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Autore: CowgirlSara    01/04/2013    4 recensioni
La pace era una sensazione stranissima. Era un qualcosa di bellissimo e fragile che ricopriva tutto come una coltre di brina. Sì, una specie di mattina invernale. Solo che adesso era estate e le battaglie, le perdite, i peccati, i sogni infranti erano veri. Il dolore era reale, ma era come se contasse e pesasse meno di quella pace finalmente raggiunta.
Dal Cap.2: La prima cosa di cui Milo si accorse fu che era sempre uguale, come se il tempo l’avesse, per qualche misterioso motivo, ignorata, nel suo scorrere indifferente.
Genere: Commedia, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leo Aiolia, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Rising - Back to the Sanctuary'
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WYA - 6
È più di un mese che penso a cosa fare di questo capitolo, ma alla fine era inutile continuare a rimuginarci sopra, temo che meglio di così non mi verrà mai.
Quindi lo consegno a voi lettori per il verdetto, spero che lo giudicherete meglio di quanto faccio io.
Sono arrivata alla fine anche di questa storia che giaceva nel mio pc da tempo immemorabile, solo averla finita per me è una vittoria. Gli altri commenti li lascio a voi.

La canzone citata alla fine del capitolo è “Terry’s song” di Bruce Springsteen, nessun scopo di lucro.

Buona lettura.
Sara

- Capitolo 6 -

To the dead it don't matter much
'Bout who's wrong or right
You asked me that question I didn't get it right
You slipped into your darkness
Now all that remains
Is my love for you brother
Lying still and unchanged
(Gipsy biker – Bruce Springsteen)

Il sole era particolarmente brillante, quella mattina, sul Santuario di Atena. Saori guardò fuori, oltre le colonne del balcone e sorrise. Aveva passato buona parte della notte con Alexandros, a parlare, a farsi raccontare la sua vita e quella di sua madre. Aveva letto la lettera di Elettra e ne aveva a sua volta scritta un’altra, in risposta.
Bussarono alla porta, sapeva chi era, quindi invitò ad entrare. I suoi più fedeli paladini entrarono in quello che una volta era lo studio del primo ministro.
Seiya precedeva gli altri, mentre Shiryu, rimasto per ultimo, chiudeva silenziosamente la porta. La ragazza sorrise a tutti e quattro e loro salutarono con un cenno.
“Vi domanderete perché vi ho convocati così presto.” Disse Saori, accomodandosi sulla poltrona dietro la pesante scrivania.
“Immagino sia per darci una qualche spiegazione sulla faccenda di quel tipo.” Ribatté immediato il cavaliere di Pegasus, incrociando le braccia.
“Si chiama Alexandros.” Precisò Shun dalla sua destra.
“È inutile che ti ostini a chiamarlo: quel tipo.” Rincarò Hyoga dietro di lui.
“Sentite!” Sbottò Seiya, voltandosi verso gli amici. “È arrivato qui e sembrava che conoscesse Milady da una vita, voglio semplicemente sapere chi è!”
“Cavalieri.” Li richiamò all’ordine la ragazza. “Sarebbe piuttosto lungo e complicato, spiegare ora l’importanza di Alexandros, ma sarei molto felice se voi voleste trattarlo come un nuovo membro del gruppo, uno di voi.” Aggiunse dolcemente.
“Ma non è un Cavaliere.” Soggiunse Shiryu.
“No, non lo è.” Rispose Saori.
“E allora chi diavolo è?!” Esclamò spazientito Seiya.
“È il figlio di Aioros.” Rivelò infine la ragazza; i quattro cavalieri la fissarono con gli occhi sgranati. “Adesso lo senti un po’ più vicino, Seiya?” Chiese quindi lei.
“Io…” Esalò incredulo il ragazzo. “…davvero… non avevo idea…” Balbettò mortificato.  
“In molti non sapevano della sua esistenza, sua madre è stata molto brava a proteggerlo da Arles.” Spiegò Saori. “Solo due Cavalieri conoscevano il segreto, fortunatamente lo hanno mantenuto.”
“E dove è rimasto, per tutti questi anni?” Domandò incuriosito Shiryu.
“Sua madre è la Gran Sacerdotessa di Zeus.” Raccontò la ragazza. “È stato il Santuario del Grande Padre a nasconderlo dalle forze del male.”
“E perché lei non è qui, Milady?” Interrogò garbatamente Shun. Saori sorrise.
“È proprio questo uno dei compiti che voglio affidare ad alcuni di voi.” Annunciò poi, allungando sul tavolo una pergamena arrotolata chiusa da un sigillo di ceralacca. “Hyoga, Shun, volete andare al Santuario di Zeus a portare questo alla Divina Elettra?”   
“Di che cosa si tratta?” Chiese il cavaliere del cigno.
“È la revoca dal confino impostole da Arles.” Rispose tranquilla la ragazza. I due cavalieri si scambiarono uno sguardo d’intesa, poi annuirono a Saori.
“E noi due, cosa dovremmo fare, nel frattempo?” S’informò deluso Seiya, indicando se stesso e Shiryu.
“Voi, insieme ad Ikki, collaborerete con i Cavalieri d’Oro per organizzare la cerimonia funebre.” Gli rispose Saori. “Voglio che i defunti abbiamo tutti gli onori.”

