più sorpreso che infastidito dal fresco
contatto
dell'acqua marina. Socchiuse gli occhi e sbattè un paio di
volte
le palpebre, girandosi su un fianco sulla sabbia fine e facendosi
schermo dal sole con il braccio, rimanendo comunque
abbagliato dalla luce. Affondò la mano tra i granelli caldi,
lasciandoli scorrere piacevolmente tra le dita mentre un'altra onda
più forte
gli sfiorava le gambe, bagnandogli il costume. Lanciò
un'occhiata
distratta al mare calmo, poi lasciò ricadere la testa sulla
sabbia
bianca, girandosi sulla schiena e godendosi quegli istanti
così
perfetti e rilassanti.
Non ricordava di aver apportato tutte
quelle migliorie alle protesi, che risultavano essere meccanicamente
perfette – quasi vere, aggiunse tra sé, con un
mezzo sorrisetto compiaciuto. Gli
sembrava di riavere il suo braccio e la sua gamba, e che l'incidente
e tutto il dolore che aveva portato con sé non ci fossero
mai
stati...
Impiegò qualche secondo nel rendersi conto che non solo
il suo braccio destro era perfettamente funzionante e integro, ma che
aveva anche una pelle e che su quella stessa pelle poteva percepire i
brividi di felicità e di sorpresa, oltre al tocco ruvido
della
sabbia. Spalancò di colpo gli occhi, improvvisamente sveglio
e libero
dal
torpore, guardando sbigottito il suo braccio, sano, e poi la sua
gamba, anch'essa integra. Un sorriso stupito e incantato si
disegnò
sul suo volto, fino a sfociare in una fragorosa risata piena di gioia
incredula. Saltò in piedi – senza fatica, senza
quelle orride
stampelle, senza dolore – tastandosi la gamba e percependo
entrambi i piedi
affondare nella sabbia, perfettamente stabili e saldi. Percepiva i
granelli tra le dita e l'acqua lambirgli le caviglie.
Era vero.
Lui era proprio lì, ed era proprio lui! Tony
Stark, Iron Man, in perfetta forma. Forse il suo braccio e la sua
gamba non erano esattamente i suoi, ma anche se fossero state delle
protesi... beh, in quel caso erano perfette.
Un'onda
più energica delle altre si abbattè sulla riva,
tempestandolo di
goccioline e richiamando la sua attenzione all'immensa distesa
cristallina che si perdeva all'orizzonte. Preso dall'euforia del
momento si lanciò in acqua, correndo sulla secca e
tuffandosi poi
senza esitazioni, pazzo di gioia per il poter nuovamente camminare,
correre, nuotare e dimenarsi in acqua urlando a squarciagola
semplicemente per il gusto di poterlo fare. Si sentiva libero,
finalmente, capace di apprezzare tutte quelle piccole cose che fino a
pochi mesi prima avrebbe dato per scontate e che adesso gli sembravano
una conquista. Si immerse brevemente
per poi risalire in un ventaglio di spruzzi, inebriato dal sapore
dell'acqua salata.
Si placò all'improvviso e piantò i piedi nel
fondale basso, rimanendo immerso fino al busto, col sole intenso che
già gli
asciugava le spalle grondanti. Fece per portarsi una mano al
volto ma si bloccò, preso da un'improvvisa angoscia.
Tentò di
specchiarsi nell'acqua limpida e splendente per controllare le
condizioni dell'occhio. Attese impazientemente e col fiato corto che
l'acqua si calmasse e smettesse di confondere e intrecciare il suo
riflesso; per un attimo temette di essere rimasto sfigurato, ma
il suo gemello gli restituì l'immagine perfetta e intatta
del suo
volto. Si tastò stupefatto la guancia, la linea ininterrotta
del sopracciglio, la palpebra aperta,
sentendo l'occhio vivo e mobile sotto i polpastrelli.
Neanche una
cicatrice era rimasta a a testimoniare l'incidente. Nulla: solo
pelle, liscia e integra.
Seguì un profondo sospiro di sollievo e
la sensazione che il sole avesse preso a brillare un po' più
intensamente.
Stava giusto iniziando a chiedersi come avesse fatto
a guarire e a progettare delle protesi e dei potenziamenti
così
perfetti senza ricordarsene, quando si bloccò allibito.
Aveva preso
a tamburellare sul reattore come era solito fare mentre rifletteva,
ma non aveva percepito nulla sotto le dita se non il suo petto.
Abbassò lo sguardo per accertarsi di non esserselo
immaginato, ma con uno stupore misto a paura constatò che il
suo
torace, sempre accompagnato dalla vitale luce azzurrina, era vuoto e
intatto. I suoi polmoni si gonfiavano al massimo, le costole non
incontravano alcun ostacolo, lo sterno non gli doleva ad ogni respiro
più profondo. Non c'era nemmeno la piastra metallica,
né qualcosa
che
potesse suggerire l'esistenza di un congegno che lo teneva in vita.
Semplicemente, era normale.
E nemmeno una vena da intossicazione di palladio si scorgeva
sottopelle.
Rimase pietrificato.
Il geniale congegno era
sparito. Ma stava bene, anzi, benissimo. Molto meglio di quando aveva
un pezzo di ferro nel petto che lo stava dolorosamente e lentamente
uccidendo; un peso costante di cui finalmente si era liberato, che
poteva ricordare solo come un brutto sogno. L'incubo era finito. E
non importava come, o quando, o perché: in quel momento
desiderava
soltanto riabbracciare la propria vita.
