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Autore: blue drop    02/04/2013    1 recensioni
“Si nasconde, perduto, nell’aere di blu spento.
Da amici, e nemici, cerca via di scampo.
Rossa rosa sul cammin si posa, se è sinistra è giusta, destra è malvagia.
Custodisce la pietra scura ma non avara il suo tesoro
Che del paradiso ha la magnificenza.
Ed è la libera verità che lo guida e lo protegge
E che delle stelle più belle le lodi riceve.
(...)
Blu topazio, blu dell’acque, cadi tu e cadon loro.
Blu topazio, blu del cielo, cadon loro e cadi tu.”
Una profezia, un ragazzo e le scelte che incontrerà sul suo cammino.
È una Larry e Ziall. Spero vi piaccia.
Genere: | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The Prophecy


Prologo



 

“Si nasconde, perduto, nell’aere di blu spento.
Da amici, e nemici, cerca via di scampo.
Rossa rosa sul cammin si posa, se è sinistra è giusta, destra è malvagia.
Custodisce la pietra scura ma non avara il suo tesoro
Che del paradiso ha la magnificenza.
Ed è la libera verità che lo guida e lo protegge
E che delle stelle più belle le lodi riceve.
Intarsi di opali, nobile e fuoco si uniscon cangianti,  in mostra ora l’uno, ora l’altro.
Uovo d’onice nera proteggerà il suo prezioso segreto,
L’ametista viola al suo interno dorme.
Foglia smeraldo, petalo d’un gambo così gracile e sottile, incontrerà il suo cuore.
Ma è blu, blu topazio, che in se serba il sogno.
A giustizia egli aspira, aspira a salir sull’albero più alto,
Guardar giù e trovare il mondo che sembri migliore: ma non sarà.
Cadrà invece, se smeraldo e opale e ametista e onice non s’ingegneranno
Dal buio e dall’oscuro fuoco per salvarlo.
Blu topazio, blu dell’acque, cadi tu e cadon loro
            Blu topazio, blu del cielo, cadon loro e cadi tu.”     I.    


 
Chiusi il libro di scatto, rovesciando la boccetta d’inchiostro sul tavolo. Mi guardai intorno, era successo di nuovo e, a giudicare dall’ormai fioca luce che entrava dalla finestra, era durato a lungo. Spostai il libro ancora sovrappensiero poco prima che potesse venir raggiunto dal nero specchio che dilagava sul tavolo, portandomelo al petto con un gesto quasi automatico. Come al solito non avevo compreso il significato delle parole che avevo scritto una volta rilette, ne quello del minuscolo numero col quale sembravo firmare tutti gli scritti, ogni volta diverso.
Quando anche l’udito tornò, sentii distintamente delle grida provenire da vicino. Il villaggio. Sapevo cosa significava: mia avevano trovato, cercavano me. Lo sapevo così come sapevo che il motivo era il libro che tenevo fra le mani. Uscii dal retro, e con le ultime forze rimaste chiamai qualcuno di fidato, e gli affidai il mio segreto più prezioso. Poi tornai dentro, attendendo in pace la mia fine, che non tardò a giungere sotto forma di un soldato dagli occhi di ghiaccio.
Ma il Libro e Deiri erano salvi.




