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Autore: Melite    01/04/2013    1 recensioni
“Ti ama tantissimo.”
Sua nonna materna diceva sempre che le parole ferivano come un pugnale, ma Hermione aveva sempre pensato che non fosse vero. Le parole possono causare fastidio, e perché no, dolore; ma pur sempre un dolore superficiale, come quello causato da uno spillo o un pizzicotto – acuto, intenso, ma di breve durata. Un pugnale, invece, portava dolore, quello vero.
E invece no."
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Tantissimo
 
“Ti ama tantissimo.”
Sua nonna materna diceva sempre che le parole ferivano come un pugnale, ma Hermione aveva sempre pensato che non fosse vero. Le parole possono causare fastidio, e perché no, dolore; ma pur sempre un dolore superficiale, come quello causato da uno spillo o un pizzicotto – acuto, intenso, ma di breve durata. Un pugnale, invece, portava dolore, quello vero.
E invece no.
Fra tutte le frasi, in un ipotetico mondo in cui le sue certezze fossero crollate, “ti ama tantissimo” non era proprio una di quelle che si aspettava le facessero più male. “Ti ha tradito” le sembrava potesse arrecare un ragionevole dolore. “Non ti ama” o “non ti ha mai amato”, ecco, quelle sì. Ma “ti ama tantissimo”, quello proprio no.
Eppure in quel momento, seduta sullo sgabello più dondolante della tana, le gambe penzolanti e le braccia lievemente appoggiate con i gomiti sul tavolaccio di legno mentre era intenta a sbucciare patate, le parole di Molly Weasley le sembravano coltellate nel petto.
“Che poi, voglio dire, è quello che conta. Insomma, lo so che in questo momento siamo tutti un po’ scombussolati,” continuava Molly imperterrita, mentre afferrava un’altra patata con energia, “però ecco, sì, l’importante è che ci sia quello.”
A Molly non era ancora andato giù che Ron e Hermione avessero deciso di sposarsi proprio a giugno, di lì a un mese. Secondo lei, tre mesi erano ancora troppo pochi da quando Ginny aveva chiesto il trasferimento in Olanda per motivi di studio. Molly aveva vissuto l’avvenimento come un lutto familiare, e aveva tentato di coinvolgere l’intera famiglia nella sua personale e silenziosa disperazione per una lontananza che sarebbe dovuta durare non più di un anno. Naturalmente, senza successo.
“Hai già mandato a Ginny i campioni di tessuto per il suo vestito?” Un pezzetto di buccia schizzò giù dal tavolo. Hermione si chiese perché Molly si ostinasse ancora a pelare le patate a mano, ora che i figli erano cresciuti e non c’era più bisogno di un metodo per insegnare loro il valore del lavoro duro e sofferto. “Sono sicura che lei li aspetta con ansia.”
Hermione sapeva che non era vero. A Ginny sarebbe andato bene qualsiasi stoffa o colore lei avesse deciso di propinarle.
“Stavo giusto per farlo prima di venire qui.” Mormorò con un abbozzo di sorriso.
Molly fece finta di crederci e posò il coltello.
“Sai, sono felice comunque. Giugno è davvero una bella stagione, potremo stare in cortile fino a tardi.”
Hermione sorrise piano.
“E poi,” aggiunse Molly con aria allegra, “Ron ti ama tantissimo.”
 
Poi c’era il vestito.
Classico, con lo scollo a cuore e un pizzico di strascico. Hermione lo aveva già scelto da tempo, come aveva scelto il bouquet, le tovaglie, il viaggio di nozze e le bomboniere. Aveva scelto tutto tanto tempo prima, sicuramente prima di quello. Dopo, non le sembrava che fosse cambiato più di tanto. Certo, ci aveva messo un po’ prima di riuscire ad aprire l’anta dell’armadio della stanza al secondo piano in cui teneva il vestito debitamente incartato. Quando l’aveva visto, si era detta, con stupore e anche con un po’ di felicità, di quella che non provava da qualche tempo, che nulla era cambiato. Aveva riposto il vestito nell’armadio, con la sicurezza di chi sa di essersi tolto un peso.
Quando Luna aveva tanto insistito per vederlo, qualche sera dopo, Hermione lo aveva indossato, in quella stanza, di fronte alle amiche, e si era specchiata. Le calzava a pennello, come prima. Tanti mormorii di gioia e ammirazione da Luna, qualche sorriso timido addirittura da Ginny.
Però non era più tanto bianco.
Ovviamente non c’erano macchie, di quello Hermione ne era certa. Però quel bianco, non era come se lo ricordava. Oscillava fra l’avorio e il bianco perla, stile moquette sporca. E quello scollo, da quanto era così stretto, come aveva fatto a non vederlo… per non parlare dello strascico. Sapeva di vecchio. Quelle tovagliette che i suoi nonni posavano sempre sotto il servizio da tè sul mobile dell’ingresso, ecco come l’avrebbe descritto se qualcuno gliel’avesse chiesto. Le maniche, troppo lunghe. Tutto era troppo. Il vestito era troppo.
 
