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Autore: IanLaRossa    01/04/2013    3 recensioni
AU!Kurtbastian. Sebastian é uno studente di architettura con la passione repressa per il disegno e Kurt é il soggetto perfetto che lui aspettava da tempo.
"Senza chiedere il permesso a nessuno, rubai tutto ciò che potevano prendere i miei occhi dalla sua immagine e scaricai il bottino sul foglio."
per la challenge settimanale con prompt:body painting.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Le mani non avevano smesso un attimo di formicolare, da quando mi ero alzato da quel letto sconosciuto dopo essermi districato da un corpo snello, senza volto e senza nome, fino alla penultima lezione da seguire nel programma della giornata. Continuavo a tormentarle, rigirare i pollici, talvolta a morderle, pregandole in silenzio di smetterla di torturarmi così. Ma sapevo il motivo di tanto trambusto tra le mie esili falangi e sapevo dunque che i miei denti o le unghie conficcate nei palmi non sarebbero bastate a farle smettere di lamentarsi.
Le mie mani avevano voglia di disegnare e stare chiuso in una classe piena di sussurri e bisbigli confusi di ragazzi dagli sguardi assonnati misti alle occhiate torve del professore di Architettura Moderna Avanzata non era la soluzione adatta per far cessare il dolore.
Tentai invano di scarabocchiare un albero ai bordi del block notes per quietare il loro bisogno ma sapevo che avevano bisogno di molto di più di un semplice disegnino abbozzato.
Bramavano i pennelli, i colori dagli odori pungenti, le macchie degli acquerelli e il carboncino incrostato sulle unghie; desideravano passare tra i capelli e imbrattare anch'essi delle tonalità più bizzarre, ma più di tutto sapevo che ardevano dal desiderio di avere una persona da disegnare, una persona da mappare gentilmente e poi riportare su carta. Magari un nudo, una figura snella come quelle alle quali mi ritrovo attorcigliato ogni alba, quelle figure con tante storie impregnate nella pelle ma senza un nome.
Le mani mie allora si persero sul foglio, che in origine era destinato al progetto di un monolocale open space, e disegnarono un volto affilato con degli occhi grandi e seducenti contornati da ciglia folte ed ombreggianti sulle guance piene. Labbra succose presero poi posto sotto ad un naso sottile e appena all'insù. Ero completamente immerso nell'estasi del mio creare che non sentivo neanche più le dita lamentarsi anche se sapevo per certo che ancora non erano soddisfatte.
Le labbra si curvarono in un sorriso e l'intero volto prese un nome finalmente, un nome a me sconosciuto ma sicuramente qualcosa di bello, qualcosa di simile alla luce.
- Signor Smythe, ha intenzione di seguire questa lezione si o no? Se vuole scarabocchiare il quaderno questo non é il posto giusto.-
La voce del professore mi svegliò dal mio trance creativo e lo guardai più volte confuso sbattendo le palpebre a raffica. Avevo gli occhi sdegnosi di tutti i miei compagni frivoli addosso e le mie orecchie furono colpite da tutti i bisbigli critici che mi furono indirizzati. 
'Come fa quello a essere sempre distratto alle lezioni e andare così bene agli esami?'
'Secondo me é raccomandato'
'Quello si sente davvero chissà chi.'
' Anche io vorrei disegnare bei visetti tutto il giorno e prendere voti eccellenti come i suoi...'
-Allora Signor Smythe? Le ripeto, questo non é il posto giusto per fare disegnini, per cui se mi fa il piacere di posare la...-
-Ha ragione professore, questo non é il posto giusto.-
Risposi secco arraffando le mie cose dal banco e risalendo fino all'uscita dell'auditorium dove si teneva la lezione. Non mi aspettavo di dare tanto nell'occhio ma in fin dei conti non ero dell'umore per seguire una lezione tanto noiosa per cui me ne andai tranquillamente dall'Università e mi diressi a casa mia.
