Storie originali > Generale
Segui la storia  |      
Autore: SkyScraperI3    01/04/2013    2 recensioni
Il dottore arriva e all'improvviso ho un'innata voglia di parlarci e stare meglio e far stare meglio e far stare meglio il ragazzo della stanza 24.
Genere: Drammatico, Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Le luci si spengono e la stanza viene invasa dal silenzio. Buio. Conto fino a dieci e i passi dell'infermiera risuonano in fondo al corridoio, di fronte alla stanza numero 24. Da quel che ho capito, é la stanza del biondo che sta sempre accanto al pianoforte, quando ci è concesso di uscire dalle nostre stanze. L'infermiera si ferma per un paio di secondi davanti alle stanze dei pazienti con moderate cartelle cliniche, e diversi minuti davanti a quelle dei più "complicati", così li chiamano. o dovrei dire ci? 
Conto fino a centosessanta e poi l'anziana signora si ferma davanti alla mia stanza. La mia è una di quelle stanze davanti alla quale spende tanto tempo, molto più rispetto alla stanza 27. La mia è la 30. 
la cartella clinica posta a sinistra della maniglia viene svuotata. qualche segno viene fatto sui fogli. altri fogli vengono aggiunti alla pila ormai troppo alta. 
conto fino a sette. so che all'ottavo secondo devo chiudere gli occhi, perché la porta sta per essere aperta, e l'infermiera entrerà, e si assicurerà che io stia dormendo. E poi se ne andrà di nuovo, dopo aver lasciato un bicchiere d'acqua e due pasticche sul comodino di fianco al letto. 
Alle tre la sveglia suonerà e io dovrò prendere le pasticche.
Ma non le prenderò, le infilerò nel piccolo strappo che ho fatto qualche settimana fa nella federa del cuscino. 
Tutti pensano che io prenda le pillole, e che il mio docile comportamento sia dovuto a questo. Credono che imbottirci di pasticche sia la soluzione ideale per quietare i nostri animi. 
Ah, che illusi.

La sveglia delle sette suona, conto fino a duecentosessanta e la ragazza bionda che c'è tutte le mattine entra in camera augurandomi il buongiorno. Io in realtà non le rispondo mai, perché non mi va. Perché sono le sette del mattino e io mi sono riaddormentata da appena due ore, dopo la sveglia delle tre e il giochetto della federa, e non è decisamente un buongiorno. 
Non ho mai scambiato una parola con la ragazza e lei sono settimane che tenta di farmi parlare, almeno un saluto. 
Credo che abbia capito che non mi interessa parlare con lei, perciò apre la serranda, spalanca le finestre e lascia che i tiepidi raggi del sole entrino e riscaldino la stanza. Poi porta dentro il carrello e poggia lì il bicchiere d'acqua mezzo vuoto. Poi mi guarda e so che a quel punto devo alzarmi, perché la vecchia della notte mi porterà in bagno e mi aiuterà a vestirmi. Dopo ciò avrà finito il suo turno e potrà tornare a casa, alla sua vita. Sì lei ha una vita al di fuori di queste pareti bianche. Anche io la avevo, ma non ce l'ho più. 
Infilo le ciabatte calde, e cammino come un automa verso il corridoio, mentre la ragazza sprimaccia il cuscino e rifà il letto. E allora prego, e io non prego mai, ma prego che non trovi le pasticche. 
Secondo me sa che le nascondo, lo leggo nei suoi occhi che sa; sa che il mio sguardo è troppo sveglio per averle prese, e sa che io so che sa. 
Mi vesto e esco dal bagno, poggio la camicia da notte nel cesto a sinistra della porta del bagno e senza guardare nessuno in faccia mi siedo sul divano e questa sarà la mia giornata.