Sapeva che non sarebbe dovuto entrare lì, che gli avrebbe fatto male, ma era stato più forte di lui spingere quel pesante portone scuro e fare un passo nella stanza fredda. Quello che non avrebbe sospettato era di trovarci qualcun altro.
La grande sala ovale era illuminata da alte fiaccole tremolanti ed occupata quasi interamente da letti di pietra, su cui erano adagiati i corpi dei guerrieri periti nella battaglia. L’aria era così fredda che sembrava ci fosse in opera un impianto di condizionamento.
“È scavata nella pietra, non fa mai più caldo di così.” Gli spiegò la voce del giovane di spalle, accanto ad uno dei giacigli.
Alexi si avvicinò a Milo stringendosi nella maglietta estiva. “Per questo la usano come… obitorio?” Fece, con tono sarcastico. Il cavaliere annuì.
“Le tombe sono ancora più in basso.” Indicò poi, verso delle scale che scendevano nel buio.
“Credo che lui avrebbe preferito una teca di cristallo tra i ghiacci della Siberia.” Affermò il ragazzo, accennando al corpo disteso davanti a loro.
“Già.” Annuì Milo.
“Credevo che mi avrebbe fatto più effetto, vederlo… così.” Disse Alexi, mentre fissava l’espressione serena di Camus. “Sembra che dorma.”
“Tu hai un bel sangue freddo, ragazzo.” Replicò Milo.
“Me lo diceva anche lui.” Soggiunse. “Diceva che avevo ereditato il carisma di entrambi i miei genitori e che avrei potuto guidare un esercito.”
Milo lo guardò. Il profilo nobile ed i profondi occhi blu, con uno sguardo senza cedimenti, seppure davanti ai sentimenti forti che certamente provava. E aveva solo tredici anni. Forse non c’erano le falangi della Macedonia per questo Alessandro… ma un Santuario senza guida, sì.
“Non so se voglio che mia madre lo veda qui.” Dichiarò Alexi, con ancora gli occhi sul corpo senza vita di Camus.
“Lei è forte, credo che possa…” Tentò Milo.
“Adesso devo pensare io a lei.” Lo interruppe deciso il ragazzo.
“Alexi…” Lo chiamò il cavaliere, distogliendo la sua attenzione dal giaciglio. Lui lo guardò con gli occhi finalmente lucidi. “…hai solo tredici anni, devi pensare anche al tuo, di dolore.”
Si fissarono per un lungo attimo negli occhi. Emozioni troppo simili li attraversavano, mentre Milo teneva il ragazzo delicatamente per un braccio.
“Tu, gli volevi molto bene?” Domandò infine Alexi, continuando a guardarlo.
“Era… era mio fratello.” Rispose Milo, deglutendo a metà frase. “Nessuno si era mai preso cura di me, prima di lui, mi ha fatto sentire per la prima volta come se potessi essere qualcuno, non uno dei tanti.” Spiegò poi, col tono liquido e gli occhi bagnati. Alexi annuì.
“È stato l’unico padre che io abbia avuto.” Affermò poi. “Quindi ti capisco.”
“Non credo che vorrebbe vederci qui a piangere.” Dichiarò il cavaliere, prendendolo per le spalle.
“No, non penso.” Ammise il ragazzo.
“Allora, andiamo, gli renderemo onore quando sarà il momento.” Lo incitò Milo, spingendolo verso la porta. “E poi, se non ti riporto subito, tuo zio penserà che ti sto portando su una cattiva strada…” Aggiunse, con un sorrisetto sbieco.
“Credo che ci abbia già pensato Jean…” Ribatté furbo Alexi, alzando un sopracciglio.
“Oh, era un artista, in questo!” Esclamò Milo, mentre iniziavano a salire le scale.
Risero. E continuarono a salire verso il sole, ricordando aneddoti divertenti su Camus e scoprendo così che sarebbero stati quei bei ricordi a farli andare avanti.  