Le strade erano piene di gente che si muoveva troppo veloce, troppo incurante e troppo distratta che mi faceva sentire sempre più un pesce piccolo in un mare di dimensioni decisamente più estese. Mi mancava essere il grande pesce nello stagno ma pur di inseguire i miei sogni ero disposto a scendere a compromessi col mio ego, il mio orgoglio e la mia voglia di potere e notorietà.
Il mio loft non era troppo distante dall'Università e vi arrivai in poco tempo con le mani in tasca e gli occhiali da sole calati sulla gobbetta del naso. Malgrado avessi raggiunto la mia abitazione con estrema calma, godendomi la passeggiata e il venticello di Aprile, salii le scale di corsa e aprii con foga la porta d'ingresso. Una volta dentro, mi buttai nella stanza che usavo come studiolo per disegnare i progetti, o studiare in tranquillità, e afferrai dall'armadietto il mio set di colori ad acquerello, un album di fogli ruvidi nuovo di zecca e una scatola di matite HB già temperate.
Scesi le scale con la stessa fretta con la quale le avevo salite e andai fischiettando verso Central Park, percorrendo la strada a lunghe e svelte falcate.
Dentro al parco finalmente potei proteggermi dal pungente sole che mi aveva trafitto le spalle lungo tutto il tragitto e rifugiarmi sotto ad un albero, seduto su una panchina vuota e a mia completa disposizione.
Mi liberai del carico, che avevo trasportato con noncuranza fino a poco tempo prima, gettando tutto in ordine sparso sulle assi di legno della panchina per poi abbassare la zip della felpa verde e rimanere in una comoda t-shirt bianca.
Mi sedetti pesantemente con un tonfo tirando un sospiro di sollievo.
Mi mancava moltissimo disegnare liberamente al parco con il sole che filtra dalle foglie verdi, i risolini dei bambini in sottofondo, le chiacchiere accese degli anziani e i colori vivaci degli indumenti dei giovani turisti o dei ragazzi che marinano la scuola. L'estate in cui arrivai a NY ero solito stare sempre stravaccato su una panchina a mia scelta a disegnare ciò che mi circondava, più che altro bambini entusiasti, dai dentini storti e traballanti, che insistevano poi per tenere il disegno non trovando alcuna mia opposizione. Stranamente i bambini erano alcuni tra i miei soggetti preferiti. 
Adoravo le loro pose buffe, i sorrisi veritieri che non riuscivano a mentire, i volti lisci e morbidi senza rughe di preoccupazione ma soprattutto gli occhi sempre, sempre, sempre ricolmi di una luce innocente e colpevole allo stesso tempo, che rifletteva i raggi timidi del sole e che sulla carta dei miei block notes brillava come una stella.
Purtroppo con l'inizio dei corsi universitari e con la necessità di trovare un lavoretto part time dovetti smettere di andare al parco a sfogare il desiderio innaturale, che le mie mani nutrivano, per il disegno.
Ma era passato davvero troppo tempo e le mie povere dita avevano accumulato lo stress dell'inverno e avevano sopportato il peso troppo ingombrante della mia anima stanca e infiacchita non riuscendo a trovare comunque un conforto nei corpi di cui il mio desiderio carnale si cibava ogni notte. Per cui capii il loro bisogno fisico di tenere in mano un pennello per liberare tutta l'energia artistica repressa, e le lasciai correre giocose sul foglio, schizzando rami nodosi e germogli. Alcuni bambini si avvicinarono e per renderli felici le mie mani fecero loro il ritratto: un'accozzaglia di salopette macchiate di gelato e capelli intrecciati. Ma non erano ancora sazie. 
Dopo tutto quel tempo, dopo tutta quell'attesa, non riuscivano ad accontentarsi di volti di bambini e sorrisi sdentati e chiedevano implorandomi un vero soggetto, un corpo adulto e un viso enigmatico.
