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Autore: ___MoonLight    01/04/2013    8 recensioni
«Tu sei riuscito a creare qualcosa di buono, non solo per te stesso. Qualcosa in cui credi.»
Tony gli riservò solo un ostinato silenzio, al che Bruce esitò.
«Ci credi ancora, vero?»
«Che importanza ha? Ho mandato tutto in fumo,» replicò piattamente lui.
«Sei già rinato dalle ceneri, Tony. Davvero non puoi farlo ancora?»

L'Afghanistan ha segnato Tony e gli ha donato l'opportunità di cambiare in meglio la sua vita. Ma il destino ha tutte le intenzioni di mettergli nuovamente i bastoni tra le ruote, e l'immagine corazzata che si è costruito e dietro la quale tenta di riparare i torti commessi e quelli subiti non è più abbastanza per proteggerlo. Cosa succede quando l'uomo diventa davvero di ferro, anche senza armatura?
[Storia completa e revisionata]
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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27

Of storms, shells and shattered dreams



"Is this the real life?
Is this just fantasy?
Caught in a landslide,
No escape from reality"


[Bohemian Rapsody – Queen]


"Darkness
Imprisoning me
All that I see
Absolute horror
I cannot live
I cannot die
Trapped in myself
Body my holding cell"


[One – Metallica]

 

 

 