I due giovani cavalieri avevano pensato che sarebbero stati ricevuti in una sala del trono o qualcosa di simile, visto com’era l’ambiente al Santuario di Atena. Non avevano mai conosciuto un vero Gran Sacerdote e questo un po’ li intimoriva. Vennero invece accompagnati in uno studio elegante, luminoso, pieno di libri e con i mobili bianchi.
Nessuno dei due si era seduto, in ansia per l’imminente arrivo della sacerdotessa. Hyoga era vicino alla finestra e guardava fuori, mentre Shun curiosava tra i volumi della grande libreria.
Lo sguardo del giovane si fermò su alcune cornici d’argento esposte su uno dei ripiani. Erano fotografie allegre, alcune sulla spiaggia. Facce felici nel sole della Grecia. Una lo colpì più delle altre: c’erano ritratti due ragazzi molto giovani, seduti su una battigia sassosa. Lei era incinta ed aveva uno sguardo un po’ triste, lui le era seduto dietro e l’abbracciava dolcemente.
“Oh, santo cielo…” Esalò Shun, riconoscendo il ragazzo della foto.
“Cosa c’è?” Domandò Hyoga, voltandosi.
“Vieni a vedere queste foto.” Lo invitò con tono preoccupato.
Il cavaliere del cigno si avvicinò all’amico e osservò le immagini così accuratamente ordinate davanti a loro. I suoi occhi si spalancarono quasi subito.
“È… è Camus…” Mormorò sconvolto.
“Sì.” Annuì l’altro. “E sembrano piuttosto… vicini…”
Non ci voleva un genio della deduzione per capire che quei due si volevano bene. Avevano mandato l’assassino di Camus nella casa della donna che amava. Shiryu l’avrebbe chiamato karma. Hyoga lo stava chiamando accanimento.
“Perché diavolo Milady ha mandato proprio me?!” Si chiese il ragazzo con disperazione.
“Forse è una prova.” Ipotizzò Shun.
“E non ne ho avute già abbastanza?” Replicò frustrato l’altro.
L’amico gli prese delicatamente un braccio. “Forse è meglio se affronti subito questo fantasma, piuttosto che portartelo dietro in futuro.” Gli disse.
“È un giovane uomo saggio, il tuo amico.” Intervenne una voce femminile, profonda e vibrante.
I due ragazzi si voltarono e videro la sacerdotessa. Era chiaramente la stessa ragazza della foto, ma allo stesso tempo sembrava più antica e distante, nella sua fredda bellezza. Somigliava un po’ a sua madre, pensò Hyoga, con quei capelli biondi e gli occhi chiari, ed era tragico che la sua nemesi avesse tratti in comune col suo più bel ricordo.
“Benvenuti, Cavalieri.” Li salutò la donna con un sorriso dolce, in fondo aveva un figlio praticamente loro coetaneo.
“Grazie.” Le rispose educatamente Shun, mentre Hyoga era rimasto leggermente impalato.
“Posso sapere i vostri nomi?” Chiese Elettra, sempre con gentilezza ed il sorriso.
“Sono Shun di Andromeda.” Si presentò subito il ragazzino dai tratti delicati, porgendole la mano; lei la strinse con calore. “E lui…”
Elettra guardò Hyoga negli occhi. Lui aveva due bellissimi occhi azzurro ghiaccio dal taglio a mandorla, con lunghe ciglia bionde, ma sembravano tormentati e incerti.
Lei era bella ed aveva un’espressione tranquilla, materna quasi. Il ragazzo sentì il senso di colpa squassargli le viscere. Pensò ancora a sua madre, pensò a Camus… il mondo vorticava.
Le porse la mano. “Sono Hyoga di Cigno.” Le disse.
Gli occhi di Elettra si spalancarono, mentre gli stringeva la mano ed ascoltava quel nome. Lo fissò incredula per qualche secondo. Per Hyoga fu chiaro che sapeva tutto, abbassò gli occhi.
“Io…” Mormorò il cavaliere.
“Non dire niente, Hyoga.” Lo interruppe la sacerdotessa. “Non ce n’è bisogno.”
Aveva affrontato quel discorso una volta di troppo, nelle ultime ore. Adesso non voleva obbligare questo ragazzino dall’aria smarrita e colpevole ad una confessione dolorosa e drammatica come quella di Milo. Lui non aveva colpe, aveva solo fatto il suo dovere.
Si sedette alla scrivania, accorgendosi che loro erano rimasti in piedi. In quel momento, lontani da armi e battaglie, apparivano per quello che erano: troppo giovani per la vita che facevano.
“Mi rendo conto che sia difficile per tutti noi.” Affermò Elettra, cercando un tono accogliente ma risultando un po’ fredda, le mani le tremavano appena. “Ma so che siete qui per un motivo ben preciso, quindi v’invito a portare a termine il vostro incarico.”
Shun guardò Hyoga: aveva gli occhi fissi sulla donna, lucidi. Sapeva bene quanto il suo amico fosse sensibile, nonostante spesso si mostrasse arrogante. Allungò una mano e strinse la sua. Hyoga si girò e Shun gli sorrise, incitandolo con un cenno.
“Oh, sì!” Si riscosse il cavaliere del cigno, traendo la lettera di Saori.
“Lady Saori vi manda questa.” Le disse Andromeda, mentre l’altro le porgeva la pergamena.
“È la revoca del confino.” Spiegò Hyoga.
Elettra prese il rotolo tra le mani. Lo aveva aspettato per anni. Questo era il vero simbolo che la guerra era finita. Atena era tornata. Il sacrificio di Aioros non era stato vano.
Non era il momento di prendersela con chi non aveva sbagliato. Era ora di asciugarsi le lacrime e abbandonare i sensi di colpa. Era il tempo del perdono.