Setacciai l'intero parco alla ricerca di qualcuno da ritrarre ma i miei occhi non trovarono niente di interessante, se non un'esile donnetta che mangiava il gelato insieme al ragazzo. Aveva un fisico tonico e un'ottima struttura corporea e un viso da peperino molto interessante ma le mie mani si rifiutavano di disegnarla. Odiavo disegnare delle donne anche perché non rispettavano i miei gusti e perché non riuscivo a trovare niente di attraente in loro.
Capivo perfettamente quando mi trovavo davanti una bella ragazza, non ero mica cieco, ma non riuscivo comunque a provare un minimo di attrazione o di ispirazione. L'unica volta che mi ero ritrovato a disegnare delle figure femminili, quasi senza accorgermene, era stato dopo aver visto la Lolita di Kubrick. Rimasi talmente tanto affascinato dal carico di sensualità che quella piccola ragazzina riusciva a liberare nelle scene, senza fare o dire quasi nulla, che le mie mani furono prese dall'impeto di disegnare la giovane Lyon in quante più pose possibili, in abiti chiari e svolazzanti o in pantaloncini striminziti, con i capelli sciolti in balia del vento o legati per lasciare il viso ovale scoperto.
Col tempo i disegni si evolsero e i pantaloni sostituirono sempre più spesso le gonne ampie finché la tenace Lolita dei miei schizzi diventò un'insicuro ed innocente Lolito dalle guance arrossate e lo sguardo velatamente malizioso.
In quel momento capii che ogni altro tentativo di disegnare delle donne sarebbe stato inutile.
Per questo lasciai perdere la ragazza dal bel fisico e continuai la ricerca. 
Mi stavo quasi per arrendere quando vidi finalmente ciò che cercavo: un ragazzo esile come un giunco ma comunque ben formato e dai muscoli sviluppati senza eccedere, con un lungo collo bianco latte e un viso impertinente a cui seguivano dei capelli castani chiari tirati sù in un ciuffo pettinato con cura.
Stava su un asciugamano poggiato sull'erba e prendeva il sole leggiucchiando un libro. Calati sul suo naso, dei rayban dalle lenti scure non mi permettevano di incrociare il suo sguardo o di intendere il colore delle sue iridi ma in quel momento mi importava ben poco dei suoi occhi perché le mie mani quasi pulsavano per la voglia di disegnare quel corpo elegante.
Senza chiedere il permesso a nessuno, rubai tutto ciò che potevano prendere i miei occhi dalla sua immagine e scaricai il bottino sul foglio. Lunghi tratti leggeri andarono a comporre le gambe per poi definire i fianchi stretti. Per fortuna la t-shirt verde chiaro che indossava era appena alzata e scopriva il suo addome piatto sul quale spiccavano le ossa pelviche sporgenti per la magrezza eccessiva.
Disegnai con le labbra protese in avanti desiderose di baciare quella pelle morbida lambita dal sole, succhiare le ossa in bella vista e mordere piano per saggiarne la consistenza dura.
La matita continuò la corsa verso l'addome, ahimè fasciato dalla maglia aderente e non scoperto come la pancia. Ne disegnai comunque i contorni e riportai fedelmente sul foglio ogni piegolina o stropicciatura dedicandomi sulla parte che attendevo con ansia: le braccia.
Quelle braccia mi stupivano enormemente date le loro dimensioni e il loro sviluppo muscolare. Erano massiccie, possenti e ma in perfetta sintonia col resto del corpo evidentemente allenato con meno attenzione e meno riguardo. Erano le braccia di qualcuno abituato a muoverle con enfasi, magari un ballerino o un attore, o forse di un idraulico o magari un meccanico. Oh ma che pensieri stupidi! Quel ragazzo non poteva essere mai né un meccanico né un idraulico. Era una fatina dei boschi, un delizioso ninfetto (esisteva la versione maschile delle ninfe?), un visino efebico e un corpicino dalla sessualità ambigua. Uno di quelli che le mani non se le sarebbe mai sporcate d'olio e che si preoccupava di una possibile unghia spezzata. Insomma, una di quelle checche, magari dalla voce stridula che sicuramente studiava moda o canto da qualche parte e sperava di sfondare a Broadway.