4 Aprile, 11:20, Helicarrier

Le nuvole scorrevano placidamente sotto al ventre dell'Helicarrier, candide e vaporose.
Fury non avrebbe potuto trovare antitesi più perfetta per il suo umore cupo e tempestoso, tanto che poteva considerarsi un miracolo che dal suo occhio buono non scaturissero fuoco e fulmini pronti a incenerire chiunque nel raggio di cinque metri. Non sapeva con quale residuo di pazienza si stava trattenendo dal fare uso di tutta la potenza balistica dell'Helicarrier per distruggere una certa villa a Malibu...
«Signor Direttore, ha sentito?»
La voce di Coulson gli suonò stranamente allarmata. L'agente si era prudentemente tenuto fuori tiro, a circa una decina di passi di distanza, sul ponte inferiore.
«Sì, purtroppo.» ringhiò, voltandosi infine con più foga di quanto avesse voluto.
Phil ammutolì, forse intimorito dal suo sguardo omicida. Fury continuò a rimanere in silenzio, rimuginando su vari e fantasiosi metodi di tortura da applicare a quella calamità ambulante che passava sotto il nome di "Iron Man".
Coulson si arrischiò a interrompere quella serie di immagini quasi piacevoli:
«La squadra medica è già sul posto, ma dovremmo inviare...»
«Qualcuno? Abbiamo già inviato
qualcuno!» esplose infine il direttore a voce leggermente più alta, e tutti gli agenti sul ponte di comando si voltarono verso di lui, paralizzati, interrompendo qualunque cosa stessero facendo.
Era normale che Fury si arrabbiasse, inveisse contro il mondo intero, minacciasse punizioni a destra e a manca, si agitasse oltre l'immaginabile e facesse uso improprio dei dispositivi dell'Helicarrier sfruttandoli come armi da lancio verso gli agenti che gli facevano perdere le staffe. Ma non era assolutamente normale che rimanesse immobile, glaciale, con un'espressione mortalmente seria stampata in faccia e uno sguardo che avrebbe fatto sembrare Loki un moccioso vestito da Carnevale.
Un silenzio totale era piombato sulla plancia. Silenzio che Coulson ruppe appellandosi a un coraggio che non sapeva di avere:
«Forse quel qualcuno non era il più adatto a...»
«Banner era la persona più affidabile che avremmo potuto mandare a far ragionare Stark,» lo interruppe Fury. «E dico "affidabile", perché anche nell'eventualità che si fosse trasformato in un mostro verde rabbioso, come in effetti ha fatto, avrebbe forse potuto inculcare un po' di buonsenso a quell'idiota! E così non è stato!» continuò in tono crescente, schiumante e sul punto di farsi saltare la benda per la rabbia.
Coulson quasi indietreggiò, ma mantenne un'espressione cupa che stonava col suo portamento di solito così rilassato.
«Direttore, è la signorina Potts ad aver bisogno d'aiuto, non Stark,» precisò, sempre senza perdere la sua abituale compostezza, ma tradendo una traccia di preoccupazione nella voce.
Fury lasciò trapelare una vaga sorpresa, mentre dentro di lui si malediceva per non averla fatta portare allo SHIELD da Banner, volente o nolente.
«Vai e risolvi questo inconveniente,» ordinò, riconquistando la calma, almeno apparentemente. «Ti autorizzo a usare qualunque mezzo riterrai necessario per trascinare qui Stark, e stavolta non accetterò scuse o attenuanti,» sentenziò seccamente, voltandogli le spalle.
Coulson, ripresosi da quell'improvviso cambio di atteggiamento, fece un rapido cenno di congedo prima di avviarsi a passo rapido verso il laboratorio.
«Vado a cercare Banner,» annunciò, prima di lasciare il ponte di comando.
«Porta Rogers,» replicò Fury, con una vena beffarda nella voce.
«Cerco Banner,» ribadì testardamente Phil, non osando immaginare quali conseguenze nefaste avrebbe potuto avere la presenza di Steve in un frangente delicato come quello.
Probabilmente avrebbe di nuovo avuto l'onore di testare la potenza della protesi di Stark sulla propria pelle. Allungò il passo scacciando quel pensiero e diede un'occhiata al cellulare, notando con un misto di preoccupazione e sollievo di non avere chiamate perse. Non sapeva se fosse un buono o un cattivo segno.
Entrò nel laboratorio a passo di carica, già pronto a strappare lo scienziato al suo lavoro, ma vide che Bruce, per una volta, non era indaffarato tra strumenti e calcoli. Era appoggiato al bancone invaso di provette e alambicchi vari, con il mento puntato sulla mano e lo sguardo perso in chissà quali pensieri. Phil decise di ignorare la stranezza della cosa, riservando le domande a un momento più tranquillo, se mai ci sarebbe stato nei giorni a venire.
«Vieni, ci servi a Villa Stark,» gli comunicò senza giri di parole.
Bruce alzò lo sguardo trasalendo, come se non si fosse neanche accorto del suo arrivo, e l'agente si tenne cautamente a distanza, temendo di aver scatenato qualche reazione poco piacevole. Invece Banner si limitò ad aggrottare le folte sopracciglia e a staccarsi dal bancone.