Elettra era sul balcone principale del tempio, quello da cui le gran sacerdotesse facevano i loro discorsi in occasione delle cerimonie. Molte volte lei stessa aveva parlato alla folla dall’alto di quella balconata di marmo candido.
Ora, però, si limitava a guardare in basso con espressione assorta, mentre i due giovani cavalieri lasciavano il Santuario di Zeus e l’orizzonte si mangiava un altro giorno senza Jean.
“Chi sono quei ragazzi?” Domandò una voce alle spalle della donna.
Non era necessario voltarsi, per sapere che si trattava di suo padre. Nikolais era arrivato qualche ora prima e, dopo aver raccolto il suo racconto ed il suo sfogo, adesso le stava discretamente vicino, come aveva sempre fatto nei suoi momenti di dolore.
“Messaggeri di Atena.” Rispose Elettra, continuando a seguire con gli occhi le due schiene che si allontanavano verso il cancello.
Nikolais osservò un attimo i ragazzi, poi tornò sul viso impassibile della figlia. La capacità di controllarsi di Elettra a volte lo spaventava, non era molto naturale essere sempre così incrollabili.
“Sono i guerrieri venuti con Lei dall’Oriente?” Chiese il padre, lei annuì. “Quelli che hanno combattuto alle Dodici Case?” Continuò stupito.
“Sì, sono loro.” Confermò Elettra.
“Sono… poco più grandi di Alexandros…” Commentò Nikolais.
“Già.” Fece lei.
“E tu pensi…” Nikolais esitò un secondo. “Sai se è stato uno di loro a…”
Elettra si voltò verso di lui e gli afferrò la mano sulla balaustra, fissandolo intensamente. “No, padre, nessuno di loro.” Gli disse autoritaria.
“Ma, Elettra…” Tentò l’uomo.
“No, non posso portare rancore a chi combatteva per la giusta causa.” Precisò lei. “Nessuno sapeva meglio di Jean cosa significa essere un Cavaliere e lui, sono certa, lo è stato fino in fondo.”
“Se è quello che vuoi.” Annuì il padre. “Non desidero sapere altro.”
“Ti ringrazio.” Gli disse la figlia, stringendo la sua mano. “Non sarà facile ed ho bisogno di te.”
Lui sorrise e rispose alla stretta. “Ha chiamato Alexi.” L’informò poi, gli occhi di Elettra brillarono.
“Cosa ha detto?” Domandò subito.
“Che sta bene, di stare tranquilla e che sarà felice di vederti lì domani.” Riferì Nikolais, lei sorrise.
“Sarà strano, tornare.” Ammise infine la donna.
“Anche per me.” Concordò il padre, poi le offrì le braccia aperte, dove Elettra si rifugiò.
Restarono così, a guardare il tramonto, sperando che dopo tanto dolore, un futuro di luce finalmente trionfasse.