Uno di quelli che non mi sarei portato mai a letto.
Uno di quelli che non avrei degnato mai di uno sguardo.
Eppure ero lì, terribilmente succube del suo corpo, in balia del desiderio di disegnare, e possedere, quel cliché vivente che mi attraeva fino a lasciarmi senza fiato.
Tratteggiai il collo con estrema cura, sottolineando i solchi e evidenziando la carotide andando poi a definire il suo viso elegante. Il suo mento dalla punta affusolata andava a collegarsi alle basette chiare che si dilungavano in un'acconciatura elaborata e dalle sfumature calde.
Era piacevole disegnarlo, pensai mentre delineavo nel foglio gli occhiali sul suo naso. Se solo non avesse avuto quelle lenti scure e avessi potuto vedere i suoi occhi. 
Ritornai a ritoccare il corpo, aggiungendo le pieghe dei pantaloni, sfumando nei punti in cui il sole batteva meno insistentemente e l'ombra giocava a nascondere i colori e, infine, presi gli acquerelli e, intingendo il pennello nella mia bottiglietta d'acqua, riportai fedelmente i colori dei suoi abiti, della sua pelle e dei suoi capelli, nel disegno.
Lo guardai alla fine esterrefatto. Era praticamente perfetto, identico.
Diedi un'occhiata all'originale che aveva cambiato posizione per trovare un punto più comodo per leggere il suo libro e ricominciai a schizzarlo su un altro foglio. Feci un disegnino per ogni stramba posa che prendeva. Era terribilmente ispirante, con i suoi fianchi stretti e le gambe lunghe. In più aveva una somiglianza incredibile con il Lolito che ero solito disegnare, solo che era molto più audace, molto più adulto e piazzato.
Purtroppo, dopo tutto quel disegnare, le mie mani pizzicavano ancora e mi imploravano piagnucolando sileziose, di poter toccare quell'opera d'arte vivente.
Non le feci pregare ancora.
Scarabocchiai sul foglio del ritratto venuto meglio, quello dipinto, il mio numero di telefono con una frase allegata.
Mi alzai con noncuranza e lo raggiunsi lasciandogli il foglio accanto per poi andarmene silenzioso verso la mia panchina.
Lui se ne accorse pochi attimi dopo con una flemma inglese da far venire i nervi. Lo prese tra le mani, dopo aver poggiato il libro sul prato, e lo lesse lentamente. Ridacchiai sotto i baffi per le sue reazioni: prima il suo viso si illuminò per il ritratto fedele e, modestamente, stupefacente; poi, dopo aver letto la frase, aggrottò le sopracciglia. Mi scappò una grossa risata quando si mise a cercare il 'colpevole' con lo sguardo finché non notò me sulla panchina con tutto l'equipaggiamento da disegno. 
Si alzò furioso e mi raggiunse puntandomi un dito contro.
-Sul serio?! Sul serio speravi di abbordarmi con un disegnino e una frase di questo genere?! 'Il nudo sarebbe venuto meglio'?! Pensi che io mi faccia abbindolare così?!- mi urlò gesticolando.
-C'é anche il mio numero sopra-
-Sei un pervertito! Non permetterti mai più di disegnarmi e farmi proposte del genere!-
-Ripeto, il nudo sarebbe venuto meglio-
-Continui?! Neppure ti conosco!-
-Neppure io. Ma sono sicuro che saresti un modello eccezionale-
-Sei un paz-... davvero? Cioé io, un modello?- si tolse gli occhiali da sole rivelando degli occhi grandi e azzurri. Rimasi paralizzato per un paio di secondi quando notai che nei suoi occhietti chiari vi era la stessa luce che occupava gli sguardi dei bambini fiduciosi ed entusiasti. Le mie mani ripresero a pulsare ambendo di ritrarre quegli occhi magnetici e brillanti. Boccheggiai un po' sotto il suo sguardo interrogativo, troppo preso dalla sua bellezza folgorante.
