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Autore: Evazick    01/04/2013    1 recensioni
E se il mondo non avesse più bisogno dei supereroi?
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Se la ritrovò davanti, distesa sul pavimento dell’ingresso, non appena aprì la porta. I jeans rattoppati mille e una volte erano chiazzati di nero e l’unico altro indumento che indossava era un vecchio reggiseno grigio. I capelli, dello stesso amaranto del sangue che si rapprende, erano bagnati di sudore e sparsi sotto la sua testa, mentre gli occhi le si erano ribaltati nelle orbite a mostrare il bianco. La bottiglia vuota di Jack Daniel’s rovesciata poco più in là dava un indizio su quello che era accaduto, ma lui non si preoccupò: si chiuse la porta alle spalle con un tonfo, si tolse il cappotto e le calciò lo stinco mentre lo appendeva all'attaccapanni. "Stai perdendo credibilità,” le disse prima di lasciarla e dirigersi verso il salotto.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho aperto troppe finestre
E non so da quale buttarmi
Voglio un nemico fidato
Voglio guardarlo negli occhi
Ci meritiamo le stragi, altro che Alberto Sordi
Fatemi uscire di casa
Solo per costituirmi

Ministri – Il bel canto

 

Se la ritrovò davanti, distesa sul pavimento dell’ingresso, non appena aprì la porta. I jeans rattoppati mille e una volte erano chiazzati di nero e l’unico altro indumento che indossava era un vecchio reggiseno grigio. I capelli, dello stesso amaranto del sangue che si rapprende, erano bagnati di sudore e sparsi sotto la sua testa, mentre gli occhi le si erano ribaltati nelle orbite a mostrare il bianco. La bottiglia vuota di Jack Daniel’s rovesciata poco più in là dava un indizio su quello che era accaduto, ma lui non si preoccupò: si chiuse la porta alle spalle con un tonfo, si tolse il cappotto e le calciò lo stinco mentre lo appendeva all’attaccapanni. “Stai perdendo credibilità,” le disse prima di lasciarla e dirigersi verso il salotto.
Lei rimase immobile ancora qualche secondo, poi sbatté le palpebre e i suoi occhi ruotarono di scatto. Si alzò a sedere con un gemito e si rimise in piedi con un movimento fluido e veloce delle gambe, poi raccolse la bottiglia e raggiunse l’uomo in salotto. Lo trovò in fondo all’enorme stanza, oltre i mobili distrutti e le poltrone con le morbide viscere riversate sul pavimento, davanti alla grande vetrata che dava sul centro della città. Lasciò cadere la bottiglia sul divano e si mise al suo fianco, osservando le luci sempre accese dei grattacieli e le macchine che sfrecciavano nella strada sotto di loro nonostante fosse ormai notte fonda. Per un attimo si chiese come sarebbe stato uscire sul tetto e provare per un’ultima volta la sensazione del vento tra i capelli con l’intera città sotto di lei, come se ne fosse la padrona assoluta, e un sorriso vero – di quelli che non le attraversavano il viso da anni – le incurvò le labbra, ma scomparve non appena un aereo sfrecciò sopra i palazzi, accompagnato da quell’orribile musichetta monotona che conosceva fin troppo bene. La fischiettò involontariamente, mormorando persino le parole che i megafoni giù in strada ripetevano spesso, ma smise non appena sentì lo sguardo dell’uomo spostarsi su di lei. Si passò una mano tra i capelli fradici, imbarazzata. “Scusa,” mormorò.
Lui non rispose, ma continuò ad osservarla alla luce delle altre case e degli uffici ancora aperti. Conservava ancora un poco del vecchio fascino che aveva fatto girare un sacco di teste, ma era come il riflesso di uno specchio crepato: imperfetto quel tanto che bastava a renderla diversa da quella che aveva conosciuto molti anni prima. Era una spaccatura che le attraversava i capelli costantemente sporchi, il fisico troppo magro per i lunghi digiuni, i vestiti rubati nei cassonetti e tenuti insieme dalla polvere, gli occhi a mandorla di un castano quasi dorato iniettati di sangue per il troppo bere e l’insonnia. La confrontò con il ricordo di quella che era stata, e la differenza radicale lo spaventò e intristì al tempo stesso. Sicuramente anche lui era cambiato, ma vedere le condizioni in cui si era ridotta lei era più scioccante.