Non pioveva da settimane, ormai, quindi non poteva che essere un mattino splendente quello del giorno delle esequie dei cavalieri. Il cielo era turchese e limpido, lo scirocco portava su dal mare l’odore salmastro ed il profumo balsamico di pini e tamerici.
Atena avrebbe parlato in cima al Palladio e loro l’avrebbero ascoltata, prima di accompagnare i morti in fondo alla cripta che li avrebbe accolti nella sua gelida pace.
Ora i cavalieri attendevano l’ultimo arrivo, prima di salire nel luogo più sacro del tempio a rendere onore agli amici caduti.
Ioria fremeva, fiero nella corazza del Leone, tenendo un braccio sulla spalla del nipote, che gli sorrideva sereno. Milo, le braccia conserte sull’ampio pettorale d’oro, scambiò un sorriso con Alexi e poi tornò a guardare giù, le scale che conducevano alla dodicesima.
Finalmente il piccolo corteo apparve oltre la curva del costone roccioso. Il cavaliere d’Ariete scortava la sacerdotessa di Zeus. Lei era vestita di blu, tanti drappeggi e la placca con l’emblema d’oro della folgore sul petto, un velo a coprire i capelli biondi. Li seguiva soltanto un uomo di mezz’età, con jeans e una camicia bianca.
Milo lo riconobbe subito, anche se non lo vedeva da più di cinque anni. L’emozione gli chiuse la gola.
Vide Alexi staccarsi da Ioria e correre giù dalle scale. La madre lo abbracciò, Nikolais lo abbracciò. Restarono tutti e tre stretti per qualche secondo, poi Elettra alzò il capo, sorrise a Ioria, salutò lui con un cenno e riprese a salire. I cavalieri d’oro s’inchinarono, quando raggiunse lo spiazzo davanti al tredicesimo tempio.