"Tentato suicidio", le lettere bruciano sul foglio che è sul tavolo del dottore. 
Ma perché sono qui? per sentirmi dire cosa, esattamente? 
Non voglio starci. Il dottore è in ritardo e io non voglio stare qui. 
mi giro e vedo che il ragazzo biondo della stanza 24 mi fissa. 
Fino a qualche settimana fa avrei saputo come comportarmi, mentre ora riesco solo a ricambiare le sue occhiate. Non so cosa fare e decido di alzarmi e raggiungerlo. 
ci guardiamo qualche secondo e poi lui sorride. Sorrido anche io. 
Oh ma diamine, siamo entrambi rinchiusi qui dentro per lo stesso motivo, qualcosa in comune lo avremo, no? Il dottore arriva, e all'improvviso ho un'innata voglia di parlarci e stare meglio e far stare meglio il ragazzo biondo della stanza 24.

"Com'è andato l'incontro?" sobbalzo non appena sento la sua voce e mi sento da una parte felice, dall'altra spaventata. Alzo lo sguardo dal libro che stavo fingendo di leggere e la sua figura sovrasta la poltrona. Stringo appena gli occhi per vederlo meglio perché la luce al neon sopra di lui è accecante, e il suo viso è leggermente in ombra. Si siede, intuendo la mia fatica nel metterlo a fuoco.
Ha gli occhi neri, di un nero scurissimo. Sono così neri che fanno un contrasto spaventoso con la pelle bianca e i capelli biondi. 
Sono neri come la pece, profondi come il mare e densi come il petrolio se possibile. 
Sorride e i denti scintillano e fanno contrasto col bianco anonimo dell'ospedale perché sono di un bianco avorio, bianco spiaggia hawaiana, bianco nuvole di una giornata di primavera, quasi accecante. Non socchiudo gli occhi perché sarebbe assurdo, ma da quel momento decido che quel bianco è il bianco più bello mai visto. 
Si copre con le maniche fin sotto le unghie delle mani, e ho paura a scoprire perché. 
Rinnova la domanda, e io non so come rispondergli. Gli devo dire che ho parlato di lui? Che ho parlato del desiderio di conoscerlo?
Numero 24, così lo chiamano tutti. ma d'altronde è usanza del posto chiamarci tutti come se fossimo parte della nostra stanza, come se non importasse il nostro nome, cognome o codice fiscale. Dal momento in cui indossi i loro abiti, sei la tua stanza. Sei un numero. Un caso. Un problema. Una malattia. 
"Bene", sussurro appena "come sempre". E per la prima volta dopo settimane sento di poter infrangere il silenzio che porto avanti quasi tutto il giorno con tutti. 
"È simpatico, vero? La mia dottoressa no, e credo di piacerle perché finiamo sempre a parlare di un 'noi' ipotetico" e sorrido istintivamente, perché la sua voce è così tranquilla, come se non fossimo chiusi qui, ma su una panchina al centro di un parco. 
Allora inizio a parlare del mio, di dottore, e di quanto sia simpatico alla fine. Gli dico che fra tutti è il più disponibile e gentile, e non mi tratta come un mostro. 
Numero 24 mi saluta, dopo qualche minuto, e si allontana; non va verso il pianoforte, speravo ci andasse, si ritira in camera sua e io rimango sola sulla poltrona anonimamente bianca. E d'un tratto mi sento abbandonata, e scivolo di nuovo nel silenzio più assoluto, ma ogni tanto la parte di me che vi affonda, in quel silenzio, alza lo sguardo, sperando di vedere quegli occhi neri pronti a salvarmi. 
Ma non lo vedo, per tutta la giornata. O non lo sento suonare, sento solo il ronzio incessante della lampada accanto a me. 
E per la prima volta in settimane mi sento quasi normale, quasi come prima che tutto precipitasse e lui, lui è il mio appiglio alla normalità e voglio mettercela tutta perché lo diventi davvero. Perché io non sono pazza, ma devo riuscire a rimanere attaccata a questa convinzione. 


 

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: SkyScraperI3