Louis camminava svelto fra le vie affollate che portavano al castello di Londra. Si muoveva evitando carretti, persone che trasportavano più peso di quanto in realtà potessero portare e servitori del castello che, come lui, si affrettavano per tornare a Palazzo prima che si chiudessero le porte. A quell’ora della sera poche persone, se non nessuna, erano solitamente per le strade. Oggi invece, data la vicinanza con la festa di Lux Invicta, ovvero il giorno in cui era salito al trono John Adrian I, tutta la città era in fermento. Che poi di luce quel giorno aveva avuto poco e così anche tutti quelli a venire.
Louis lo pensava, ma anche solo pensarlo poteva portarlo alla morte, all’esilio o all’incarcerazione. Probabilmente, pensava spesso fra se e se, ognuna di queste tre cose sarebbe stato meglio che continuare a vivere e servire il Tiranno. Una spallata lo riscosse dai suoi pensieri, e si voltò, irritato, ma non poté distinguere nessuno, solo la via principale così gremita di gente che si vedeva raramente anche in una grande città come la capitale. Arrivò dentro alle mura appena in tempo, poi, con più calma, si avviò verso il complesso dell’Accademia, dove studiava, dormiva e viveva quella che tutti definivano “una delle vite più onorevoli e gloriose dopo quella di cavaliere”. Louis stava, in effetti, studiando per diventare una Guardia scelta di Palazzo. Non che fosse mai stata una scelta diventare qualcos’altro, non con un padre Primo Generale comunque. Era un bel posto quello, gli edifici posti ordinatamente uno accanto o in faccia all’altro, le mura immacolate e candide, le porte in legno chiaro che davano su un prato verde interrotto solo dalla strada che si snodava attraverso tutto il Palazzo. Peccato che tutta quella bellezza servisse solo a nascondere quello che di più marcio c’era a quel mondo. Un guscio d’oro per un uovo andato a male. E quasi tutto, in quel luogo, per Louis era andato a male, a cominciare dal Tiranno fino a finire con i suoi ‘adorati’ camerati. Louis si sentiva soffocare, aveva sempre più paura di diventare come loro, di iniziare a guastarsi anche lui. Soprattutto visto che il giorno dopo avrebbero dovuto partecipare, per la prima volta, ad una tratta di schiavi che si teneva mensilmente nella piazza davanti alle Porte principali. Era la prima volta che i cadetti dell’ultimo anno facevano esperienza sul campo. Dovevano trattenere la folla, sorvegliare gli schiavi e tenere d’occhio i compratori che versassero il pattuito e la tassa imperiale sugli schiavi.
Mentre camminava, assorto nei pensieri stranamente più caotici del solito, passò accanto alla Sala mensa, dove sentiva lo schiamazzo dei suoi camerati. Storse il naso involontariamente, immaginando la causa di tutto quel rumore, ipotesi poi largamente confermate quando un corpo venne improvvisamente lanciato fuori dalla porta già socchiusa, con i vestiti laceri e varie macchie di sangue su tutto il corpo. Louis non sapeva cosa stava facendo ma non perse tempo a riflettere, si avvicinò prima che gli altri decidessero di venirsi a riprendere il sacco da pugni della serata. Lo prese di prese di peso, forse troppo brusco per la fretta, e lo portò verso il suo alloggio. A volte l’essere il figlio del Primo Generale aveva i suoi vantaggi, come per esempio una stanza isolata e solo per lui. Lasciò il ragazzo ancora incosciente sul suo letto, non preoccupandosi delle macchie di sangue che si sarebbero di certo venute a formare. Sospirando, e chiedendosi perché avesse agito in quel modo, prese un pezzo di stoffa e lo intinse in dell’acqua fredda, per poi passarlo delicatamente sulle ferite del ragazzo alzando la i lembi degli strappi dei vestiti quando necessario. Aveva capelli marroni e probabilmente ricci, difficile a dirsi con tutto il sangue e lo sporco incrostato in essi. Il ragazzo, nonostante Louis era sicuro che le sue ferite dovesse bruciare anche abbastanza forte vista l’involontaria pressione che aveva esercitato prima di accorgersene, aveva sempre gli occhi chiusi e questo lo lasciava stranito, finché non si accorse di un piccolo movimento della palpebra; dunque era sveglio… Finì di pulire anche il suo labbro inferiore spaccato, per poi alzare gli occhi al cielo all’ennesima domanda interiore e prendere dell’alcool dal tavolo li vicino.

“Perché lo hai raccolto, Louis? Non lo conosci, è uno schiavo e lo vedi, in più se Aiden venisse a sapere che tu gli hai tolto il divertimento da sotto il naso…”

“Aiden non importa.”