«Di nuovo? E perché?» chiese, già aspettandosi il peggio.
Ed era convinto di averlo già visto, il peggio.
«Non lo vuoi veramente sapere. Meglio che ti arrabbi lì, sarebbe più utile,» disse l'altro, senza perdersi in dettagli e sentendo l'esigenza immediata di saltare in una delle navette supersoniche e sfrecciare al più presto fino a Malibu.
Lo scienziato esitò un attimo, poi parlò, sempre incerto, ma apparentemente più preoccupato che stupito:
«Cosa ha fatto?» sospirò con rassegnazione. «Ieri era un po' sopra le righe, ma...»
«
Un po' sopra le righe?» ripeté basito Coulson, rivolgendogli un'occhiata scettica.
«Era ingestibile,» si corresse allora l'altro, ora più a disagio. «Ma...» tentò nuovamente.
«È totalmente fuori controllo,» lo interruppe Phil. «Non avresti dovuto lasciarlo lì, ubriaco, soprattutto non con Virginia da sola. Perché non l'hai portata qui?» aggiunse, stizzito.
«Ha rifiutato, non potevo obbligarla,» si difese lui, togliendosi gli occhiali con fare imbarazzato. «E poi è l'unica che riesca a far ragionare Tony,» aggiunse, un po' debolmente.
Coulson non replicò per evitare di scaldarsi, perché “scaldarsi” con Bruce poteva concludersi con l'essere ridotti in poltiglia.
«Lasciamo perdere,» sbuffò, riprendendo il suo abituale controllo. «E muoviamoci, adesso, prima che...»
«Tu vai,» lo interruppe Bruce, perfettamente tranquillo e non accennando a muovere un passo.
Coulson rimase interdetto, rendendosi conto che il dottore non aveva pienamente colto la gravità della situazione. Si schiarì appena la gola, rinunciando però ad edulcorare più di tanto ciò che stava per dire: non c'era un modo delicato per informarlo.
«
Banner, Stark ha cercato di...»
«
Posso immaginare cosa abbia fatto, dopotutto ci sono passato anch'io,» lo interruppe cupamente lui. «Pensavo di averlo dissuaso... ho già fatto tutto quel che potevo,» aggiunse, e Coulson colse una profonda tristezza nelle sue parole, non sapeva se dettata dalla delusione per ciò che aveva fatto Stark, per il senso di colpa nel non essere riuscito ad aiutarlo o dal dispiacere nell'immaginare i possibili esiti di tutta quella situazione.
«E come lo porto qui?» sbottò debolmente e con un po' di forzato ottimismo, agitandosi nel sentire il cellulare che vibrava nella tasca.
Fece appena in tempo a leggere il nome di Pepper sul display che la chiamata s'interruppe. Bruce lo notò ed esitò, prima di parlare:
«Porta qui lei. Lui la seguirà, prima o poi,» affermò, con una smorfia un po' colpevole ma tirata, dando a sua volta per scontato che Tony sarebbe stato ancora in grado di seguirla.
Lo scienziato incrociò le braccia, stringendo nervosamente la stoffa della camicia.
«Massacrarlo di nuovo di pugni non servirà a convincerlo, soprattutto non nello stato in cui sarà... dopo. E se volete davvero trascinarlo su questa prigione volante e rinchiuderlo, non aspettatevi dei cambiamenti: è inutile confinarlo fisicamente se lui non è in grado di farlo emotivamente,» commentò, senza celare il suo aperto dissenso.
«Lo SHIELD non si occupa di riabilitazione mentale, ma della sicurezza mondiale. Se Stark non è in grado di controllarsi, dovremo costringerlo a farlo.»
Bruce fece un sorrisetto accomodante, annuendo con fare derisorio:
«Sì, ho capito fin troppo bene come funzionano le cose, qui allo SHIELD» disse, pronunciando il nome quasi con disprezzo. «Le ferite che ha Tony non si chiudono con la porta di una cella,» aggiunse, stringendo appena i pugni.
«A noi serve Iron Man, non Tony Stark,» sbottò a disagio Coulson, distogliendo lo sguardo da quello accusatorio di Bruce, ed uscì rapido dal laboratorio.
Un po' scosso, recuperò il cellulare e si diresse quasi di corsa alla pista di decollo, afferrando per la collottola un Clint piuttosto perplesso durante il tragitto e facendogli capire che, sì, voleva che "pilotasse uno di quegli aggeggi meravigliosi a velocità supersonica"; in tutto ciò rimase col dispositivo incollato all'orecchio, contando con apprensione gli squilli a vuoto. Lasciò andare il fiato solo quando sentì finalmente la voce di Pepper all'altro capo del telefono.
«Phil?»
«Stiamo arrivando,» la rassicurò subito lui, mentre saliva goffamente nell'abitacolo del mini-jet.
«Sbrigati,» riuscì solo a dire lei, innaturalmente calma ma con voce rotta.
«Sbrigati,» riferì lui a Barton, che si era già seduto con fare baldanzoso sul sedile del pilota.
Il sogghigno che aveva stampato in volto evaporò nell'istante stesso in cui vide gli occhi cupi e terribilmente seri di Coulson, che gli fecero cogliere la gravità della situazione.
«Sissignore,» borbottò, avviando con un gesto secco i motori.