-Si, si, si. Tu, proprio tu. Saresti un modello perfetto. Che ne dici di casa mia? Magari... ora?- la mia voce quasi tremava per l'entusiasmo di aver trovato il soggetto perfetto per qualsiasi disegno.
-Ora? A casa tua? Sei pazzo?-
-Si sono terribilmente pazzo.-
-... ti seguo-


Aprii la serratura di casa mia con le mani tremolanti e il sudore che colava dalla fronte. Stavo per disegnare il mio Lolito, stavo per soddisfare pienamente il desiderio delle mie mani formicolanti e bramose di corpi scolpiti da ritrarre. Mi stupii della loro ingordigia e della loro insazietà. Di solito si accontentavano di un semplice disegnino, un piccolo dipinto, ma stavolta sembravano voler prendere anche il midollo da quel povero ragazzo affascinante.
-Ancora non capisco perché mi sto fidando di te- sbuffò poco prima di entrare.
-Credimi, mi sto fidando più io di te. Sono pur sempre io quello che deve accogliere uno sconosciuto in casa propria- puntualizzai ridacchiando e facendogli cenno di avanzare oltre la soglia della porta.
Entrò titubante con lo sguardo perso sui mobili costretto a non fissarmi per evitare ulteriori imbarazzi.
Lo guidai verso lo studio e lui non oppose resistenza e non commentò. Rimase a bocca chiusa ed entrò a passi svelti nella stanza guardando lo spazio circostante con gli occhi sgranati.
-Hai una casa bellissima-
-Già- mugugnai posizionandomi dietro al cavalletto strategicamente posizionato vicino alla finestra aperta e dispensatrice di essenziale luce naturale.
Calò tra di noi uno pesante silenzio imbarazzato rotto poi dalla sua vocina improvvisamente timida.
-Dovrei...-
-Spogliarti, si dovresti spogliarti- dio, sembravo un maniaco, uno di quei vecchi che dettano ordini alle loro troiette da portare a letto. Per carità, quel gran bel pezzo di ragazzo me lo sarei sbattuto sul muro del mio studio in quel preciso momento, ma le mie mani erano molto più bisognose del mio pene. Mi pentii dunque del tono che avevo usato e tentai di addolcire la voce ma lui prese il 'comando' come una sfida e per cui iniziò a sfilarsi la maglietta velocemente con fare quasi arrabbiato. La tolse con foga rivelando degli addominali lattei estremamente attraenti e appetitosi che mi lasciarono, per la secondo volta in quel giorno, senza fiato. 
Le sue guance si tinsero di rosso appena vide la mia bocca spalancata davanti al suo fisico scolpito, e si arrossarono ancora di più quando le sue dita nodose e sudate corsero verso il bottone dei jeans stretti per tirarlo fuori dall'asola.
Li lasciò scivolare sulle gambe lentamente con il viso calato verso il basso mentre io spalancavo sempre di più la bocca. Lui tentava di rendere il tutto meno malizioso possibile, ma non sapeva che il suo atteggiamento pudico e imbarazzato mi eccitava ancora di più dato che mi ricordava le mie fantasie su un immaginario Lolito insicuro ma terribilmente provocante.
Morii dentro quando finalmente i pantaloni gli circondarono le caviglie e lui rimase in boxer aderenti neri in contrasto con la pelle bianchissima.
Si morse il labbro inferiore prima di pronunciare timidamente una parola -Devo...-
-Devi- gli lasciai intendere.
Così, silenziosamente e con una lentezza che mi fece andare fuori di testa, calò i suoi boxer giù finché non raggiunsero i pantaloni che vennero calciati lontani in qualche angolo del mio studio.
Mi nascosi dietro al cavalletto e non osai guardare il suo membro scoperto per paura di spaventarlo e causare una sua possibile fuga.
Iniziai ad abbozzare le sue spalle stranamente larghe sulla tela preparata tempo prima.