Tentò di auto convincersi. Intanto passava l’alcool per disinfettare il ragazzo misterioso, stando attento a non premere troppo, quando un gemito appena soffocato lo fece sorridere.

“Puoi anche far finta di dormire, ma tanto fa male lo stesso. Anzi, per me è anche scomodo e ti sarei grato se la smettessi
di inzuppare il mio letto di sangue. Ce la fai a sederti?”

Silenzio. Louis alzò gli occhi al cielo. Dopo pochi secondi, però, il ragazzo aprì gli occhi e fissò quasi impaurito l’altro. Annuì piano, come se si vergognasse, poi si alzò lentamente dal letto e si avvicinò alla sedia. Sembrava così fragile, così bisognoso di cure e d’affetto, che Louis s’identificò immediatamente in lui e decise che lo avrebbe fatto stare meglio, per potersi sentire lui stesso meglio.

“Perché lo hai fatto?”

Gli occhi del ragazzo erano strani, verdi. Lo stavano accusando.

“Preferivi restare li?”

Chiese Louis avvicinandosi e porgendogli la pezza ormai imbevuta d’alcool. Il ragazzo prese la pezza e se la passo sulle ultime ferite sul viso, dopo qualche tentennamento. Quando Louis pensava che ormai non avrebbe più parlato, quello lo stupì, cambiando tono e atteggiamento.

“Suppongo di doverti un grazie. Credo che mi avrebbero ucciso, se avessero continuato.”

Lo sputò fra i denti, come se odiasse il fatto di dover qualcosa a qualcuno, con una freddezza disarmante.

“Chi sei?”

Louis non perse tempo ad irritarsi, né a rispondere al ringraziamento di quel ragazzo. Voleva sapere chi fosse la persona con la quale stava parlando, ne era incuriosito. Il ragazzo sorrise amaramente, una luce dura dominava il suo sguardo.

“Sono uno schiavo. Quelli come te non si abbassano a chiamarci per nome, né a trattarci meglio di semplici bestie e tantomeno si prendono cura di noi. Mi dispiace, non potrò aiutarti in futuro, se è questo che volevi ottenere, perché domani sarò venduto. Per questo hanno avuto il permesso di ridurmi così.”

S’indicò, le ferite, poi tornò con lo sguardo fisso in quello di Louis.

“Addio, Tomlinson. Spero di non rincontrarti.”

E uscì dalla porta, zoppicando ma come se quella fosse normale routine per lui.
Louis lo maledisse in tutte le lingue che conosceva, per poi passare a una quieta rassegnazione. Guardò il proprio letto, per metà coperto di tracce di sangue, e decise di buttare ciò che era sporco. Ebbe appena il tempo di farlo, quando bussarono insistentemente alla porta. Quando Louis aprì, desiderò non averlo fatto. Mancava solo Aiden per rendergli la serata perfetta, a pensarci bene. Aiden era il classico arrampicatore sociale con pochi scrupoli, tanto meschino quanto astuto, purtroppo. Aveva intrapreso l’arte della guerra perché era una tradizione di famiglia: anche suo fratello, Nicolas, aveva portato a termine una brillante carriera accademica.

“Che vuoi?”

Lo apostrofò Louis. Aiden che veniva a bussare non era mai una buona notizia.

“Sto cercando un riccetto, uno schiavo, mi hanno detto che tu stavi passando mentre ci divertivamo con  lui e poi è sparito. Lo hai visto per caso?”

Le sue parole chiedevano, ma i suoi occhi sapevano. Era ovvio e naturale che fosse stato Louis, per Aiden e i suoi.

“I tuoi informatori devono essere più ubriachi di te a quanto pare. Comunque no, non ho visto nessuno schiavo, ora vattene.”

E chiuse la porta, ignorando il volto arrabbiato del suo commilitone.



