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Autore: Sennar1927    01/04/2013    0 recensioni
Una lunga storia d'amore, finita. Una vita ormai inutile, che ruotava intorno a una persona. Cosa si può fare quando l'unica cosa bella della tua vita se ne va? Un finale a due opzioni, che stimola il lettore a dare la propria versione, come decide di interpretarlo.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono un demente. mi dico sono un demente, ma non importa... alzo la bottiglia e grido con tutto il fiato che ho in corpo. Poi, prendendo una sedia, comincio a saltare prima dalla sedia al tavolo, poi di tavolo in tavolo, continuando a cantare una canzone che non ricordavo.
E la gente felice, la gente di sotto che mi guardava, la gente ubriaca peggio di me.
Ma in realtà solo il mio corpo è inebriato, e la mia gola non sente neanche più scendere il liquido.
La testa fa male. E questo è un bene, posso concentrarmi bene su quello che devo aggiustare in questa mia vita, mentre il corpo fa quello che vuole. E il mio “io” più intimo rimane da solo, a poter giostrare i pensieri che si sono accumulati negli ultimi 25 anni.
Lascio quindi la mia ipofisi divertirsi col mio corpo, decidesse lei cosa farne.
Bene, quindi dove eravamo rimasti...? Ah, sì! Sono un demente. ridacchio dentro di me.
Sento delle risa intorno a me, probabilmente per colpa dell'alcool sono caduto da un tavolo e ora sono a terra, ma non mi devo distrarre. E' forse l'unica vera occasione che ho per ragionare in grande sulla mia vita. Sarebbe bello lavorare come ingegnere spaziale...
Ma cosa sto dicendo? bisbiglio. Devo concentrarmi... ma... non voglio.
Com'è possibile? Il mio corpo e il mio cuore, le mie emozioni... tutto è pervaso da fibrillazione. Eppure non riesco, liberato da questi macigni, a ragionare su di lei. Perchè?
Stavamo insieme da 11 anni. Una vita passata insieme, tra i banchi di scuola, poi all'università e i primi progetti di una casa insieme. Dal primo superiore era la prima cosa a cui pensavo ogni mattina, e che mi dava la forza di muovermi in un mondo che da tempo non mi dava più stimoli. Era come se fossi Sansone e lei i miei capelli. Ero invincibile, potevo qualsiasi cosa. Proteggerla era un piacere, amarla mi veniva spontaneo. E quando trovai un lavoro vedemmo finalmente avvicinarsi i nostri sogni... un grande matrimonio, un piccolo appartamento, accogliente. I primi anni come coppia dentro la nostra casa, personalizzandola giorno per giorno e scaldandola col nostro amore. E poi i nostri figli. Quando avremmo dipinto assieme la loro stanza, schizzandoci vernice addosso e dandoci buffetti amorevoli, e poi l'avrei baciata, e mi sarei sentito ancora più forte, con quella sensazione nel petto che mi travolgeva. La felicità di averla lì, vicino a me, e la consapevolezza di non poterla proteggere come avrei voluto, donandole la vita che più le si addiceva.
E poi, staccatici da qual bacio lei mi avrebbe guardato con quegli occhi color nocciola, intensamente e per un tempo interminabile. E io capivo che era lei la mia vita, nulla di più.
E poi anche lei trovò lavoro. Ormai era fatta, la nostra vita era perfetta. E io ero del tutto uscito da quel mondo schifoso che mi aveva marcito i primi anni di adolescenza e tutta l'infanzia. Era stata lei a salvarmi da un mondo che marciva. Però, poi, arrivò lui. Alto, molto alto, addirittura più di me. E dal fisico opposto al mio. Era l'inverso di me. Lavorava nello stesso fast food di lei. Non temevo che lei mi tradisse. Era la mia unica certezza, mettere in dubbio lei era come mettere in dubbio la mia esistenza, la mia natura. Ma non era così. La nostra felicità... la MIA felicità non era destinata a durare. La notte in cui me lo disse pensai di suicidarmi. Non lo sto dicendo come lo dice la gente, per esprimere un odio verso qualcosa. Il mio era un vero e proprio tentato suicidio. Se il mondo intorno a me faceva schifo, marciva, puzzava di putrido e io non ero in grado di fare nulla per cambiare la sua posizione o almeno la mia, e l'unica cosa bella e davvero salvabile di questa vita era lei... senza di lei non c'era motivo di esistere. Era molto meglio morire, che passare una vita in solitudine e ritrovarsi vecchio a passeggiare per la casa grande e vuota e toccare le pareti immaginandomi una vita intera con lei.
Sentii un brivido corrermi tutto il corpo. Era un brivido strano, simile a un qualcosa di già provato ma molto più distaccato. Era meglio controllare un attimo la situazione del mio corpo.
Ma cosa cazzo? pensai sbalordito. Io non potevo! NO! Non ero io, io stavo pensando a lei, era l'alcool, il mio corpo, un mio istinto primitivo di cui non conoscevo l'esistenza in me, MA SICURAMENTE IO NON POTEVO! Non potevo aver...
Oh cavolo... mi dissi. L'avevo tradita. Avevo consumato uno degli attimi più intimi e una delle gioie maggiori nella vita con una persona che non era lei. E piansi. Cominciai a piangere come non facevo da 11 anni. E pensare che nei 14 anni passati prima di conoscerla piangevo ogni notte.
Mi staccai da quell'abbraccio finto e mi rivestii in fretta, senza pensare a come ciò era accaduto, con chi era accaduto e quando. Non notai nemmeno dove. Dissi solo un secco -Scusa.- e me ne andai fuori dal locale, dove la festa stava continuando, con qualcun'altro a saltare sui tavoli.
Ecco, quella sera il mondo mi aveva marcito di nuovo. Com'era possibile che ci fosse così tanto schifo intorno a me? Se solo avessi avuto la forza di cambiare tutto. Volevo potere. Perchè se non potevo avere l'amore, l'avrei costruito agli altri.
Mentre ragionavo il mio corpo si era mosso ancora, ma stavolta fu magnanimo con me. Mi portò sul tetto di un palazzo e l'aria fresca di gennaio mi risanò completamente. Dormicchiai ogni tanto e quando il sole stava per sorgere mi era passata anche la sbronza. Ero completamente cosciente. Ma quel viaggio dentro di me mi aveva dato una nuova consapevolezza, potevo leggermi dentro anche senza dover ignorare il mondo attorno. Il sole che sorgeva non era marcio. Forse non tutto era marcio, forse un posto per me c'era ancora. Notai la mia ombra crescere sul pavimento. Il sole gettava una salvezza, ma il timore dell'uomo verso il nuovo e spesso il bene lo portava ad allontanarsi e a proiettare le proprie paure sulla terra. Rendendola marcia. Così come l'ombra rendeva scuro il pavimento.
Quel tetto era stata la cosa che mi riscaldò di più nella mia vita, con tutto il freddo che faceva.
Pensai un ultima volta a lei, che magari ora era felice e osservava il nuovo giorno iniziare con tanta carica addosso, magari sorseggiando un the e sorridendo nel suo modo a quell'uomo che me l'aveva portata via.
No, tu hai una missione, ora. mi dissi, e senza voltare uno sguardo al tetto o un pensiero a lei mi diressi verso il sole, per cancellare del tutto la mia ombra sul terreno...

  
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