Non ci fu molto tempo per i saluti o le chiacchiere, la cerimonia doveva avere inizio. Milo porse il braccio a Elettra, prendendo il posto che era stato di Mu durante la salita al tempio. Gli altri si accodarono, mentre attraversavano le colonne diretti all’interno del Santuario.
Nel piccolo piazzale davanti alla statua di Atena c’erano gli altri Gold Saints sopravvissuti: Aldebaran, nobile e imponente, e Shaka, elegante e compunto. C’erano inoltre i cavalieri di bronzo, senza le loro armature distrutte, su cui non era ancora potuto intervenire Mu.
Saori Kido, la dea Atena, era in piedi a metà della scalinata che saliva all’imponente statua che la rappresentava. Guardò Elettra negli occhi, le sorrise e annuì.
La sacerdotessa sentì il riverbero del suo potere raggiungerle il cuore e fu, infine, davvero sicura che tutte le sue battaglie erano state giuste. Strinse la mano di suo figlio, poi lo guardò e lui le regalò uno dei sorrisi più belli che lei gli avesse visto negli ultimi anni.
Ogni cosa, alla fine, trova il suo giusto posto… soleva dire Aioros, con quella sua passione di fare sempre tutto bene e nel modo migliore.
Adesso anche tuo figlio ha trovato il suo posto e lui è sicuramente il tuo capolavoro… pensò Elettra, osservando Alexi che guardava Atena come se niente fosse più bello.

La cerimonia cominciò e la Dea parlò. Tutti loro ascoltarono in religioso silenzio disposti in un semicerchio, al centro del quale stavano Elettra e suo figlio.
“Oggi rendiamo omaggio a coloro che sono caduti.” Esordì Atena. “Uomini che hanno combattuto per ciò in cui credevano e non importa se sono stati accecati dalla loro ingenuità, dall’orgoglio o dall’ambizione, essi erano guerrieri di Atena ed hanno diritto di essere celebrati per questo.”
Elettra pensò che erano parole giuste, il rancore non poteva durare per sempre. Lei, ad esempio, aveva saputo solo ora che era stato Shura di Capricorn ad infliggere il colpo mortale ad Aioros. Lo aveva conosciuto, un tempo, e sapeva che era stato amico di Sagitter. Non era colpa sua se era stato ingannato da Arles: il Gran Sacerdote era la legge per un cavaliere, non si poteva mettere in dubbio la sua parola. Aioros, che l’aveva fatto, aveva anche pagato con la vita.
Qualcun altro l’ha fatto… si disse, spostando gli occhi su Milo. Lui le sorrise appena, lo sguardo triste di chi sa di aver fatto la cosa giusta, ma ha pagato a sua volta un prezzo troppo caro.  
Camus di Acquarius, Signore delle Energie Fredde. Il pomposo titolo di cui andavi tanto fiero… Ti rendi conto di quante persone hai lasciato a soffrire per te? Sei sempre stato un ottuso testone, cosa potevo sperare…
Speravo di passare tutta la mia vita con te, ecco cosa. Certo che ti avrei sposato, certo che avrei fatto dei figli con te. Adesso lo avrei fatto. Perché non hai capito che non potevo, prima? Finché Lei non fosse tornata, niente poteva essere giusto…

Un fiotto di dolore le raggiunse la gola, lo trattenne, nonostante gli occhi le si fossero riempiti di lacrime. Non poteva lasciarsi andare così, non davanti a tutti, non davanti ad Alexandros.
Si sentì stringere un gomito con delicata forza. Spostò gli occhi bassi, prima vide una mano, poi un bracciale d’oro, quindi alzò lo sguardo per incrociare quello serio e lucido di Milo.
Lo amavi tanto anche tu, vero? Sembravano chiedere gli occhi turchesi di Elettra. Milo annuì, le si avvicinò un po’ e la sostenne per il resto della cerimonia.