-Il giorno dopo, in Piazza-

Louis era stato messo al controllo compratori, uno dei compiti più facili ma che poteva essere svolto solo da chi conosceva la scrittura e la matematica un po’ più avanzate di quelle basi che chi entrava in Accademia doveva avere, quindi erano poche le persone che venivano affidate a quell’incarico già all’ultimo anno.
L’incarico era facile, e il tempo trascorse in fretta. Gli schiavi veniva tenuti in gabbie, poi uno ad uno venivano tirati fuori ed esibiti, i ragazzi senza maglietta per far valutare la forza fisica mentre le ragazze con vestiti che lasciavano poco all’immaginazione. Molti di loro, soprattutto le ragazze, portavano ancora addosso i lividi e i segni degli abusi che subivano ogni giorno e a Louis venne quasi da vomitare. Molti lividi erano freschi e si chiese se i suoi commilitoni avessero solo sorvegliato gli schiavi in vendita oppure no.
Tutto sembrava andare liscio, finché del fumo che proveniva da un carro vicino alle gabbie non allarmò qualcuno, che poi si accorse che stava iniziando un incendio. Alcuni schiavi, approfittando della confusione, riuscirono ad aprire le porte delle gabbie, anche se non a liberarsi delle manette. A tutte le guardie disponibili fu intimato di uccidere ogni schiavo fuggitivo che avessero trovato oppure di portarlo di nuovo nelle gabbie mentre le altre spegnevano l’incendio. Louis, con ancora l’odore del fumo fra le narici a tenerlo fortemente attaccato alla realtà, seguì un gruppo di suoi compagni fra le case alla ricerca di qualche schiavo scappato. Si separarono per coprire più spazio e Louis sentiva le urla degli schiavi trovati e uccisi dalle lame dei suoi ‘amici’.  Fortunatamente non trovò nessuno, per i primi edifici. Poi, in un vicoletto laterale chiuso da un muro vide con la coda dell’occhio qualcosa muoversi. Il cuore gli salì in gola mentre mise la mano sulla spada, pronto a sguainarla. Si avvicinò lentamente all’angolo che un portone della casa formava, sguainò la spada e si lanciò in avanti. Per la sorpresa quasi non gli cadde la spada di mano. Il ragazzo riccio stava davanti a lui, mentre si teneva un polso sanguinante, le manette che pendevano da una sola mano: le aveva sfilate a forza. Lo schiavo lo guardò, ma mascherò subito la sua sorpresa iniziale. Restò immobile, raddrizzando appena le spalle, con un orgoglio e una fierezza negli occhi che Louis si trovò a invidiare con tutto se stesso.

“Perché lui deve morire?”

Si ritrovò a pensare. Il ragazzo non aveva colpe, se non quella di essere fuggito verso una vita che sarebbe sicuramente stata difficile, ma molto probabilmente migliore di quella che aveva avuto fin’ora.
Con questi pensieri in mente abbassò la spada, riuscendo per la prima volta a scorgere della vera confusione sul viso dell’altro ragazzo.

“Vattene. In fretta anche. Non andare in avanti, torna indietro di un po’ e poi calati nella rete fognaria. Non sarà il massimo per le ferite, ma eviterai Aiden e i suoi compari. Che aspetti? Segui la corrente, ti porterà al Tamigi.”

Lo disse in fretta, non sapendo perché stava esplicitamente disobbedendo agli ordini del suo comandante, di suo padre e dell’Imperatore. Per la prima volta però Louis sentiva di aver fatto una scelta sua. Per la prima volta Louis sentiva di aver deciso qualcosa di importante. Per la prima volta Louis si sentiva libero. La sensazione lo stordiva, così guardò lo schiavo correre via senza nemmeno ringraziarlo. Andò avanti fino al punto di ritrovo, trovando un paio di schiavi che provarono ad attaccarlo. Louis si difese, e li uccise. Era sconvolto, ma dovette nasconderlo fino a quando non arrivarono di nuovo alla Piazza.

Li ho uccisi. Ho disobbedito. Li ho uccisi. Ho disobbedito.