***


Due ore prima, Villa Stark

Pepper era ferma in cima alle scale del laboratorio, appoggiata al muro con le braccia incrociate. 
Fissava con sguardo assente la cascata artificiale che scorreva accanto a lei, come sperando che i suoi pensieri facessero lo stesso. Era lì da un tempo indefinito, intenta a chiedersi se fosse o meno il caso di scendere al piano di sotto. Là c'era Tony, c'erano il suo sguardo spento, il viso stanco e la voce triste. Non era ancora riuscita a costringersi ad affrontarli. La spaventavano terribilmente, perché quello non era Tony: era solo una sua immagine sbiadita e flebile, pronta a evaporare.
Erano ormai mesi che continuava a considerare il suo comportamento instabile come una "fase", ma si rendeva conto solo ora che era una facciata dietro la quale lei si ostinava a nascondere la realtà, permettendo a lui di fare lo stesso. Adesso riusciva a capire il perché del suo atteggiamento spavaldo e quasi superficiale, di tutte le ostentazioni di sicurezza e normalità che sfoggiava giorno dopo giorno: era molto più facile ridere e chiudere gli occhi di fronte alla verità, piuttosto che guardarla in faccia e affrontarla. Si nascondeva dietro un sorriso, mentre il suo sguardo gridava in cerca d'aiuto. E lei non aveva colto quel grido in tempo.
Non lo aveva mai capito fino in fondo, tutto quel dolore che Tony continuava a portarsi dentro e che si rifiutava di mostrare. Solo ora, dopo molto tempo, aveva intuito cosa lo distruggesse così nel profondo, e la consapevolezza le procurava un senso di colpa che non riusciva a reprimere, assieme a quello che si trascinava dietro dal giorno dell'incidente.
Semplicemente, la mente di Tony era troppo per un corpo normale. La sua genialità, le sue ambizioni sconfinate e la sua indefessa volontà di scoprire sempre più, di superare qualsiasi confine, erano concentrate in un corpo di per sé limitato. Era sicura che fosse anche per quel motivo che aveva creato proprio Iron Man: per superare quel limite che gli era stato imposto e fare di più, per spaziare su orizzonti più vasti e appagare la sua inesauribile curiosità e voglia di vivere. Se prima era irritante essere costretto ad affidarsi alla tecnologia per compiere qualcosa che lo soddisfacesse, adesso doveva essere una tortura trovarsi rinchiuso in un corpo mutilato che non riconosceva come suo.
Ma ciò che più la spaventava era la sua improvvisa fragilità. Non sapeva come confrontarsi con essa. Tony non si era mai, mai, mostrato debole – e forse nemmeno si era mai sentito tale. Vederlo così distrutto e prostrato ogni giorno di più le aveva fatto capire che aveva ancora molta strada da fare, ancora molto dolore da sopportare, prima di poter guarire. O crollare.
Quello che era successo il giorno prima era solo la riconferma del fatto che qualcosa, ormai, si era irrimediabilmente rotto. Solo adesso riusciva a capire esattamente cosa: Tony.
E lei continuava a non sapere se avesse dovuto far finta che nulla fosse accaduto, ignorare le crepe che ormai solcavano la facciata dell'uomo, o se fosse stato meglio lasciarlo lì per evitare di farlo soffrire ancora, condannandolo forse a crollare definitivamente. Poteva andarsene, come gli aveva promesso. Come aveva deciso di fare qualche ora prima, guardando il cratere nel muro del salone, e aveva rinunciato definitivamente a fare poco dopo, nel vedere il quadro appeso alle sue spalle.
Si stropicciò il viso, nervosa, frustrata, cercando di muoversi mentre la decisione si faceva strada in lei, spazzando via tutte le sue incertezze e lasciando che la donna determinata che era sempre stata riprendesse il controllo.
Non poteva andarsene così. C'era una terza opzione, oltre a rimanere e fingere o andarsene e ignorare. Era la più difficile e anche la più impegnativa, ma non si sarebbe tirata indietro adesso. Per l'ultima volta, o forse per la prima, voleva prendere la decisione giusta: rimanere e riparare ciò che si era rotto.
Anche se sarebbe stato meglio, molto, molto meglio non dover incrociare di nuovo il suo sguardo scuro acceso solo da una luce di incredulità e non fornire spiegazioni che non era in grado di dare e rispondere alle sue domande incerte e dare voce ai propri pensieri e rischiare di finire abbracciata a lui e...
Era arrivata ai piedi delle scale, e fu con pensieri rivolti altrove che inserì il codice d'accesso con un gesto ormai automatico. Entrò nel laboratorio, non accorgendosi subito dell'insolita penombra che vi regnava. Si fermò perplessa, notando che l'unica luce accesa era quella del banco di lavoro, davanti al quale intravedeva la sagoma di Tony, rilassata all'indietro sulla sedia mentre dormiva profondamente. La seconda cosa che notò fu l'assenza dei familiari ologrammi e proiezioni digitali che fluttuavano perennemente in quella sala. Aveva di nuovo disattivato JARVIS?
Gli altri dettagli le si rovesciarono addosso in una sequenza frenetica: la parete delle armature schermata, la posizione leggermente scomposta dell'uomo, la cavità impressa sul piano metallico del bancone, il fatto che questo fosse vuoto, eccetto che per un oggetto che si rifiutava di identificare, ma che emanava un inconfondibile bagliore azzurrino che–no, non poteva essere...
Pochi istanti dopo era accanto all'uomo e fissava il suo viso pallido e privo d'espressione, per poi soffermarsi sul congegno che gli illuminava il volto in maniera spettrale.
I suoi occhi sgranati oscillavano increduli tra quei due elementi che la sua mente non riusciva a far coincidere.
Il reattore di Tony. E la cavità vuota in mezzo al suo petto.