I feretri, infine, furono accompagnati nella cripta, avvolti nei loro mantelli bianchi, immacolati nella purezza della morte. Tutti avevano ricevuto il perdono, tutti l’ultimo saluto. Le loro anime erano nei Campi Elisi e la loro memoria sarebbe stata immortale.
Le Porte dei Giusti si chiusero alle spalle del corteo funebre. Elettra restò un ultimo attimo, accarezzò le decorazioni di bronzo, poi si voltò. Alexi l’aspettava per risalire insieme le scale.

Now your death is upon us
And we'll return your ashes to the Earth
And I know you'll take comfort in knowin'
You've been roundly blessed and cursed
But love is a power
Greater than death
Just like the songs and stories told
And when she built you brother
She broke the mold

Alexandros sedeva sulle scale guardando il tramonto. Elettra lo raggiunse, lui le sorrise, lei gli carezzò i capelli fermando la mano sulla nuca, prima di sedergli accanto.
“A cosa pensavi?” Gli chiese la madre, mentre spostava gli occhi anche lei sull’orizzonte.
“Ti ricordi quando ho vinto la mia prima gara di nuoto?” Le disse il ragazzo con un sorriso.
“Come potrei dimenticarmelo!” Esclamò lei.
“Jean fece un sacco di tifo e poi ci portò a festeggiare con una pizza gigante.” Le ricordò Alexi, Elettra annuì, cercando d’impedire ai suoi occhi di farsi lucidi.
“Era molto orgoglioso di te, incorniciò la coccarda col numero uno.” Raccontò Elettra, mentre abbracciava il braccio del figlio.
“Beh, era stato lui ad insegnarmi a nuotare, quindi…” Replicò tranquillo il ragazzo, sorridendo dolcemente alla madre. Lei gli baciò la guancia.
“Ti amava molto, non dubitarne mai.” Gli disse poi.
“Io no, e tu?” Ribatté Alexi. “Neanche tu devi dubitare.”
Elettra avrebbe voluto dirgli che non era dell’amore di Jean che dubitava, quanto piuttosto del suo modo di dimostrargli che anche lei lo amava. Ma erano cose da adulti ed era inutile crucciare suo figlio con i dubbi che perseguitavano il suo cuore.
“Non potrei mai farlo.” Lo rassicurò con dolcezza.
Si sorrisero e poi si appoggiarono uno all’altra, nella luce aranciata di quel lungo giorno che finiva.
“Hey!” Li chiamò una voce, si voltarono verso le scale e videro Milo scendere verso di loro. “Siete spariti.” Continuò il cavaliere con un sorriso.
“Raccontavamo aneddoti su Jean.” Spiegò Alexi senza imbarazzo. Elettra sorrise al nuovo arrivato.
“Oh, ne avrei migliaia da raccontare!” Esclamò Milo, sedendosi a qualche passo da loro.
“Sentiamo.” Lo incitò la sacerdotessa, sempre abbracciata al figlio, che annuì.
“Una volta abbiamo rubato delle rose dal giardino di Aphrodite – non quelle avvelenate, ovviamente.” Iniziò Milo, ridacchiando. “Erano davvero belle, bianche…”
Non riuscì a finire il discorso perché si ritrovò inchiodato da uno sguardo severo e accusatorio di Elettra. La fissò preoccupato e perplesso.
“Quelle rose, le ha regalate a me.” Affermò la donna. “Ed erano rubate?!”
“Oh… cazzo…” Esalò lui.
“E questo è esattamente quello che devi dire quando lei fa questa espressione.” Gli suggerì saggiamente Alexi, mentre Elettra lo fissava ancora disapprovante.
“Ma… è stato un gesto d’amore…” Tentò Milo, gli occhi di Elettra si assottigliarono pericolosamente. “…e si è fatto malissimo per prenderle…”
“Gli ho anche curato i tagli, a quel cretino!” Sbottò lei, mettendo il broncio.