Da quanto tempo era che non usciva da quell’attico semidistrutto? Provò a ricordare l’ultima volta che avevano camminato insieme per le strade, parlando e scherzando come due colleghi qualsiasi, ma non riuscì a trovare un solo momento appartenente all’ultimo anno. Era la depressione, ma anche qualcos’altro: la sensazione di essere diventati inutili per il mondo e per se stessi, la stessa che deve provare il pupazzo preferito di un bambino quando viene gettato nella spazzatura. L’alcol non l’aveva aiutata di certo, ma lui non aveva più la forza di nasconderle le bottiglie o di smettere di procurargliene: era la sua ancora, il suo unico modo per rimanere a galla e sopravvivere nella sua disperazione. Aveva smesso di tenersi in contatto con il mondo e di curarsene, riducendo la sua vita a una sigaretta dietro l’altra e a due o tre bottiglie il giorno. Non aveva paura che morisse per il troppo bere: vomitava spesso, questo sì, e si sbronzava almeno una volta al giorno, ma il suo fegato di ferro aveva resistito ad acidi e veleni ben più corrosivi. Si immaginò di rientrare un giorno e trovarla soffocata dal suo stesso vomito e non poté fare  a meno di gemere.
“Qualche problema?” gli chiese lei.
Scosse la testa, cercando di scacciare quell’immagine dalla sua testa. La rossa sospirò e tirò fuori dalla tasca dei jeans un accendino e una sigaretta arrotolata qualche ora prima. L’accese e prese un lungo tiro, soffiando poi il fumo sulla vetrata e appannandola con il suo respiro. Rimase in silenzio, come se stesse meditando, poi gli chiese a bruciapelo: “Nessuna novità da là fuori?”
Lui la guardò stupito. Non gli aveva mai chiesto niente del genere, non da quando si era ritirata nel suo piccolo mondo privato. Si riprese in fretta dalla sorpresa e rispose: “Cosa vuoi che ci sia di nuovo? Persone che sorridono, bambini che giocano per le strade da soli, ubriachi che rientrano a casa senza ferite o sangue altrui addosso… Va tutto come al solito.” Una pausa. “La solita, schifosa, vecchia merda.”
“Allora Mister Sunray non mentiva quando diceva che avrebbe ripulito questa città.” Prese un altro tiro e fece un sorriso storto, quasi da folle. “E bravo, Raggio di Sole. Non ti avrei dato nemmeno un centesimo qualche anno fa, e invece…”
“Ho visto Martin.”
Stavolta fu lei a rimanere sorpresa. Si interruppe a metà della frase e si voltò verso l’uomo con gli occhi sgranati. “Martin?”
Annuì. “Oggi, vicino al parco. Lavora a nero per non so quale rigattiere, è sempre in giro a cercare roba vecchia da spacciare per antica. Mi ha detto che vive in una vecchia stazione della metropolitana con qualcun altro dei vecchi. June, Kevin, Will e altri che non ricordo. Nicholas è morto un paio di mesi fa. Una febbre improvvisa, a sentire Martin, ma June pensa che il tuo Mister c’entri qualcosa. Lo sai com’è fatta, sempre pronta a vedere un complotto dietro l’angolo.”
Cercò di buttarla sul ridere, ma l’espressione concentrata di lei gli fece capire che non l’avrebbe distratta con una battuta qualsiasi. Tirava dalla sigaretta con così tanta forza che era un miracolo che il volto non le fosse diventato rosso, e i suoi occhi attraversavano il grattacielo davanti a loro come se non ci fosse altro che aria. Fece per voltarsi e andare a dormire per qualche ora, ma in quel momento lei riprese a parlare.
“Ti ricordi la prima ronda che abbiamo fatto insieme, undici anni fa?” Fece una pausa, in attesa di una risposta che non arrivò, poi ridacchiò. “Cazzo, ero così giovane all’epoca. Non ero altro che una liceale ossessionata da questa perfetta idea della giustizia suprema che premia i buoni e smaschera e punisce i cattivi. Pensavo che per cambiare il mondo bastasse mettersi una calzamaglia e una mascherina come voi, ma penso di aver capito solo adesso che sono i sacrifici e i rimpianti a fare la differenza.” Sorrise triste attraverso il fumo. “Mi ricordo ancora ogni attimo di quella notte. Ero in cima al mio palazzo insieme a te, il mio idolo, fianco a fianco, con la città sotto di noi come un enorme tappeto di luci, e non potevo fare a meno di sentirmi così euforica e al posto giusto. Non avrei voluto essere da nessun’altra parte al mondo, anche se tremavo di paura e credevo di non sopravvivere fino al giorno dopo.” Sospirò, più con tristezza che con rabbia. “Ho dedicato la mia vita a proteggere tutta questa gente perché nessuno provasse quella stessa sensazione di fatalità, e questo è il loro ringraziamento. Un politico che cancella in un colpo solo tutta la criminalità, ci smaschera e ci costringe a vivere come dei vagabondi. Nessuno vuole aiutarci o darci un lavoro, ci trattano tutti come se avessimo la peste e li potessimo infettare. Noi!” Colpì con forza la vetrata con una mano e abbassò la testa, come se stesse cercando di non piangere. Quando la rialzò e riprese a parlare, però, la sua voce non tremava. “Forse è vero. Forse questo mondo non ha più bisogno di noi. Quando tutti girano con una pistola in tasca, chi ha bisogno di un angelo custode?”