***


Il sole gli scaldava dolcemente il viso mentre una lieve brezza pregna di salsedine iniziava a solleticargli il naso.
Le onde si infragevano calme e placide sulla riva in un mormorio continuo; le più coraggiose si staccavano dalla massa d'acqua per allungarsi sul bagnasciuga, come per tentare di inghiottire più sabbia nel loro riscivolare indietro. Una di queste lambì i piedi di Tony, che si mosse appena, più sorpreso che infastidito dal fresco contatto dell'acqua marina. Socchiuse gli occhi e sbattè un paio di volte le palpebre, girandosi su un fianco sulla sabbia fine e facendosi schermo dal sole con il braccio, rimanendo comunque abbagliato dalla luce. Affondò la mano tra i granelli caldi, lasciandoli scorrere piacevolmente tra le dita mentre un'altra onda più forte gli sfiorava le gambe, bagnandogli il costume. Lanciò un'occhiata distratta al mare calmo, poi lasciò ricadere la testa sulla sabbia bianca, girandosi sulla schiena e godendosi quegli istanti così perfetti e rilassanti.
Non ricordava di aver apportato tutte quelle migliorie alle protesi, che risultavano essere meccanicamente perfette – quasi vere, aggiunse tra sé, con un mezzo sorrisetto compiaciuto. Gli sembrava di riavere il suo braccio e la sua gamba, e che l'incidente e tutto il dolore che aveva portato con sé non ci fossero mai stati...
Impiegò qualche secondo nel rendersi conto che non solo il suo braccio destro era perfettamente funzionante e integro, ma che aveva anche una pelle e che su quella stessa pelle poteva percepire i brividi di felicità e di sorpresa, oltre al tocco ruvido della sabbia. Spalancò di colpo gli occhi, improvvisamente sveglio e libero dal torpore, guardando sbigottito il suo braccio, sano, e poi la sua gamba, anch'essa integra. Un sorriso stupito e incantato si disegnò sul suo volto, fino a sfociare in una fragorosa risata piena di gioia incredula. Saltò in piedi – senza fatica, senza quelle orride stampelle, senza dolore – tastandosi la gamba e percependo entrambi i piedi affondare nella sabbia, perfettamente stabili e saldi. Percepiva i granelli tra le dita e l'acqua lambirgli le caviglie.
Era vero. Lui era proprio lì, ed era proprio
lui! Tony Stark, Iron Man, in perfetta forma. Forse il suo braccio e la sua gamba non erano esattamente i suoi, ma anche se fossero state delle protesi... beh, in quel caso erano perfette.
Un'onda più energica delle altre si abbattè sulla riva, tempestandolo di goccioline e richiamando la sua attenzione all'immensa distesa cristallina che si perdeva all'orizzonte. Preso dall'euforia del momento si lanciò in acqua, correndo sulla secca e tuffandosi poi senza esitazioni, pazzo di gioia per il poter nuovamente camminare, correre, nuotare e dimenarsi in acqua urlando a squarciagola semplicemente per il gusto di poterlo fare. Si sentiva libero, finalmente, capace di apprezzare tutte quelle piccole cose che fino a pochi mesi prima avrebbe dato per scontate e che adesso gli sembravano una conquista. Si immerse brevemente per poi risalire in un ventaglio di spruzzi, inebriato dal sapore dell'acqua salata.
Si placò all'improvviso e piantò i piedi nel fondale basso, rimanendo immerso fino al busto, col sole intenso che già gli asciugava le spalle grondanti. Fece per portarsi una mano al volto ma si bloccò, preso da un'improvvisa angoscia. Tentò di specchiarsi nell'acqua limpida e splendente per controllare le condizioni dell'occhio. Attese impazientemente e col fiato corto che l'acqua si calmasse e smettesse di confondere e intrecciare il suo riflesso; per un attimo temette di essere rimasto sfigurato, ma il suo gemello gli restituì l'immagine perfetta e intatta del suo volto. Si tastò stupefatto la guancia, la linea ininterrotta del sopracciglio, la palpebra aperta, sentendo l'occhio vivo e mobile sotto i polpastrelli.
Neanche una cicatrice era rimasta a a testimoniare l'incidente. Nulla: solo pelle, liscia e integra.
Seguì un profondo sospiro di sollievo e la sensazione che il sole avesse preso a brillare un po' più intensamente.
Stava giusto iniziando a chiedersi come avesse fatto a guarire e a progettare delle protesi e dei potenziamenti così perfetti senza ricordarsene, quando si bloccò allibito. Aveva preso a tamburellare sul reattore come era solito fare mentre rifletteva, ma non aveva percepito nulla sotto le dita se non il suo petto. Abbassò lo sguardo per accertarsi di non esserselo immaginato, ma con uno stupore misto a paura constatò che il suo torace, sempre accompagnato dalla vitale luce azzurrina, era vuoto e intatto. I suoi polmoni si gonfiavano al massimo, le costole non incontravano alcun ostacolo, lo sterno non gli doleva ad ogni respiro più profondo. Non c'era nemmeno la piastra metallica, né qualcosa che potesse suggerire l'esistenza di un congegno che lo teneva in vita. Semplicemente, era