“E non vi è venuto il sospetto che se li fosse fatti per prendere le rose?” Si permise di domandare Milo, osservandola guardingo.
“No!” Rispose Elettra. “Era un Cavaliere, cosa ne so a quali perversi e masochistici allenamenti vi sottoponete!” Esclamò quindi, indignata, con un’espressione buffamente arrabbiata.
Milo e Alexi, a quel punto, non si trattennero più e scoppiarono a ridere. Elettra li guardò male entrambi, prima d’incrociare le braccia.
La donna stava ancora borbottando, quando anche Nikolais li raggiunse. Si fermò a guardarli per un attimo in cima alle scale, poi sorrise e scese verso di loro.
“Posso sedermi con voi?” Chiese l’uomo. Gli risposero dei sorrisi invitanti.
Nikolais che, per la sua età era un uomo ancora in forma, preferì comunque l’appoggio della solida spalla di Milo, per aiutarsi a sedere sui gradoni di marmo. Ringraziò il ragazzo con un sorriso.
“Ricordavate Jean?” Domandò poi l’uomo; lo guardarono sorpresi.
“Come fai a saperlo?” Chiese il nipote.
“Cos’altro potevate fare tutti qui insieme.” Rispose tranquillo il bibliotecario.
Milo sorrise dolcemente e chinò il capo tra le spalle abbassate, Elettra alzò gli occhi al cielo, mentre Alexi sorrise direttamente al nonno.
“Non è facile dirgli addio.” Confessò il ragazzo senza però smettere di sorridere. Nikolais gli strinse appena la spalla.
“Io non so se sono pronta.” Mormorò invece Elettra, continuando a fissare l’orizzonte che si scuriva. Tutti la guardarono, accorgendosi dei suoi occhi lucidi.
Il padre le prese la mano e la tenne tra le sue in una stretta calda. Lei lo guardò, lasciando che qualche lacrima sfuggisse al suo rigido controllo.
“Non vogliamo dimenticarlo.” Le disse l’uomo. “Vogliamo solo lasciarlo andare.”
Milo sentì un fiotto di dolore lasciare il suo petto e riversarsi nella gola, trattenne le lacrime respirando forte, ma sentiva gli occhi troppo pieni di lacrime; guardò il cielo che stava diventando viola. Alexi, invece, abbracciò la madre e nascose il viso contro il suo collo.
“Dobbiamo lasciarlo andare…” Ripeté Nikolais, mentre liberava una mano e con essa prendeva quella di Milo. “…perché ovunque sia Jean, il nostro amore per lui sarà sempre nei nostri cuori e non potremo mai dimenticarlo.” Affermò sicuro. “Ovunque lui sia, sarà sempre con noi.”
E tutti e quattro sapevano che era vero, che il loro amore per Camus li avrebbe tenuti uniti per sempre e che era inutile continuare a pensare al come ed al perché. Lui, ormai, non c’era più e l’unica cosa che potevano fare era ricordarlo per quello che gli aveva dato.
Un sacrificio non richiesto che lasciava la pace come eredità. Non consolava, ma potevano accettarlo, perché coloro che se ne vanno, diventano il ricordo più prezioso di chi resta.

A bad attitude is a power stronger than death
Alive n' burnin' or stone cold
And when they built you brother ...

FINE



Nota finale:

Continuo a pensare che le battute finali di questa storia siano di una banalità terribile, però, alla fine, è quello che è successo a me. Anche quando perdi qualcuno che ami, la vita va avanti comunque e, spesso, anche se non ne hai voglia, ricominci lo stesso. Tutto qui. Purtroppo non so dirlo meglio.

Ad ogni modo, grazie a tutti, anche a chi ha letto senza commentare, ma in particolare a quelli che l’hanno fatto. Alla prossima!
Baci!
   
 
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