Si ricordava esattamente la sera in cui aveva scoperto che le parole facevano male. In realtà non erano proprio le parole. Erano le lettere, quelle che facevano male. Anzi, per essere ancora più precisi, le iniziali. Era seduta al tavolo della sua cucina, la lampada sopra la sua testa faceva apparire le ombre delle sue mani lunghe, ossute, come se avesse ottant’anni anziché trenta. Davanti a sé, la disposizione dei tavoli. Tutti rotondi, da 8 posti, gli sposi al centro. I bigliettini con le iniziali degli invitati le scorrevano davanti senza che trovassero ordine, erano ore che ci lavorava ormai, eppure Zio Esmund si trovava sempre vicino a Zia Carol con cui aveva avuto una lite anni prima per questioni di eredità.
Si versò un bicchiere di vino. Era tardi. Prese in mano gli ultimi bigliettini, e fu in quel momento che le vide, le sue iniziali. Erano lì, due lettere su un biglietto bianco, che aveva scritto prima di quello.
Prima di quella sera in cui lui le si era avvicinato piano e le aveva parlato con garbo, come si doveva trattare una signora, non come l’aveva trattata Ron quel pomeriggio, urlandole in faccia per motivi stupidi, minuscoli, che non importavano. Prima di quel momento in cui lui le aveva offerto da bere e si era fatto spazio fra la folla di suoi amici per raggiungerla, in quella serata di gala in cui tutti avevano alzato il gomito un po’ troppo. Prima che si offrisse di ascoltare i suoi problemi, dopo quella giornata così devastante, e prima che le raccontasse i suoi. Prima che lui la rassicurasse, appoggiandole una mano sulla schiena scoperta. Prima che lui si fosse offerto di riaccompagnarla a casa, di notte, al buio.
Prima che lui fosse uscito solo alle otto del mattino, da quella casa.
Prima.
 
E ora mancava solo un mese, e lei non aveva detto nulla a nessuno.
Non ce la faceva più. Non era il ricordo, a ferirla. Era l’amore. Quello che Ron provava per lei, bello, assurdo, sincero. Ma soprattutto quello che lei provava per lui. Non voleva farlo soffrire, non voleva veder svanire tutto quello che in anni avevano costruito. Non era stato niente. Non l’aveva fatto apposta. Si amavano, avrebbero avuto una casa, una famiglia, bambini, sogni, speranze… Allora perché perché perché non riusciva a dormire, perché non voleva più vedere il suo vestito, perché non riusciva a sentire un “ti amo”, o a dirlo, senza sentire una fitta lancinante, non al cuore, sarebbe stato troppo poetico, ma all’intestino?
Non poteva più andare avanti così. Lo pensava da tempo, ormai.
Mentre si lavava le mani, Hermione ragionava. O almeno, ci provava. Da tempo conosceva la silenziosa disperazione che invadeva i suoi pensieri, il mormorante senso di colpa che attanagliava ogni suo piano o progetto. Voleva urlare. Nessun vestito bianco, nessun ricevimento nel cortile della tana. Nessuna iniziale.
Ron bussò piano alla porta della loro camera e lei uscì dal loro piccolo bagno.
“Amore, io e gli altri siamo ancora lì a togliere le erbacce da quell’angolo. Non ci crederai ma…”
Ma Hermione già non ascoltava più. Amore amore amore.
“E poi dovresti vedere George, stava sempre lì a controllare la sua piantagione di cactus, sai, con la storia che ci vuole lanciare quelli al posto del riso…”
Il riso. L’abito bianco.
“Ho detto a Billy di non portare nessun cucciolo, stavolta. Sembra che l’abbia presa bene, sai dopo quella volta che ha portato… com’è che si chiamava?”
Le iniziali.
“Ron?”
“Sì, tesoro?”
Hermione lasciò penzolare le braccia sui fianchi.
“Ti amo tantissimo.”
 
  
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