normale. E nemmeno una vena da intossicazione di palladio si scorgeva sottopelle.
Rimase pietrificato.
Il geniale congegno era sparito. Ma stava bene, anzi, benissimo. Molto meglio di quando aveva un pezzo di ferro nel petto che lo stava dolorosamente e lentamente uccidendo; un peso costante di cui finalmente si era liberato, che poteva ricordare solo come un brutto sogno. L'incubo era finito. E non importava come, o quando, o perché: in quel momento desiderava soltanto riabbracciare la propria vita.
Seguirono altre grida e altre risate, mentre si godeva l'acqua fantastica della sua spiaggia e nuotava fino a sfiancarsi, finché non si abbandonò mollemente sulla superficie delle onde, galleggiando tra i flutti con un sorriso realizzato a inclinargli le labbra e gli occhi persi nell'azzurro sopra di lui.
Poco lontano scorgeva la sua splendida villa arroccata sulla scogliera rossastra. Sulla sabbia, a piedi nudi e con i capelli ramati scossi dalla brezza, intravide la persona, l'unica, che gli mancava in quel momento. Pepper lo salutò con un piccolo gesto della mano, sorridendo, così splendente nei suoi semplici pantaloncini e camicia da far sembrare il sole una lampadina al neon.
Tony ricambiò il saluto sbracciandosi, voltandosi poi con una capriola nell'acqua e incominciando a muoversi ad ampie bracciate verso la costa avvertendo con piacere la ritrovata forza del proprio corpo contro la corrente. Non desiderava altro che correrle incontro per abbracciarla, baciarla e raccontarle di quel miracolo inspiegabile. Improvvisamente si era fatto dimentico di tutto: il reattore, le protesi, la spiaggia... non c'era più niente per lui, solo lei.
Aumentò il ritmo della nuotata, impaziente. L'acqua gli arrivava ancora all'altezza della vita, eppure gli sembrava di aver percorso più distanza; avrebbe dovuto incominciare a uscire fuori dall'acqua, ma continuava a nuotare...
I suoi piedi iniziarono a farsi sempre più pesanti, restii a muoversi, finché non sprofondarono nell'acqua ancorandosi sul fondale, immobili.
Riuscì a tenere la testa fuori dall'acqua, fattasi improvvisamente più alta, ma ne ingoiò una sorsata salmastra che lo fece tossire forte. La paura si fece subito strada in lui, mentre tentava di alzare i piedi o anche solo di trascinarli sul fondo, ottenendo solo di sprofondare ancora di più, come se fosse nelle sabbie mobili.
Il suo sguardo corse subito a Pepper, ancora ferma sulla spiaggia. Ma non sorrideva più e non faceva nulla per aiutarlo: non muoveva un passo, non si agitava, non mostrava alcun segno di preoccupazione nei suoi confronti e i suoi occhi erano di ghiaccio mentre continuava ad osservarlo da lontano.
«Pepper!» tentò di chiamarla, ma come pronunciò il suo nome si ritrovò completamente sott'acqua e il suo grido si perse in una raffica di bolle.
I piedi erano come saldati a terra, l'aria fuggiva veloce dai suoi polmoni incapaci di trattenerla. Anche le gambe incominciavano a irrigidirsi sempre di più, finché non fu totalmente cementato fino alla vita. L'acqua continuava a farsi sempre più alta sopra di lui, allontanandogli la fonte d'aria più ovvia ed essenziale. Le braccia si dimenavano invano, tentando inutilmente di raggiungere la superficie o di muoversi in qualunque modo. Tentò di staccare i piedi con le mani, di forzare le gambe, ma quando le toccò erano fredde come il ferro e della stessa consistenza.
Iniziò a inghiottare acqua quando si accorse che erano realmente di durissimo metallo. Ogni fibra del suo corpo gridava dal dolore per la mancanza d'aria e il tormento divenne insostenibile quando la patina argentea riprese a inghiottire il suo corpo. Le vene e i tendini si solidificavano, il petto bruciava sempre più e il cuore rallentava come schiacciato dai polmoni che si dibattevano in cerca d'aria.
L'ultimo atomo d'ossigeno sfuggì alle sue labbra nello stesso momento in cui il metallo avvolgeva la sua testa, e improvvisamente non sentì più nulla, se non il battito distante del suo cuore che diventava un'eco sempre più debole e ovattata.
«Dove sono?»