-Umh... devo mettermi in una posa particolare?-domandò.
-No. No, va bene così. Va benissimo- balbettai quasi, tanto ero investito dalla luce che la sua pelle nuda rifletteva sui miei occhi. Quelle distese di derma bianca gridavano e pregavano di essere disegnate in ogni sfumatura possibile e le mie mani non potevano che festeggiare e sghignazzare tra i sospiri di giubilo alla possibilità di svuotare tutta la loro tensione sulla tela grazie ad un soggetto tanto perfetto.
-La tua pelle é troppo bianca- tentai di scherzare per smorzare un po' l'imbarazzante atmosfera creata tra noi. Ridacchiai mentre con amorevole cura mentre mi apprestavo a definire i suoi fianchi ossuti.
Lui sembrò prenderla per un'offesa. (come se io potessi offendere quella meraviglia terrena davanti ai miei occhi, tsè) -Beh se non ti piace puoi sempre cambiarla- rispose acido accennando appena con il mento ai colori poggiati sulla tavolozza alla mia destra. In testa sua intendeva che potevo cambiarla nel disegno, ma in quel momento la mia mente ebbe una bizzarra ma allettante idea decisamente contrastante.
-Hai ragione- mormorai con gli occhi socchiusi a causa di un sorriso appena marcato sul mio viso.
Intinsi i miei indice e medio nella chiazza di colore più vicina: un verde smeraldo corposo e brillante quanto i miei occhi. Mi avvicinai furtivo a lui e lasciai una scia colorata sul suo braccio.
-Hey! Potevi disegnare me, non disegnare su di me! Questo era l'accordo!- protestò, ma sembrava divertito quasi quanto me. Allungai il braccio e intinsi nuovamente le dita in un'altra macchia di colore, stavolta arancione, e gli colorai il naso.
-Hey!- si lamentò nuovamente ma stavolta ridendo con gusto. Avvicinai la tavolozza e presi un bel po' di colore giallo sull'anulare e il medio per poi contornare i suoi addominali e circondare i pettorali.
Toccarli era ancora più appagante che disegnarli e le mie mani guizzarono felici del contatto.
Affondai nuovamente le mani in un colore a caso, fucsia, e feci dei ghirigori attorno al suo ombelico per poi riempirlo di tintura acrilica.
Ridacchiando anche lui intinse le dita nella tavolozza, senza scegliere un colore ben definito, e mi imbrattò le guance.
-Non é giusto che mi sporchi solo io- mormorò con il viso vicinissimo al mio e i fiati che si intrecciavano armoniosamente.
Lo ignorai e continuai a tracciare cerchi colorati sul suo addome -Sii la mia tavolozza, sii la mia tela, sii il mio quadro, sii la mia opera d'arte.- gli sussurrai dritto nell'orecchio lasciandogli un sospiro nel padiglione auricolare che lo fece tremare. Lui annuì e mi rispose con un gemito sommesso di desiderio, allacciando poi le sue gambe lunghe ed esili ai miei fianchi.
Afferrai in tutta fretta la tavolozza di colori e trascinai i nostri corpi alla camera da letto. Lo gettai con foga sul materasso sentendo le mani formicolare più che mai.
Affondai le dita nei colori della tavolozza, ormai mischiati, e le strisciai lungo il suo corpo perfetto. Il suo petto, le sue spalle, il suo collo, il suo viso, piagnucolando per tutta la perfezione che avevo il permesso divino di toccare.
Era magnifico. Non solo lui ma tutto ciò che stavamo facendo, molto più intenso del sesso stesso, molto più appagante e coinvolgente.
Giovherellai sulla sua clavicola disegnando, con il bianco e il nero, la tastiera di un pianoforte esteso fino al polso. Lo suonai per finta e risi insieme a lui.