Lui pensò a cosa dirle per tirarla su di morale, ma la verità era che non esisteva niente: aveva ragione e lo sapevano entrambi. La osservò in silenzio mentre si allontanava dalla vetrata e si avvicinava all’armadietto dove conservava i suoi ‘liquidi’, come li chiamava lei. Lo aprì e ne tirò fuori una bottiglia di birra ancora chiusa. La fissò delusa e scrollò le spalle come a dire ‘Mi aspettavo qualcosa di meglio, ma posso accontentarmi’, poi si sedette su una poltrona che un tempo era stata bianca e adesso tendeva al grigio topo. L’uomo si sistemò sul divano e non le tolse gli occhi di dosso mentre apriva la bottiglia con un coltello, incantato dai movimenti delle sue dita. “Se potessi tornare indietro sapendo cosa succederà, lo rifaresti?” le chiese.
Prese un lungo sorso, poi spostò il suo sguardo su di lui. “Sì. No. Forse.” Un altro sorso. “Ci sono cose a cui non rinuncerei, ma di altre farei volentieri a meno. Ma se sapessi di tutta questa birra e vodka, allora rifarei tutto una e due e diecimila volte.” Rise istericamente.
“Sei ubriaca.”
Smise di ridere e lo fulminò con lo sguardo. “Mi sono finita una bottiglia di Jack Daniel’s mentre eri via, ho il diritto di essere sbronza!” urlò. Strinse gli occhi fino a trasformarli in due fessure piene d’odio e lo guardò a lungo, ma presto tornò a concentrarsi sulla sua bottiglia. Lui le rivolse un’ultima occhiata, poi le mormorò una veloce buonanotte e la lasciò ad annegare nei suoi ricordi e rimpianti. Uscì dal salotto, percorse il corridoio fino alla sua stanza e si chiuse la porta alle spalle, lasciando fuori i borbottamenti incomprensibili della ragazza. Si tolse la camicia, mettendo in mostrando il petto ancora ben scolpito, e si sedette con un sospiro sul letto sfatto. Infilò una mano in tasca e tirò fuori un bigliettino di carta ripiegato più volte e bruciacchiato ai lati. Se lo rigirò a lungo tra le mani senza aprirlo, ripensando a quello che gli aveva detto Martin quando glielo aveva dato quel pomeriggio. “Lo sai com’è fatta June. È sempre stata convinta di questa teoria del complotto, e la morte di Nicholas non le ha fatto certo bene,” gli aveva confidato in tono quasi imbarazzato. “Comunque, lei non riesce a credere che tutti i criminali se ne siano andati di spontanea volontà o siano tutti in cella. Pensa che Sunray stia combinando qualcosa di grosso e si è data da fare per trovare qualche straccio di prova. Inizialmente le ho dato corda solo per farla sfogare, ma adesso ha qualcosa che potrebbe interessarti. Tu e anche Annie, ovvio. Se vi va di dargli un’occhiata, troviamoci tra una settimana a questo indirizzo.” Aveva sorriso amaramente. “Non c’è bisogno che tu mi dia una conferma. Se non verrete, capirò.”
Deglutì e strinse il biglietto nel suo pugno. Avrebbe capito, ne era certo; era quello che Martin sapeva fare meglio, oltre a cercare di salvare il mondo nel weekend. Avrebbe capito che aveva avuto fin troppe false speranze e che ormai, dopo tutti gli anni, non aveva più la forza di sopportare un’altra delusione. Si sentiva più vecchio di quanto fosse in realtà, un anziano centenario che aveva visto la sua razza morire ed estinguersi in un battito di ciglia. Per quanto potessero essere importanti le informazioni di June, non gli interessava sapere di cosa si trattassero. Probabilmente erano solo altre illusioni, salvagenti per non affogare nel mare dell’oblio.