La nenia incessante nella sua mente non sembrava dargli tregua. Quel giorno aveva rotto due promesse: una fatta a suo padre il primo giorno di Accademia, l’altra fatta a sua madre quando era solo un bambino.

 

Era estate e lui stava giocando con dei sassi che lanciava nell’acqua dello stagno davanti alla loro magione estiva. Sua madre aveva la schiena appoggiata a un tronco d’albero e stava leggendo, la sua passione. Passione che aveva trasmesso anche al giovanissimo Louis.

“Boo, non ti sporgere o cadrai in acqua.”

La voce tenera e rassicurante di sua madre lo fece girare, ma non prima di aver lanciato un sasso più lontano degli altri, fra i canneti. Quando però atterrò con un tonfo sordo invece del solito rumore, Louis si voltò in direzione del rumore, stranito.

“Cosa è successo?”

“Io… Nulla mamma. Ho solo tirato troppo forte ed è andato nei canneti.”

Lo disse con le manine che si stropicciavano l’un l’altra e gli occhi bassi. Sua madre, intenerita, gli disse:

“ Te l’ho detto di non tirare nei canneti, ci sono i nidi delle anatre.”

Louis si avvicinò mortificato al canneto e vide che aveva centrato un nido, rompendo un uovo. L’aver impedito a un pulcino di nascere lo sconvolse a tal punto da mettersi a piangere, rifugiandosi fra le braccia di sua madre che lo consolò. Era un bambino, ma aveva già la consapevolezza di una vita che se ne va.

“Boo, non è successo nulla. È così che deve andare la vita, a volte si nasce oppure a volte si muore. Se nessuno morisse il mondo sarebbe pieno di vecchi e malati, sarebbe peggio.”

Le sue parole ebbero ben poco effetto, così lo abbracciò semplicemente più forte mentre gli accarezzava la testa. Fra le ultime lacrime, il bambino si staccò dall’abbraccio e, guardando serio sua madre, le disse:

“Mamma, io non ucciderò mai più. Te lo prometto, mai.”

La donna lo guardò, orgogliosa di suo figlio ma consapevole che questa promessa un giorno sarebbe stata infranta. Sorrise e si alzò, portandolo nel suo angolo di paradiso personale: la biblioteca.

Gli insegnanti si congratularono con gli allievi per come avevano controllato la situazione, mandandoli a riposo con una meritata, dissero, giornata libera il giorno dopo.
Louis aspettò di essere nel suo letto prima di decidere. Quel giorno aveva tradito due volte, qual giorno si era sentito bene e male come non mai. Quel giorno, si disse, sarebbe fuggito.



 

Spazio me, perché io può.

Allora, ciao. Sono di nuovo qui, con una nuova ff. Scusatemi per gli orrori grammaticali!
Allora, come già detto sarà una Larry e Ziam fantasy, poi vedrete muahahahah.
Ok, ora la smetto (come se fosse possibile).
I ragazzi dovrebbero entrare scalati in due al massimo tre capitoli ancora, ma avete visto che Harry doveva già esserci. Me lo ha imposto lui, come potevo non farlo? Poi vedrete. Ah, e tentate di interpretare la profezia. Non vedo l’ora di leggere che cosa pensate!
Comunicazioni:
-Allora, per chi segue la mia serie “C’erano una volta gli One Direction” ho deciso che la scriverò in collaborazione con lei: < a href ="
http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=170443"> Thatswhatiam98   Passateci, soprattutto dalla mia storia preferita: Past Into The Present: Rebirth. È bellissima. E faccio pubblicità occulta anche io.
Che poi mi vergogno perché lei è bravissima. Ma fa nulla.
-Ho intenzione di mettermi a scrivere un’altra di 30 volte il primo bacio in tempi brevi. Forse.
Anyway, avete notato una cosa?
LOL.
È un acronimo. Significa: Louis+Oreo=Larry.
Ok, meglio se vi lascio e mi vado a vergognare di ciò che ho pubblicato. Cià.
Un bacio,

b.d.
   
 
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