Accarezzando i muscoli del suo braccio mi ricordai delle riflessioni al parco e una domanda sorse spontanea sulle mie labbra -Hai mai fatto l'idraulico?- Oh certo, che genio. Chiedere quella scemenza a lui era come presentarsi davanti alla Gioconda e domandarle se aveva mia venduto lattuga al mercato. Mi rispose quasi sottovoce -No, ma ho fatto il meccanico, nell'officina di mio padre.-
Il meccanico, la prima cosa che avevo scartato tra le ipotesi che potevano giustificare i suoi braccioni allenati. Risi di me stesso e continuai a tingere con l'indaco i bicipiti. Non mi chiese niente a riguardo della mia domanda insensata.
Quando terminai di dipingere astrattamente tutta la sua parte superiore lo pregai con lo sguardo di lasciarmi avvicinare le gambe. Mi diede silenziosamente il via libera e io, con un sospiro liberatorio, lasciai scappare le mie dita fameliche sulle sue cosce e i suoi polpacci carnosi fino a scendere ai piedini delicati dalle ditina piccole.
Non risparmiai niente. Dipinsi ogni cosa che mi si presentava davanti alternando i tocchi ansiosi ai momenti in cui dovevo attingere nuovamente dalla tavolozza per altro colore.
Quando stavo per avvicinare le mani al suo membro lui si girò di scatto, mostrandomi il suo lato posteriore e il suo sedere da urlo. Partii comunque dalla schiena marcando il solco al centro con il colore viola e disegnando grandi ali con l'azzurro e il bianco. Scesi giù maliziosamente contornando il fondoschiena stupendo che, semplicemente con il suo troneggiare dominante nel mio letto,  risvegliò il mio 'amichetto' sotto ai pantaloni. Con il giallo e il rosso lasciai parecchie ditate, sul suo sedere, che non riuscivano a diventare un disegno vero e proprio a causa del desiderio bramoso che avevo di farlo mio.
-Ti prego- mugolò improvvisamente e io compresi immediatamente.
Le mie dita solcarono nuovamente le colline morbide dei suoi glutei per poi scivolare delicatamente verso, e infine, dentro la sua apertura. Fu un sollievo per entrambi.
Gememmo soddisfatti e ci lasciammo trasportare entrambi dall'intensità del momento. Non pensavo neanche al fatto che non sapevamo ognuno il nome dell'altro, o che non ci conoscevamo completamente. In quel momento sapevo di essere in pace con me stesso, quasi felice, quasi completo mentre tenevo sotto di me l'opera d'arte più magnifica ( non so nemmeno se si può dire più magnifica a dire il vero) che mi fosse mai capitata davanti. 
Continuavo a muovere le dita dentro lui guardando la sua schiena bianca imbrattata e le ali disegnate malamente e mi sentivo come se tutti quei mesi passati a reprimere il desiderio delle mie mani non fossero nemmeno esistiti, come se tutte le conquiste che mi portavo ogni sera a letto, in quel letto, non fossero mai nate. 
Esistevamo solo io, lui e i colori e niente, ripeto niente, era più bello di quella consapevolezza.
Una lacrima scese giù dal mio occhio destro e si gettò su una delle due ali, sfumando una piuma e colando sulle coperte di lino. Ero felice.
Ero felice e volevo quasi gridare.
Ero felice e volevo ridere.
Ero felice e volevo piangere.
Sfilai le dita da lui e lo girai svelto. Volevo guardarlo, volevo scorgere ancora la luce ingenua e infantile dei suoi occhi e mostrargli la mia felicità.
Incastonai i nostri sguardi, li incatenai con il più sicuro dei nodi e lo baciai senza abbassare le palpebre, costringendolo col pensiero a fare lo stesso.
Le sue labbra sapevano di colori acrilici ma sembravano il nettare più dolce mai assaggiato in vita mia e lo baciai con foga senza reclamare la sua lingua.
Rimanemmo così per ore, a baciarci e a mapparci il corpo a vicenda senza il bisogno di andare oltre, di fare sesso o altro, dipingendoci e sporcandoci dei colori più accesi e vividi della mia tavolozza.
Le mani finalmente non pizzicavano più.
  
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