Si sfilò i pantaloni e le scarpe e si sdraiò sotto le coperte in perfetto silenzio. Giù in strada passò una lunga coda di auto strombazzanti mentre da uno dei tanti nightclub della zona arrivavano i bassi di un pezzo da discoteca lanciato a tutto volume. Un ubriaco urlò una battuta sconcia e i suoi amici risero sguaiatamente a lungo. Dal salotto arrivò il rumore di venti infranti, poi le imprecazioni sussurrate dalla voce impastata di Annie. Seguì un momento di silenzio, poi i suoi respiri si fecero più lunghi e profondi, come faceva quando piangeva senza voler farsi sentire. L’uomo ascoltò i suoi singhiozzi fissando le luci e le ombre sul soffitto, poi si voltò su un fianco senza smettere di pensare alla proposta di Martin. I suoi pensieri si rivolsero improvvisamente verso Annie, seduta da sola nel buio dell’appartamento, prigioniera volontaria nel suo mondo alcolico, dove riusciva ad essere felice nonostante la realtà. Ormai non era più la ragazzina solare di un tempo: adesso era soltanto un guscio vuoto senza più nemmeno un briciolo di speranza, e questa era la cosa che lo faceva soffrire di più. Si sentiva in parte responsabile di quello che lei era diventata e sapeva che era compito suo farla tornare come prima. Strinse il pugno in cui si trovava il biglietto, e un’idea improvvisa gli attraversò la testa.
E se invece avesse accettato? Se avesse portato Annie con sé e fossero andati a quell’appuntamento? Avrebbe potuto salvarla una volta per tutte? Si immaginò per un attimo la situazione: June che confidava loro che c’era veramente un complotto, Annie fuori dall’appartamento per la prima volta dopo mesi e di nuovo vivace e impertinente, tutti quanti loro insieme contro un solo nemico come in passato. Era un pensiero così felice che non poté fare a meno di sorridere tra sé e sé, ma una nuova imprecazione proveniente dal salotto lo fece tornare coi piedi per terra. Avrebbe potuto farlo – e, oh, quanto voleva farlo! – ma se le cose avessero preso la piega opposta non era sicuro che Annie avrebbe potuto sopportare l’ennesima delusione. Sarebbe tornata ad ubriacarsi e a passare le sue giornate sdraiata sul pavimento quasi in coma. Non poteva aggiungere altra infelicità sulle sue piccole spalle: quel peso sarebbe stato insopportabile per un corpo fragile come il suo.
Sospirò, soffocando la voce che lo implorava di ripensarci, e sprofondò lentamente nel sonno mentre la ragazza in salotto si alzava in piedi barcollando e si dirigeva verso la sua camera da letto. Arrivata davanti alla sua porta, si bloccò e girò su se stessa, poi aprì la porta della camera dell’uomo. Lo chiamò con un sussurro, ma lui dormiva profondamente. Vedendo che non le rispondeva, entrò dentro la stanza, girò intorno al letto e si stese sul lato vuoto senza nemmeno infilarsi sotto le coperte. Guardò il volto addormentato dell’uomo che l’aveva trascinata fino a lì e non poté fare a meno di sorridere con stanchezza e tenerezza. Ruttò, poi ridacchiò tra sé e sé per il suo stesso gesto e si avvicinò all’altro. Chiuse gli occhi anche lei e mise la sua mano sopra quella chiusa a pugno di lui. Le sue dita cercarono di entrare dentro la sua mano, ma oltre alle dita incontrò un altro ostacolo. Aggrottò la fronte e si chiese perché dormisse con un pezzo di carta in mano, ma prima che potesse pensare ad altro sbadigliò. Se se lo fosse ricordata, glielo avrebbe chiesto il giorno dopo. “Domani è un altro giorno, un nuovo giorno,” biascicò senza rendersene conto prima di addormentarsi. Nel sonno si accoccolò al petto dell’altro come una bambina spaventata fa con suo padre, mentre in strada gli altoparlanti emettevano la loro musica e il mondo si dimenticava per ancora un altro giorno di loro.






Idea malsana che mi è venuta in mente qualche sera fa. Ci ho messo un pò per finirla, ma eccola qui.
Non credo che ci sarà un seguito a questa storia. Non so nemmeno se c'è, un seguito. Voi come credete che sia andata a finire? (Ditemelo pure, non vi mangio mica C:)
Complimenti per essere arrivati fino in fondo! Non vincete niente, ma se volete lasciare una recensione - anche piccola - mi rendete una donna felice.
Tschüs! 

xoxo
Zick
  
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