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Revisione effettuata il 04/03/2018

Nota delle autrici:
 

Buonasera, dolci pulzelle!
Torniamo (quasi) a tempo di record! Vi stiamo facendo sospirare questi capitoli, ce ne rendiamo conto...
Dunque, dovete sapere che l'idea per il bel Tony spaparanzato su una spiaggia è tutto merito di Moon, che ha questi lampi di genio improvvisi. Un applauso a lei! E la mega-super-iper-cazzola mentale di Pepper è stata partorita da Light, che non può vedere i personaggi in pace con loro stessi per più di mezza pagina.
Date queste premesse, come potevate aspettarvi che ne uscisse qualcosa di sano e coerente?

Per quanto riguarda le due citazioni iniziali... rappresentano i due lati "onirici" di Tony: il sogno e l'incubo. E stanno là pure perché le amavamo entrambe. E perché dovete adorare sia i Queen che i Metallica.
Amen.
Avete assistito anche al ritorno del "dove sono", che ormai è il nostro leitmotiv preferito <3


Vi ringraziamo immensamente, assolutamente e calorosamente (VI AMIAMO) per avere continuato a seguirci e a leggerci! In particolare per aver aggiunto la storia tra le preferite/ricordate/seguite, per averci aggiunto agli autori preferiti <3 e per aver recensito, in particolare chi ha recensito lo scorso capitolo: 81serena, Rogue92, Alley, Tony Stark, MissysP e Thirrin :D

A presto! ;)

Moon&Light


 



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