Seguirono altre grida e
altre risate, mentre si godeva l'acqua fantastica della sua spiaggia
e nuotava fino a sfiancarsi, finché non si
abbandonò mollemente
sulla superficie delle onde, galleggiando tra i flutti con un sorriso
realizzato a inclinargli le labbra e gli occhi persi nell'azzurro sopra
di lui.
Poco lontano scorgeva la sua
splendida villa arroccata sulla scogliera rossastra. Sulla sabbia, a
piedi nudi e
con i capelli ramati scossi dalla brezza, intravide la persona,
l'unica, che gli mancava in quel momento. Pepper lo salutò
con un
piccolo gesto della mano, sorridendo, così splendente nei
suoi semplici
pantaloncini e camicia da far sembrare il sole una lampadina al
neon.
Tony ricambiò il saluto sbracciandosi, voltandosi poi con
una capriola
nell'acqua e
incominciando a muoversi ad ampie bracciate verso la costa avvertendo
con piacere la ritrovata forza del proprio corpo contro la corrente.
Non
desiderava altro che correrle incontro per abbracciarla, baciarla e
raccontarle di quel miracolo inspiegabile. Improvvisamente si era fatto
dimentico di tutto: il reattore, le protesi, la spiaggia... non c'era
più niente per lui, solo lei.
Aumentò il ritmo della nuotata,
impaziente. L'acqua gli arrivava ancora all'altezza della vita,
eppure gli sembrava di aver percorso più distanza; avrebbe
dovuto
incominciare a uscire fuori dall'acqua, ma continuava a nuotare...
I
suoi piedi iniziarono a farsi sempre più pesanti, restii a
muoversi,
finché non sprofondarono nell'acqua ancorandosi sul fondale,
immobili.
Riuscì a tenere la testa fuori dall'acqua, fattasi
improvvisamente più alta, ma ne
ingoiò una sorsata salmastra che lo fece tossire forte. La
paura si
fece subito strada in lui, mentre tentava di alzare i
piedi o anche solo di trascinarli sul fondo, ottenendo solo di
sprofondare ancora di più, come se fosse nelle sabbie
mobili.
Il
suo sguardo corse subito a Pepper, ancora ferma sulla spiaggia.
Ma non sorrideva più e non faceva nulla per
aiutarlo: non
muoveva un
passo, non si agitava, non mostrava alcun segno di preoccupazione nei
suoi confronti e i suoi occhi erano di ghiaccio mentre continuava ad
osservarlo da lontano.
«Pepper!» tentò
di chiamarla, ma come pronunciò il suo nome si
ritrovò
completamente sott'acqua e il suo grido si perse in una raffica di
bolle.
I piedi erano come saldati a terra, l'aria fuggiva veloce
dai suoi polmoni incapaci di trattenerla. Anche le gambe
incominciavano a irrigidirsi sempre di più,
finché non fu
totalmente cementato fino alla vita. L'acqua continuava a farsi
sempre più alta sopra di lui, allontanandogli la fonte
d'aria più
ovvia ed essenziale. Le braccia si dimenavano invano, tentando
inutilmente di raggiungere la superficie o di muoversi in qualunque
modo. Tentò di staccare i piedi con le mani, di forzare le
gambe, ma
quando le toccò erano fredde come il ferro e della stessa
consistenza.
Iniziò a inghiottare acqua quando si accorse che
erano realmente
di durissimo metallo. Ogni fibra del suo corpo
gridava dal dolore per la mancanza d'aria e il tormento divenne
insostenibile quando la patina argentea riprese a inghiottire il suo
corpo. Le vene e i tendini si solidificavano, il petto bruciava
sempre più e il cuore rallentava come schiacciato dai
polmoni che si
dibattevano in cerca d'aria.
L'ultimo atomo d'ossigeno sfuggì
alle sue labbra nello stesso momento in cui il metallo avvolgeva la
sua testa, e improvvisamente non sentì più nulla,
se non il battito
distante del suo cuore che diventava un'eco sempre più
debole e ovattata.
«Dove
sono?»
Revisione effettuata il 04/03/2018
Nota delle autrici:
Buonasera, dolci pulzelle!
Torniamo (quasi) a tempo di record! Vi stiamo facendo sospirare questi capitoli, ce ne rendiamo conto...
Dunque, dovete sapere che l'idea per il bel Tony spaparanzato su una spiaggia è tutto merito di Moon, che ha questi lampi di genio improvvisi. Un applauso a lei! E la mega-super-iper-cazzola mentale di Pepper è stata partorita da Light, che non può vedere i personaggi in pace con loro stessi per più di mezza pagina.
Date queste premesse, come potevate aspettarvi che ne uscisse qualcosa di sano e coerente?
Per quanto riguarda le due citazioni iniziali... rappresentano i due lati "onirici" di Tony: il sogno e l'incubo. E stanno là pure perché le amavamo entrambe. E perché dovete adorare sia i Queen che i Metallica.
Amen.
Avete assistito anche al ritorno del "dove sono", che ormai è il nostro leitmotiv preferito <3
Vi ringraziamo immensamente, assolutamente e calorosamente (VI AMIAMO) per avere continuato a seguirci e a leggerci! In particolare per aver aggiunto la storia tra le preferite/ricordate/seguite, per averci aggiunto agli autori preferiti <3 e per aver recensito, in particolare chi ha recensito lo scorso capitolo: 81serena, Rogue92, Alley, Tony Stark, MissysP e Thirrin :D
A presto! ;)
Moon&Light
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